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Autore: Inheritance    29/01/2013    2 recensioni
AU- Blaine vive in un paese retto da una terribile tirannia che impone alla popolazione di bruciare in un falò in piazza tutti i loro album fotografici e i ricordi cari allo scopo di annullare l'individualità delle persone in favore di una collettività. (evento realmente accaduto, Cambogia, anni '70)
Kurt è morto un anno e mezzo prima. Blaine troverà il coraggio di gettare alle fiamme i ricordi della sua famiglia, dei suoi amici e, soprattutto, di Kurt? E altrimenti, è disposto a pagarne le conseguenze?
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non riesco a credere di star postando una storia all'una di notte! O.O Aaaaanyway...é nata da una conversazione con il mio professore di Inglese che mi ha rivelato che in Cambogia negli anni 70 c'è stato un regime tirannico che ha costretto la gente a bruciare tutti i loro album di foto in modo che perdessero la propria identità individuale. Per me è veramente una cosa orribile e spietata. 

Btw...E' triste, tristissima, da tagliarsi le vene! Non dite che non vi ho avvisati! Il commento della beta (santa donna) è stato "S
e vedessi la mia faccia ora probabilmente penseresti che sia reduce dalla 4x04, o forse che imito perfettamente una cartina idrogeologica della Cina (?)" ahahahahahah Oh, se vi interessa, lei è la meravigliosa Bitch_ate_my_cookie :,3 

Ok, nient'altro da dire se non che spero vi piaccia :)




Picture To Burn.






“Avvicinatevi in fila. Uno alla volta fate un passo verso la piramide di legno e, seguendo le indicazioni degli uomini situati nel vostro settore, deponete gli oggetti che vi sono stati richiesti. Vi prego di ricordare, cittadini, che tutto ciò è necessario affinché tutti noi possiamo arrivare a definirci uguali. Non è una privazione della vostra identità, è la possibilità di crearne una nuova e diversa come tasselli indispensabili di una collettività.”
 
 
Il megafono, situato sulla cima di un alto palo posto in piazza dagli ufficiali per l’occasione, gracchiò il breve messaggio con una cadenza tanto lenta e macchinosa che sarebbe stato davvero difficile pensare all’effettiva presenza di un essere umano dietro di essa.
 
 
Tutte balle,pensò Blaine, vogliono che bruciamo il nostro passato perché vogliono farci arrivare a credere di non averne mai avuto uno. Vogliono farci diventare automi nelle loro mani, fantocci senza vita. L'uomo si guardò intorno, osservando con il volto impassibile e ormai abituato a quella vista lo scenario che lo circondava: corpi martoriati a terra senza nessuno, fra quelli che erano liberi di girare per le strade, che si fosse preso la briga di raccoglierli; volti spenti e vuoti; resse di gente alle pendici di un enorme cumulo di legna, pronte a gettare alle fiamme ogni loro più vivido ricordo.
Solo che noi lo siamo già, senza vita. Ci è stata strappata molto, troppo, tempo fa.
 
Continuando a guardare intorno a sé, Blaine pensò anche che avevano una grande faccia tosta a proclamare a gran voce l’uguaglianza di tutti attraverso queste radicali imposizioni, quando dalla sua posizione, in mezzo agli altri commercianti, banchieri e benestanti del paese, liberi di girare liberi senza bisogno di creare schemi ordinati per raggiungere la legna, poteva ben vedere i contadini, gli artigiani e i servi in fila per uno, coi volti abbassati e pochi stracci a coprirgli le membra.
 
 
Blaine lo sapeva perché loro erano costretti a stare in fila, mentre tutti gli altri potevano tranquillamente raggiungere la piazza in gruppi scomposti e rumorosi. Dovevano trattenerli, perché erano tanti ed erano arrabbiati. Perché nessuno di loro si era ancora arreso, nessuno di loro aveva mai creduto che potesse esserci qualcosa di meglio, qualcosa di buono in tutto quello. Dovevano trattenerli perché avrebbero potuto creare scomode sommosse.
 
