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Autore: Serena    09/07/2003    12 recensioni
La partenza con la Compagnia è un dovere, per il Principe Legolas. Ma è una sofferenza per chi non può fare altro che aspettarlo a casa, non sapendo se tornerà...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rimasi immobile, pietrificata, mentre, lentamente, davanti a me si formava la Compagnia dell’Anello…

Questa fanfiction non è nata per essere fedele al libro… tutt’altro. È nata per essere il sogno di una mia amica… che non la leggerà mai, ma che probabilmente sarebbe stata contenta di leggerla e di sapere che è stata scritta pensando a quanto è speciale.

Se non vi piacerà, mi dispiace. Questo è solo il nostro piccolo sogno.

 

 

 

A Marina,

         che è bellissima e perfetta proprio come Alayes;

         che ama Legolas proprio come lo ama lei, e forse un po’ di più;

         che è speciale anche senza visioni sensazionali;

che è l’amica che tutti sognano, e ora io non la sogno più: mi basta voltarmi per vederla sorridere.

 

Grazie di esistere.

 

Come il tramonto

 

Che bel tramonto sarebbe stato quello… a riscaldare il mio cuore, a consolare la mia anima ferita… rosso come il fuoco, rosso come la passione, splendido e immortale… come me, come il mio corpo che era proprio così… immortale.

Chissà quante volte un tramonto simile aveva accarezzato la pelle di una fanciulla come me, che soffriva come me… con un’anima imprigionata, incatenata.

Come il tramonto, che poteva carezzarmi la pelle e consolarmi solo fino a quando la notte e la luna gliel’avessero concesso… e poi basta, poi avrebbe dovuto ubbidire, e sottomettersi docilmente.

Io, come il tramonto. La storia del mio amore, che forse è destinata a tramontare… o forse non è mai sorta.

Ma, se volete, ve la narrerò.

 

 

 

 

Rimasi immobile, pietrificata, mentre, lentamente, davanti a me si formava la Compagnia dell’Anello…

Non so come esattamente come, ma seppi subito, con una certezza incredibile, senza l’ombra del dubbio, che anche lui ne avrebbe fatto parte…

Infatti, limpida e chiara, sentii la sua voce, che offriva se stesso e il suo arco, per la causa del bene…

Penso che non mi abbia nemmeno notata, quando sono fuggita in lacrime… in effetti, come avrebbe potuto sapere che ero lì? Sono stata nascosta tutto il tempo. Nonostante non ne abbia l’aspetto sono un’Elfa anch’io e so essere molto silenziosa a volte.

E, forse, anche se mi avesse sentito, non ci avrebbe fatto caso… non mi illudevo certo di essere più importante, per lui, del suo orgoglio e della sua sete di avventure…

- Mihe (*), stai bene? Cosa ti turba? -

Alzai la testa di scatto. Nella mia amarezza, non mi ero neanche accorta di essere in compagnia. Non ebbi neppure bisogno di guardare in faccia il mio interlocutore per sapere che si trattava del Re. Lui probabilmente se n’era accorto, che ero scappata in lacrime… ironia della sorte.

Mi piace quando mi chiama così… Mihe. Lo fa solo raramente, quando siamo soli. Il nostro piccolo segreto. Mihe è un vezzeggiativo, significa piccola principessa, o qualcosa del genere. Non ti aspetteresti che un Re si rivolga così a qualcuno che non è neanche suo parente.

- Sto bene, sto bene… - mentii. Penso che non ci abbia creduto neanche un momento.

Si sedette accanto a me sul bordo della fontana. Nell’acqua cristallina, il sole creava suggestivi giochi di luce arancione.

Oramai era il tramonto. Adoravo il tramonto… non sapevo perché, sapevo solo che l’adoravo. Mi piaceva molto il rosso… tutte le sfumature del rosso. Anche quei giorni in cui il cielo diventava rosa pastello, l’adoravo comunque.

- Mihe… - mormorò l’elfo accanto a me. – Tu lo sai che Legolas…? -

- …partirà con la Compagnia? Sì. -

Lui annuì, come se quello spiegasse tutto.

- Ma, vedi, tornerà… - mi disse.

- Tornerà, forse… - ripetei. – Ma quando? E in quali condizioni? -

Mi guardò, stupito.

- Qualunque ferita, si rimarginerà… -

- Sì, forse. Una ferita del corpo… ma cosa mi dici delle ferite dell’anima? Degli orrori della guerra? Di quel mostro che è la morte? – domandai, tutto d’un fiato.

- Non lo so, mihe… ma Legolas è forte -

- È avventato! – ribattei. Non sapevo perché stavo discutendo con il Re del carattere del Principe, né perché ce l’avessi tanto con lui… sapevo solo che una furia terribile aveva preso possesso di me, scacciando il dolore.

- Lo guarirai tu, mihe… -

Mi alzai in piedi, dandogli le spalle.

- Non so se ne sarò capace… - dissi in un soffio, mentre una leggera brezza primaverile muoveva i miei capelli, che sembravano riflettere, al pari dell’acqua, la luce del tramonto, parendo rossi.

Sentii una mano del Sovrano di Bosco Atro sulla spalla, vano tentativo di conforto…

Sorrisi amaramente tra me.

- Te l’ho mai detto che sei uguale a lei? -

Non c’era bisogno che mi dicesse di che lei parlava, lo sapevamo tutti e due fin troppo bene… il mio incubo quotidiano.

- Migliaia di volte! – gli risposi accennando un falso sorriso.

