Questa fanfiction non è nata per essere fedele al libro… tutt’altro. È nata per essere il sogno di una mia amica… che non la leggerà mai, ma che probabilmente sarebbe stata contenta di leggerla e di sapere che è stata scritta pensando a quanto è speciale.
Se non vi piacerà, mi dispiace. Questo è solo il nostro piccolo sogno.
A Marina,
che è
bellissima e perfetta proprio come Alayes;
che ama
Legolas proprio come lo ama lei, e forse un po’ di più;
che è
speciale anche senza visioni sensazionali;
che è l’amica che tutti
sognano, e ora io non la sogno più: mi basta voltarmi per vederla sorridere.
Grazie di
esistere.
Come il tramonto
Che bel tramonto sarebbe stato quello… a riscaldare il
mio cuore, a consolare la mia anima ferita… rosso come il fuoco, rosso come la
passione, splendido e immortale… come me, come il mio corpo che era proprio
così… immortale.
Chissà quante volte un tramonto simile aveva
accarezzato la pelle di una fanciulla come me, che soffriva come me… con
un’anima imprigionata, incatenata.
Come il tramonto, che poteva carezzarmi la pelle e
consolarmi solo fino a quando la notte e la luna gliel’avessero concesso… e poi
basta, poi avrebbe dovuto ubbidire, e sottomettersi docilmente.
Io, come il tramonto. La storia del mio amore, che
forse è destinata a tramontare… o forse non è mai sorta.
Ma, se volete, ve la narrerò.
Rimasi immobile, pietrificata, mentre, lentamente, davanti a me si formava la Compagnia dell’Anello…
Non
so come esattamente come, ma seppi subito, con una certezza incredibile, senza
l’ombra del dubbio, che anche lui ne avrebbe fatto parte…
Infatti,
limpida e chiara, sentii la sua voce, che offriva se stesso e il suo arco, per
la causa del bene…
Penso
che non mi abbia nemmeno notata, quando sono fuggita in lacrime… in effetti,
come avrebbe potuto sapere che ero lì? Sono stata nascosta tutto il tempo.
Nonostante non ne abbia l’aspetto sono un’Elfa anch’io e so essere molto
silenziosa a volte.
E,
forse, anche se mi avesse sentito, non ci avrebbe fatto caso… non mi illudevo
certo di essere più importante, per lui, del suo orgoglio e della sua sete di
avventure…
-
Mihe (*), stai bene? Cosa ti turba? -
Alzai
la testa di scatto. Nella mia amarezza, non mi ero neanche accorta di essere in
compagnia. Non ebbi neppure bisogno di guardare in faccia il mio interlocutore
per sapere che si trattava del Re. Lui probabilmente se n’era accorto, che ero
scappata in lacrime… ironia della sorte.
Mi
piace quando mi chiama così… Mihe. Lo fa solo raramente, quando siamo soli. Il
nostro piccolo segreto. Mihe è un vezzeggiativo, significa piccola principessa,
o qualcosa del genere. Non ti aspetteresti che un Re si rivolga così a qualcuno
che non è neanche suo parente.
-
Sto bene, sto bene… - mentii. Penso che non ci abbia creduto neanche un
momento.
Si
sedette accanto a me sul bordo della fontana. Nell’acqua cristallina, il sole
creava suggestivi giochi di luce arancione.
Oramai
era il tramonto. Adoravo il tramonto… non sapevo perché, sapevo solo che
l’adoravo. Mi piaceva molto il rosso… tutte le sfumature del rosso. Anche quei
giorni in cui il cielo diventava rosa pastello, l’adoravo comunque.
-
Mihe… - mormorò l’elfo accanto a me. – Tu lo sai che Legolas…? -
-
…partirà con la Compagnia? Sì. -
Lui
annuì, come se quello spiegasse tutto.
-
Ma, vedi, tornerà… - mi disse.