Li ammirava così tanto. Ammirava la luce che avevano i loro occhi quando riuscivano ancora a sostenere orgogliosamente lo sguardo severo di un soldato, ammirava la tenerezza con cui le madri sapevano ancora porsi avanti ai loro figli per risparmiare loro ogni fatica, ammirava quella forza che un tempo era stato consapevole di possedere, ma che poi, un giorno, era sparita.
 
 
Distolse lo sguardo da quei visi cavi e scuri e strinse a sé le scatole che aveva fra le braccia. Non era certo di essere pronto, non credeva di poter riuscire a lasciar andare in quel modo i suoi ricordi, la sua vita.
 
Adagiò le tre scatole, due mediamente grandi, una di dimensione minore, a terra e senza soffermarsi a riflettere estrasse dalla prima scatola, una delle più ampie, una fotografia.
 
 
Era vecchia, molto vecchia, ma la ricordava benissimo, come se fosse passato solo un giorno, o come se non fosse passata, in realtà, neppure un’ora.
 
C’erano sua madre e suo padre, entrambi assai giovani.
 
Lui aveva i capelli folti dietro le orecchie, ma Blaine riusciva sempre a scorgere l’eccessiva ampiezza della sua fronte, indice di una prematura caduta dei capelli. Non sorrideva nella foto; d’altronde, non lo faceva mai.
 
Sua madre era raggiante. Sorrideva e aveva i capelli morbidi sciolti sulle spalle. Portava un vestito a fiori, e, chiudendo gli occhi, Blaine riusciva quasi a sentire il profumo dolce e avvolgente del sapone che utilizzava per lavarlo. Non avevano soldi per comprare profumi, ma lui amava dirle che il suo odore era comunque il più buono del mondo.
 
Davanti a suo padre, seduto su una poltrona logorata, c’era un bambino bellissimo, dagli occhi vivaci e la mascella troppo prominente per un ragazzino di dodici anni. Sorrideva, un sorrisino furbo, come se avesse appena svaligiato la dispensa della casa e avesse trovato della marmellata di more. Aveva le gambe in una posizione innaturale, come se al momento della foto le stesse facendo oscillare dalla sedia.
 
Sul grembo di sua madre, infine, c’era lui. Tanto piccolo da essere irriconoscibile perfino a se stesso, ma con un'espressione di beatitudine fin troppo chiara stampata in volto.
 
Blaine Anderson è stato felice, una volta. Vorrei che tutti voi poteste credermi.
 
 
Lasciò scivolare dolcemente la foto nella scatola assieme a tutte le altre, riversandone poi l’intero contenuto sulla montagnola di legno.
 
Solo quando anche i suoi ricordi andarono ad accumularsi sulla piramide, si accorse di quante foto e pezzi di carta e tavolette intagliate e piccoli oggetti decorati si trovassero lì e, facendo un rapido calcolo della gente che si trovava in piazza in quel momento, si rese conto di quante persone avessero deciso di scappare e rifugiarsi in casa, perché troppo deboli per riuscire a vedere finire in fuoco, fumo e cenere le uniche cose che erano sempre riuscite a ricordar loro che, non importa quando e non importa dove, almeno una volta nella loro vita, erano stati amati.
 
 
 
 
 
 
“…Ed è per questo motivo che da Lunedì 23 Febbraio tutti voi dovrete prendere le fotografie, gli album, i ritratti, ogni cosa raffigurante un passato individuale che non esisterà più, e portarli in piazza. Lì sarà allestito un grande falò, simbolo della rinascita di questa nostra nazione e di questa nostra collettività….”
 
 
Blaine lasciò cadere il cucchiaio freddo nel piatto contenente una zuppa ancor più fredda. Non riusciva a credere che avessero potuto fare anche questo. Cancellare i ricordi delle persone, annullare le loro memorie e scacciare il loro passato come fosse un disgustoso incubo? A tanto erano giunti? Avevano il coraggio di chiedere alle persone di rinunciare alla propria identità in favore di cosa? Di quale grande causa si trattava tutto questo?
 