- Allora non abbatterti e sorridi, mihe… - sentii dei passi alle mie spalle, e seppi che se n’è andato.

Ora non mi rimaneva che prepararmi psicologicamente all’entusiasmo del Principe Legolas…

 

- Alay! – Legolas era molto vicino a me, e mi aveva preso le mani con foga. – Ma ci pensi? Farò parte della Compagnia dell’Anello! -

Bruscamente, ritirai le mani.

Però, poi, di fronte al suo sguardo stupito e ferito, il mio volto si distese nel mio più dolce e falso sorriso.

- Sono felice per voi, mio Principe – gli dissi, piegando appena la testa e lasciando che un boccolo scuro mi coprisse il viso. Se avesse visto… avrebbe capito, subito. Ma non avrebbe fatto comunque differenza.

- Alayes… - perché, ora, il mio nome ha un suono così triste, se lui lo dice in quel modo?

- Scusatemi… solo, sono un po’ preoccupata… -

- Alay! Anche se tutti ti dicono che sei uguale a mia madre, non c’è bisogno che ti comporti come tale! – mi disse scherzosamente, scompigliandomi i capelli con una mano.

- Avete ragione. Non mi preoccuperò più per voi, se è questo che volete – dissi cupamente, voltandomi e avvicinandomi alla porta.

La aprii e mi girai un’ultima volta.

- Ci vediamo a cena, mio Principe – conclusi, chiudendo la porta dietro di me, e lasciando solo uno stupito e confuso Principe degli Elfi.

 

Lo specchio, di fronte a me, mi riflesse un’immagine del mio volto triste.

- Siete bellissima, Principessa! – ciarlò un’ancella, poggiandomi sul capo un sottile cerchio d’argento.

Magari sarò anche stata bellissima, ma non m’importava. Mi tolsi il diadema dal capo, chiedendo alla moltitudine di donne che occupava la mia stanza – non si sapeva perché, ma il Re era convinto che avessi bisogno di aiuto per vestirmi – di lasciarmi sola.

Loro annuirono, probabilmente contente della loro opera. Che sarei poi stata io.

Una di loro si chiuse delicatamente la porta alle spalle, lanciandomi uno sguardo, quasi a dire ‘vi comprendo’. Mi venne voglia di lanciarle il diadema addosso.

Cosa sono io? In questo momento, se qualcuno mi vedesse, mi descriverebbe semplicemente come una bellissima principessa, dai lunghi boccoli castano scuro intrecciati magistralmente dalle mani sapienti di qualche ancella, gli occhi grigio-blu – come il mare in tempesta, diceva Legolas, e non avevo mai capito se era un complimento – un elegante abito color argento, un mantello candido sulle spalle, e basta. Lo sguardo infinitamente triste nessuno l’avrebbe menzionato, forse per non far notare a – qualcuno a caso – il Re o al suo nobile figlio quanto io sia contrariata.

Strinsi forte fra le mani il diadema, finché non sentii dolore.

La mia solitudine non durò a lungo. Un’altra ancella entrò nella stanza, annunciandomi che ero attesa per la cena.

Mi posi di nuovo il diadema sul capo, seguendola docilmente.

 

- Mi dici cos’hai? -

- No, se non lo comprendete da voi -

Il mio lapidario scambio di gentilezze con Legolas passò fortunatamente inosservato agli occhi dei commensali.

- Sei strana oggi -

- Sono onorata che voi ve ne siate accorto -

Ero veramente stufa di fare l’offesa, ma non ci potevo fare niente, ero offesa veramente!

Mi stavo comportando come una principessa capricciosa… non lo ero mai stata prima.

Quando ancora non vivevo a corte non me lo potevo permettere… e, dopo, ero così grata e persa nel mio sogno… non avevo nulla di cui lamentarmi. Conducevo una vita splendida e fortunata, che adoravo. Certo, gli impegni ufficiali mi pesavano un po’, ma fosse stato solo quello…

Abbassai lo sguardo dedicandomi alla mia cena – cosa stavo mangiando, poi? – cercando di ignorare lo sguardo di Legolas su di me. Decisi che devo fare qualcosa per farmi perdonare, anche se non ne avevo la benché minima voglia.

Mi si presentò l’occasione quando una mano del Principe si posò sulla mia.

- Balleresti con me? -

- Certo, mio Principe -

Intrecciai le dita della mia mano con le sue, decisa a non rendermi odiosa ai suoi occhi proprio prima della sua partenza. Almeno, volevo che avesse un piacevole ultimo ricordo di me – sperando che non fosse veramente l’ultimo!

Mi condusse lentamente nel mezzo della sala, tra diverse altre coppie danzanti, e cominciammo a ballare.

Visto che il coraggioso Principe Legolas non pareva intenzionato ad iniziare una conversazione, decisi che potevo farlo io.

- Ascoltate, mio Principe… - cominciai. Mi bloccai subito. Non andava bene. – Ascoltate, Legolas… non volevo essere così brusca. Io sono veramente preoccupata per voi… -

- Non devi. Tornerò. E poi, non saresti più contenta se non tornassi? Saresti libera dal tuo fidanzamento imposto -

Mi bloccai immediatamente, irrigidendomi tra le sue braccia nel bel mezzo della sala. Fortunatamente, nessuno si accorse di noi.

In quel momento feci una cosa che non avrei mai pensato di fare.

Scappai da Legolas, fuggii praticamente a gambe levate, dicendo addio ai miei buoni propositi.

