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Autore: Jessica Fletcher    27/01/2013    1 recensioni
Nick racconta ad Anna, la sua ragazza, le proprie emozioni in uno dei momenti più terribili della sua vita......tanta tanta Angst, ve lo prometto!
Mi domando se a questo punto non dovrei fare la dichiarazione (che non ho mai fatto) cioè che Nick Stokes non mi appartiene (peccato, so bene io quello che gli farei!!!) così come non mi appartengono gli altri personaggi di CSI qui citati. L'unico personaggio che mi appartiene è Anna, che ho creato io.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nick Stokes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Una ragazza per Nick'
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Danger Grave

Un altro giorno da vivere insieme.



Nello svegliarsi, Anna Alexander si rese subito conto che aveva un impellente bisogno di andare in bagno; il bambino, ormai, cominciava a premerle sulla vescica e aveva, così, bisogno di urinare abbastanza spesso. Lentamente si sciolse dall'abbraccio del suo compagno e, così facendo, notò che lui, Nick, aveva il sonno stranamente agitato in quel momento. Si soffermò a guardarlo ma.....non aveva nemmeno un minuto da perdere, doveva recarsi in bagno il più velocemente possibile, altrimenti se la sarebbe fatta addosso.
"Uff! Questo bambino comincia a darmi un mare di problemi" pensò Anna ma si pentì subito del suo pensiero, quel bambino era il suo bambino, concepito con l'unico uomo che avesse mai veramente amato e lo sentiva come una benedizione dal cielo, anche se non era ancora nato. Ciononostante certe volte era stanca della propria gravidanza e dei problemi che portava con se'.
"Vabbè andiamo a letto" disse ella fra se' e se', uscendo dal bagno per entrare in camera; appena entrata nella stanza notò immediatamente che il sonno del suo compagno si era fatto ancora più agitato e che egli stava gemendo disperatamente.
Si avvicinò al letto e si sedette sulla sponda accanto a Nick:
"Nicky, Nicky, svegliati! Per l'amor del cielo, svegliati, svegliati, amore mio!" e così dicendo prese a scuoterlo. Lui ci mise un po' a svegliarsi e quando lo fece fu gridando forte; Anna si rese conto che stava tremando come una foglia.
Nick aprì gli occhi, si alzò di scatto, agitando le braccia e le gambe e mancò poco che non colpisse in pieno la sua compagna che, seduta di fronte a lui, gli teneva le mani sulle spalle: "Annie, sei tu?" chiese ancora tremante.
"Sono io, calmati, amore. Cosa è stato? Un brutto sogno?"
Nick annuì silenziosamente e, solo dopo un po', sussurrò con un filo di voce "la bara!"

Nick Stokes, agente della scientifica di Las Vegas, aveva avuto una brutta avventura, qualche anno prima, quando era stato rapito e sotterrato in una bara di plexiglas; la vicenda lo aveva profondamente colpito e segnato, forse, per sempre. Anna sapeva, a grandi linee, quello che gli era capitato; glielo aveva detto Catherine, collega di Nick e grande amica di entrambi, ma lui non gliene aveva mai parlato personalmente; e questo le dispiaceva molto. Avrebbe voluto che egli condividesse con lei tutto, anche gli episodi spiacevoli della sua vita, ma fino a quel momento era stato così solo in parte.

"Vuoi parlarne?" chiese Anna, sperando che lui si decidesse ad aprirsi un pochino.
"Sì" rispose lui, dopo qualche attimo di silenzio, con un sospiro "ma tu vieni qui con me" e indicò il posto vuoto accanto a se', Anna non rispose nemmeno e si infilò sotto alle coperte.
Nick passò il proprio braccio intorno alle spalle della propria compagna, la guardò per qualche secondo, poi prese a fissare un punto imprecisato e incominciò il proprio racconto.

