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Autore: Bitchesloveklaine    27/01/2013    4 recensioni
Dopo la morte della madre, Kurt si avvicina al padre.
Dopo la morte di Pavarotti, Kurt trova Blaine.
Dopo la morte del padre, Kurt si sente solo.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro. Nella storia riferimenti al film The Last Song. Note sotto.



*

Kurt era invidioso.

Invidioso di Rachel e Finn per come avevano sistemato le cose. Era invidioso della loro storia d’amore, piena di tira e molla, che andava avanti dal secondo anno di liceo.

Diceva di essere invidioso perché non sta né in cielo né in terra che i fidanzatini del liceo riescano a stare così tanto insieme.
Era invidioso della loro felicità e allegria, delle loro risate che riempivano l’appartamento newyorkese in cui vivevano.
Non poteva fare a meno di criticare la loro mancanza di progetti e maturità, dato che avevano deciso di sposarsi prima ancora di aver trovato un loro appartemento senza un coinquilino che aveva il ruolo d terzo incomodo.

Conviveva insieme alla sua migliore amica e al suo fratellastro, ed era invidioso di loro, perché vivere con loro implicava avere ogni giorno davanti agli occhi tutto ciò che mancava a lui.
Loro si erano lasciati ed erano stati lontani per vari mesi, nei quali avevano sviluppato nuovi interessi. Erano entrambi convinti che fosse finita, che fosse arrivato il momento per andare avanti. E invece era bastato un semplice matrimonio del loro ex professore, un semplice boquet caduto nelle mani di Rachel e un semplice sguardo di intesa scambiato con Finn.
In seguito ci fu solo amore.
Kurt era invidioso perché pareva che tutti intorno a lui avessero trovato la felicità, e i suoi due migliori amici erano solo l’esempio più evidente.
Kurt non era riuscito a trovarla, la felicità.
Ci aveva provato, ci aveva provato davvero a frequentare nuove persone. Con Adam credeva di trovars bene, finché un giorno lo aveva scoperto con un altro.
Dopo essere stato tradito due volte, da due ragazz diversi, nel giro di un anno, aveva dedotto che forse era lui stesso il problema.
La verità era che Kurt era invidioso di come tutti riuscissero a costruire la propria vita tranne lui. Lui si limitava a frequentare il college, con molto meno entusiasmo del previsto.

Era fine estate 2014 quando accadde.
Si trovava nel salotto di quella che era a tutti gli effetti la sua nuova casa  e si stava riposando dopo aver smontato le valigie.

Dopo aver finito i suoi primi due anni di college, doveva decidere se continuare o no gli studi. Aveva passato l’intera estate con suo padre, con la scusa che aveva voglia di tornare in Ohio e alle sue odiate origini per capire come continuare la sua vita.
Suo padre e Carole, sua moglie, lo avevano accolto a braccia aperte dicendogli che lo avrebbero aiutato a trovare la scelta giusta. Ma tutti e tre sapevano che la realtà era un’altra, che il cancro di Burt non dava segni di miglioramento e che Kurt voleva passare il più tempo possibile con suo padre.

Eppure l’atmosfera non era pesante, se si trovavano insieme non ci pensavano mai, e Kurt si dimenticava spesso delle condizioni del padre. E questo lato positivo ne portava uno negativo: quando vedeva suo padre prendere le medicine, veniva avvolto da un forte senso di tristezza e malinconia.
Perché quelle medicine erano la prova che le cose non stavano affatto bene, e un’altra parte della sua vita stava finendo, prima dei suoi venticinque anni.

Era fine estate 2014 quando ricevette quella telefonata.
Un senso di ansia nacque non appena lesse il numero di Carole sul display del telefono.
Si erano messi d’accordo, avevano detto che lui li avrebbe richiamati di sera. Perché Carole lo stava chiamando?
Si convinse del fatto di essersi dimenticato qualcosa, e rispose alla chiamata.





Cinque minuti dopo Rachel e Finn, tornati dalla loro passeggiata domenicale a Central Park, lo trovarono seduto per terra, il cellulare nella mano aperta e lo sguardo perso nel vuoto. Le gambe distese, la schiena appoggiata alla parte inferiore della poltrona e ogni muscolo immobile tra , secondo Rachel, anche i polmoni.