 

Mentre correvo per i corridoi del palazzo, con le lacrime che mi offuscavano la vista, mi chiesi come potesse aver detto una cattiveria simile. Pensava veramente quello che aveva detto? E io che pensavo mi conoscesse! Lui… lui credeva davvero che avrei gioito della sua morte… era la cosa più orribile che qualcuno mi avesse mai detto.

Nel mezzo della mia fuga, urtai contro qualcosa. O, per meglio dire, contro qualcuno.

Mi affrettai a cancellare le lacrime, fissando la persona davanti a me, un Hobbit probabilmente.

Aveva uno sguardo gentile, e mi sorrideva.

- Vi siete fatta male, fanciulla? – chiese. – Perdonatemi -

La colpa era mia, ero io che non guardavo dove andavo, non aveva nulla da farsi perdonare, ma me lo disse lo stesso. Aveva dei begli occhi, e uno sguardo limpido. Mi piacque subito.

- Io sono Frodo Baggins – si presentò. Il portatore dell’Anello! Ecco cosa ci faceva un Hobbit a Bosco Atro!

- Alayes – mi presentai bruscamente. Poi mi resi conto di essere stata maleducata, e aggiunsi nel mio tono più dolce: – Alayes, è questo il mio nome. Tu sei il Portatore dell’Anello, non è così? -

Lui spalancò la bocca, probabilmente stupito dal fatto che lo conoscessi.

- E voi siete la Principessa Alayes, la Promessa Sposa del Principe Legolas – mi riconobbe immediatamente lui.

Accidenti! Possibile che io non potessi essere semplicemente Alayes, ma dovessi per forza essere ‘la Principessa Alayes, Promessa Sposa del Principe Legolas’?

Gli avrei sputato addosso tanto di quel veleno che probabilmente lui non sapeva neanche esistesse, se non fossi stata troppo educata – e se non avessi visto chi avevo visto alle sue spalle.

- Gandalf il Grigio… - mormorai. Il vecchio mago non sembrò stupito.

- Alayes, piccola Alayes, come sta la mia allieva prediletta? – mi chiese con un particolare voce cantilenante. – Da cosa scappavi, piccola Alayes? -

- Niente che ti riguardi, Gandalf… non credi che dovresti cominciare a prepararti psicologicamente a morire? – gli chiesi, crudele.

- Mia piccola Alayes, non essere così pessimista. Vedrai, io e il tuo Principe torneremo interi. O forse la tua Vista ha squarciato un velo del futuro che ti preannuncia la nostra morte? -

- Anche se fosse, la mia Vista non è affar tuo -

- Sicuramente, mia piccola principessa, sicuramente -

Gli lanciai uno sguardo di puro odio ma, visto che non si addiceva affatto alla mia figura, gli regalai subito dopo uno sguardo così dolce che rimase interdetto.

Indietreggiò un attimo, fino a quando non distolsi lo sguardo.

Scosse la testa, turbato.

- Un’ottima Incantatrice, davvero… - commentò.

- Ti ringrazio, Gandalf. Non per niente, ho avuto un ottimo maestro… -

- Allora, posso dire di essere stato incantato di rivederti – concluse con un mezzo inchino.

Chinai piano il capo.

- E così l’allieva ha superato il Maestro… ti chiederei di accompagnarci, se non fossi sicuro che il Principe Legolas non sarebbe d’accordo… sarebbe divertente vedere la sua reazione, in effetti… -

Non raccolsi la provocazione, e mi diressi verso le mie stanze, con la spiacevole sensazione di avere ancora gli occhi di Gandalf puntati addosso.

 

Quando sentii il sole in faccia e una voce allegra che ripeteva il mio nome – no, non il mio nome, il mio acquisito titolo nobiliare – sbattei più volte le palpebre.

Lentamente misi a fuoco il viso di un’ancella, che mi fissava, ora preoccupata, tenendo scostati con una mano l’innumerevole quantità di veli di tonalità che variavano dal giallo al rosso che ornavano il mio letto a baldacchino.

- Principessa! – mi disse. – Avete dormito vestita? -

Domanda alquanto stupida, dato che si vedeva abbastanza. Forse me la fece per non domandarmi se avevo pianto – che sarebbe stata ugualmente una domanda stupida, essendo quantomeno palese.

- Ieri ero troppo stanca per cambiarmi… -

…E quella mattina lo ero troppo per inventarmi una scusa decente. L’ancella comunque sembrò accettarla, perché annuì comprensiva.

- Alzatevi, Principessa, fuori è una giornata bellissima e… -

…E l’ultima che Legolas passerà a Bosco Atro, si trattenne probabilmente dall’aggiungere. Mi chiedo se tutti pensino che io sia stupida, unicamente una bambola di porcellana da sfoggiare. Legolas probabilmente lo pensa, soprattutto perché io non posso fare a meno di comportarmi da fidanzatina fedele.

Mi lasciai docilmente lavare e vestire, spossata nell’animo.

Forse sarei dovuta andare da Legolas… probabilmente mi attendeva una noiosissima giornata a fare la fidanzata – ah, anche le rime mi uscivano ora!

L’ancella – e, a proposito, avrei dovuto informarmi sul suo nome? – mi porse un vestito di velluto verde, che io scartai immediatamente con un’occhiataccia.

- Il Principe Legolas ama il verde… - mi disse candidamente lei. Sbuffai, infastidita. Ero stufa di colori freddi!

