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Autore: ebstin    27/01/2013    7 recensioni
'Le parole tra loro due erano sempre state di troppo e in più, se avessero dovuto cominciare a conversare, non avrebbero saputo cosa raccontarsi.
A loro bastavano gli sguardi carichi di lussuria che si lanciavano, bastavano gli sfioramenti casuali, bastavano quei baci rubati e nascosti a tutti. Si bastavano così, nel bene e nel male, ma di male in loro ce n'era fin troppo.
Avevano il male radicato nel sistema nervoso, nei gesti e persino quei vestiti che si sarebbero strappati di dosso puzzavano di questa cattiveria nauseante per tutti tranne che per loro.
Ma erano nati così, sarebbero morti allo stesso modo, con il fuoco a bruciarli dentro, arsi dai loro fini egoistici, carbonizzati dai loro stessi desideri. Perché questo facevano: si scottavano solo in principio, ma alla fine si incendiavano a causa degli stessi sentimenti che li avevano lambiti abbrustolendoli un poco.
E quella volta non sapevano se quel 'loro' li avrebbe ustionati sfigurandoli irreparabilmente o li avrebbe bagnati della freschezza che tanto agognavano, ma non era di loro interesse, quello che ora aveva la priorità nelle loro teste era il bisogno spasmodico di sentire ancora la pelle bruciare sotto di loro, almeno un'ultima volta.'
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I
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Official Trailer.



Lei era così, nel bene e nel male, e andava presa di conseguenza, come se fosse un pacchetto in promozione. Lei lo sapeva benissimo, per questo si nascondeva agli occhi altrui, sotto vestiti poco appariscenti e una normalità ben studiata. Era semplicemente diversa, e purtroppo non nel senso che anni e anni passati a leggere romanzi rosa hanno attribuito alla ragazza diversa, quale una persona che, sciogliendosi i capelli, diventa la più bella del reame, bensì in un unico senso: quello negativo.

Eileen si portava dietro quella pesante differenza da anni, senza sapere come gestirla, qualche volta finiva nei guai, qualche volta si salvava da questi. Il punto era che dovunque accadesse un qualcosa di leggermente strano, lei era lì, che fosse vittima o carnefice, letteralmente.

Perché la sua diversità consisteva innanzitutto nell’avere con sé sempre una dose massiccia di coraggio –e altrettanta di stupidità- e nel portarsi sempre nella tasca posteriore dei jeans un revolver, come se fosse una cosa normale.

Uccidere per lei era un divertimento tale e quale agli interessi dei suoi coetanei, che aveva perso di vista molto tempo addietro.

Aveva cominciato a comprendere meglio la sua diversità quando era stata sbattuta per la prima volta fuori dalla sua classe, avendo minacciato una sua compagna dopo uno spiacevole battibecco ed essendo parsa troppo convincente, forse perché faceva davvero sul serio. Eileen era il tipo di ragazza di cui tutti si sarebbero potuti invaghire, lunghi capelli color notte e occhi bruni, con la carnagione scura come il caffè.

Aveva però il problema del suo stile di vita, diciamo, spericolato, per non dire fuori di testa.

Aveva lasciato casa sua da giovanissima, scappando da una villetta apatica e una famiglia grigia, perché lei invece era semplicemente colore: poteva dipingere i sorrisi della gente con toni più sgargianti, e al contempo poteva farli diventare neri e muti, dopo un solo ‘click’ del suo grilletto.

Eileen non aveva paura del dopo, si concentrava solo sul presente, e al solo menzionare di un qualcosa che poteva essere dava i numeri, ribadendo la sua concezione prevalentemente basata sul momento, senza se e ma.

Eileen tuttavia sapeva di essere in una gabbia dentro quel suo corpo, avrebbe voluto essere un uomo, così da apparire più forte agli occhi dei compagni e comandarli a bacchetta.

Gestiva piccole partite di droga e altre cose di poco valore, quando avrebbe voluto solo essere il capo, sapendo di poterlo essere.

E non solo lei era a conoscenza della sua bravura, lo sapevano tutti: per questo la lasciavano nell’ombra della criminalità della città, invitandola ad occuparsi delle faccende più stupide che completava senza nemmeno sporcarsi le mani, il più delle volte.

Infatti, dopo aver sistemato i suoi ‘casi’, se ne stava sempre seduta tranquilla sul sedile di pelle della sua auto, con una sigaretta stretta fra le labbra rosse che si aprivano ad ogni nuova nuvola di fumo che usciva dal suo palato. Accendeva la radio con nonchalance per rilassarsi, ma non sempre andava così.

La notte del 23 Novembre non era mai stata importante per Eileen, non avendo alcuna ricorrenza da festeggiare, tanto meno da odiare.

Quella notte doveva essere normale, ma come abbiamo detto lei è tutto meno quello. Per questo quando vide delle luci puntate sul suo corpo si sorprese, tendendo i suoi muscoli.

Stava uscendo dalla via adiacente a quella di casa sua, camminando con la testa libera da i mille pensieri, ma quando sentì il rumore sordo di uno sparo e si buttò sull’asfalto non si sentiva più così calma.