Volevano renderli succubi, ecco cosa. Volevano sottometterli, e il modo migliore per farlo era quello di svuotarli completamente di tutto ciò a cui tenevano o al quale avrebbero potuto aggrapparsi se mai avessero avuto bisogno di un sostegno. Volevano lasciarli senza appigli, disperati, naufragi nell’oceano la cui unica ancora di salvezza appartiene ad una nave piena zeppa di schiavi ai quali andare a fare compagnia. E ci stavano riuscendo. Non c’era mossa più azzardata, né più efficace di quella per placare le ribellioni al governo.
 
Gli uomini non combattono, se non hanno niente a ricordar loro il motivo per cui dovrebbero farlo.
 
 
 
 
 
 
 
-Stanno per accendere il fuoco, Anderson, dovresti sbrigarti con quelle. Non so tu, ma non vorrei trovarmi addosso una sola di queste foto quando tutto sarà finito. Dicono che fucileranno chiunque sarà scoperto ad aver tenuto anche un solo medaglione con sopra una minuscola incisione.
 
 
Blaine fu risvegliato dalle parole di un uomo che credeva di aver già visto. Anzi, quasi sicuramente era un suo conoscente, forse addirittura amico, al quale però non riusciva in alcun modo a collegare un nome.
 
Rispose con un lieve sorriso a quell’avvertimento. Era uscito dalle labbra di quell’uomo con tono apprensivo e sdrammatizzante, ma il cervello di Blaine non potè fare a meno di elaborarlo come una sorta di minaccia o, perché no, presa in giro.
 
 
Siamo tutti nella stessa situazione, Blaine, nessuno prende più in giro nessuno qui. Nessuno scherza, nessuno ride, nessuno canta.
 
A te, al contrario di altri che un tempo hai definito sfortunati, hanno lasciato la vita. Ma ti hanno anche tolto tutto ciò per cui valesse la pena trascorrerla. Chi sono ora quelli che possono essere considerati fortunati, eh? Pensa a Kurt, Blaine. È stato lui quello a cui non è toccato in sorte il doverti dire addio, è stato lui quello che non ha patito pene e sofferenze quaggiù, è stato lui quello che se n’è andato in un posto senz’altro migliore, perché è difficile pensare che possa esserci un posto peggiore di questo. È stato lui quello fortunato, Blaine, non tu. Tu vivi qui il tuo inferno ogni singolo giorno, e ogni volta che pensi che ci sia qualcosa in grado di tirarti su, loro te la portano via, come potessero leggerti nel pensiero.
 
Non tutti possono essere fortunati, Blaine.
Sii almeno grato che la buona sorte abbia toccato lui.
 
 
Blaine si chinò ad aprire la seconda scatola, anch’essa di dimensioni piuttosto ampie, lasciando così a terra quella più piccola, che sembrava essere anche la più fragile. Quasi inconsciamente la portò fra le sue scarpe, in modo da poterla proteggere dall’essere calpestata in tutta quella ressa.
 
Dalla seconda scatola estrasse quattro foto.
 
 
Nella prima c’era un ragazzo. Era molto magro, con i capelli scuri e gli occhi allungati. Blaine sorrise alla vista del suo migliore amico, Wes, con addosso la divisa della loro scuola. Aveva un cipiglio autoritario nella foto e molti di coloro che lo avevano conosciuto avrebbero giurato che non lo aveva solo nelle immagini, ma che anche nella vita reale questo non lo abbandonasse mai. In realtà Blaine se lo ricordava, il sorriso di Wes. Lo aveva visto in tutto quattro volte in vita sua, ma ne custodiva il ricordo come fosse sacro. Sorrise alla semplice e banale realizzazione che qualcosa sarebbe sopravvissuto in lui, qualcosa che neppure migliaia di foto erano mai riuscite ad immortalare.
 
