Rimanevano solo gli occhi.
In quella prigione di carne –anime in fiamme -, lingue di fuoco che spasimano per esplodere e abbracciare l’altro, la persona, un guscio di carne e respiro che abbracci forte perché lo vorresti far tuo.
Fuoco che non incenerisce – la delicatezza passionale dell’ardere -, ma genera e alimenta, prigioniero di sinuosi limiti umani – brivido pelle contro pelle –; le fiamme ti esplodono dentro e l’unica via d’uscita sono
gli occhi.
Rimanevano nient’altro che gli occhi.
Doveva esserci un modo per dirlo – far parlare l’anima – per andare oltre la pelle, abbracciare i complessi meccanismi che muove l’amore, capire se è una cosa da tutti, sentirsi così – amare e basta – oppure è qualcosa di unico e inimmaginabile, qualcosa che non sapresti descrivere – non trovi mai le parole -, un nucleo d’essere che ingloba tanta perfezione da escludere l’immatura razionalità dei concetti, vedere.
-Oltre la tua pelle, dietro i tuoi occhi, cosa c’è?-
Eccoli, persi in un abbraccio - il coito dell’anima -, amore che sgorga ad ogni respiro, in un silenzio che urla – ti amo – e che sussurra sei mio nei postumi della passione.
E’ Amore liquido alimentato dalle fiamme,
le anime si baciano grazie ad uno sguardo.
Così eccoli lì, nudi e perfetti in un abbraccio che in inverno ti dà la primavera; eccoli lì,
nudi e perfetti, addosso solo l’anima,
a tentare di scoprirsi, trovarsi, negli occhi dell’altro. In quelle iridi c’è il cosmo.
L’insostenibile perfezione di un istante, la devastante potenza degli sguardi, mentre si guadano, sussurrano tuo, tua, con tutto l’amore possibile.