Cosa mi importava se a Legolas piaceva il verde? Proprio nulla, decisi.

Con addosso ancora il mio accappatoio mi diressi verso l’armadio scostando l’ancella, spalancandolo e guardandovi dentro con occhio critico.

Sgomenta, mi accorsi che tutti i miei vestiti preferiti – quelli, cioè, dalle tonalità purpuree – erano da lavare!

Stavo ancora osservando il mio armadio quando la porta si spalancò, e io non ebbi neanche il tempo di chiedermi chi fosse, che il Re aveva fatto il suo ingresso nella stanza – lo riconobbi dalla voce, non mi voltai neppure per guardarlo in faccia.

Sentii che scambiava qualche parola con l’ancella e che quest’ultima se ne andava sotto sua richiesta. Un tonfo mi distrasse dai miei futili pensieri sull’abbigliamento. Era stato provocato da un vestito che veniva gettato dal Re sul mio letto.

Lo fissai, uno sguardo una domanda.

- Mihe, vorresti provare questo abito? – mi domandò dolcemente.

Mi avvicinai, notando che – meraviglia delle meraviglie! – l’abito era di velluto cremisi.

Gli regalai il migliore dei miei sorrisi, prendendo il morbido tessuto tra le braccia e andando a cambiarmi nella stanza adiacente.

Mi infilai velocemente il vestito, morbido sulla mia pelle. Era di fattura semplice: il busto leggermente stretto, la gonna che si apriva, e dalla vita formava morbide onde, il modesto scollo a cuore, quello un po’ più generoso sulla schiena, le ampie maniche e il guanti lunghi fino al gomito, in tinta con l’abito.

E poi rosso, come il tramonto. La mia carnagione non stonava affatto con il cremisi: ero leggermente abbronzata, cosa molto rara per un’abitate di Bosco Atro. Io e la defunta Regina eravamo due delle poche.

Mi diressi verso la camera vicina, tenendo appena alzata la gonna perché non strisciasse sul pavimento.

Lo sguardo del Re mi stupì. Non era solo uno sguardo del tipo “Sei bellissima complimenti”, era stranissimo… proiettato nel passato? Perché guardava me con quello sguardo?

Prima ancora che riuscissi a formulare il pensiero per intero mi arrivò la risposta… che sciocca! Sua moglie.

- Mio Re… - mormorai a disagio, avvicinandomi piano a lui e torcendomi le mani. Lui si riscosse, e mi rivolse – ora – il solito vecchio sorriso “Sei bellissima complimenti”.

- Sei… bellissima… – mi disse, come volevasi dimostrare.

- Mio Re – lo guardai, sospettosa. – questo abito… -

- …è tuo, ora -

- Ora… - ripetei. - …ma prima…? -

Quando il suo sguardo s’incupì, ebbi la mia risposta.

- La Regina – mi dissi da sola.

- Ti sta perfettamente, mihe -

- Grazie. Ora, puoi chiamare un’ancella? Ti raggiungerò tra poco – lui annuì, lasciando la stanza.

Poco dopo, la stessa ancella di prima entrò, spalancando teatralmente la bocca alla mia vista.

- Siete… bellissima, Principessa! – mi disse, senza fiato. Le rivolsi un mezzo sorriso, che però la soddisfò comunque. Si diresse verso di me allegra, facendomi segno di sedermi alla sedia e cominciando a chiacchierare. Mi lasciai trasportare dalle sue parole, tuttavia senza sentirle.

- …i vostri boccoli si sono tutti disfatti durante i sonno… avete dei capelli così belli, dovreste curarvene di più! Oh, se solo io avessi avuto la vostra stessa fortuna…! -

 

Quando non sentì più il pettine o le sue mani tra i capelli, mi alzai, ponendo fine alle sue chiacchiere.

Mi diressi alla porta aprendola e girandomi un’ultima volta verso l’ancella, e gratificandola con il mio migliore sorriso: in fondo, con le sue parole mi aveva distratto.

 

Accidenti!

Avevo detto al Re che lo avrei raggiunto a breve… il problema era: dove diavolo si era cacciato?!

Sbuffai seccata, mentre uno dei miei boccoli castano scuro si alzava in sintonia col mio sbuffo.

Mi sfuggii una risatina.

Mi guardai ancora intorno, cercando di capire dove mi trovassi… incredibile!

Era praticamente da quando era morta la Regina, e il Re aveva sentito il bisogno di trovare una fidanzata al suo figlio maggiore, che vivevo a castello, ma riuscivo ancora a perdermi!

Maledissi silenziosamente le ancelle – che erano sempre tra i piedi e quando servivano scomparivano – centinaia di volte, finché non incrociai quella che poteva ormai dirsi la mia vecchia amica, l’ancella che mi era sempre tra i piedi ma che, questa volta, non poteva rivelarsi più provvidenziale.

- Principessa! – mi chiamò stupita. Corsi subito verso di lei, con uno spontaneo moto di affetto nei suoi confronti.

- Grazie al cielo! Dov’è il Re? – le domandai.

- Vi stava cercando – mi rispose con un’espressione confusa. – Ma voi cosa ci fate qui? -

- Mi sono persa – ammisi imbarazzata. Lei mi sorrise.

- Venite, vi accompagno da lui. È nelle sue stanze, vi aspettava per poi uscire… è in programma un’uscita ufficiale, o qualcosa del genere… penso vi spiegherà meglio il Re -

Seguii silenziosamente l’ancella, cercando di imprimermi nella memoria quei luoghi, per non perdermi più – impresa disperata, ma faceva lo stesso – ed evitare di fare altre figure del genere.