-
Tornerà, forse… - ripetei. – Ma quando? E in quali condizioni? -
Mi
guardò, stupito.
-
Qualunque ferita, si rimarginerà… -
-
Sì, forse. Una ferita del corpo… ma cosa mi dici delle ferite dell’anima? Degli
orrori della guerra? Di quel mostro che è la morte? – domandai, tutto d’un
fiato.
-
Non lo so, mihe… ma Legolas è forte -
-
È avventato! – ribattei. Non sapevo perché stavo discutendo con il Re del
carattere del Principe, né perché ce l’avessi tanto con lui… sapevo solo che
una furia terribile aveva preso possesso di me, scacciando il dolore.
-
Lo guarirai tu, mihe… -
Mi
alzai in piedi, dandogli le spalle.
-
Non so se ne sarò capace… - dissi in un soffio, mentre una leggera brezza
primaverile muoveva i miei capelli, che sembravano riflettere, al pari
dell’acqua, la luce del tramonto, parendo rossi.
Sentii
una mano del Sovrano di Bosco Atro sulla spalla, vano tentativo di conforto…
Sorrisi
amaramente tra me.
-
Te l’ho mai detto che sei uguale a lei? -
Non
c’era bisogno che mi dicesse di che lei parlava, lo sapevamo tutti e due fin
troppo bene… il mio incubo quotidiano.
-
Migliaia di volte! – gli risposi accennando un falso sorriso.
-
Allora non abbatterti e sorridi, mihe… - sentii dei passi alle mie spalle, e
seppi che se n’è andato.
Ora
non mi rimaneva che prepararmi psicologicamente all’entusiasmo del Principe
Legolas…
-
Alay! – Legolas era molto vicino a me, e mi aveva preso le mani con foga. – Ma
ci pensi? Farò parte della Compagnia dell’Anello! -
Bruscamente,
ritirai le mani.
Però,
poi, di fronte al suo sguardo stupito e ferito, il mio volto si distese nel mio
più dolce e falso sorriso.
-
Sono felice per voi, mio Principe – gli dissi, piegando appena la testa e
lasciando che un boccolo scuro mi coprisse il viso. Se avesse visto… avrebbe
capito, subito. Ma non avrebbe fatto comunque differenza.
-
Alayes… - perché, ora, il mio nome ha un suono così triste, se lui lo dice in
quel modo?
-
Scusatemi… solo, sono un po’ preoccupata… -
-
Alay! Anche se tutti ti dicono che sei uguale a mia madre, non c’è bisogno che
ti comporti come tale! – mi disse scherzosamente, scompigliandomi i capelli con
una mano.
-
Avete ragione. Non mi preoccuperò più per voi, se è questo che volete – dissi
cupamente, voltandomi e avvicinandomi alla porta.
La
aprii e mi girai un’ultima volta.
-
Ci vediamo a cena, mio Principe – conclusi, chiudendo la porta dietro di me, e
lasciando solo uno stupito e confuso Principe degli Elfi.
Lo
specchio, di fronte a me, mi riflesse un’immagine del mio volto triste.
-
Siete bellissima, Principessa! – ciarlò un’ancella, poggiandomi sul capo un
sottile cerchio d’argento.
Magari
sarò anche stata bellissima, ma non m’importava. Mi tolsi il diadema dal capo,
chiedendo alla moltitudine di donne che occupava la mia stanza – non si sapeva
perché, ma il Re era convinto che avessi bisogno di aiuto per vestirmi – di
lasciarmi sola.
Loro
annuirono, probabilmente contente della loro opera. Che sarei poi stata io.
Una
di loro si chiuse delicatamente la porta alle spalle, lanciandomi uno sguardo,
quasi a dire ‘vi comprendo’. Mi venne voglia di lanciarle il diadema addosso.
