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Autore: LemonKing    28/01/2013    2 recensioni
Izaya soffiò e tutto tornò inghiottito dalle tenebre.
[...]
Una sola candela in mano.
Trovare la chiave per aprire l’orologio.
Lì avrebbe trovato la chiave per uscire dalla casa e una mappa che mostrava il collocamento dell’ingresso.
Questo era il gioco a cui era stato sottoposto.
[...]
“Pensi di (s)battermi in questo modo?
Ti ci vorrà ancora molto per riuscirci.”
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In trappola con l’inganno, la seduzione, l’ambiguità

 

 

 
28 Gennaio.
Buio. L’oscurità avvolgeva quella grande casa silenziosa.
Shizuo era chiuso lì, come in trappola. Certo, avrebbe potuto sfondare la porta qualora avesse voluto, ma qualcosa lo teneva lì: era la figura che si rivelò alla luce delle candele non appena queste vennero accese.
“Izaya!”
La prima cosa che vide, fu il sorriso sinistro dell’uomo che gli stava di fronte.
Era lui ad averlo attirato lì.
Non sapeva per quale motivo, ma gli aveva detto chiaramente che lo stava aspettando.
Aveva previsto di non trovarlo e di potersene andare. Ma, quando aveva bussato, la porta si era aperta e richiusa alle sue spalle.
Questo voleva dire che lui era presente.
Quella vecchia casa era una dimora abbandonata, dove non entrava più nessuno e che avevano proposto di ristrutturare in base ad un nuovo progetto.
Non importava fosse vietato l’ingresso, non a lui e a quella dannata pulce!
“Perché mi hai portato qui?”, chiese ringhiando.
Izaya scrollò le spalle con noncuranza; i suoi occhi rossi brillavano, come se fossero parte delle fiamme delle candele.
“Un gioco. Oggi è il tuo ‘giorno speciale’, no?
Non credi vada passato in modo particolare?”
Shizuo si accigliò e trattenne un pugno violento contro le sue parole senza senso.
Doveva essere vittima del divertimento dell’altro?
“Cosa stai blaterando?”
“Gli esseri umani sono sempre vittima di continue tentazioni. E’ la curiosità che li muove, che li spinge ad agire, a pensare a tutte le alternative che hanno davanti.
Quando la curiosità viene a mancare, si può dire che essi non siano più umani.
E tu?
Vuoi partecipare al mio gioco? Cederai alla curiosità?
Non vorrai mica fare l’indifferente, tralasciare quel moto che si agita dentro di te… ?
Sai, qui a volte porto o incontro coloro che vogliono suicidarsi. Finisce sempre allo stesso modo: si rivelano aggrappati alla vita, dimostrando il contrario di cui convincono se stessi.”
“Che cazzo stai dicendo?!
Io non voglio giocare con te.”
Izaya sospirò e alzò il candelabro. Portò le labbra vicino il fuoco:
“Allora troverai da te l’uscita, Shizu-chan. Questo lo tengo io. Come anche il tuo accendino.”
Ghignò e gli mostrò l’accendino con cui aveva acceso le candele.
“Bastardo!”, urlò l’altro, rabbioso.
Quando era riuscito a prenderlo?!
Izaya soffiò e tutto tornò inghiottito dalle tenebre.
Shizuo si guardò attorno, spaesato e con i pugni stretti che tremavano per la rabbia.
Dov’era l’uscita? Poteva trovare una finestra e spaccarla?
Sentì dei passi.
Dov’era la pulce?
Sarebbe rimasto lì finché lui non avrebbe trovato la porta, o c’era una seconda uscita?
Non sapeva quante stanze avesse quella dimora, solo che era tutta su un piano.
Era grande e, al buio, ancor più dispersiva.
L’altro, poi, lo confondeva con i passi, col respiro prima veloce, poi appositamente trattenuto.
Shizuo non aveva paura, era solo stanco. Non era un tipo paziente, specialmente quando si trattava di assurdità da parte di Izaya.
Si diresse in diverse stanze, sbattendo spesso con una parte del corpo (in particolare la testa) contro muri, porte.
Non sapeva più dove si trovasse.


“Pulce!”
Lo richiamò d’un tratto, alzando la voce.
“Accetto il gioco, ma accendi quelle fottute candele!
E promettimi che non metterai più piede qui, con nessuno.”


