In trappola
con
l’inganno, la seduzione, l’ambiguità
28 Gennaio.
Buio. L’oscurità avvolgeva quella grande casa
silenziosa.
Shizuo era chiuso lì, come in trappola. Certo, avrebbe
potuto sfondare la porta
qualora avesse voluto, ma qualcosa lo teneva lì: era la
figura che si rivelò
alla luce delle candele non appena queste vennero accese.
“Izaya!”
La prima cosa che vide, fu il sorriso sinistro dell’uomo che
gli stava di
fronte.
Era lui ad averlo attirato lì.
Non sapeva per quale motivo, ma gli aveva detto chiaramente
che lo stava aspettando.
Aveva previsto di non trovarlo e di potersene andare. Ma,
quando aveva bussato, la porta si era aperta e richiusa alle sue spalle.
Questo voleva dire che lui era presente.
Quella vecchia casa era una dimora abbandonata, dove non entrava
più nessuno e che avevano proposto di ristrutturare in base
ad un nuovo
progetto.
Non importava fosse vietato l’ingresso, non a lui e a quella
dannata pulce!
“Perché mi hai portato qui?”, chiese
ringhiando.
Izaya scrollò le spalle con noncuranza; i suoi occhi rossi
brillavano, come se fossero parte delle fiamme delle candele.
“Un gioco. Oggi è il tuo ‘giorno
speciale’, no?
Non credi vada passato in modo particolare?”
Shizuo si accigliò e trattenne un pugno violento contro le
sue parole senza senso.
Doveva essere vittima del divertimento dell’altro?
“Cosa stai blaterando?”
“Gli esseri umani sono sempre vittima di continue tentazioni.
E’ la curiosità che li muove, che li spinge ad
agire, a pensare a tutte le
alternative che hanno davanti.
Quando la curiosità viene a mancare, si può dire
che essi non siano più umani.
E tu?
Vuoi partecipare al mio gioco? Cederai alla curiosità?
Non vorrai mica fare l’indifferente, tralasciare quel moto
che si agita dentro
di te… ?
Sai, qui a volte porto o incontro coloro che vogliono suicidarsi.
Finisce sempre allo stesso modo: si rivelano
aggrappati alla vita, dimostrando il contrario di cui convincono se
stessi.”
“Che cazzo stai dicendo?!
Io non voglio giocare con te.”
Izaya sospirò e alzò il candelabro.
Portò le labbra vicino il fuoco:
“Allora troverai da te l’uscita, Shizu-chan. Questo
lo tengo
io. Come anche il tuo accendino.”
Ghignò e gli mostrò l’accendino con cui
aveva acceso le
candele.
“Bastardo!”, urlò l’altro,
rabbioso.
Quando era riuscito a prenderlo?!
Izaya soffiò e tutto tornò inghiottito dalle
tenebre.
Shizuo si guardò attorno, spaesato e con i pugni stretti che
tremavano per la rabbia.
Dov’era l’uscita? Poteva trovare una finestra e
spaccarla?
Sentì dei passi.
Dov’era la pulce?
Sarebbe rimasto lì finché lui non avrebbe trovato
la porta, o
c’era una seconda uscita?
Non sapeva quante stanze avesse quella dimora, solo che era tutta su un
piano.
Era grande e, al buio, ancor più dispersiva.
L’altro, poi, lo confondeva con i passi, col respiro prima
veloce, poi appositamente trattenuto.
Shizuo non aveva paura, era solo stanco. Non era un tipo
paziente, specialmente quando si trattava di assurdità da
parte di Izaya.
Si diresse in diverse stanze, sbattendo spesso con una parte del corpo
(in
particolare la testa) contro muri, porte.
Non sapeva più dove si trovasse.
“Pulce!”
Lo richiamò d’un tratto, alzando la voce.
“Accetto il gioco, ma accendi quelle fottute candele!
E promettimi che non metterai più piede qui, con
nessuno.”
-
Trovare la chiave per aprire l’orologio.
Lì avrebbe trovato la chiave per uscire dalla casa e una
mappa che mostrava il
collocamento dell’ingresso.
Questo era il gioco a cui era stato sottoposto.
Izaya era lì dentro, ne sentiva chiaramente
l’odore, la presenza. Ma in che
stanza si trovasse, non avrebbe potuto dirlo.
Fortunatamente, essendo abbandonato, quell’edificio non
presentava molto
mobilio. Era quasi del tutto vuoto –per questo dispersivo: le
stanze erano
tutte fottutamente uguali!
Trovò un tavolo e lo osservò a lungo, prima di
dargli un
calcio e farlo cadere. Questi si rovesciò in terra facendo
un rumore
assordante; non rivelò nulla di interessante.
Perché lo stava facendo? Avrebbe potuto spaccare una
finestra, l’orologio stesso. Eppure, quella caccia lo
eccitava non poco. Uscito
da lì, si sarebbe liberato di lui e avrebbe liberato altri
dalle sue fantasie
perverse.
Non che gli fregasse molto, lui non era salvatore di nessuno, lui era
nemico di
Izaya e, come tale, gli avrebbe tolto ogni divertimento possibile. Fino
a farlo
cadere..