*


“Kurt, andiamo, su.” Era passato un giorno, un giorno preciso dalla notizia della morte di Burt Hummel. Quel pomeriggio si sarebbe svolto il funerale nella chiesetta dove il padre era solito andare il giorno dell’anniversario della morte della madre di Kurt, dove sicuramente ci sarebbe stata la maggior parte della piccola cittadina.
Tutti gli abitanti di Lima, almeno una volta, avevano portato la loro macchina nell’officina Hummel, e tutti avevano scambiato qualche battuta con Burt.

Kurt non voleva ripartire da New York e tornare in un luogo dove non c’era nessuno ad aspettarlo.
“Non vengo.” Erano le sette e un quarto del mattino, se non avessero preso il treno delle otto non sarebbero mai arrivati in tempo per la celebrazione. Kurt questo lo sapeva, e Rachel aveva capito che il suo piano era quello di far saltare tutto.
“Dai Kurt, o faremo tardi.” disse, sedendosi accanto a lui nel divano. Lui non rispose, rimanendo con lo sguardo fisso per terra. Lei gli prese il viso tra le mani e lo guardò negli occhi, trovandoli rossi, spenti e stanchi. Lo sapeva benissimo il perché: aveva passato tutta la notte abbracciandolo e ascoltando i suoi singhiozzi. Ogni volta che sembrava si fosse calmato e addormentato, una nuova lacrima scendeva dai suoi occhi e ne tirava giù altre.

“Kurt, ascoltami. Andremo lì, ascolteremo la celebrazione, saluterai i parenti e torneremo a casa. Questa casa. Non dovrai neanche assistere alla sepoltura della tomba. Solo alla messa.”
“Non sono credente”
“Io sono ebrea, se è per questo. Ma ci andrò lo stesso, perché so che Burt mi avrebbe voluta lì e che se non andassi me ne pentirei amaramente in futuro. E sono sicura che quest discorso vale anche per te.”
Kurt si arrese, si alzò dal divano e prese la sua tracolla.
“Solo non... non lasciarmi solo. Almeno oggi. Lo so che hai già passato la notte separata da Finn e anche lui avrà bisogno di te, ma...”
“Faremo come un tempo. Ci siederemo, ti terrò la mano, e affronteremo tutto insieme. Non sei da solo, non lo sei mai stato e non lo sarai mai. Okay?”
“Okay”


*


Kurt era sicuro di non farcela. Già alla vista della chiesa aveva iniziato a tremare a causa dei troppi ricordi. L’ultima volta che era stato in quel posto era per il funerale di sua madre.
Era un bambino, e quella fu la sua prima esperienza con la morte.
La differenza era che in quell’occasione c’era suo padre a tenergli la mano, a dirgli che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Invece in quel momento non c’era più. Era rimasto solo, senza famiglia, all’età di 21 anni.
Sentì Finn dargli una pacca amichevole sulla spalla, per poi raggiungere sua madre che si trovava all’entrata della chiesa.
Quella donna aveva amato due uomini in tutta la sua vita, ed entrambi erano morti troppo presto.
Un senso di depressione gli avvolse lo stomaco.

Kurt si impose di rimanere forte almeno davanti a lei, per rispetto e per l’amore che aveva imparato a provare per  la sua matrigna. La mano di Rachel si strinse attorno alla sua, ed entrarono in chiesa. Si sedettero al primo banco e Kurt ignorò di proposito i pochi parenti che erano venuti. Per lui e il padre non c’erano mai stati, né quando avevano affrontato un grosso problema economico, né quando Burt si era risposato, né quando Kurt aveva fatto coming out, né quando il cancro di Burt era peggiorato.
Kurt di loro conosceva solo vecchie fotografie, e odiava la loro ipocrisia nel presentarsi lì, con una finta tristezza.


Dopo un tempo che parve infinito in cui si era limitato a fissare la bara di fronte a sé, il funerale iniziò e le parole del pastore riempirono la struttura. Quando finì, invitò Kurt a dire qualche parola sull’ambone.

Kurt si ricordava di lui: quando sua madre lo portava a messa la domenica e lui si lamentava dicendo  che era noiosa, quel pastore giovane e pieno di energia gli raccontava sempre qualche storiella, facendolo ridere e facendogli nascere un po’ di voglia per entrare in chiesa.

Si alzò e si avvicinò all’ambone, dove gli era stato lasciato spazio. Era stato avvisato che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma non aveva avuto la forza di pensare alle parole giuste. Era sicuro che sarebbero venute da sole.