La seconda ritraeva quattro ragazzi abbracciati. Quello all’estrema destra era molto basso ed aveva un sorrisino malizioso, accanto a lui c’era un ragazzo grassottello con i bottoni della giacca un po’ tirati e un sorriso smagliante in viso; tra di loro, un ragazzo alto dai capelli marroni e un altro dalla pelle scura. Tutti guardavano la macchina fotografica con espressioni orgogliose e fiere. Gli Warblers, i suoi amici, brillavano di energia pura. Erano splendenti nelle loro divise, nei loro sorrisi, nei loro sguardi, nelle loro voci. Gli Warblers erano tutto ciò che di buono aveva avuto la sua adolescenza e tutto ciò che, non importa quanti falò avrebbe dovuto affrontare, Blaine non avrebbe mai dimenticato.
 
Nell’ultima foto c’erano due ragazzi seduti ad un tavolo. Uno di loro, un biondo alto e dinoccolato, guardava la fotocamera, mentre l’altro, più basso e coi capelli scuri, osservava attentamente l’altro. Chiunque avrebbe potuto dire che quei due erano grandi amici, ma avrebbe comunque sentito come una morsa allo stomaco nel pronunciare quella parola di fronte alla massima espressione di un sentimento che no, non era semplice amicizia, e non lo sarebbe mai stata.
 
Blaine osservò quella foto per interi minuti, i piedi che si toccavano, le mani non intrecciate, ma che propendevano le une verso le altre in un’attrazione quasi elettrostatica.
 
Riusciva quasi a vedere attraverso l’immagine sbiadita il luccichio dei loro occhi, e percepire l’abbagliante presenza di quel sentimento che per così lungo tempo aveva legato i suoi amici.
 
Quando lasciò cadere quell’ultima foto fra le altre, gli sembrò quasi di star distruggendo tutto quello che c’era mai stato fra loro, ma sorrise quando, con una lacrima che gli solcava la guancia, si rese conto che finche qualcuno al mondo sarebbe stato ancora capace di amare. Finché un uomo o una donna avrebbe potuto dare la vita per la persona amata, allora tutto quello che i suoi amici avevano vissuto, tutto quello che lui e Kurt avevano vissuto, non sarebbe mai svanito.
 
Perché quando fra due persone che si amano scoppia una scintilla, quella sarà senz’altro più grande di qualsiasi altro falò mai allestito sulla faccia della terra.
 
 
 
 
 
 
Blaine adagiò sul fondo della scatola l’ennesima fotografia. Non era riuscito a guardarle, mentre le staccava dalle pareti o le allontanava dai comodini. Si era rifiutato di toglierle dalle loro cornici o dai rispettivi album. Non voleva dover poggiare lo sguardo sul suo viso e dover sentire sulle proprie spalle la sensazione di starlo gettando via. Non era questo che voleva, non lo avrebbe mai voluto.
 
Blaine lo amava, non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
 
Non lo avrebbe mai dimenticato.
 
In quel momento una foto cadde dalle sue mani e volò rovinosamente a terra, il vetro rivolto verso il basso. Blaine si chinò a raccogliere la fotografia e con molta cautela alzò la cornice.
 
Prima che potesse rendersene conto il vetro stava già scivolando via dal quadrato color argento in minuscoli pezzettini acuminati, e con esso la foto era sgusciata fuori dalla sua postazione, quasi raggiungendo il pavimento in legno della sua stanza.
 
Blaine la afferrò prima che potesse toccare terra e non riuscì a trattenersi dal guardarla.
 
 
 
 
 
Era bello. Dio, era bellissimo. Era la creatura più bella che avesse mai visto in vita sua, ed era convinto che non avrebbe mai più visto nessuno come lui. Aveva le fattezze di un angelo, e anche il cuore di un angelo. E lo aveva, per chissà quale incredibile ragione, donato a lui.
 
Lasciò scorrere il dito indice sulla piccola foto che aveva estratto dall’ultima scatola, così come aveva fatto anche a casa, quando non era riuscito a tenere gli occhi da lontano da quello che un tempo era stato il suo mondo e che adesso era diventato il suo paradiso. Lo avrebbe raggiunto, prima o poi, e lo avrebbe già fatto, se solo fosse stato abbastanza coraggioso. Ma non lo era, no.
 
