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Autore: malikshugs    26/01/2013    7 recensioni
Per non dimenticare la crudeltà dell'uomo,fino a che punto è riuscita a spingersi l'umanità.
Per non dimenticare tutti quei morti
\\Broken angel
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spazio autrice precoce (?)

quando vi metto l'asterisco mettere quella canzone (copiate e incollate il link in un altra pagina internet per non perdere lo scritto) e mettetela a ripetizione finchè non finite di leggere.
Ci vediamo sotto.


 

Jasy's diary.



Se c’era una cosa che Jasy non sopportava era quello stupido sentimento, quello di sentirsi troppo poco.

Troppo poco per il Mondo.
Troppo poco per essere una studente modello.
Troppo poco per essere un brava figlia.
Troppo piccola per fare la scrittrice.


Non che Jasy avesse niente da invidiare ai voti delle sue altre compagne, o che disubbidisse ai suoi.


Si sentiva troppo poco perché nel 1943 non tutti erano accettati, non tutti erano sullo stesso piano, non tutti erano di razza ariana.
C’erano anche gli omosessuali, le persone con diversi handicap, gli ebrei.

Già gli ebrei. Come se quelle cinque lettere potessero etichettare un popolo, un umano, una persona.

Ma per Hittler e tutti i suoi seguaci quelle cinque fottutissime lettere basavano per uccidere una persona, per deriderla, per farla sentire peggio del più brutto animale esistente su questa Terra.
Li faceva sentire proprio così.

Che poi nessun animale poteva essere classificato brutto, inutile.
Ognuno è utile a qualcuno, possa essere un uomo, una pianta, un maledettissimo oggetto.
Perché doveva esserci tutta questa cattiveria negli uomini, se mai si possono più chiamare così?
Ed era proprio questo che faceva accanire la mente della piccola Jasy.
Sedici anni, e con la sicurezza che da grande avrebbe fatto la scrittrice, come nei suoi sogni da bambina.
Ma la società non l’aiutava.
Non gli era permesso di andare a scuola.
Di andare al parco.
Di entrare nei bus per raggiungere una qualsiasi destinazione.
Lei era ebrea.
Era diversa.
 
E nessuno era mai andato contro questa stupida idea del governatore della Germania.
 
Perché?
 
E’ facile fare domande di questo genere, difficile dare delle risposte.
Ma lei era così ostinata che ne voleva dare almeno una.
Una sola che poteva districare quel nodo, una sola che poteva risolvere l’enigma di tante persone.
 
Perché tanto odio, tanto male?
 
 
E ciò che la rendeva felice, l’unica cosa che la teneva ancora in piedi e che un giorno si sarebbe svegliata, senza più nascondersi e sarebbe andata in giro, in giro per la città, per il mondo e avrebbe firmato autografi a tutti coloro che trovano nei suoi romanzi il tocco in più, come amava chiamarlo lei.
 
Ma per tutto questo bisognava aspettare, aspettare e aspettare.
 
Ora le uniche priorità erano: resistere e nascondersi.






Le settimane erano sempre più lunghe, sembravano non passare mai.
Perché Jasy non aveva un amico, un amica con cui parlare.
Aveva solo il suo diario dove annotava tutto, ogni minimo movimento sospetto che sentiva, tutte le sue paure, i suoi rimpianti, il suo dispiacere e la sua agonia.
Annotava tutto immaginando che la potesse confortare, ed in un certo senso ci riusciva.
Anche se lei aveva bisogno di Ross, la sua amica del cuore, ariana.
 
Ross le si era allontanata, come tutti del resto.
Le continuava a risuonare in testa quelle maledettissime parole “ tu sei ebrea, Jasy…è, è meglio se non ci vediamo più”
E suo padre aveva dato una spiegazione a quella frase dicendo che tutti i tedeschi, anche quelli che ci potevano sembrare più buoni alla fine sono delle bestie, proprio come il dittatore che li capeggia.
 
Ma la ragazza sapeva, conosceva la sua amica meglio di qualsiasi altra e aveva intuito che per amore materno aveva rotto i rapporti con lei, per non far star male i genitori che tanto erano dalla parte di quell’uomo orribile.
 
E sperava, in cuor suo che la sua Ross, la notte, quando nessuno avrebbe mai potuto darle fastidio, la pensasse.
La pensasse, le bastava solo quello, solo quella forza.
Quella era la forza che la mandava avanti, credere che ancora, lì fuori ci fosse gente che l’aspettasse, l’aspettasse uscire da quella casa nascosta da tutti, senza porte e con delle piccole fessure al posto delle finestre.