Quando l’ancella mi lasciò davanti alla porta del soggiorno personale del Re, un’improvvisa timidezza nient’affatto da me mi prese.

La ignorai, ripetendomi che non mi poteva mica mangiare, il Re, e mi decisi a bussare. Nessuno mi rispose, e bussai di nuovo. Dopo un po’ mi stufai ed entrai, aspettandomi di vedere il Re, magari appisolato su una poltrona.

E lo vidi. Ma non era da solo.

Legolas mi dava le spalle – non si era accorto di me – e guardava, fuori dalla finestra chiusa, il cielo. Indossava dei pantaloni color panna e una camicia in tinta, i capelli biondi sciolti sulle spalle, l’inseparabile arco stretto tra le mani.

Legolas ama il suo arco. Lo ama più di qualunque altra cosa – e forse anche persona – e ciò, anche se da un lato mi infastidisce, dall’altro mi riempie di orgoglio. Da quando gliel’ho regalato, praticamente, non se ne separa mai. Eppure – nonostante tutto questo amore – non si è mai accorto dell’incisione con le nostre iniziali che gli ho fatto. È molto piccola e nascosta, ma anche lui è davvero distratto.

Alla sua vista mi uscì una specie di strano verso senza nessun senso, dallo stupore e dalla paura. Incredibile! Ora avevo paura di lui!

Ma sì, mi dissi. Io avevo sempre avuto paura di lui, paura che mi odiasse, che mi disprezzasse, che mi giudicasse sciocca, paura di ogni suo giudizio, paura di non essere amata da lui.

E continuo ad aver paura. Io non sono amata da lui. Oltre al fatto che non ha mai detto il contrario, è una cosa naturale. Forse il Re non lo sa, ma non tutti riescono ad innamorarsi a comando.

Lui mi raccontava sempre di come ci fosse invece riuscito, e si era innamorato della Regina, della sua promessa sposa. Legolas probabilmente non ha preso questo lato della sua personalità dal padre.

Chissà se la Regina era innamorata del suo Re…

Scacciai questi sciocchi pensieri dalla testa con un impercettibile cenno del capo.

- Io… ho bussato ma… - la mia giustificazione venne interrotta da Legolas che, al suono della mia voce, si era girato di scatto, l’arco stretto convulsamente, come se potesse dargli la forza necessaria – forse anch’io facevo paura a lui quanta lui a me?

- Alayes… - mi disse con voce strozzata.

- Principe – replicai asciutta. – Come vi dicevo, ho bussato, ma nessuno mi ha risposto – continuai indicando la porta.

Il Re mi si avvicinò, posandomi una mano sulla spalla.

- Io vi lascio soli, Mihe, così potrete parlare -

Della sua frase mi rimase impresso soltanto il fatto che lui mi aveva chiamata Mihe in presenza di Legolas, cosa che non aveva mai fatto.

Solo quando uscì dalla stanza chiudendosi la porta dietro le spalle, afferrai tutta la frase.

Mi voltai verso il Principe, guardandolo alla ricerca di qualcosa che mi facesse capire che non era arrabbiato con me.

Lui rimase immobile, impassibile, fissando l’arco tra le sue mani come se ci fosse impresso il segreto dell’eterna giovinezza – no, non era un paragone calzante – come se ci fosse impressa la fine che avrebbe fatto la Compagnia dell’Anello – ecco, questo andava meglio.

Fu allora che persi la pazienza.

Con un rabbia incredibile in corpo mi avvicinai a lui e gli strappai l’arco di mano, violentemente – e, tra l’altro, dovetti metterci più forza di quanto avevo calcolato… lo stringeva davvero forte, quel maledetto affare!

Mi guardò, stupito che la sua calma e dolce fidanzatina avesse avuto tale reazione violenta.

- Parlatemi, Legolas! Non posso leggervi nel pensiero, non è tra le mie facoltà! E visto che la lingua ce l’avete quando volete, usatela! – sbottai.

- Alayes… - prese un profondo sospiro, come se fosse stato pronto a battere il record mondiale di apnea. – perché sei fuggita ieri sera? -

- Mi chiedete perché… - strinsi gli occhi in due fessure, fissandolo attentamente. – sono fuggita ieri sera? Non ve ne rendete conto? -

- No, non me ne rendo conto – mi disse, con lo stesso tono di un bambino che ribatteva arrabbiato alla madre che non gli dava una caramella.

- Voi… voi… - ricorsi a tutte le tecniche rilassatrici di mia conoscenza per non dargli uno schiaffo.

Respirai profondamente, per calmarmi.

- E poi, non saresti più contenta se non tornassi? Saresti libera dal tuo fidanzamento imposto… avete detto così, le vostre esatte parole… è come… come… come se voi credeste davvero che io… fossi più contenta che voi moriste… come se io fossi solo una bambina viziata che… oh, ma avete così poca considerazione di me? -

- Ma Alayes! Non è affatto vero, e tu lo sai! Ti ho già detto che non morirò, e poi sei tu quella con lo sguardo sempre triste! Non capisci quanto sia frustrante, per me? Ti osservo da lontano, vedo che sei triste… penso: “Alay non sta bene, adesso vado e mi faccio dire cos’ha”. Arrivo, e tu ti stampi in faccia quel tuo eterno sorriso, e mi fai sentire stupido. “Ma no, che dici? Io triste? Figuriamoci!” Succede sempre così! E io non lo sopporto, che tu finga con me! – sferrò un violento pugno sul tavolo, un’espressione che non gli avevo mai visto sul viso… ferito? È ferito? …Io l’ho ferito?