Non aveva avuto la forza, un anno e mezzo prima, di premere quel coltello sulla propria pelle e di unirsi così a quell’amore che la vita e una terribile malattia gli avevano strappato così violentemente. Non si era sentito pronto ad abbandonarsi al dolore e a superare la sua paura, perché aveva avuto paura che, svanendo lui, sarebbe svanita anche l’ultima traccia di Kurt su quel pianeta, e la sensazione che lo assaliva ogni volta a quel pensiero era più grande di qualsiasi sofferenza.
 
 
-Cinque minuti..
 
-Cinque?
 
 
-Così hanno detto…
 
 
-Chi lo ha detto?
 
 
-Già, chi è stato?
 
 
-Non lo so, io l’ho sentito.
 
 
-Sì, l’ho sentito anche io. Cinque minuti, hanno detto…
 
 
Blaine sentì le voci di centinaia di persone attorno a sé. Cinque minuti, gridavano tutti, e mai il tempo gli era sembrato più oscuro e meschino di così.
 
 
Cinque minuti, amore mio, ma io non sono pronto a lasciarti andare. Non lo ero pronto un anno e mezzo fa e non lo sono adesso. Non sarò mai pronto a vivere senza di te. Non possono chiedermi di dire addio a tutte le immagini che ti ritraggono, a tutti i ricordi che ho di te. E se dimenticassi il tuo viso? Se, fra un paio di anni, Kurt, non riuscissi più a ricordare quale fosse il colore dei tuoi occhi o la sfumatura dei tuoi capelli? Non ce la faccio. Non ci riesco a dire addio al tuo volto, è la prima cosa che guardo ogni giorno e l’ultima ogni notte. E’ tutto ciò che mi tiene legato all’immagine di te per come eri, all’immagine di te per come sempre sarai nei miei sogni.
 
 
Senza riuscire a fermare la propria mano, né tantomeno le proprie lacrime, fece scorrere velocemente la minuscola fotografia che ritraeva il volto di Kurt nel taschino della sua giacca.
 
Quando la mano tornò all’altezza dei suoi fianchi, si rese conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo dell’azione appena compiuta e rilasciò un enorme sospiro. Era un gesto avventato, pericoloso, non avrebbe dovuto farlo, ma non riusciva a non pensare alla sensazione di calore che gli aveva avvolto il petto all’altezza della tasca nel momento in cui vi aveva inserito la piccola immagine. Per un attimo gli era sembrato di sentire la mano di Kurt poggiarsi in quel determinato punto ed accarezzarlo delicatamente, come era solito fare quando erano assieme. Pensò che avrebbe trafugato cento foto se questo fosse servito a provare nuovamente quella sensazione.
 
Ma la sua mancanza di coraggio prevalse anche questa volta e, con estenuante lentezza, l'uomo si chinò a raccogliere da terra la scatola con le restanti foto del suo amato.
 
 
Trattenne il respiro ancora una volta quando, con gli occhi chiusi e le labbra tremanti, con le lacrime che scorrevano copiosamente sul suo viso, la rovesciò nello stesso punto in cui aveva versato le due precedenti.
 
Non riusciva a credere di averlo fatto, e si chiese perché qualcosa non lo avesse colpito in quell’esatto istante. Un fulmine, un infarto o il colpo di pistola sparato inavvertitamente da un soldato. In fondo adesso non c’era più bisogno di lui a mantenere vivo il ricordo di Kurt, dal momento che aveva appena acconsentito a bruciare tutto ciò che aveva di lui.
 
 
Non tutto, Blainegli ricordò la sconvolgente sensazione che ancora non aveva abbandonato il suo petto e che bruciava come se cercasse di attraversare i suoi abiti e far vedere a tutti che no, non aveva gettato tutto. Blaine si era opposto, in qualche modo, e aveva fatto ciò che aveva fatto seguendo un ordine dettato da qualcosa di molto più importante e potente di un qualsiasi tiranno. Blaine era stato guidato dal suo amore per Kurt, che gli aveva chiesto di non essere lasciato indietro.
 