"Non ricordo bene tutto, non ricordo con precisione come sia incominciato; so solo che mi trovavo sulla scena di un crimine, stavo raccogliendo le prove e, ad un tratto, tutto è diventato buio. Quando ho ripreso i sensi ero sdraiato sulla schiena sulla nuda terra. Ho fatto come per alzarmi ma qualcosa mi bloccava il movimento; ho provato a stendere le gambe e allargare le braccia ma di nuovo mi sono trovato limitato nel muovermi. Ho cercato di mettere a fuoco dove mi trovavo e di colpo mi è caduto il mondo addosso, non poteva essere....no.....di sicuro mi stavo trovando in un incubo, ecco, ora avrei aperto gli occhi, tutto sudato e col cuore in gola, poi, realizzando di trovarmi nel mio letto, avrei tirato un sospiro di sollievo e mi sarei riaddormentato, magari dopo avere bevuto un sorso di acqua. Okay mi dissi, adesso ti svegli; dai uno, due, tre! Dai su! Svegliati! Svegliati, Nick! Ma non riuscivo a svegliarmi, non potevo svegliarmi perché quello non era un sogno ma la cruda realtà.
Mi trovavo sepolto vivo, sotto terra da qualche parte nella campagna, in una bara di plexiglas; con me, nella bara, la mia pistola, un registratore a cassetta e una serie di torce fosforescenti di quelle che si usano nei black out o nei concerti. L'agitazione, il panico si impadronirono di me ed urlai, urlai con quanto fiato avevo in gola, agitandomi, cercando di smuovere quel maledetto coperchio, quella maledetta terra. Ma fu tutto inutile, nessuno mi sentiva e tutto quell'agitarmi  non aveva avuto altro effetto se non di farmi  consumare aria preziosa e di farmi sentire ancora più prigioniero e claustrofobico di quanto non fossi.
Avevo un nodo alla gola ma non riuscivo a piangere, a piangere veramente, intendo. Eppure la situazione era la peggiore possibile ed io avrei avuto tutti i motivi per disperarmi ma non ci riuscivo. Le uniche lacrime che uscivano dai miei occhi erano scarse lacrime amare di impotenza e  di rabbia insufficienti a sciogliere il nodo che avevo in gola.
Poi mi calmai, giusto un po', quel tanto sufficiente per cercare di rendermi conto della  situazione in cui mi trovavo, la prima cosa che cercai di capire fu da dove mi arrivasse l'aria e se ne avevo abbastanza: l'aria mi veniva fornita  da una piccola ventola situata proprio di fianco al mio capo e sembrava bastare; finché la ventola avesse funzionato non  sarei morto asfissiato"

Nick tacque per un momento, il tempo per riprendere fiato e stringere Anna a se', poi riprese "E poi c'era quella luce, quella lampada che ogni tanto si accendeva e si proiettava dritta nei miei occhi e io la odiavo quella lampada: non riuscivo a sopportare tutto quel chiarore nelle mie pupille e mi sembrava che mi facesse mancare l'aria.....così la feci saltare con un proiettile, la pistola era carica e il primo proiettile lo usai per spegnere quella maledetta una volta per tutte, mentre gli altri.....gli altri li tenevo in serbo per me stesso".

 Anna si sentì gelare nell'udire quelle parole, ma non disse niente, deglutendo cercò di mandare giù il magone che le si era formato in gola fin dall'inizio del racconto, mentre il suo compagno continuava:
"Piano piano, col passare delle ore, mi resi conto di avere pochissime speranze di uscire vivo da quella situazione, non sapevo nemmeno se mi stavano cercando. Decisi così di fare una specie di testamento; presi il registratore e lasciai il mio messaggio di addio; una cosa piuttosto patetica, a pensarci bene, in cui dicevo a tutti quanti li amavo e quanto erano stati importanti per me. Non ricordo di preciso cosa dissi e, credimi Annie, non ho mai più voluto riascoltare quella registrazione, non credo che ce la farei ad ascoltare la mia voce in quella situazione; spero che Catherine l'abbia buttata via, e mi auguro che tu non la debba mai sentire; ma una cosa ricordo bene, mentre la registravo avevo le lacrime agli occhi e tuttavia non riuscivo a piangere e quel maledetto nodo era sempre presente nella mia gola."
Nick non lo sapeva ma la sua compagna quel nastro l'aveva ascoltato, tempo addietro; si era fatta dare da Catherine la cassetta e aveva ascoltato quelle parole, piangendo tante lacrime. Quell'ascolto le aveva fatto male al cuore ma Anna aveva avvertito un profondo desiderio di saperne di più su quello che era successo al suo uomo e, magari, cercare di riuscire ad immedesimarsi di più in lui per capirlo meglio. Quella volta da sola, Anna aveva pianto, questa notte, però, si era imposta di non versare nemmeno una lacrima, si era imposta di essere forte per il bene di entrambi.