Continuò a cercare nelle stanze rigorosamente vuote.
Trovò
un vecchio telefono staccato, sedie inutili, stupidi giocattoli.
Continuava a giocare per il gusto di non dargliela vinta.
Continuava a giocare per trovare la fine.
Vide un quadro di cattivo gusto e con una mano lo
staccò dalla parete per
osservarlo: rappresentava un labirinto. Niente di impressionante.
Lo gettò a terra, facendo alzare ulteriore polvere.
Un’altra stanza e un’altra ancora. Tutto quello
sembrava non
finire.
Trovò in un angolo un grammofono. Lo guardò con
attenzione e
vide che vi era inserito un disco in vinile. Se lo avesse fatto
partire, non
sarebbe riuscito ad udire ogni possibile mossa dell’altro.
Si chinò sullo strumento. La cera della candela cadeva in
terra e sulla sua
mano. Non si era ancora consumata del tutto.
Soffiò sul grammofono impolverato e con un dito
toccò il
disco. Avvicinando la fiamma a quello, notò che il braccio
argentato era molto
sottile e non aveva la puntina per leggere il disco.
Aggrottò la fronte, spazientito per aver perso tempo con uno
stupido strumento
rotto.
D’un tratto, però, si accorse che quella piccola
leva elaborata, somigliava
proprio ad una chiave. La staccò senza alcuna
difficoltà e la osservò da
vicino, tirandosi in piedi.
Sì, era proprio una chiave… !
Fece un ghigno, sentendo l’adrenalina crescere. Aveva
fregato quella pulce.
Doveva solo trovare l’orologio ora.
Dopo tre stanze, si trovò dinnanzi una porta chiusa.
Tirò la
maniglia, ma quella non si aprì.
Con un calcio violento la butto giù ed entrò;
dinnanzi a sé trovò un orologio a
pendolo che aveva fermato il tempo alle cinque in punto; a terra vi era
una
tazzina da tè rotta.
Sopra l’orologio, vi era la miniatura di una sedia sulla
quale era adagiato un piccolissimo cappello a cilindro.
Fece una smorfia, trovandolo di poco gusto, e fece per
infilare la chiave nella serratura della cassa che conteneva il pendolo.
La chiave non entrava. Provò più volte e le mani
presero a
tremare dalla rabbia.
Quella chiave dunque apriva la porta della stanza!
La gettò alle sue spalle. Aveva intenzione di spaccare
tutto, ma il suo sguardo fu catturato da quel cilindro in miniatura. Lo
alzò e
vi trovò un foglietto adagiato sulla sedia.
Lo aprì e lesse quello che apparentemente aveva scritto
proprio Orihara Izaya:
“Lui non è padrone del Tempo, lui lo ‘ammazza’. Passando da un posto all’altro, saltando da un tavolo a un altro, il festoso Cappellaio Matto ha abbandonato la chiave dell’orologio che un tempo gli apparteneva.”
Era un indovinello… ? Che
diavolo stava a significare?!
Dov’era questo ‘Cappellaio Matto’? Chi
era?
Strappò il foglio, lo calpestò.
Shizuo aveva bisogno di fumare, di spaccare la cassa
dell’orologio, fregandosene di quei giochi senza senso. Era
dannatamente stufo!
Con un gesto della mano, diede una violenta botta alla sedia con il
cappello,
che caddero a terra, producendo un rumore metallico.
Quando se ne accorse, abbassò lo sguardo e vide che una
gamba della sedia era staccata ed era diversa dalle altre: era una
piccolissima
chiave dorata.
La raccolse e provò ad infilarla nella serratura della cassa
vetrata: stavolta entrò e, girandola una mezza volta, si
aprì.
Dentro c’era solo un foglietto ripiegato.
Solo un dannato foglietto!
Ringhiò. Izaya lo aveva preso in giro… ?
Aprì il foglietto e lo lesse:
“Il
pendolo, se mosso,
non mette in moto l’orologio. Si può pensare sia
rotto, ma in realtà le
lancette non scandiscono il tempo, bensì la posizione
dell’uscita. Troverai
anche la chiave ad aspettarti.”
“Maledetto!”,
urlò, prima di osservare le lancette e iniziare
a correre sulla destra come queste gli mostravano, superando tre stanze
e due
lunghi corridoi.
La quinta stanza era l’ingresso. Lì vi era Izaya
Orihara,
poggiato contro la porta chiusa.
“Complimenti, Shizu-chan”, disse con la solita
–insopportabile-
espressione, “Hai
vinto.”
Shizuo gli lanciò un’occhiataccia. Il corpo fu
scosso da un
brivido e il battito cardiaco accelerò.
Si agitò parecchio alla vista dell’altro.
“Togliti di lì o ti spacco la faccia.”
Izaya proruppe in una risata e alzò le braccia, mostrandosi
totalmente indifeso.
Lo guardò con interesse e pronunciò le seguenti
parole:
“Ho io la chiave. Vieni a cercarla.”
Shizuo strinse i pugni con nervosismo e si avvicinò a lui,
fino ad arrivargli di fronte.