 
-Un minuto!
 
 
-Un minuto…
 
 
-Un minuto, uno soltanto.
 
 
-Uno solo…
 
 
Blaine percepì appena le voci attorno a lui quando lo colpì l’improvvisa realizzazione che non ce l’avrebbe fatta a rimanere lì a guardare, che non avrebbe resistito un solo secondo a fissare le fiamme che si allungavano e si allargavano, raggiungendo in ogni modo possibile gli amori, le amicizie, i dolori e le speranze di una popolazione che ormai non viveva più e che non aveva più nulla per cui farlo.
 
 
Ingoiò un singhiozzo, si passò la mano sul viso, trascinando via con essa le lacrime e fuggì.
 
 
 
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Blaine buttò giù un ultimo sorso della sua birra e poi appoggiò la testa sul bancone con fare stanco.
Aveva la vista annebbiata, non era certo se per il troppo alcol o per le troppe lacrime.
Fu però sicuramente il primo a provocare ciò che accadde dopo.
 
-Questa faccenda delle foto è tutta una grande stronzata.
 
Il barman, un uomo alto e magro con un paio di occhiali tondi tenuti sempre sulla punta del naso, ignorò il suo commento, forse perché non aveva capito a cosa fosse riferito o forse perché lo aveva capito fin troppo bene.
Tuttavia, non tutti nel locale avevano lo stesso temperamento pacato e cauto dell’anziano. Un uomo, dalla corporatura robusta ed il viso tondo e paonazzo, si avvicinò a Blaine, e con tono quasi minaccioso esalò, accompagnato da una zaffata di cattivo odore:
 
-Non dovresti parlare a vanvera di cose che non conosci, soprattutto se hai bevuto più di quello che riesci a reggere.
 
Blaine alzò gli occhi su di lui, senza però trovare la forza di sollevare il capo dal bancone sudicio. La sua espressione, indecifrabile.
 
-Speravo che almeno la libertà di parola fosse stata mantenuta, ma non hai tutti i torti tu, aboliranno anche quella, prima o poi. Dobbiamo solo rassegnarci all’idea che le nostre vite siano finite, e non con quello che è accaduto oggi, ma molto, molto tempo fa.
 
Quest’ultimo commento attirò l’attenzione di diversi frequentatori del locale, ma nessuno vi rispose, chi perché in accordo con quanto detto da Blaine, chi perché paralizzato dalla presenza di alcuni soldati nel bar, chi perché non trovava la situazione abbastanza interessante da infilarcisi dentro, con il rischio di guadagnarsi solo qualche guaio.
L’uomo, tuttavia, squadrò Blaine da capo a piedi, con un sopracciglio arcuato e un’ espressione di sufficienza in viso.
 
-Dovresti stare attento a come parli, potresti finire in situazioni più pericolose di quanto credi.
 
Blaine rise. Una risata amara e senza alcun vero accenno di ironia. Semplicemente, una risata triste.
Li conosceva i tipi così, che si omologavano, che pensavano che tutto quello fosse giusto, pronti a sottomettersi a qualsiasi imposizione venisse loro dettata in nome di un ideale forse nemmeno conosciuto, ma che non fanno fatica a considerare giusto.
I tipi così erano quelli che avevano perso tutto e alla fine avevano dato via anche la loro capacità di raziocinio, perché, dopotutto, era più facile obbedire. Non pensare, non soffrire, non essere. Semplicemente obbedire.
 
-Pensi davvero che un uomo ridotto nel mio stato, a fare commenti riguardanti questo governo del cazzo in un bar affollato e con presenti dei soldati, tema delle ripercussioni? Cosa possono farmi ancora? Torturarmi? Sto passando di peggio al momento. Uccidermi? Beh… Mi salverebbero la vita, togliendomela.
Non mi interessa ciò che ciascuno di voi pensa o dice o ha paura di dire, io non ho più nulla da fare a questo mondo, se non gridare con tutte le mie forze che questo governo... questa tirannia, è uno schifo! E adesso prendetemi, adesso fate di me ciò che volete, io non ho paura di morire. Ho solo tanta paura di continuare a vivere.
 