"E ogni tanto" continuava Nick, "ogni tanto mi pareva di sentire delle voci, lontane, lontane come di qualcuno che mi cercasse....io gridavo, cercavo di avvertirli che ero lì, che mi venissero a salvare.....ma, dopo un po', quelle voci si allontanavano fino a svanire del tutto, e io restavo lì, da solo, completamente deluso e sempre più senza speranze di uscire vivo da quell'inferno. E poi...." Nick ebbe un brivido " .....poi arrivarono le formiche.....si smosse la terra intorno a me e grosse, enormi formiche rosse si diressero verso di me e cominciarono a camminare sul mio corpo,a mordere la mia pelle, a iniettarmi il loro veleno. Le sentivo camminare su di me, pizzicarmi ed era veramente insopportabile la sensazione del formicolio, unita  al prurito e a quel dolore sordo che piano piano si propagava dentro me. Cercai di difendermi alla mano peggio, come sapevo, come potevo. Cercai di coprire ogni orifizio del mio corpo, per evitare che mi entrassero dentro a compromettere gli organi interni e cercai di rimanere immobile, il più immobile possibile, per trarle in inganno e fare credere di essere inanimato, ma era un vero tormento.
Credo, a quel punto, di avere perso conoscenza per qualche istante, non ricordo bene, devo avere avuto incubi, allucinazioni in cui ero morto in obitorio e cose del genere.
Quando sono tornato in me mi sono reso conto che la ventola non funzionava più e che presto mi sarebbe mancata l'aria. Ed allora......allora, ho perso ogni speranza ed ho desiderato di morire, perché qualsiasi cosa, anche la morte, sarebbe stata meglio di quel supplizio. Presi l'arma, la caricai, me la portai alla gola, chiusi gli occhi, dissi le preghiere come facevo prima di addormentarmi, quando ero bambino, raccolsi le ultime forze, strinsi i denti, lottai contro me stesso e il mio istinto di sopravvivenza per potere riuscire a  premere il grilletto e, d'improvviso, una forte luce mi fece riaprire gli occhi. La terra sopra di me era stata smossa e la prima cosa che vidi fu lo sguardo del mio amico Warrick, colmo di paura e preoccupazione: mi avevano trovato!"

La voce di Nick si spezzò un istante per l'emozione e il ricordo del suo più caro amico che non c'era più e una singola lacrima attraversò il suo volto;  tacque giusto un attimo e poi riprese. "Mi avevano trovato, ora mi tireranno fuori di qui, avevo pensato e una grande speranza era discesa dentro di me ma poi.....qualcosa non stava andando per il verso giusto: li vidi allontanarsi da me. Cominciai a gridare, a gemere: non era possibile, non potevano abbandonarmi così. Davo pugni contro quella dannata lastra di plexiglas, gemendo forte e poi.....poi vidi Grissom, mi disse qualcosa ma non capii, il panico si era impadronito di me e non riuscivo più a connettere....mi chiamò  più volte col mio nome, ma non riuscivo a focalizzare la mia attenzione verso di lui. Usò il nomignolo che mi aveva dato mio padre quando ero bambino: Poncho; e, allora, mi calmai e lo ascoltai. Mi disse che mi avrebbero tirato fuori da lì ma io gli dovevo promettere che non mi sarei mosso; quel bastardo che mi aveva sepolto vivo aveva anche piazzato delle  cariche di esplosivo sotto al mio corpo, pronte ad esplodere se mi fossi alzato....Dio mio! ancora non era finita! Se fosse stato per me, avrei anche potuto morire, la morte sarebbe stata la benvenuta, ormai non avevo più la forza di sopportare niente: ma non potevo lasciare che saltassero tutti quanti in aria a causa mia. E allora promisi, promisi a Grissom, con le ultime forze che mi erano rimaste che me ne sarei stato buono e che non mi sarei mosso; lui fece spostare la lastra di plexiglas ed io mi aggrappai piangendo al suo braccio, al suo e a quello di Warrick: avevo bisogno di un minimo conforto umano per potere andare avanti. Versai solo poche lacrime, però, e il nodo alla gola non accennava ad andarsene, anzi diventava sempre più stretto.
Poi tutto successe in fretta, sentii che mi coprivano di terra e temetti per un attimo di soffocare, ma mi sentii anche sollevare verso l'alto e mi ritrovai fuori, steso bocconi sul terreno, ricoperto di terra  mentre tremavo convulsamente. Era finita, non ero più sepolto vivo.
Arrivarono i paramedici, mi ripulirono alla bella e meglio e mi caricarono sull'ambulanza, vedi Warrick e Catherine salire con me; l'ultima cosa che ricordo furono le loro mani che stringevano la mia, non avevo nemmeno la forza di ricambiare la stretta, e crollai in un sonno profondo, indotto forse dai farmici e dai calmanti che mi erano stati somministrati.
I primi due giorni in ospedale li ricordo confusi, come dietro a una nebbia; avevo la febbre alta a causa dello choc e dell'infezione che il veleno degli insetti aveva causato dentro me. Solo al terzo giorno mi fu permesso di alzarmi brevemente a sedere sul letto, alzando lo schienale; mi sentivo strano,  disorientato e mi girava la testa. Mi sembrava impossibile poter ritornare normale e mi resi conto che avrei dato tutto l'oro del mondo per potere riavere la mia vita come era prima. Guardai Catherine che era lì con me, lei, Warrick, Greg e mia madre facevano a turno affinché io non restassi mai solo,  aveva gli occhi tristi nel guardarmi, le mormorai "mi dispiace" e lei rispose che non era colpa mia, poi venne vicino a me e mi accarezzò il viso. Non so se fu la paura di non ritornare più quello di prima o il contatto con la sua mano calda e confortevole, ma il nodo che avevo in gola si sciolse e cominciai a piangere, come un bambino piccolo. Catherine mi abbracciò e così continuai a piangere fra le sue braccia che sentivo tenere, quasi materne, "Non avere paura, Nicky" mi diceva "non avere paura a lasciarti andare. Hai bisogno di sfogarti, buttali fuori!  Buttali fuori tutti i cattivi pensieri, l'angoscia e la paura. E' finita, Nicky, è finita, coraggio, coraggio amico mio, fratello mio".
 