 
Una sola candela in mano.
Trovare la chiave per aprire l’orologio.
Lì avrebbe trovato la chiave per uscire dalla casa e una mappa che mostrava il collocamento dell’ingresso.
Questo era il gioco a cui era stato sottoposto.
Izaya era lì dentro, ne sentiva chiaramente l’odore, la presenza. Ma in che stanza si trovasse, non avrebbe potuto dirlo.
Fortunatamente, essendo abbandonato, quell’edificio non presentava molto mobilio. Era quasi del tutto vuoto –per questo dispersivo: le stanze erano tutte fottutamente uguali!
Trovò un tavolo e lo osservò a lungo, prima di dargli un calcio e farlo cadere. Questi si rovesciò in terra facendo un rumore assordante; non rivelò nulla di interessante.
Perché lo stava facendo? Avrebbe potuto spaccare una finestra, l’orologio stesso. Eppure, quella caccia lo eccitava non poco. Uscito da lì, si sarebbe liberato di lui e avrebbe liberato altri dalle sue fantasie perverse.
Non che gli fregasse molto, lui non era salvatore di nessuno, lui era nemico di Izaya e, come tale, gli avrebbe tolto ogni divertimento possibile. Fino a farlo cadere..
Continuò a cercare nelle stanze rigorosamente vuote. Trovò un vecchio telefono staccato, sedie inutili, stupidi giocattoli.
Continuava a giocare per il gusto di non dargliela vinta.
Continuava a giocare per trovare la fine.
Vide un quadro di cattivo gusto e con una mano lo staccò dalla parete per osservarlo: rappresentava un labirinto. Niente di impressionante.
Lo gettò a terra, facendo alzare ulteriore polvere.
Un’altra stanza e un’altra ancora. Tutto quello sembrava non finire.
Trovò in un angolo un grammofono. Lo guardò con attenzione e vide che vi era inserito un disco in vinile. Se lo avesse fatto partire, non sarebbe riuscito ad udire ogni possibile mossa dell’altro.
Si chinò sullo strumento. La cera della candela cadeva in terra e sulla sua mano. Non si era ancora consumata del tutto.
Soffiò sul grammofono impolverato e con un dito toccò il disco. Avvicinando la fiamma a quello, notò che il braccio argentato era molto sottile e non aveva la puntina per leggere il disco.
Aggrottò la fronte, spazientito per aver perso tempo con uno stupido strumento rotto.
D’un tratto, però, si accorse che quella piccola leva elaborata, somigliava proprio ad una chiave. La staccò senza alcuna difficoltà e la osservò da vicino, tirandosi in piedi.
Sì, era proprio una chiave… !
Fece un ghigno, sentendo l’adrenalina crescere. Aveva fregato quella pulce.
Doveva solo trovare l’orologio ora.

 
Dopo tre stanze, si trovò dinnanzi una porta chiusa. Tirò la maniglia, ma quella non si aprì.
Con un calcio violento la butto giù ed entrò; dinnanzi a sé trovò un orologio a pendolo che aveva fermato il tempo alle cinque in punto; a terra vi era una tazzina da tè rotta.
Sopra l’orologio, vi era la miniatura di una sedia sulla quale era adagiato un piccolissimo cappello a cilindro.
Fece una smorfia, trovandolo di poco gusto, e fece per infilare la chiave nella serratura della cassa che conteneva il pendolo.
La chiave non entrava. Provò più volte e le mani presero a tremare dalla rabbia.
Quella chiave dunque apriva la porta della stanza!
La gettò alle sue spalle. Aveva intenzione di spaccare tutto, ma il suo sguardo fu catturato da quel cilindro in miniatura. Lo alzò e vi trovò un foglietto adagiato sulla sedia.
Lo aprì e lesse quello che apparentemente aveva scritto proprio Orihara Izaya:

Lui non è padrone del Tempo, lui lo ‘ammazza’. Passando da un posto all’altro, saltando da un tavolo a un altro, il festoso Cappellaio Matto ha abbandonato la chiave dell’orologio che un tempo gli apparteneva.”

Era un indovinello… ? Che diavolo stava a significare?!
Dov’era questo ‘Cappellaio Matto’? Chi era?
Strappò il foglio, lo calpestò.
Shizuo aveva bisogno di fumare, di spaccare la cassa dell’orologio, fregandosene di quei giochi senza senso. Era dannatamente stufo!
Con un gesto della mano, diede una violenta botta alla sedia con il cappello, che caddero a terra, producendo un rumore metallico.
Quando se ne accorse, abbassò lo sguardo e vide che una gamba della sedia era staccata ed era diversa dalle altre: era una piccolissima chiave dorata.
La raccolse e provò ad infilarla nella serratura della cassa vetrata: stavolta entrò e, girandola una mezza volta, si aprì.
Dentro c’era solo un foglietto ripiegato.
Solo un dannato foglietto!
Ringhiò. Izaya lo aveva preso in giro… ?
Aprì il foglietto e lo lesse:

Il pendolo, se mosso, non mette in moto l’orologio. Si può pensare sia rotto, ma in realtà le lancette non scandiscono il tempo, bensì la posizione dell’uscita. Troverai anche la chiave ad aspettarti.”