Ormai la candela era quasi consumata del tutto.
Izaya in un gesto veloce tirò fuori dalla tasca
l’accendino
dell’altro e lo gettò lontano da entrambi, poi
soffiò per spegnere la fiamma
debole che l’altro teneva tra le mani.
Tutto ciò avrebbe reso il gioco più interessante.
Shizuo lo percepì come un’offesa, un dispetto.
Strinse con talmente tanta forza la candela spenta, che la
ruppe, poi la lasciò cadere a terra.
In un gesto del tutto impulsivo, intrappolò
l’altro tra il
proprio corpo e la porta.
“Questo è per evitare tu fugga,
imbrogliandomi.”
Izaya non poteva vedere i suoi occhi, ma immaginò
un’espressione folle, degna di un mostro.
Le sue braccia restarono aperte e lui rimase immobile. Sentì
il respiro dell’altro contro il suo viso e gli
sussurrò:
“Avanti, Shizu-chan, trova la chiave.”
Sapeva che, a discapito di tutte le sue minacce, non lo
avrebbe mai realmente ucciso.
Il loro rapporto andava avanti così: alimentato
dall’odio,
da un’ossessione che impediva di eliminare l’unica
fonte che realmente muoveva
qualcosa in entrambi.
Shizuo si allontanò di poco dal suo corpo e andò
con le mani
a toccargli il petto coperto dalla maglietta. Fece scendere i palmi sul
ventre
e li posò sull’addome.
Sentì appena una sensazione diversa, mai provata prima:
disagio.
Stava toccando Orihara Izaya in modo rude, ma non avrebbe
mai immaginato fosse così.
Per un attimo, sentendo quel corpo caldo così vicino, si
chiese come fosse accarezzare la sua pelle.
Sentiva ora il suo fiato sul collo e provò dei fremiti
totalmente differenti da quelli causati dall’ira.
Le sue dita si posarono sulle cosce e salirono alle tasche
dei pantaloni.
Per un attimo percepì il respiro dell’altro farsi
irregolare.
“Mh”, sussurrò l’informatore,
totalmente preso e divertito
dai suoi movimenti. Il suo corpo reagì agli stimoli dati da
quei tocchi rozzi
ma lenti.
Shizuo si sentì accaldare quando spinse le mani nelle
tasche, sfiorando il cavallo dei pantaloni.
Sentì Izaya rabbrividire e rilasciare un basso ansimo contro
il suo collo.
Si trovò per un momento in difficoltà,
disprezzando quel silenzio
inadeguato.
Si irrigidì quando scosse piacevoli travolsero il suo corpo
più sensibile di qualunque altro.
La sua impulsività lo spinse a rovistare ancora nelle tasche
vuote, fino a romperle.
“Shizu-chan?”
Chinò il capo e gli morse il collo, desiderando toccare
quella pelle tesa, che non vedeva, ma di cui inspirava
l’odore.
“La chiave”, chiese, prima che avrebbe perso il
controllo di
sé.
Izaya restò piacevolmente sorpreso dai suoi gesti e da come
facesse sempre qualcosa di inaspettato.
Se lo avesse lasciato fare, avrebbe inferto una ferita
enorme a Shizuo stesso. Ma se lo avesse fermato, avrebbe alimentato il
loro
rapporto fatto d’odio, facendo vergognare comunque
l’altro per i suoi gesti;
soprattutto, avrebbe incrementato il desiderio e l’attrazione
reciproca.
Avrebbe potuto giocare su un contatto maggiore per averlo sempre
vicino, sempre
disponibile a dargli le attenzioni che desiderava da lui. Lo avrebbe
tormentato
nel migliore e più crudele dei modi.
“Pensi di (s)battermi
in questo modo?
Ti ci vorrà ancora molto per riuscirci.”
Per questo, non appena Shizuo rialzò il capo per affondare i
denti nella sua mascella, lui fu più veloce e gli
lasciò un casto bacio.
“Buon compleanno, Shizu-chan.”
Shizuo si fermò improvvisamente.
Si accigliò e fece un verso di disapprovazione, non
aspettandosi certe parole da lui.
Non capì quelle precedenti, accecato e guidato dalle
sensazioni che lo spingevano a non staccarsi da quella fonte di calore.
Ma, d’un tratto, una lama fredda passò sulle sue
guance
bollenti.
Si allontanò di scatto, riacquistando la lucidità
persa per
l’ennesima volta- seppur in modo differente.
“Bastardo!”
Izaya aprì la porta d’ingresso prima che quello
potesse
colpirlo.
“La porta è sempre stata aperta!”, disse
beffardo, con voce
pungente, mentre correva fuori.
Shizuo diede un violento pugno contro lo stipite; la sua
mano prese a sanguinare come il taglio sulla guancia lasciato dal
coltello di
quella dannata pulce.
Era stato fregato di nuovo da lui!
Shizuo represse un urlo, ma non frenò l’istinto di
seguirlo.
Le gambe si mossero per rincorrerlo, guidate dall’umiliazione
e la rabbia.
Ciò che premeva di più, però, era
l’insoddisfazione.