Per Cath sono sempre stato il fratellino minore che lei non ha mai avuto, povera Cath, così dolce e comprensiva, mi accarezzava, mi massaggiava le spalle e mi ripeteva che era tutto finito, ma si sbagliava: non era finita, non era finita per niente, non ancora." Un brivido percorse la schiena di Nick, ora sarebbe arrivata la parte più difficile da raccontare: il suo inferno privato, quello nascosto, quello che solamente lui conosceva.

"Mi dimisero abbastanza presto, non avevo ferite gravi e, passata la febbre e l'infezione, potevo essere considerato guarito. Fisicamente, almeno. I miei genitori  mi avevano offerto di andare con loro in Texas per un certo periodo per ristabilirmi, ma io rifiutai : non volevo vedere ogni giorno il viso preoccupato di mia madre e quello corrucciato di mio padre a ricordarmi quanto ero stato sfortunato, per usare le loro parole. E poi volevo restare da solo, volevo dimostrare di potercela fare e di riuscire a tornare alla normalità nel più breve tempo possibile...ma non fu così facile. Cercai di tornare al lavoro il più presto possibile, ma il pensiero di quello che mi era successo non mi abbandonava ed ero sempre distratto e poco presente, sopportavo a male pena gli sguardi della gente intorno a me: quegli sguardi pieni di pietà e di commiserazione mi facevano sentire diverso, anormale. Non vedevo l'ora che il turno finisse per potere tornare a casa, ma a casa era ancora peggio: mi sentivo solo e mi sembrava di impazzire. Non riuscivo a mangiare, non ce la facevo a buttare giù nemmeno un boccone, mi compravo le cose che più mi piacciono: pizza, patatine, hamburger, dolci ma rimanevano sempre intatte nel piatto. Non ce la facevo a dormire; non appena mi coricavo mi sembrava di essere di nuovo in quella fossa e il mio cuore cominciava a battere all'impazzata, mi mancava il respiro e mi sembrava di stare per morire; più di una volta ho chiamato il 911, ma i paramedici che arrivavano, dopo avere constatato che al cuore non avevo niente, dicevano che soffrivo di attacchi d'ansia, mi somministravano un calmante e se ne andavano via.  Alla fine non andavo nemmeno più a letto: se lavoravo di giorno, trascorrevo la notte sul divano con la televisione accesa, se facevo il turno di notte non andavo nemmeno a casa, passavo il tempo vagando per le vie di Las Vegas o passeggiando fuori città ai margini del deserto. E una domanda mi veniva sempre in mente: perché io? perché proprio io? Cosa ho fatto di male? Ma era una domanda che non aveva risposta:  era stato il caso a portarmi nelle mani di quel bastardo."

