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Autore: dreamrauhl    30/01/2013    2 recensioni
"L'unica cosa che sapevo era che volevo solo il meglio per me. E il meglio era lei."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.

 

Mi maledii per la millesima volta quella sera.
Davanti agli occhi un foglio bianco, in mano una penna nera, una di quelle Bic che compri e usi fino a finirle, fino a quando non rimane più una goccia d'inchiostro, per scrivere cosa non si sa.
Ciao Jenny, mi manchi...
Appallottolai anche quel foglio di carta, tracciare un taglio secco sulle ultime due parole non sarebbe servito a nulla, ogni volta che iniziavo a scriverle una lettera era sempre la stessa storia: avevo mille parole da dirle, altrettante cose da spiegarle, eppure tutto ciò che riuscivo a scrivere era quel banale “mi manchi” scritto con una scrittura infantile, grassoccia e imprecisa.
Vaffanculo”, sbottai inveendo contro il muro, lanciando la penna contro la parete e il foglio nel cestino.
Vaffanculo Jenny, sono passati mesi, non puoi mancarmi così tanto! Ti odio come non ho mai odiato nessun'altra persona!
Pronunciai quel “ti odio” con più rabbia nella voce che sicurezza.
Ti odio, ti odio, ti odio”, ripetei come per auto-convincermi.
...Ma ti amo ancora”, ammisi sconfitto.

Scesi giù in cucina, ovviamente non senza prima aver sbattuto la porta della camera quasi a far tremare le pareti.
Ehi Justin, tutto bene?”, chiese Pattie.
No mamma, va tutto una merda, contenta?
Si avvicinò, voleva abbracciarmi.
Mi scansai. Desideravo con tutto me stesso rinchiudermi in quell'abbraccio caldo, in quell'abbraccio che tante volte mi aveva salvato e risollevato, quell'abbraccio che mi aveva sempre dato una ragione per non mollare.
Non mi lasciai prendere, aver ammesso che tutto andava uno schifo mi sembrò già abbastanza per quella sera.

Ho fame”. Cambiai discorso.
Fra dieci minuti è pronta la cena” disse lei arresa.

Odiavo farla stare male, ma in quel momento mi sembrò di essere fragile quanto un bicchiere di cristallo, mi sentivo come un fotografo che tenta di fotografare la sua stessa vita ma non ci riesce perché non può fotografare i suoi sorrisi e le sue stesse lacrime. Non può, non ci riesce. Servirebbe essere un estraneo per riuscirci ma non si può, non si può essere entrambe le cose contemporaneamente: o provi a vivere o provi a fotografarti senza riuscirci intestardendoti fino a sbattere la testa e a farti male.
Mi sentivo estraneo a quella vita che per diciotto anni mi era sembrata la mia.
Una famiglia felice, una fidanzata meravigliosa, buoni voti a scuola.
Sì, ma ora cosa rimaneva di tutto quell'idillio? Mamma e papà si erano separati due mesi prima, Jenny mi aveva lasciato, i miei voti erano drasticamente calati.
Dov'era la ragione per non mollare? Qual era la ragione che mi spingeva a restare in piedi e a camminare a testa alta?
Orgoglio”, pensai.
Mi risposi da solo, non avrei sopportato la lezioncina morale di qualcun altro.

Cenammo in silenzio io e la mamma, una forchettata alla volta, pochi spaghetti arrotolati sulla forchetta, lo sguardo fermo, fisso sul piatto che non si decideva a svuotarsi. Sembrava che si riempisse nonostante tentassi di mangiare sempre un po' di più, ogni forchettata era più decisa dell'altra.
Lo stomaco mi diceva di smettere, che non avrei retto altro cibo all'interno del mio corpo, eppure continuavo a mangiare.
Se non ascolto il cuore non ho ragione neanche per ascoltare te, amico”, rimproverai mentalmente lo stomaco.
Pensai fossi pazzo.
Prima parlavo da solo ora con uno dei miei organi. Cosa stava succedendo?
Mamma, non ho più fame”, posai la forchetta e tornai in camera, senza dire altro ne sentire la sua risposta.

Mi buttai a peso morto sul letto, le braccia incrociate sotto la testa, i piedi a penzoloni che quasi toccavano il pavimento.
Justin, datti una mossa, non puoi mollare ora”, ripetei come un mantra fino a che gli occhi non si chiusero e sprofondai in un sonno profondo.

Mi svegliai la mattina seguente, i vestiti stropicciati che la sera prima non avevo tolto, la schiena indolenzita a causa delle posizioni inimmaginabili in cui dormii, i piedi formicolanti.
Sembri un vecchio...”, disse la vocina dentro di me, quella che quando leggi 'in silenzio' sentii rimbombare nella testa.
Sta' zitta”, rimproverai anche lei, anche se era tutto frutto della mia immaginazione.
Era domenica, per fortuna.
Presi il mio iPhone dal comodino e controllai l'ora: erano soltanto le nove del mattino.
Tornai a dormire, in fondo era meglio che restare svegli ad autocommiserarsi.

Mia madre urlò dal piano di sotto che era pronto il pranzo, feci finta di non sentire, poi avrei usato la scusa che ero troppo stanco e lei non avrebbe detto nulla.
Avrebbe voluto fare tanto per me, si vedeva dai suoi occhi lucidi quando vedeva il mio dolore, quando solo restandomi accanto sentisse il mio disagio, il mio fastidio anche solo nel sentire parlare d'amore o nel vedere un film romantico alla televisione.
Sapeva ma fingeva di non sapere.

Mamma non era come me: lei era una donna forte, preferiva perdersi a guardare fisso nel tubo catodico e ad immedesimarsi nei personaggi delle soap opera invece che restare ferma ad autocommiserarsi.
Mi aiuta a sopravvivere, mi permette di sognare come una ragazzina”, era solita ripetere, ma anche quella era una forma per auto-convincersi, anche a lei mancava papà come a me mancava Jenny.
Forse dovrei raccontarle cos'è successo...
Lo pensavo spesso, ma mi bloccavo sempre. Non riuscivo a dirle quanto meschino e infame fossi stato, mi vergognavo di me stesso per quel gesto... avrei voluto porre fine alla mia esistenza quella volta in cui vidi Jenny scossa dai singhiozzi, nel momento in cui quella troia di Cindy, la sua amica, le raccontò tutto.
Oh, quanto la maledii quella ragazza.
Avevo fatto un errore, lo ammetto, ma non grave quanto lei lo descriveva.
In fondo, non era successo niente di che...
Più chiamavo Jenny meno lei rispondeva. Le chiamate aumentavano giorno per giorno, ma senza mai aver risposta.

Sono stato un cretino. L'amavo e ho rovinato tutto. Era lei quella giusta, era lei quella con cui volevo invecchiare, quella che avrei voluto sposare, quella con cui costruirci una famiglia.

Ambizioso per un ragazzo di diciotto anni? Forse, ma l'amore in sé è ambizione.
L'unica cosa che sapevo era che volevo solo il meglio per me. E il meglio era lei.

  
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