“ok, se ne sono andati” disse suo padre alludendo ai tedeschi che lavoravano sotto di loro in una fabbrica a conduzione famigliare.

“tutti tirarono un sospiro di sollievo pensando che anche per quel giorno erano salvi, non erano capitato sotto le grinfie dei macellai.
 
“questa notte si unirà con noi un'altra famiglia” annunciò infine l’uomo sulla sessantina di anni, con il volto solcato da accenni di rughe e vuoto, spento, come gli occhi di Jesy.
 
Quegli occhi tanto invidiati da tutte le sue compagne di scuola, che in tutti i suoi sedici anni di vita non era mai riuscita a decifrare di che colore fossero.
 
Lunghi, da cinesina e poi un miscuglio tra verde, celeste e grigio.
Qualcosa che agli occhi degli altri appariva sovrannaturale, ma che lei catalogava solo come semplici occhi, anche se di semplice avevano ben poco quei pozzi.
 
Jasy comunicava con lo sguardo, trasmetteva il suo amore, le sue tristezze, la sua gioia, il dolore, tutto.
Ogni volta che la guardavano negli occhi sapevano già di che umore fosse quella ragazzina minuta e magrolina con le sembianze di una bambola.
Una bambola diversa, perché lei era diversa.
 
Ora quegli stessi occhi non avevano più la lucentezza di prima e nella mente di Jasy gli apparivano scuri, scuri come la pece, come i suoi capelli, come quel muro, come quel cuore.
 
La ragazza vedeva tutto nero da quando fu costretta ad abbandonare la sua casa, il suo quartiere, i suoi amici, la scuola, la sua vita.
 
Jasy non era più padrona di quella vita strappatagliela così presto, che sperava sempre di riacquistare.
“chi sono questi mal capitati?” chiese la moglie.
Una donna sulla cinquantina con gli stessi capelli e fisico della ragazza.
Una donna che sopportava tutto il peso della famiglia sulle sue spalle, una mamma perfetta, oserei dire.
“i signori Sheeran”
“ma non erano di origini irlandesi?” chiese la ragazza ingenua ricordando quei signori così rispettabili che aveva salutato qualche volta con un cenno indiscreto della mano.
“hanno anche origine ebree e i tedeschi stanno facendo piazza pulita. Stanno indagando nel passato, non abbiamo più una dignità, un pizzico di privacy. Siamo solo degli animali destinati al macello, solo questo” sbottò l’uomo gesticolando con le mani.
La moglie gli da un colpetto al signore per farlo smettere, per non far incupire di più le due sorelle, ma Jasy e Anne conoscevano già tutta la crudeltà, erano diventate già grandi, pur essendo piccole adolescenti.
‘ non ti preoccupare’ mimò infine la donna. In tutta risposta le due sorelline tornarono nella loro stanza, cercando di non ascoltare tutto il rancore che stava facendo uscire Otto, il padre.
 
 
 
 
 
 
21 Gennaio 1944


“benvenuti, accomodatevi..saremo più caldi in sette” erano le unica parole che riuscivano a pronunciare i signori Frank vedendo entrare la nuova famiglia carica di valige e ben di dio.
 
“ehm, si…ciao. Io sono Edward, ma puoi chiamarmi Ed”
“io sono Jasy, solo Jasy.”
Ed fece un piccolo sorrisino e si voltò per aiutare la madre.
 
Per quante volte avesse visto quella famiglia, non si era mai accorta del ragazzo, tantomeno della sua bellezza.
Eppure non aveva niente di speciale.
Capelli rossiarancioni al posto dei biondo platino che preferiva vedere addosso ad un ragazzo.
Un po’ di pancetta rilassata al posto degli addominali scolpiti.
Gli occhi azzurri come il cielo, come il mare, come se ancora lo sapesse immaginare.
 
Eppure quel ragazzo le ispirava fiducia, sicurezza e se non fosse stata così triste e malinconica per la sua situazione lo avrebbe soprannominato, con le sue amiche ‘il dio del sesso’.
 
Si mise a ridere coprendosi con una mano la bocca, tanto per non dare all’occhio, ma il ragazzo la notò ugualmente.
 