Nick sospirò e tacque per alcuni minuti, rievocare il tutto era stato uno sforzo enorme per lui, si accorse di avere di nuovo quella strana specie di nodo alla gola e di stare tremando leggermente, Anna si era accorta di questo suo tremore e lo stava accarezzando piano sulla nuca, sul collo, su di una spalla, sul petto  "Basta, Nicky, basta così" gli diceva "lascia stare, ti fa troppo male ricordare!" ma, ormai, lui non poteva fare a meno di andare avanti sperava che, se avesse detto tutto, i fantasmi del passato avrebbero cessato di tormentarlo.

"Non dormendo la notte" Nick continuò il proprio racconto "il giorno ero sempre teso, irascibile, nervoso e stramaledettamente emotivo. Un giorno Grissom mi venne dietro, mi mise una mano sulla spalla e io trasalii così violentemente che lui perse l'equilibrio e cadde a terra, poi, mentre si alzava, mormorai  "scusa, non volevo! proprio non volevo" e incominciai a tremare e a piangere; lui mi guardò comprensivo e paterno con quei suoi occhi grigi e ..."Non puoi andare avanti così" mi disse "hai bisogno dell'aiuto di qualcuno". Fu così che cominciai ad andare dallo psicologo.
Per due volte alla settimane, puntuale alle tre del pomeriggio mi ritrovavo nello studio dello strizzacervelli a raccontargli tutte le mie faccende. Funzionò, non del tutto, ma in parte funzionò: cominciai ad ritornare a dormire nel letto, con la luce accesa, ma era già un passo avanti; presi a fregarmene degli sguardi della gente e ritrovai passione per il mio lavoro. Certe volte, la sera,  andavo per i bar e rimorchiavo qualche ragazza: la portavo a cena, la portavo a casa mia, ci facevo sesso e ci dormivo insieme; dormendo con un'altra persona mi sentivo molto più tranquillo, rassicurato dalla sua presenza, certo che, se ero in compagnia, allora non mi trovavo in quel buco sottoterra, dovevo per forza essere fuori. Poi, un bel giorno, sei arrivata tu e il tuo amore mi ha dato la forza per andare avanti; ho imparato ad appoggiarmi a te, quando ne ho bisogno, e sono sempre sicuro del tuo aiuto e della tua comprensione. Adesso, la notte, ti stringo forte e so che tu ci sei, per me, che non sono solo e questo vuole dire tanto, e, da quando ci sei tu, non mi fa più paura dormire al buio, perché sei con me"

"Ecco perché" penso Anna in quell'istante "ecco perché  tutte le notti, vuole dormire abbracciato a me."  Improvvisamente quello che fino a quel momento era sembrato solo un gesto tenero, assumeva un altro significato. A lei piaceva molto addormentarsi stretta fra le braccia del suo uomo, la faceva sentire amata e protetta, ma spesso rimaneva perplessa dal fatto che lui la cercasse sempre, che avessero fatto o meno l'amore, che lui fosse già a letto quando si coricava lei o viceversa, persino quando la notte si alzava per andare in bagno finiva col ritrovarsi, non appena di nuovo sotto le coperte, cinta nel forte abbraccio di Nick. Ora non le importava più, ora che sapeva non avrebbe voluto dormire altrimenti.