Non sapeva cosa fare, era sola e aveva capito che non c’era modo di scappare. Così decise di fare la cosa più stupida del mondo, ma come si dice l’attacco è la miglior difesa.

Sfilò veloce dalla tasca la pistola, pronta a sparare al primo movimento. Era nell’ombra e non la si riusciva a distinguere bene nel buio, per questo il suo aggressore non accennava a muovere un passo. Eileen strisciando si avvicinò sempre più al muro accanto a lei, fino a toccarlo con la sua schiena, ma non si alzò, avendo paura di perdere il suo nascondiglio.

Non sarebbero rimasti così in eterno.

Pensando e ripensando agli anni passati nella malavita e ai diversi film polizieschi, capì di dover trovare un diversivo per spostarsi di lì.

Scannerizzò tutto il luogo in cui si trovava per comprendere che casa sua non era un posto sicuro, che la strada era vuota – che, anche se fosse stata brulicante di vita, non l’avrebbe di certo salvata- ma che la sua auto era relativamente vicina.

Un diversivo.

Con l’impulsività regalatale dalla giovinezza decise di sparare un colpo, per distrarre l’uomo o donna che la stava inseguendo, ma non fu una grande trovata,visto che si sentì toccare in punta di dita da qualcuno, per poi percepire la canna di metallo di un'altra arma.

-Allora siamo ancora al punto di partenza Eileen..- una voce che conosceva da troppo tempo si disperse per l’aria buia e rarefatta del vicolo, lasciandola con la bocca a secco di risposte taglienti. Pertanto boccheggiò, incapace di formulare frasi utili per il momento.

-Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?- domandarono ancora le due labbra in modo affilato. Eileen non aveva la minima idea di cosa sarebbe accaduto, aveva semplicemente paura, e lei non ne aveva mai. Si sentiva come immersa nell’acqua: non riusciva più a respirare, e per parlare emetteva solo dei mugolii sommessi, come se dalla sua bocca uscissero bolle.

Il rumore di un altro sparo le arrivò stantuffato, ma il dolore non lo era affatto.

Urlò in preda al dolore, cominciando a piangere come se si fosse sbucciata il ginocchio, ma non c’era nessuna mamma a medicarle la ferita; mentre comprendeva che probabilmente la sua fine era vicinissima era sola come non lo era mai stata e come mai avrebbe voluto essere.

Sorrise mesta, mentre il sangue le bagnava i vestiti e l’asfalto sottostante.

-Non ancora.- rispose quindi, più agguerrita di prima, e con la voce rotta – Ma dimmi, sei sceso così in basso da uccidermi?- domandò poi, sfidandolo.

Ma il ragazzo ridacchiò in sottofondo, non prendendo la minaccia di Eileen sul serio. E si avvicinò ancor più alla ragazza, che non spostava gli occhi dai suoi, cercando di apparire più forte.

-Tesoro, non sono qui per ucciderti, sono qui per avvertirti..- esclamò lambendole la guancia, a pochi centimetri dalle sue labbra.

-Senti Butler, non me ne fotte un cazzo dei vostri avvertimenti, io faccio quello che voglio, senza l’approvazione del tuo capo o chi altro.- gli sputò velenosa, dopo aver spostato il viso dalla sua lurida mano.

-Sempre esuberante, ma sai come si dice, uomo avvisato mezzo salvato, non so se valga anche con le puttane ma fa lo stesso.-

E allora Eileen non ci vide più, e piuttosto che sputargli addosso ingiurie di ogni tipo gli sputò la sua saliva dritta sulla bocca. La cosa che più la disgustò però non fu tanto il guizzo che era comparso negli occhi del ragazzo quanto il fatto che si era leccato le labbra come se la sua saliva fosse nettare divino.

-Ci vediamo presto Eileen.- bisbigliò lui scomparendo tra i vicoli e lei ricominciò a respirare.

E a piangere.

Con passi lenti e pesanti arrivò a casa sua, inserì le chiavi nella toppa in gesto automatico, mentre la sua ferita fungeva da sorgente a un fiume di sangue che aveva creato con la sua scia.

Si diresse verso l’armadietto dei medicinali e afferrò il disinfettante, versandolo sulla sua ferita come se ne avesse a disposizione dieci flaconi. Infine strinse un pezzo di stoffa sul buco creato dalla pallottola, per bloccare il sangue.

Strizzò gli occhi, incapace di pensare e cadde sul pavimento, la gamba non la reggeva più. E si appisolò così, sulle assi di legno marce della sua villetta, con un gusto amarognolo in bocca e una gamba mutilata da un'altra cicatrice.

Si svegliò dopo pochi minuti, o ore, a causa del dolore lancinante alla gamba, bendata non così bene come credeva. Glielo diceva sua mamma di pagare l’assicurazione sanitaria, ma pensava di potercela fare anche da sola, del resto cosa le sarebbe potuto accadere?

Prese il telefono e con un guaito si alzò tremolante, con equilibrio precario. Compose velocemente il numero della sua amica che dopo due squilli rispose.