Diede una rapida occhiata all’assemblea: Rachel era seduta composta e lo stava fissando, Finn aveva un braccio poggiato sulla gamba di Carole, la quale tentava inutilmente di trattenere le lacrime, Mercedes e i suoi genitori si trovavano qualche fila più indietro, e Kurt pensò di essere stato molto maleducato a non averli salutati. C’era il professor Schuester e sua moglie Emma, c’era Quinn che quel giorno ignorò il fatto di essere cattolica e non protestante, c’erano Santana, Brittany e Puck seduti nelle ultime file, come se volessero assistere senza farsi vedere. C’erano Sam, Artie e tutti gli amici del vecchio Glee club.

Tutti tranne uno.

Inspirò profondamente e qualche parola uscì dalla sua bocca.

“Mi presento per chi non mi conosce: sono Kurt Hummel il figlio di.... Burt. Non ho intenzione di dire qualcosa sul perché siamo qui oggi, perché... per quello ci sono state le parole di Padre Matteo, ma... volevo parlarvi di me e mio padre. Il nostro rapporto è sempre stato... unico. Non avevamo molte cose in comune, eppure riuscivamo sempre a trovare dei punti d’incontro. Eravamo... noi. Mi è sempre stato accanto e... e io volevo semplicemente farvi capire che persona unica fosse. Ho pensato di condividere uno dei nostri pochi gusti in comune... e sapete, a lui piacevano tanto i Beatles e a me piace cantare. Io spero che voi apprezziate questo è... il mio modo per salutarlo.”

Kurt si accorse che le sue guance non erano ancora bagnate, e fu grato ai suoi occhi per questo. Voleva cantare, e voleva farlo con la voce chiara e pulita, non tremante e rovinata dal pianto.

Si prese un momento di pausa con sé stesso. Stava per iniziare a cantare, quando sentì la porta aprirsi.
Vide un ragazzo entrare.
E non era un ragazzo qualunque, ma Blaine.
Il Blaine che, circa tre anni prima, era suo.
Si maledisse per la scelta della canzone. Ce ne erano tante dei Beatles, una più bella dell’altra, ma in quel momento ne aveva in testa solo una.

Vide Blaine sedersi accanto a Puck, e iniziò a cantare. Non gli interessava dei ricordi che gli avrebbe suscitato quella canzone, in quel momento cantava per suo padre e nessun altro.


Blackbird singing in the dead of night,

take these broken wings and learn to fly,

All your life, you were only waiting for this moment

to arise...


Kurt voleva davvero concentrarsi su quello che stava provando. Voleva davvero pensare solo ed unicamente a suo padre attraverso quelle parole, ma non ci riusciva. Perché, tra i tanti occhi colmi di lacrime di fronte a lui, ce n’erano un paio ambrati che non ne volevano sapere di spostarsi dalla sua figura.
Quando aveva scelto quella canzone, lo aveva fatto pensando a quando la cantava nella macchina insieme a suo padre.
Non aveva pensato a Blaine, nella sua mente non c’era né spazio né tempo per lui.
Ma mentre cantava, capì come si sentiva la persona che si trovava dalla parte opposta.

Kurt si era innamorato mentre Blaine cantava Teenage Dream, e Blaine si era innamorato mentre Kurt cantava Blackbird.

Erano le loro canzoni,  e il fatto che l’inconscio di Kurt l’avesse scelta un’altra volta era solo un altro segno del destino.

Terminò la canzone sperando che i brividi non fossero evidenti anche agli altri, scese per i due scalini dell’ambone e si risedette accanto a Rachel, la quale aveva ancora gli occhi umidi.


*


“Se ne è andato”
Erano passati due giorni dalla morte di suo padre, uno dal suo funerale. Kurt aveva acconsentito all’idea di Rachel di dormire nella sua vecchia casa, dato che Carole aveva bisogno di compagnia e lui non era in grado di tornare a New York.
Quella seconda notte Finn dormì sua madre e Rachel con Kurt. Ma il secondo aveva un nuovo motivo per piangere.

Ogni ex membro del glee club aveva scambiato due parole con lui. Tutti si erano preoccupati della sua salute, della sua vita, dei suoi studi.
Tutti tranne uno.
Blaine se ne era andata senza farsi vedere, senza salutare, senza una parola.
Questo aveva buttato, se possibile, Kurt  ancora più giù di morale.
Non voleva dichiarazioni d’amore o chissà cos’altro, ma un sorriso.
O un “ciao”.
O un incoraggiamento.
O qualsiasi cosa.
Dopo essersi accorto che, invece, se ne era andato, aveva realizzato che Blaine era venuto per suo padre, solo e solamente per suo padre.