"Avrei voluto conoscerti allora" gli disse, sforzandosi per restare calma "avrei saputo come aiutarti: ti avrei stretto a me e coccolato tutte le notti, e sarei stata sveglia insieme a te, se non riuscivi a dormire....avremmo fatto l'amore o, semplicemente, avremmo aspettato insieme il sorgere del sole e il nuovo giorno che nasce. Avrei asciugato tutte le tue lacrime, ascoltato le tue richieste di aiuto e cercato in tutti i modi di ridarti il sorriso. Questo avrei fatto"
"Vorrei che tu mi avessi conosciuto prima" rispose  lui con un sospiro "avresti conosciuto una persona diversa da come sono ora: più allegro, più ottimista, più fiducioso nel prossimo e indubbiamente più sereno. Quello che mi è successo, vedi, quelle sono cose che lasciano il segno. Vorrei disperatamente ritornare quello di prima, ma so benissimo che questo...." la voce di Nick si incrinò nuovamente mentre lente, silenziose lacrime gli bagnavano il viso "....che questo non è più possibile" si asciugò quasi con stizza le guance  e tirò su col naso.
"Ma io non ti potrei amare di più se tu fossi differente da quello che sei ora, con il tuo dolore, con le tue paure. Io amo te, come sei adesso, come ti ho sempre conosciuto." Anna, così dicendo,  faceva scorrere la propria mano fra i corti capelli castani di lui. "E' te che voglio, non un'altra persona, anche se si tratta della tua versione più giovane e innocente. Vedi, la tua personalità, quella che amo, si è costruita piano piano, giorno dopo giorno, anche con la sofferenza e le cose brutte che ti sono capitate in questi anni; darei tutto, anche la vita, per risparmiarti un solo secondo di quella sofferenza, perché ti amo e divento matta al solo pensiero di quello che hai patito. Ma non ti vorrei diverso nemmeno di una virgola da quello che sei" .

Nick la strinse forte a se e la baciò sulla fronte, poi la guardò con tenerezza e trasalì nel vederla sussultare e fare una smorfia "Cosa ti succede?" le chiese;
"Niente" Anna sorrideva "è solo che il bambino mi ha dato un calcio. Forse si è accorto che siamo tristi e ci vuole rincuorare a modo suo. Senti!" e così dicendo prese la mano di Nick e se la portò al ventre. Non appena lui ebbe posato la mano sulla pancia di lei sentì il bambino muoversi contro al proprio palmo. Ed allora capì. Capì  che il passato era lontano ormai e che non sarebbe più ritornato a tormentarlo, se lui non voleva. Capì che il suo futuro erano quella donna che teneva stretta a se' e il loro bambino che doveva nascere. Capì che il suo scopo da allora in poi sarebbe stato prendersi cura di loro ed amarli e proteggerli per tutti i giorni che gli restavano da vivere. E soprattutto capì che era stato, non sfortunato, ma estremamente fortunato ad avere quella creatura meravigliosa che lo amava così profondamente e che avrebbe condiviso tutto con lui, gioie e dolori, giorni felici e giorni tristi, sorrisi e amarezze.

"Annie" la chiamò e quasi si stupì nel sentire quale tono estremamente dolce avesse la propria voce in quel momento;
"Dimmi"
"Quell'idea di vedere insieme sorgere il sole; è sempre valida?"
"Beh, sì, se vuoi......la trovo comunque una cosa molto romantica da fare insieme"
"Allora, sai cosa facciamo? Apriamo le tende e aspettiamo che il sole sorga"
"D'accordo. Ok" Anna si alzò ed andò alla finestra ad aprire le tende "Va bene così, romanticone che non sei altro? Guarda, comincia già a schiarire"
"Così va benissimo! E tu, ora, vieni qui con me!"
Anna si infilò sotto alle coperte e si accostò al suo uomo appoggiandosi contro al suo petto, posando il capo sulla sua spalla e lasciando che le braccia di lui le cingessero con forza la vita; Nick accostò il mento sulla testa di Anna e lei gli prese la mano e intrecciò le proprie dita alle sue.

Si tennero stretti, rannicchiati sotto le coltri, gli occhi un po' rivolti alla finestra un po' persi l'uno nello sguardo dell'altro, ad attendere insieme le chiare luci dell'alba e il sorgere del nuovo giorno.
 Un altro giorno da vivere insieme.




Ed eccomi di nuovo qua. Comincio a pensare che le fan-fic siano come una droga e che una volta iniziato non si riesce più a smettere. Comunque devo dire che in questa qui ci ho messo tanto.....tanto di me e delle mie esperienze (compresi gli attacchi di ansia) e che la cosa che credevo più difficile, cioè narrare dal punto di vista maschile, poi alla fine non si è rivelata così impossibile. Certo ho cercato di renderlo il più possibile "uomo" e  di evitare di fargli fare il "cocco frignone"  anche se più lacrime, alla fine ci potevano anche stare... ma ho creduto bene fare così.
Questa coppia mi ha letteralmente presa e mi vengono in mente, ogni tanto, nuove storie su di loro....quindi...quindi, forse, posterò ancora (è una minaccia questa? può darsi)
Per il momento bye-bye e attendo impaziente nuove recensioni


  
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