- Ma, mio Principe… - cominciai, ma lui mi interruppe, lanciandomi un altro di quegli sguardi che non gli avevo mai visto, ferito e arrabbiato. Cosa diavolo gli stava succedendo?!

- E non sopporto quando dici così! -

- Cosa? -

- Principe! E… il voi! Sembra… che siamo estranei… e mio padre… lui no, a lui dai del tu, ed ha un titolo nobiliare ben più alto del mio! È insopportabile! Ti ha anche chiamato Mihe! -

Speravo vivamente che non fosse così stolto da essere geloso di suo padre, ma…

Sospirai.

- E va bene, Legolas… e se io ti dicessi che, magari, quando tu arrivi io non sono più triste? E se poi… facciamo il caso che io finga. Perché credi che lo faccia? -

- Non lo so, dimmelo tu - Era scontroso… non era mai stato scontroso, da che lo conoscevo. Quando riuscirò a capire cosa cavolo gli passa per la testa sarò una donna felice!

- Ma è per non farti preoccupare, Legolas… - perché non riusciva a capire?

- Perfetto, poniamo il caso che sia davvero così… -

- Ma è così! -

- Ti farebbe piacere che io ti mentissi, ti nascondessi un mio problema giusto per non farti preoccupare? E poi mi piacerebbe sapere cosa nascondi! Non sei felice, qui? -

- No! – mi affrettai a smentire… forse anche troppo in fretta… – In ogni caso… ogni donna ha i suoi giorni no… è perché tu non conosci le donne! -

Mi guardò confuso.

- Oh, lascia perdere! – ci mancava solo che mi venisse a chiedere delucidazioni sull’argomento! – Che ne dici se chiudessimo l’argomento? Mh? -

- Per ora sì, ma al mio ritorno riapriremo il discorso! -

- Tornerai? -

- Sì -

- È una promessa? -

- No. Tornerò, farò il possibile, ti posso solo dare la mia parola che farò il possibile. Non farmi promettere cose che non sono certo di mantenere -

- Cerca di fare anche l’impossibile -

Gli sorrisi, e mi avvicinai a lui. Strinsi fra le dita la stoffa della sua camicia, fissando il pavimento.

- Non rischiare inutilmente… -

- Non ho paura -

- I coraggiosi non sono coloro che non hanno paura, ma coloro che sanno dissimularla. Solo gli sciocchi non hanno paura… il coraggio non è rischiare inutilmente la vita, non è essere avventati… -

- Basta, Alayes… ho capito – sentii un suo braccio che mi cingeva la vita, l’altro mi accarezzava la schiena. Appoggiai la fronte sul suo petto per nascondere il rossore. – Mi mancheranno le tue perle di saggezza – commentò.

Sorrisi leggermente alla sua presa in giro, ma il fatto che scherzasse mi rincuorava un po’.

Rimase un attimo in silenzio, poi continuò:

- Mi mancherai molto… - disse, poi si interruppe. – E, ogni volta che impugnerò il mio arco, ti giuro che penserò a te… -

Mi staccai da lui e lo guardai, imbronciata.

- Sarebbe meglio di no! – gli dissi, agitandogli un dito davanti alla faccia. – Che succede se pensi a me, ti viene in mente il mio viso, ti spaventi e ti cade l’arco?! I nemici ne approfitterebbero! Possibile che devo venirti a spiegare anche le cose più elementari? -

Lui scoppiò a ridere, una risata sincera, fresca, come me le ricordavo.

Poi alzò la mano e fece per scompigliarmi i capelli, ma gliela presi e lo bloccai, intrecciandola con la mia.

- Legolas… hai una vaga idea di quanto ci ha messo quella benedetta ancella a pettinarmi?! – gli chiesi fingendomi seccata.

Mi guardò stupito.

- Da quando in qua ti preoccupi dei capelli?! – ribatté, con in viso l’espressione più buffa che avessi mai visto.

Gli lasciai la mano, lisciandomi il vestito e guardando in basso. Poi alzai lo sguardo e gli feci l’occhiolino, dirigendomi verso la porta e aprendola.

- Non conosci le donne! -

 

Guardai, senza davvero vederlo, il paesaggio al di fuori del finestrino della carrozza. Al mio fianco, il Re, e di fronte a me, il Principe.

Perfetto, c’erano due notizie, una buona e una cattiva. Quella buona: non era in programma la noiosa giornata piena di noiosi saluti a tutte le noiose autorità del regno che mi ero aspettata. Quella cattiva: stavamo andando a trovare la mia “gemella buona”. O, in altre parole, andavamo alla tomba della Regina.

Come avrei dovuto sentirmi? Non lo sapevo.

Non ero mai stata nella foresta reale – nessuno era mai stato nella foresta reale. Perché? Beh, era semplice: solo dopo la morte della Regina ero andata a vivere a palazzo e, a quanto mi risultava, né il Re, né Legolas erano mai andati nella foresta reale dove erano sepolti i parenti del Re o, se c’erano andati, non mi avevano mai chiesto di andare con loro.