La mattina dopo, alle otto, si trovavano già in stazione. Kurt aveva la necessità di tornare a New York, Rachel voleva stare con lui e Carole aveva detto a Finn che non era necessario che rimanesse.
Alla luce del sole, le occhiaie di Kurt erano ancora più evidenti, ma a lui non interessava. Fissava i binari del treno come se fossero la cosa più interessante dell’universo, ignorando i tentativi di conversazione della sua amica. Si girò solo quando quest’ultima gli diede una gomitata nello stomaco, facendogli venire voglia di imprecare.
Nessuna parola uscì dalla sua bocca, perché i suoi occhi erano troppo concentrati sulla figura che stava correndo verso di lui, per poter lasciare che il cervello pensasse a qualche altro organo.
Blaine stava correndo verso di lui.
Blaine non aveva più il gel, i capelli era un po’ più corti di come si ricordava, ma il modello dei pantaloni era lo stesso di quelli del liceo.
Blaine era in parte cambiato, in parte rimasto lo stesso di sempre.
Kurt rimase senza fiato dopo averlo osservato da vicino. Il giorno prima non si era accorto di quanto meravigliosamente bello fosse diventato.

Quando l’oggetto delle sue attenzioni si fermò di fronte a lui, non fece a meno di alzare lo sguardo verso i suoi occhi.
Gli occhi erano gli stessi. Forse un po’ gonfi, forse anche loro un po’ provati dal pianto, ma gli stessi.


“Kurt...”

Poteva dire ‘ciao’,  poteva dire ‘hey’, poteva dire ‘come va?’. E invece aveva pronunciato il suo nome, cosa che aveva prodotto brividi per tutto il suo corpo.

“Blaine”


Si guardarono per qualche secondo, entrambi alla ricerca delle parole giuste. Kurt ruppe il silenzio, non riusciva a reggere un’altra situazione così pesante.


“Ho sentito che sei entrato a Stanford.”

“Sì, ma, sai, non è un posto che fa per me”

“E qual è il posto che fa per te?”

“New York”


Silenzio.


“Sai, mi trasferirò alla Columbia”


Altro silenzio.


“Mi dispiace per essermene andato via”


Kurt non sapeva se intendesse il giorno o l’anno precedente. Decise che, in qualunque caso, era meglio troncare la conversazione sul nascere.


Stava per rispondere con qualche frecciatina acida di cui si sarebbe sicuramente pentito, ma venne interrotto dall’arrivo del treno.

Si trovavano abbastanza vicino ai binari, e l’aria spostata dai vagoni disordinò i capelli di entrambi.

Quando il treno si  fermò, Blaine non perse tempo a prendere la sua roba e salire, mentre Kurt era ancora in piedi, immobile.


“Che fai, non sali?”

“Io non...” Kurt si guardò intorno. Rachel e Finn erano magicamente scomparsi, e il vagone di fronte a lu sembrava vuoto. Blaine, davanti a lui, aveva un sorriso spontaneo e paziente.

Lo guardava come se non avessero mai litigato, come se non si fossero lasciati e ignorati per due anni. Lo guardava come se avesse voglia di ricominciare almeno dalla loro amicizia. Kurt era dubbioso a riguardo.


La scelta era tra il salire sul treno e fare il viaggio insieme a Blaine, e il restare a Lima in attesa del prossimo treno.


Scelse Blaine.
 

*



L’angolo di Pervinca:

Ciao a tutti, ecco questa OS oscena.

No, davvero, tra tutte quelle che ho scritto è quella che mi piace di meno. Anche perché

ho cambiato il finale tipo una cinquantina di volte.

Mettere la corsa col bacio stile film mi sembrava un po’ scontato,

e poi boh, lil treno mi sembrava più significativo.

Copa di Pirandello e le sue novelle.

Se c’è qualche smiler capirà la scelta del primo college di Blaine.

Scusate, ma mi diverto a lasciare riferimenti random.

Queste note non hanno senso, ma spero che quello che avete letto prima non vi abbia

fatto schifo.

Fatemi sapere cosa ne pensate e, se non avete niente di meglio da fare (ne dubito)

vi spammo la mia long.
Bye.

   
 
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