“che hai tanto da ridere?” le chiese innocentemente lui.
“pensavo..” disse vaga
“non è che mi hai visto maneggiare malsanamente le valige?” chiese guardandola storto.
“anche..” ammise sincera. Si sentiva estremamente in imbarazzo.
“cos’hai in spalla?” chiese lei indicando quel coso nero dietro di lui.
“oh, è la mia chitarra. Si chiama Matt” disse estraendola dal fodero cercando di essere il più aggraziato possibile.
“Matt?” domandò ridendo lei “ da quando le chitarre hanno un nome?”
“ di solito si pensa alla chitarra come un nome femminile. Io uso tantissimo la mia chitarra e odio farlo sapendo che si pensa ad una donna quando lo si fa, perché io non amo usare le donne.
E così gli ho dato un nome maschile”
“oh, è così..dolce e sensibile da parte tua” ammise Jasy sentendosi in soggezione, scrutata da quegli occhi così penetranti, anche più dei suoi.
“e a te, cosa piace fare?”
“io, bhe..io amo scrivere, e sono sicura che da grande scriverò i testi per le tue canzoni” squittì in tutta sincerità osservando lo sguardo perso del ragazzo all’udire di quelle parole
“se mai ci arriveremo ad essere grandi” sussurrò così piano che credeva nessun mai sarebbe riuscito a sentirlo.
Ma lei lo sentì, perché aveva un udito sopraffino. Ed è  allora che tutto il suo imbarazzo scomparì e fece spazio alla sua gioia di vivere, quella che non l’abbandonava mai.
Gli prese il viso tra le mani costringendolo a guardarla fissa negli occhi
“noi diventeremo grandi, te lo prometto Ed.
Noi saremo due giovani capaci di vivere la vita al meglio possibile.
Diventeremo famosi, con milioni e milioni di fan pronti a sostenerci e acclamarci, a richiederci se necessario.
E non sarà di certo questa stupida stella che abbiamo sul petto a rovinare tutto.
Non ora, non ora che la guerra è quasi finita, non ora che gli alleati stanno per arrivare.
Però Ed se non siamo noi i primi a credere nel nostro futuro, nelle nostre certezze, nei nostri sogni sarà ancora più difficile di quanto lo è diventare grandi.
 Credici insieme a me, ti prego”
“io-io Jasy non so cosa dirti, davvero. La tua gioia di vivere non è comparabile a nessun altra. E va bene, te lo prometto, diventeremo grandi insieme, ci credo come tu lo credi.”
“grazie Ed”
“a tavola ragazzi”
 
 
 
 
 
 
 
28 giugno 1944





“ehi Frank fammi leggere questo diario”
“no, Sheeran, sono cose personali”
“avanti, io la mia chitarra te l’ho fatta suonare”
“ tu non ti confidi con quell’arnese”
“ti sbagli dinuovo, piccola.
Io e Matt ci confidiamo, siamo dei buoni amici, lui sa tutto di me e io so tutto di lui”
“Avanti Ed chi vuoi prendere sotto naso, le chitarre non parlano”
“osserva” disse prendendole la mano e facendola sedere sul letto.
Prese la chitarra e se l’appoggiò sulle gambe nascondendo la sua bocca dietro un fazzolettino bianco
“ciao Jasy, sono Matt. Sono innamorato di una ragazza, ma non riesco a dirglielo. Tu cosa mi consigli?” fece una vocina distorta credendo di far bere alla ragazza quell’assurda balla
“avanti Ed, non fare lo stupido. Togliti quel fazzoletto dalla bocca e fai l’uomo” lo stuzzicò lei
“a perché cosa sarei io?” fece il finto incazzato penetrandola con quegli occhi
“un rammollito, un mollusco. Si, mollusco è la parola giusta”
“allora il mollusco ora di fa provare il brivido della castigazione per solletico.
“no Ed..non..fare..lo…stronzo” si allontanava lei cercando di sfuggire alle grinfie del ragazzo che la fece retrocedere finchè, nella piccola stanzetta non raggiunse il capolinea che era il muro, ormai non più vuoto, ma riempito da delle foto scattate dai due giovani per far vedere che, anche se questa storia tra qualche anno verrà dimenticata, loro c’erano ed avevano sofferto tutto quello.
 