Erano i fumi dell’alcol a parlare per lui, altrimenti non avrebbe mai detto nulla del genere a nessuno. Ma in fondo era ciò che pensava, no? Era ciò che chiunque in quel bar pensava, a parte forse l’energumeno idiota che lo aveva rimproverato per aver offeso il governo. Era vero che non aveva paura di morire, era vero che aveva paura di continuare a vivere senza Kurt e senza nulla che potesse ricordarglielo, ed era anche vero che non gli importava più niente di ciò che lo circondava. Voleva sprofondare nell’oblio, Blaine. Voleva non dover pensare più a niente, perchè qualsiasi cosa si creava nella sua testa ormai prendeva la forma di un grande incendio, violento e senza pietà, che mieteva le sue vittime una dopo l’altra con inesauribile ferocia.
 
-Questo potevi dirlo subito, idiota. Non ho nessun problema ad accontentare i tuoi desideri.
 
L’uomo stava di nuovo parlando con lui? Cosa voleva? Vuole ucciderti, Blaine. E tu vuoi che lo faccia.
Non rispose, però, alle parole dell’uomo. Semplicemente lo ignorò, chiudendo gli occhi e cercando di sprofondare ancora di più nel bancone.
 
Quasi non se ne accorse quando l’uomo lo afferrò da dietro, per il bavero della giacca, e gli piantò i piedi a terra con violenza. Quasi non percepì il cazzotto dritto sulla sua mandibola, né tantomeno la spinta che lo mandò a terra con forza. Quasi riuscì ad ignorare la cascata di calci che lo investì mentre era rannicchiato sul pavimento sporco e freddo.
Sentì chiaramente, tuttavia, la mano che lo afferrava per il davanti della giacca, proprio accanto al suo cuore, proprio accanto alla foto di Kurt che era gelosamente custodita nel taschino.
Seguì con gli occhi la stessa mano mentre lo conduceva in piedi, per poi farlo accasciare pesantemente su di un tavolino alle sue spalle.
Si trovò all’improvviso con la schiena premuta sulla superficie dura e liscia del tavolino e con la testa rovesciata all’indietro. Per un attimo i suoi occhi incrociarono un paio di stivali, poi una cintura in pelle e alla fine delle mani. Tutto confuso, tutto sbiadito.
 
E poi una voce.
 
-Guarda qua, Philip.
 
Gelida e distaccata, una voce impersonale, come troppe se ne sentivano ultimamente.
Blaine riuscì a mettere a fuoco la vista, appena in tempo per vedere una mano -chissà come anch’essa sembrava gelida- stringere un quadratino di carta. Piccolo, fragile.
Insignificante per molti, necessario per lui.
 
Quando era caduto dalla sua tasca? Quando era scivolato lentamente sulla stoffa della sua giacca, per poi raggiungere il pavimento? Quando era scomparso dal suo cuore il calore avvolgente dell’unica cosa che era riuscita a farlo sentire vivo nelle ultime ore?
E ora era lì, in mano ad un uomo senza volto a cui apparteneva una voce senza personalità e delle mani di ghiaccio. Non aveva il diritto di tenerla in mano. Non aveva il diritto di guardare gli occhi di Kurt, il sorriso di Kurt, il viso di Kurt, non aveva il diritto di guardare il suo Kurt.
 
-Abbiamo un ribelle qui, eh?
 
Ed ecco un’altra voce, sempre fredda, sempre distaccata, sempre impersonale. Di cosa vivevano queste persone se non avevano un briciolo di anima?
Due mani, presumibilmente quelle dell’energumeno, lo tirarono, lo portarono in posizione eretta e lo fecero voltare verso le due figure che avevano parlato, una delle quali aveva in mano la sua foto.
Non riuscì a guardarli in viso, non credeva di poter trovare null’altro che facce scheletriche, prive di vita e di emozioni. Non era quello che voleva vedere per l’ultima volta prima di morire.
 