Cosa
sono io? In questo momento, se qualcuno mi vedesse, mi descriverebbe
semplicemente come una bellissima principessa, dai lunghi boccoli castano scuro
intrecciati magistralmente dalle mani sapienti di qualche ancella, gli occhi
grigio-blu – come il mare in tempesta, diceva Legolas, e non avevo mai capito
se era un complimento – un elegante abito color argento, un mantello candido
sulle spalle, e basta. Lo sguardo infinitamente triste nessuno l’avrebbe
menzionato, forse per non far notare a – qualcuno a caso – il Re o al suo
nobile figlio quanto io sia contrariata.
Strinsi
forte fra le mani il diadema, finché non sentii dolore.
La
mia solitudine non durò a lungo. Un’altra ancella entrò nella stanza,
annunciandomi che ero attesa per la cena.
Mi
posi di nuovo il diadema sul capo, seguendola docilmente.
-
Mi dici cos’hai? -
-
No, se non lo comprendete da voi -
Il
mio lapidario scambio di gentilezze con Legolas passò fortunatamente
inosservato agli occhi dei commensali.
-
Sei strana oggi -
-
Sono onorata che voi ve ne siate accorto -
Ero
veramente stufa di fare l’offesa, ma non ci potevo fare niente, ero offesa
veramente!
Mi
stavo comportando come una principessa capricciosa… non lo ero mai stata prima.
Quando
ancora non vivevo a corte non me lo potevo permettere… e, dopo, ero così grata
e persa nel mio sogno… non avevo nulla di cui lamentarmi. Conducevo una vita
splendida e fortunata, che adoravo. Certo, gli impegni ufficiali mi pesavano un
po’, ma fosse stato solo quello…
Abbassai
lo sguardo dedicandomi alla mia cena – cosa stavo mangiando, poi? – cercando di
ignorare lo sguardo di Legolas su di me. Decisi che devo fare qualcosa per
farmi perdonare, anche se non ne avevo la benché minima voglia.
Mi
si presentò l’occasione quando una mano del Principe si posò sulla mia.
-
Balleresti con me? -
-
Certo, mio Principe -
Intrecciai
le dita della mia mano con le sue, decisa a non rendermi odiosa ai suoi occhi
proprio prima della sua partenza. Almeno, volevo che avesse un piacevole ultimo
ricordo di me – sperando che non fosse veramente l’ultimo!
Mi
condusse lentamente nel mezzo della sala, tra diverse altre coppie danzanti, e
cominciammo a ballare.
Visto
che il coraggioso Principe Legolas non pareva intenzionato ad iniziare una
conversazione, decisi che potevo farlo io.
-
Ascoltate, mio Principe… - cominciai. Mi bloccai subito. Non andava bene. –
Ascoltate, Legolas… non volevo essere così brusca. Io sono veramente
preoccupata per voi… -
-
Non devi. Tornerò. E poi, non saresti più contenta se non tornassi? Saresti
libera dal tuo fidanzamento imposto -
Mi
bloccai immediatamente, irrigidendomi tra le sue braccia nel bel mezzo della
sala. Fortunatamente, nessuno si accorse di noi.
In
quel momento feci una cosa che non avrei mai pensato di fare.
Scappai
da Legolas, fuggii praticamente a gambe levate, dicendo addio ai miei buoni
propositi.
Mentre
correvo per i corridoi del palazzo, con le lacrime che mi offuscavano la vista,
mi chiesi come potesse aver detto una cattiveria simile. Pensava veramente
quello che aveva detto? E io che pensavo mi conoscesse! Lui… lui credeva
davvero che avrei gioito della sua morte… era la cosa più orribile che qualcuno
mi avesse mai detto.
Nel
mezzo della mia fuga, urtai contro qualcosa. O, per meglio dire, contro
qualcuno.
Mi
affrettai a cancellare le lacrime, fissando la persona davanti a me, un Hobbit
probabilmente.
Aveva
uno sguardo gentile, e mi sorrideva.