“e ora? Che farai?” le fece il versetto iniziando a farle il solletico prima sui fianchi, poi sul collo, sulle mani e infine sui piedi.
La ragazza si sganasciava dalle risate convinta di essere la ragazza più felice della terra.
Anche più della regina, della moglie dei Hitler, delle ariane che ora camminano altezzose per le strade della città sfoggiando la loro nuova pelliccia di giaguaro reale,o quel che si voglia.
Lei era felice pur essendo ebrea, perché era nelle braccia di Ed, e tutto poteva avere una svolta, tutto si avverava, tutto sembrava più roseo, forse anche per via dei suoi capelli che sprizzavano gioia anche solo a guardarli.
 
“state zitti, per Giove. O volete che ci scoprano?” frattagliò un po’ tutta la famiglia facendoli zittire immediatamente
 
Fu allora che si guardarono negli occhi, così indecisi eppure con quel colorito che avevano perso da tempo.
 E tutt’e due col fiatone non sapevano distinguere quale fossero i più belli, i più lucenti.
Ed pensava fossero quelli di lei.
Lei quelli di lui.
Erano complementari, come due angoli.
Quei due ragazzi erano complementari fra di loro, si aiutavano a vicenda, si risollevavano a vicenda, e in cuor loro ringraziavano Dio di averli fatti incontrare.
 
“ma se…si insomma, se noi due ci piacessimo, quanto ci metteremo a darci un bacio?” chiese così, di punto in bianco il rosso
Jasy lo guardò sorridente pensando che era quello che voleva da chissà quanto tempo.
Si era innamorata, per la prima volta, di un ragazzo che aveva conosciuto solo da pochi mesi.
Ecco cosa significava amare, amarsi.
Quel sentimento che le era rimasto estraneo per così tanto tempo ora padroneggiava la mente di Jasy Fank.
 
Ed le fissò le labbra avvicinandosi con una lentezza sovrumana a lei.
E dopo quei pochi istanti, che a lei parvero ore, le due labbra si accarezzarono l’un l’altro, come avrebbero fatto le mani piccole e affusolate della ragazza.
 
Si baciarono, lentamente, dolcemente facendo danzare le due lingue come nessun ballerino professionista avrebbe mai saputo fare.
Perché quella era la danza dell’amore e solo pochi erano riuscita a capirla e ad interpretarla, a modo loro, si sa.
 
 
 
4 agosto 1944.
 
 
Quel giorno era più silenzioso del solito. Forse per il brutto tempo, o per il brutto presentimento che padroneggiava la casa.
 
I due giovani erano distesi per terra, in camera dei genitori di Jasy: l’unica camera che aveva una finestra posta sopra il tetto che permetteva di scrutare il cielo.
 
“Ed a cosa ti assomiglia quella nuvola?”
“ehm.. fammi pensare un po’”
“ io penso sia una fata” ammise la ragazza.
Ma ed non poteva mica dire alla sua Jasy che quella nuvola gli assomigliava allo sterco di bue.
“allora? Hai pensato?”
“ehm..credo sia un, bue” ammise in un barlume.
“ma non vedi  che è longilinee? Te lo vedi un bue con le curve da donna? Dai Ed non hai un minimo di immaginazione” gli tirò un pacca sulla spalla per poi riprendere a scrutare quel meraviglioso cielo.
 
Quando il padre di Jasy fece irruzione in camera con lo sguardo terrorizzato incitando i due a fare assoluto silenzio.
 
Fu lì che si udirono dei passi tempestosi di diversi stivali, pesanti come non mai, si dedusse.
 
E proprio lì un brivido di paura attraversò tutti i presenti in quella casa.
 
 
 
“voi, dovete seguirci” fece irruzione nell’abitacolo una voce secca, dura, vuota che fece sobbalzare i giovani.
 
Otto si piazzò sullo stipite della porta cercando di difendere al meglio i due ancora distesi a terra, incapaci di muoversi.
 
“lasciate stare i ragazzi. Posso pagarvi con tutti i miei beni”
“quelli ce li devi lurido ebreo. Tutti quelli come voi devono essere puniti. Non ne dovrà rimanere nemmeno uno sulla faccia di questa terra. Quindi seguitemi e non fate troppe storie”
 
Si sentirono derisi, calpestati da miliardi di piedi.
Erano stati feriti più internamente di quanto le torture che infliggevano i nazisti potessero fare male.
 
Erano considerati dei numeri, meno importanti degli animali, un’ annullità.

e fu allora che Jasy conobbe la crudeltà dell’uomo, fino a che punto si potrebbe spingere un essere vivente pur di veder soffrire i suoi simili.
 