Perché era quello che stava per accadere, no? Lo avrebbero ucciso, adesso? Esisteva forse pena più giusta per chi osava contraddire chi deteneva il potere?
Puntò gli occhi sulla minuscola figura nella foto; non la vedeva bene, ma non ne aveva bisogno. Conosceva a memoria quei lineamenti, quelle curve, quelle sfumature. E conosceva altrettanto bene le sensazioni che gli donavano ogni volta che vi posava lo sguardo.
La guardò, quella foto. Non la vedeva chiaramente, ma la guardò lo stesso, proiettando nella sua mente l’immagine che vi era stampata.
Uno dei soldati parlò, con una lucidità ed una tranquillità da fare invidia ai più, che suscitò ribrezzo in Blaine.
 
-Questo non è ciò che noi chiamiamo collaborare con il governo per far sì che questo diventi un posto migliore.
 
Blaine si trattenne dal rispondere che nessuno lo chiamava in quel modo, che quello che loro costringevano la popolazione a fare era definito per lo più “obbedire a quello che diciamo noi in modo da preservare la propria vita.”
 
Rimase in silenzio invece, e smise anche di ascoltare quello che loro avevano da dire.
Di cosa avrebbero parlato, d’altro canto? Di come era giusto che lui venisse punito, di come dovevano dare l’esempio a tutti coloro che, come lui, avessero osato ribellarsi a quella che era una semplice mansione. Niente di che, nulla da perdere, se non la propria individualità, i propri ricordi, la propria esistenza.
Avrebbero parlato di come era giusto che lui venisse ucciso e di come quello fosse il suo stesso desiderio, il desiderio di un uomo che non sa vivere nella ‘collettività’ e che non sa‘adattarsi’.
 
Non li ascoltò neppure per un istante, ma continuò a guardare Kurt, in quella foto e nella sua mente.
Continuò a richiamare alla mente la voce dolce e soave del suo angelo che gi sussurrava nelle orecchie “Ti amo.” o anche “Sei bellissimo.”
Blaine lo sapeva di non esserlo, non come lui, almeno. Blaine sapeva di non meritarlo, ma quando lo aveva capito si era già perdutamente innamorato di lui e non aveva avuto la forza di lasciarlo andare via. Aveva fatto solo ciò che chiunque si sarebbe aspettato che facesse: gli aveva donato tutto ciò che fosse nelle sue possibilità, aveva cercato di renderlo felice, per quanto gli fosse stato concesso.
E lo aveva amato.
Lo aveva amato come nessun altro sarebbe stato in grado di fare.
E infine lo aveva ricordato come nessuno si sarebbe mai sognato di fare. Lo aveva ricordato in ogni gesto quotidiano, in ogni frase detta , in ogni canzone sussurrata, in tutte le foto che ormai non esistevano più. Blaine aveva fatto sì che Kurt vivesse a lungo accanto a lui anche quando se n’era andato.
 
Ora, ora il suo compito era finito. Lo avrebbe raggiunto, a breve. Avrebbe incontrato ancora il suo sguardo innamorato, avrebbe sentito ancora la sua voce vellutata e lo avrebbe accarezzato, come sognava di fare ogni notte da molto tempo.
Non sentì lo sparo e non percepì il dolore.
 
Non si dice per caso che quando si muore la vita ti passa davanti agli occhi in un flash lungo un istante appena?
Se anche fosse accaduto realmente, Blaine non se ne accorse. Lui continuò a fissare quella foto, continuò a pensare a quanto fortunato fosse stato ad incontrare l’amore della sua vita e a come fosse stato un privilegio poter portare avanti, anche se per poco, la memoria della persona straordinaria che era.
 
Pensò, alla fine, che Kurt era bello. Era bellissimo.
E che non sarebbero bastate mille foto per ritrarne l’essenza, né milioni di fuochi per distruggerla.
  
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