“Maledetto!”, urlò, prima di osservare le lancette e iniziare a correre sulla destra come queste gli mostravano, superando tre stanze e due lunghi corridoi.
La quinta stanza era l’ingresso. Lì vi era Izaya Orihara, poggiato contro la porta chiusa.
“Complimenti, Shizu-chan”, disse con la solita –insopportabile- espressione, “Hai vinto.”
Shizuo gli lanciò un’occhiataccia. Il corpo fu scosso da un brivido e il battito cardiaco accelerò.
Si agitò parecchio alla vista dell’altro.
“Togliti di lì o ti spacco la faccia.”
Izaya proruppe in una risata e alzò le braccia, mostrandosi totalmente indifeso.
Lo guardò con interesse e pronunciò le seguenti parole:
“Ho io la chiave. Vieni a cercarla.”
Shizuo strinse i pugni con nervosismo e si avvicinò a lui, fino ad arrivargli di fronte.
Ormai la candela era quasi consumata del tutto.
Izaya in un gesto veloce tirò fuori dalla tasca l’accendino dell’altro e lo gettò lontano da entrambi, poi soffiò per spegnere la fiamma debole che l’altro teneva tra le mani.
Tutto ciò avrebbe reso il gioco più interessante.
Shizuo lo percepì come un’offesa, un dispetto.
Strinse con talmente tanta forza la candela spenta, che la ruppe, poi la lasciò cadere a terra.
In un gesto del tutto impulsivo, intrappolò l’altro tra il proprio corpo e la porta.
“Questo è per evitare tu fugga, imbrogliandomi.”
Izaya non poteva vedere i suoi occhi, ma immaginò un’espressione folle, degna di un mostro.
Le sue braccia restarono aperte e lui rimase immobile. Sentì il respiro dell’altro contro il suo viso e gli sussurrò:
“Avanti, Shizu-chan, trova la chiave.”
Sapeva che, a discapito di tutte le sue minacce, non lo avrebbe mai realmente ucciso.
Il loro rapporto andava avanti così: alimentato dall’odio, da un’ossessione che impediva di eliminare l’unica fonte che realmente muoveva qualcosa in entrambi.
Shizuo si allontanò di poco dal suo corpo e andò con le mani a toccargli il petto coperto dalla maglietta. Fece scendere i palmi sul ventre e li posò sull’addome.
Sentì appena una sensazione diversa, mai provata prima: disagio.
Stava toccando Orihara Izaya in modo rude, ma non avrebbe mai immaginato fosse così.
Per un attimo, sentendo quel corpo caldo così vicino, si chiese come fosse accarezzare la sua pelle.
Sentiva ora il suo fiato sul collo e provò dei fremiti totalmente differenti da quelli causati dall’ira.
Le sue dita si posarono sulle cosce e salirono alle tasche dei pantaloni.
Per un attimo percepì il respiro dell’altro farsi irregolare.
“Mh”, sussurrò l’informatore, totalmente preso e divertito dai suoi movimenti. Il suo corpo reagì agli stimoli dati da quei tocchi rozzi ma lenti.
Shizuo si sentì accaldare quando spinse le mani nelle tasche, sfiorando il cavallo dei pantaloni.
Sentì Izaya rabbrividire e rilasciare un basso ansimo contro il suo collo.
Si trovò per un momento in difficoltà, disprezzando quel silenzio inadeguato.
Si irrigidì quando scosse piacevoli travolsero il suo corpo più sensibile di qualunque altro.
La sua impulsività lo spinse a rovistare ancora nelle tasche vuote, fino a romperle.
“Shizu-chan?”
Chinò il capo e gli morse il collo, desiderando toccare quella pelle tesa, che non vedeva, ma di cui inspirava l’odore.
“La chiave”, chiese, prima che avrebbe perso il controllo di sé.
Izaya restò piacevolmente sorpreso dai suoi gesti e da come facesse sempre qualcosa di inaspettato.
Se lo avesse lasciato fare, avrebbe inferto una ferita enorme a Shizuo stesso. Ma se lo avesse fermato, avrebbe alimentato il loro rapporto fatto d’odio, facendo vergognare comunque l’altro per i suoi gesti; soprattutto, avrebbe incrementato il desiderio e l’attrazione reciproca. Avrebbe potuto giocare su un contatto maggiore per averlo sempre vicino, sempre disponibile a dargli le attenzioni che desiderava da lui. Lo avrebbe tormentato nel migliore e più crudele dei modi.
“Pensi di (s)battermi in questo modo?
Ti ci vorrà ancora molto per riuscirci.”
Per questo, non appena Shizuo rialzò il capo per affondare i denti nella sua mascella, lui fu più veloce e gli lasciò un casto bacio.
“Buon compleanno, Shizu-chan.”
Shizuo si fermò improvvisamente.
Si accigliò e fece un verso di disapprovazione, non aspettandosi certe parole da lui.
Non capì quelle precedenti, accecato e guidato dalle sensazioni che lo spingevano a non staccarsi da quella fonte di calore.
Ma, d’un tratto, una lama fredda passò sulle sue guance bollenti.
Si allontanò di scatto, riacquistando la lucidità persa per l’ennesima volta- seppur in modo differente.
“Bastardo!”
Izaya aprì la porta d’ingresso prima che quello potesse colpirlo.
“La porta è sempre stata aperta!”, disse beffardo, con voce pungente, mentre correva fuori.
Shizuo diede un violento pugno contro lo stipite; la sua mano prese a sanguinare come il taglio sulla guancia lasciato dal coltello di quella dannata pulce.
Era stato fregato di nuovo da lui!
Shizuo represse un urlo, ma non frenò l’istinto di seguirlo. Le gambe si mossero per rincorrerlo, guidate dall’umiliazione e la rabbia.
Ciò che premeva di più, però, era l’insoddisfazione.

  
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