 
 
Vennero gettati dentro un furgone, erano almeno cento, in un furgone che ne poteva contenere massimo 10, di animali.


E non si sa nemmeno dopo quanto, visto che avevano perso la cognizione del tempo, arrivarono dinanzi ad un binario, putrido, sporco, puzzava di animali, o qualcosa del genere.
 
Li fecero salire su quest’ultimo e viaggiare per più di cinque giorni.
Senza mai una sosta, senza mai mangiare.
Erano nel vagone merci perché era questo ciò che erano, solo e soltanto cose.
E già dopo poche ore si percepiva l’odore acre del vomito, delle feci, i pianti dei bambini, le urla dei più anziani, la disperazione di tutti.
 
*(http://www.youtube.com/watch?v=wLJSgTgAom8 )

Perché avevano tutto quel sangue freddo da riuscire ad uccidere bambini indifesi, donne incinta, vecchi?
Come si poteva?
 
Per tutto il tempo Jasy si rimase tra le braccia di Ed che la coccolava, rassicurandola per quanto poteva, fino a quando anche la sua voce non diventava un sussurro per il troppo pianto.
 
Perché proprio a loro?
Perché gli ebrei?
Perché proprio quando la guerra stava per finire?

“Ed, ho paura”
“anche io piccola, anche io” le accarezzò i capelli prima di chiudere gli occhi cercando di addormentarsi, anche se era fermamente convinto che non ci sarebbe riuscito.
 
 
 
 
 
Anche se era agosto, in Polonia faceva un freddo della malora, tanto che la maglietta troppo leggera di Ed e la felpa azzurra di Jasy li facevano tremare dal freddo.
 Vi era la neve, anche in estate.
 
Fin quando i loro occhi così ceruli non scorsero la scritta Auswitz e allora capirono che non era tutta finzione, che non stavano facendo solo un brutto sogno dal quale speravano di svegliarsi il più presto possibile.
 
Una fila interminabile di gente che aspettava paziente la loro sfortunata sorte, i bambini rallegrati solo per aver visto tre violinisti suonare una musica piuttosto allegra.
Ma era tutto per finzione, tutto per far credere agli altri che andasse tutto bene, quando invece quelli che godevano erano solo e soltanto i nazisti, le SS, Hitler.
 
“ehi, ehi guardia” la ragazza sentì la voce dei suo padre parlare dopo quasi una settimana di agonia.
“cosa vuoi?” rispose freddo questo avvicinandosi




“guarda, questi sono i miei tre figli” mentì indicando anche Ed “ e questo è tutto quello che mi è rimasto” mostrò un orologio e una collanina di oro “ in cambio di questi, ti prego non farli del male, risparmiateli, ti supplico. Lavorerò il doppio, il triplo, ma lasciali vivere, almeno loro. So che sei padre, che ami i tuoi figli come nessun altro, so il dolore che provi se qualcuno li farà del male.
Per favore, salvali”
 Il soldato prese in mano i due oggetti di oro, sorrise beffardo all’uomo e passo oltre mimando un semplice ‘addio’.
 
Otto si lasciò andare in un pianto liberatorio abbracciato dalla moglie, ma non servì a molto.
 
La fila avanzava e le SS che dividevano i maschi dalle femmine si avvicinava sempre di più.
 
Ed e Jasy erano per mano, per sempre
 
“E-ed.. io, io non diventerò mai grande” ammise piangendo la ragazza
“no, no piccola. Tu diventerai grande, lo farai per me, per tuo padre, per tua sorella, per tua madre, per te.
Diventerai grande e sarai una scrittrice di fama mondiale, e chissà..magari comprerò anche un tuo libro.
Resisti, ti prego”
“io non ce la faccio senza di te”
“ pensa che ci sia io affianco a te e resisti, non lasciarti abbattere da quei bastardi.
Quando verranno a salvarci ti sposeremo, te lo prometto.”
“Edward Sheeran, io ti…..ti amo”
“anche io Jasy Frank”
 
 
“avanti ragazzina vai da questa parte a fai poche storie”
“no, vi prego, fate venire con me anche lui. Non ce la faccio”
“forse non ti è chiaro il discorso: vattene via. Stai bloccando il traffico” le tirò uno schiaffo in pieno viso facendola cadere a terra
Il ragazzo scattò d’impulso  pronto a sferrargliene un altro, ma suo padre lo bloccò, dicendo di poter solo peggiorare la situazione così.
 