-
Vi siete fatta male, fanciulla? – chiese. – Perdonatemi -
La
colpa era mia, ero io che non guardavo dove andavo, non aveva nulla da farsi
perdonare, ma me lo disse lo stesso. Aveva dei begli occhi, e uno sguardo
limpido. Mi piacque subito.
-
Io sono Frodo Baggins – si presentò. Il portatore dell’Anello! Ecco cosa ci
faceva un Hobbit a Bosco Atro!
-
Alayes – mi presentai bruscamente. Poi mi resi conto di essere stata maleducata,
e aggiunsi nel mio tono più dolce: – Alayes, è questo il mio nome. Tu sei il
Portatore dell’Anello, non è così? -
Lui
spalancò la bocca, probabilmente stupito dal fatto che lo conoscessi.
-
E voi siete la Principessa Alayes, la Promessa Sposa del Principe Legolas – mi
riconobbe immediatamente lui.
Accidenti!
Possibile che io non potessi essere semplicemente Alayes, ma dovessi per forza
essere ‘la Principessa Alayes, Promessa Sposa del Principe Legolas’?
Gli
avrei sputato addosso tanto di quel veleno che probabilmente lui non sapeva
neanche esistesse, se non fossi stata troppo educata – e se non avessi visto
chi avevo visto alle sue spalle.
-
Gandalf il Grigio… - mormorai. Il vecchio mago non sembrò stupito.
-
Alayes, piccola Alayes, come sta la mia allieva prediletta? – mi chiese con un
particolare voce cantilenante. – Da cosa scappavi, piccola Alayes? -
-
Niente che ti riguardi, Gandalf… non credi che dovresti cominciare a prepararti
psicologicamente a morire? – gli chiesi, crudele.
-
Mia piccola Alayes, non essere così pessimista. Vedrai, io e il tuo Principe
torneremo interi. O forse la tua Vista ha squarciato un velo del futuro che ti
preannuncia la nostra morte? -
-
Anche se fosse, la mia Vista non è affar tuo -
-
Sicuramente, mia piccola principessa, sicuramente -
Gli
lanciai uno sguardo di puro odio ma, visto che non si addiceva affatto alla mia
figura, gli regalai subito dopo uno sguardo così dolce che rimase interdetto.
Indietreggiò
un attimo, fino a quando non distolsi lo sguardo.
Scosse
la testa, turbato.
-
Un’ottima Incantatrice, davvero… - commentò.
-
Ti ringrazio, Gandalf. Non per niente, ho avuto un ottimo maestro… -
-
Allora, posso dire di essere stato incantato di rivederti – concluse con
un mezzo inchino.
Chinai
piano il capo.
-
E così l’allieva ha superato il Maestro… ti chiederei di accompagnarci, se non
fossi sicuro che il Principe Legolas non sarebbe d’accordo… sarebbe divertente
vedere la sua reazione, in effetti… -
Non
raccolsi la provocazione, e mi diressi verso le mie stanze, con la spiacevole
sensazione di avere ancora gli occhi di Gandalf puntati addosso.
Quando
sentii il sole in faccia e una voce allegra che ripeteva il mio nome – no, non
il mio nome, il mio acquisito titolo nobiliare – sbattei più volte le palpebre.
Lentamente
misi a fuoco il viso di un’ancella, che mi fissava, ora preoccupata, tenendo
scostati con una mano l’innumerevole quantità di veli di tonalità che variavano
dal giallo al rosso che ornavano il mio letto a baldacchino.
-
Principessa! – mi disse. – Avete dormito vestita? -
Domanda
alquanto stupida, dato che si vedeva abbastanza. Forse me la fece per non
domandarmi se avevo pianto – che sarebbe stata ugualmente una domanda stupida,
essendo quantomeno palese.
-
Ieri ero troppo stanca per cambiarmi… -
…E
quella mattina lo ero troppo per inventarmi una scusa decente. L’ancella
comunque sembrò accettarla, perché annuì comprensiva.