Legolas sapeva già tutto. Lo avevo capito quando mi aveva messo per un attimo il braccio intorno alle spalle, dicendomi di non preoccuparmi e che dopo saremo andati in un posto speciale. “Un posto speciale” naturalmente non era la tomba di sua madre, quindi dovevo aspettarmi un’ulteriore sorpresa. Troppe emozioni non mi facevano bene!

E fu così che cominciai ad apprezzare le visite ufficiali…

 

La carrozza si fermò, e qualcuno all’esterno aprì la porta. Scesero prima Legolas e suo padre. Poi il Principe mi porse la mano – questo era strano, di solito lo doveva fare il paggio – e io la presi – non per essere polemica, ma riuscivo a scendere benissimo anche da sola.

Quando scesi Legolas non smise di stringere forte la mia mano, per farmi coraggio… mi leggeva nel pensiero? Ne avevo davvero bisogno.

- Stai tremando… - mi fece notare il Principe. Era vero. Volevo smettere, ma non ci riuscivo… ero terrorizzata, ma non sapevo da cosa.

- Tranquilla… - mi sussurrò all’orecchio, cominciando ad incamminarsi verso la foresta. Il Re era a qualche passo da noi, mentre il paggio era rimasto al limitare degli alberi.

Io fui letteralmente trascinata da Legolas, che mi teneva per una mano e, ad ogni passo che facevo, un senso sempre più grande di oppressione mi attanagliava il cuore.

Dopo un paio di metri, nei quali dovette trascinarmi, mi decisi a prendere coraggio e lo affiancai.

La tomba era situata al centro della foresta, a quanto avevo sentito, ma ci arrivammo abbastanza velocemente.

Poco prima dell’arrivo Legolas mi lasciò la mano, correndo davanti a me. Io, che non avevo assolutamente fretta di arrivare, mantenni il passo. Per farmi strada dovetti scostare un ramo più basso di un albero, e fu allora che la vidi.

Legolas e suo padre osservavano una statua. Era davvero una bellissima statua, interamente in marmo candido, e raffigurava… beh, immagino raffigurasse la Regina, ma io non potevo fare a meno di rivedere me stessa in quell’immagine.

Quando sentirono il rumore dei miei passi vicino, entrambi gli uomini si girarono verso nella mia direzione, aspettando una reazione, qualcosa, da me.

Io ero rimasta pietrificata, con ancora la mano alzata a scostare il ramo, la bocca semi spalancata, immobile.

- Alayes… - cominciò Legolas, evidentemente a disagio. La statua raffigurava una donna, una bellissima donna, dai boccoli – beh, avrei detto castani, ma in realtà erano bianchi, come il marmo – un po’ più corti dei miei, che le arrivavano alle spalle e, me ne accorsi solo quando mi avvicinai ulteriormente alla statua… il mio stesso abito.

- In realtà, Mihe – mi disse il Re, tornando ad osservare la statua. – Quel vestito non è mai stato della Regina… dopo che lo scultore aveva completato la statua, il vestito mi piacque. Poi ti conobbi, e pensai che ti sarebbe stato bene. Allora chiesi ad un sarto di farne uno per te… -

Improvvisamente, tutti i pensieri nella mia testa si erano volatilizzati. Non riuscivo a riflettere sul significato profondo delle sue parole, solo una domanda premeva con forza per uscire dalle mia labbra. Era una domanda sciocca, che in apparenza non centrava niente, ma sentivo l’impulso di porla.

Chi ha scelto il colore del tramonto?

Stavo per farlo, quando la mia attenzione fu catturata dalla lapide al fianco della scultura.

Ignorando totalmente sia il Principe che il Re, mi avvicinai ad essa e mi ci inginocchiai davanti, intrecciando le mani. Non vi era alcuna iscrizione, solo l’incisione di un rampicante fiorito ornava il monumento funerario della regina. I fiori erano probabilmente delle rose – questo mi scosse. Forse… forse era solo una macabra coincidenza, ma il mio nome aveva un significato molto simile.

Mi alzai bruscamente, convincendomi che era davvero solamente una coincidenza.

Mi girai, dando le spalle a quella lapide e a quella statua di una donna che mi somigliava in maniera tale da sentirmi male, e chiesi il permesso di tornare alla carrozza. Senza aspettare la risposta, lasciai la piccola radura.

 

No, no, no!

Non era possibile! Non di nuovo!! Non lì!

Mi presi la testa tra le mani, sconsolata, pestando i piedi per terra come una bambina. Perché? Perché certe cose succedevano solo a me?

Forse Legolas aveva ragione quando mi diceva che…

- Non sai orientarti nei grandi spazi, Alayes. Dove pensi di andare? – mi redarguì una voce alla mia spalle. Mi girai di scatto e vidi Legolas.

- Ahh! – un grido gioioso mi uscì dalle labbra, mentre lo raggiungevo e gli gettavo le braccia al collo. – Sei la mia salvezza!! -

Legolas scosse la testa un paio di volte, fingendosi seccato.

- Ahh, ma cosa devo fare io con te? Eh? Me lo dici? -

Ignorandolo, feci un giro su me stessa, contenta, e battei le mani.

- Allora, dove siamo? Eh? Me lo dici? – lo scimmiottai.

- Esattamente dalla parte opposta della foresta rispetto al luogo dove si trova la carrozza – mi informò sghignazzando.

Ridacchiai un poco, imbarazzata.

- Allora muoviamoci, cosa aspettiamo? – dissi allegramente, precedendolo.

- Alayes… -

- Sì? -

- La carrozza è dall’altra parte! -

Mi voltai e vidi Legolas che indicava col braccio la direzione opposta a quella nella quale mi stavo dirigendo.