La fila scorreva velocemente e i due non fecero altro che guardarsi negli occhi, finchè il loro campo visivo non gli permise di riconoscerli.
 
Ed sperava con tutto il cuore nelle parole che le aveva detto, ma la primavera del 1945 portò via anche lei.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Primavera 1967
 
 
Ed camminava un po’ titubante, un po’ per l’età avanzata, un po’ per  paura verso quel cimitero, quello che gli divideva da più di dieci anni.
 
Aveva il suo diario sotto braccio quando trovò finalmente la sua lapide:Jasy Annabelle Frank.
 
 
“ciao diario,
sono Jasy.
Oggi io e Ed ci siamo baciati.
Si, sono innamorata di lui, ne sono sicura.
Non solo perché oggi me lo ha confidato lui, lo sapevo da tempo ormai, perché ogni volta che i suoi occhi si posavano su i miei mi sentivo un vuoto e delle farfalline che svolazzavano leggiadre nel mio stomaco, facevano le capriole.
I suoi occhi sono così meravigliosi che mi ricordano il cielo, il mare anche se questi due elementi che prima vedevo con tanta frequenza ora non so più come sono fatti, se sono cambiati.
Non riesco più a vedere la luce nel lungo e buio tunnel che sto attraversando.
Confido negli alleati e che ci verranno a salvare.
Ma io non so darmi ancora una risposta, nemmeno con l’aiuto di Dio ci sono arrivata: perché l’uomo è così cattivo?
 
Perché tutta questa gioia nel far provare tanto male alla povera gente? Perché proprio agli ebrei? Perché proprio a me e Ed?
 
Ne ho visto tanti abbandonarmi in questi mesi, tanti starmi lontana, camminarmi affianco e squadrarmi come se fossi una rabbiosa, quando invece ciò che avevo era solo una piccola croce a cinque punte cucita sul mio lato sinistro del maglione.
 
Sul sinistro, proprio dove vi è il cuore.
Ed io, anche se tutto questo mi sta provocando solo problemi, sono fiera di essere ebrea, di non essermi macchiata di nessun tipo di delitto, di non aver discriminato un popolo solo per le sue capacità.
Perché questo è quello che fa il ‘macellaio’: distrugge tutto ciò che lo supera, tutto quello che è migliore di lui.
E noi ebrei come il resto dell’umanità siamo molto più abili e intelligenti di lui, ecco perché.
 
Ma se da un lato sono fiera di essere ebrea, dall’altro un velo di tristezza mi avvolge.
Perché anche essendo positiva al massimo, non riesco a vedere il mio futuro proiettato tra dieci, venti, trent’anni.
 
Non riesco a vedermi da nessuna parte, nemmeno in paradiso.
 
Allora mi affido a Dio, sono sicura che lui mi guiderà verso la dimora giusta, verso il mio futuro.
 
Avrei tanto voluto vivere per sempre felice e contenta con Ed, come nelle favole.
Ma io non mi sono mai sentita una principessa in un regno incantata.
Mi sentivo e mi sento solo una scrittrice che vive nell’assurdità del presente e guarda avanti, cercando di dare un senso a quello che fa ogni giorno.
Ed il mio senso è proprio quel ragazzo mezzo irlandese e mezzo ebreo.
 
Io e lui ci apparteniamo,
e se mai non dovessi riuscire ad uscirne viva da questa storia, voglio che lui sappia, se mai troverà questo diario che non ho amato nessun altro al di fuori di lui.
 
Quindi Ed, questa pagina di diario va a te,
ti amo.
Per sempre.
Tua Jasy."




Jasy Annabelle Frank
born 14.06.1929
died 14.04.1945 



Angolo autrice.


Mi dispiace per la tristezza di questa one shot, ma era ispitata al giorno della memoria.

la storia come vedete è ispitata al film ''il diario di Anne Frank"

Anche se nella storia è il padre quello a sopravvivere, ma io può.

Sono anche nel fandom delle Sheerioooooos (?) sopportatemi.


spero di avervi fatto pensare, almeno un po'.


ciao a tutte <3.

se ho dimenticato qualcosa o ci sono errori di battitura sorratemi, ma ho scritto 25 pagine di word e non mi andava di ricontrollare. lol

baci
-S
  
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