-Ciao Kayla, senti devo chiederti un favore…- iniziò Eileen dolcemente.

-Sono le tre e mezza di notte Leen..- rispose subito Kayla mentre uno sbadiglio le scappava dalla bocca, arrivando ad Eileen dalla cornetta.

-E’ importantissima, ti prego.- Eileen fece il labbruccio anche se non c’era nessuno a guardarla, era abituata a quel tipo di dolore, che sperava Kayla sarebbe riuscita comunque a scemare.

-Arrivo.-

 

 

Justin non era mai stato un tipo di molte parole, preferiva lasciar dire tutto alle sue occhiate cariche di malizia, e il più delle volte, di sangue.

Quel Canadese passava la sua vita a spegnere quelle degli altri, come se lo divertisse, e in realtà lo svagava davvero.

In quel 23 Novembre era sul suo bancone, a fumare l'ennesima sigaretta della giornata e mentre il tabacco bruciava tra le sue labbra osservava la città, non sapendo cosa fare.

Si stava annoiando ecco tutto, era una di quelle serate che non lo allettavano molto, forse perché era abituato ad avere nel suo letto una donna diversa, e non averne una quella notte lo infastidiva e lo rilassava, ogni tanto ci vuole un po’ di tranquillità.

Quella sera aveva anche deciso di non andare da nessuna parte per finire le sue 'commissioni', aveva preferito incaricare Ryan di sbrigarsele da solo.

Il fumo volteggiava in volute pigre, formando ad ogni piroetta immagini diverse, e lui ne rimaneva incantato ogni secondo di più.

Evidentemente la noia aveva davvero preso la meglio.

Decise di tornare all’interno della sua camera e lasciarsi cullare da una coperta calda e un cuscino morbido nel dolce reame dei sogni.

Ma proprio mentre stava cominciando a sfilarsi i vestiti di dosso sentì bussare, e iniziò a risvegliare tutti i santi.

-Chi è?- ringhiò infastidito.

-Bieber sono io, ti porto notizie della Holland.- Justin corrugò le sopracciglia. 

Holland chi?

-Vieni, entra.- gli concesse aprendo la porta per poi sedersi sul letto, intimandolo a continuare con il suo discorso.

-Hai presente Eileen Holland, occhi e capelli scuri, un corpo da paura e la lingua biforcuta?- Justin subito scosse la testa senza avere la minima idea di chi fosse questa presunta ragazza.

-Beh, in questo periodo si sta impicciando in degli affari dove non dovrebbe, sta cercando di allargare il suo bacino d’utenza intaccando il nostro. Stiamo perdendo clienti.- continuò Ryan con lo sguardo fisso sul tappeto della camera. –E stasera sono andato a farle una visita, per ristabilire i confini, ma non credo abbia afferrato il concetto.- concluse il ragazzo spostando gli occhi dentro quelli di Justin, che lo guardava confuso.

-Ti sei fatto mettere i piedi in testa da una femmina?- domandò quindi, trattenendo a stento una risata.

-No, certo che no, ha una pallottola nella gamba.- si difese subito.

-E cosa cambierebbe?- chiese retorico Justin, non ottenendo risposta. – Senti, non c’è problema, saranno 100 dollari in meno sai cosa ci cambia.-

Ryan fece una smorfia e salutò Justin con la mano, lasciandolo nuovamente solo.

Si distese sul letto spossato e si addormentò all’improvviso con ancora i vestiti, sognando un mondo diverso dal suo, riponendovi tutte le sue speranze.

Justin era un ventenne come tutti gli altri, di aspetto: occhi caramello e labbra morbide, che ogni sera gustavano nuovi sapori.

Era un ragazzo dalle mille donne, di cui non si proccupava minimamente e quelle non sembravano nemmeno lamentrasi del trattamento. Justin era speciale agli occhi di tutti, era nato per comandare. Infatti tra le sue labbra non prendevano mai dimora parole dolci, le sue corde vocali facevano solo nascere ingiurie e termini velenosi.

E nessuno lo aveva mai sfidato: tutti troppo impauriti dal suo continuo gonfiarsi il petto, nascondendo le sue debolezze.

Justin era così, e lo sapeva benissimo, ma non si nascondeva agli occhi altrui, anzi sbatteva in faccia alle persone la sua diversità, tentando di spaventarle. Perchè lui era così, nel bene e nel male, e andava preso di conseguenza.

 

 

 

 

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Lo so, ho cominciato anche ad intasare il mio account di storie sul mio unico amore.

Il punto è che di storie su Bieber ne ho scritte mille, ma non le ho mai pubblicate, visto che cadevano sempre nel banale, e mio marito non lo è affatto. Per questo ho deciso di pubblicare questa storia che mi ronzava nella testa da un po'. Tutto quello che ho scritto finora mi piace moltissimo, e spero sia piciuto anche a voi, in caso me la lasciate una recensioncina piccina piccina? 

Ora devo andare ad apparecchiare la tavola -oggi tocca a me- e spero di avervi emozionato un minimo :)

Bieber ed io vi mandiamo un bacio, alla prossima! 

Alessandra.


  
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