- Sei irrecuperabile! – sentenziò scuotendo la testa.

- Ho tante altre qualità! – sostenni decisa.

 

Il paesaggio scorreva veloce davanti ai miei occhi. Improvvisamente sentii una mano che mi spostava una ciocca di capelli dal viso, e mi voltai.

- Siamo quasi arrivati – mi disse Legolas sorridendo dolcemente.

- Dove? -

- Questo me l’hai già chiesto, piccola -

- E tu non mi hai risposto… e non sono piccola! -

Sorrise enigmatico in risposta, e io distolsi lo sguardo, sbuffando.

Mi portai lentamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio e accavallai le gambe molto poco signorilmente.

Il mio sguardo si posò sul Re.

Aveva il volto pensieroso, incupito, perso chissà dietro quali pensieri. In effetti, non eravamo poi così diversi, noi due. Neanche io ero proprio al massimo della forma.

Era seduto di fronte a me e a Legolas, nella carrozza, e continuava a tormentarsi un lembo del vestito.

Mi alzai, sedendomi di fianco a lui e prendendogli una mano.

- Mio re, cosa ti turba? -

Lui parve risvegliarsi in quel momento da una specie di sonno incantato.

- Eh? – fece, come accorgendosi in quel momento della presenza mia e del figlio.

Legolas sospirò, tornando a guardare fuori dalla carrozza. Lui sapeva qualcosa che io non sapevo… come, per esempio, la nostra destinazione. E ciò non mi piaceva.

 

Capii dove eravamo diretti solo quando fummo proprio di fronte a una povera casa di campagna.

Un Elfo era seduto su un sedia di paglia nella piccola veranda, e aveva gli occhi vacui, assenti. Era cieco.

Non lo vedevo da anni, molti anni. Ma non mi ci volle niente a riconoscerlo, anche guardandolo da lontano dal finestrino della carrozza.

- I-io… io non… - balbettai confusa guardando Legolas. Il mio sguardo si posò sul Re.

- Va da lui – sospirò. – Io tornerò nella foresta reale. Ti veniamo a prendere fra un po’ -

Legolas mi sorrise caldamente.

- Io scendo con te – mi disse. Mi sorrise. Il mio cuore accelerò i battiti e le lacrime tornarono a pungermi gli occhi.

Sentii la mia mano afferrata dalla sua e lui che mi tirava per farmi scendere dalla carrozza.

E in quel momento non ero più cosciente di niente: del fatto che mi sarei tormentata per tutti i giorni e i mesi a venire per Legolas, che mi sarei chiesta perché lui era così dolce con me, alle volte, e così cocciuto e testardo e incredibilmente stupido altre, sui sentimenti del Re e sulla Regina e sulle mie visioni o quant’altro… urlai quella parola, la urlai con quando fiato avevo in gola.

- Padre! -

Lasciai la mano di Legolas e corsi verso di lui che naturalmente si era accorto di me solo quando avevo urlato… e lo abbracciai… e piansi.

Legolas mi segui camminando lentamente e ci guardò.

Mio padre mi accarezzava il viso, cercando con le mani di vedere il quel modo speciale che sapeva fare solo lui.

- Alayes, Alayes… cosa fai qui? La mia bambina... – si era alzato e ci abbracciavamo. Dietro di me c’era Legolas.

- Ehi, ehi, basta piangere… - mi staccò delicatamente dall’abbraccio di mio padre e mi asciugò le lacrime con la punta delle dita. Questo suo gesto così dolce mi fece piangere ancora di più.

Mi strinsi al suo petto, passandogli un braccio intorno alla vita, stringendolo come una bambina, e sorrisi.

- Grazie, Legolas… grazie… - mormorai. Sentii che mi stringeva più forte.

- Principe Legolas… - mio padre si inchinò goffamente. Alzai il viso, e notai che le guance di Legolas si erano leggermente colorate di rosso.

- N-no, non inchinarti, per favore… - mormorò imbarazzato.

Mi sciolsi dal suo abbraccio a spalancai le braccia, come accogliendo contro di me tutto il posto.

- Amo questo luogo! Sono a casa, papà! -

Il mio vecchio genitore sorrise col suo sorriso sdentato.

Cominciai a correre verso casa, non curandomi del mio bel vestito che strusciava per terra. Oramai nulla aveva più importanza… non facevo caso a niente: quel che era importante, per me, era che mi trovavo a casa.

Quello fu un errore.

Se avessi fatto attenzione, avrei notato il sorriso scomparire dal volto immorale del mio nobile promesso.

 

Quel giorno fui felice. Non sapevo cosa aspettava me, aspettava Legolas… quel giorno osservammo il tramonto insieme, e seppi che mi voleva bene… non mi amava, di questo ne ero praticamente sicura, ma c’era tempo… se fosse sopravvissuto.

Sì, sarebbe sopravvissuto, decisi dentro di me. Lo sentivo, non come una delle mie visioni, ma come una speranza che nasceva dal profondo del mio cuore.

E l’unica cosa che speravo era che quella speranza non dovesse andarsene sottomessa dalla realtà dei fatti… come il sole se ne andava, sottomesso dalla luna… come il tramonto.

 

 

FINE?

 

Avrei in mente un seguito… ma solo se mi lasciate un commentino!

 

(*)Ho fatto un anagramma… Mihe è l’anagramma di Hime, che significa la stessa cosa, solo in giapponese!

  
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