-
Alzatevi, Principessa, fuori è una giornata bellissima e… -
…E
l’ultima che Legolas passerà a Bosco Atro, si trattenne probabilmente
dall’aggiungere. Mi chiedo se tutti pensino che io sia stupida, unicamente una
bambola di porcellana da sfoggiare. Legolas probabilmente lo pensa, soprattutto
perché io non posso fare a meno di comportarmi da fidanzatina fedele.
Mi
lasciai docilmente lavare e vestire, spossata nell’animo.
Forse
sarei dovuta andare da Legolas… probabilmente mi attendeva una noiosissima
giornata a fare la fidanzata – ah, anche le rime mi uscivano ora!
L’ancella
– e, a proposito, avrei dovuto informarmi sul suo nome? – mi porse un vestito
di velluto verde, che io scartai immediatamente con un’occhiataccia.
-
Il Principe Legolas ama il verde… - mi disse candidamente lei. Sbuffai,
infastidita. Ero stufa di colori freddi!
Cosa
mi importava se a Legolas piaceva il verde? Proprio nulla, decisi.
Con
addosso ancora il mio accappatoio mi diressi verso l’armadio scostando
l’ancella, spalancandolo e guardandovi dentro con occhio critico.
Sgomenta,
mi accorsi che tutti i miei vestiti preferiti – quelli, cioè, dalle tonalità
purpuree – erano da lavare!
Stavo
ancora osservando il mio armadio quando la porta si spalancò, e io non ebbi
neanche il tempo di chiedermi chi fosse, che il Re aveva fatto il suo ingresso
nella stanza – lo riconobbi dalla voce, non mi voltai neppure per guardarlo in
faccia.
Sentii
che scambiava qualche parola con l’ancella e che quest’ultima se ne andava
sotto sua richiesta. Un tonfo mi distrasse dai miei futili pensieri
sull’abbigliamento. Era stato provocato da un vestito che veniva gettato dal Re
sul mio letto.
Lo
fissai, uno sguardo una domanda.
-
Mihe, vorresti provare questo abito? – mi domandò dolcemente.
Mi
avvicinai, notando che – meraviglia delle meraviglie! – l’abito era di velluto
cremisi.
Gli
regalai il migliore dei miei sorrisi, prendendo il morbido tessuto tra le
braccia e andando a cambiarmi nella stanza adiacente.
Mi
infilai velocemente il vestito, morbido sulla mia pelle. Era di fattura
semplice: il busto leggermente stretto, la gonna che si apriva, e dalla vita
formava morbide onde, il modesto scollo a cuore, quello un po’ più generoso
sulla schiena, le ampie maniche e il guanti lunghi fino al gomito, in tinta con
l’abito.
E
poi rosso, come il tramonto. La mia carnagione non stonava affatto con il
cremisi: ero leggermente abbronzata, cosa molto rara per un’abitate di Bosco
Atro. Io e la defunta Regina eravamo due delle poche.
Mi
diressi verso la camera vicina, tenendo appena alzata la gonna perché non
strisciasse sul pavimento.
Lo
sguardo del Re mi stupì. Non era solo uno sguardo del tipo “Sei bellissima
complimenti”, era stranissimo… proiettato nel passato? Perché guardava me con
quello sguardo?
Prima
ancora che riuscissi a formulare il pensiero per intero mi arrivò la risposta…
che sciocca! Sua moglie.
-
Mio Re… - mormorai a disagio, avvicinandomi piano a lui e torcendomi le mani.
Lui si riscosse, e mi rivolse – ora – il solito vecchio sorriso “Sei bellissima
complimenti”.
-
Sei… bellissima… – mi disse, come volevasi dimostrare.
-
Mio Re – lo guardai, sospettosa. – questo abito… -
-
…è tuo, ora -
-
Ora… - ripetei. - …ma prima…? -
Quando
il suo sguardo s’incupì, ebbi la mia risposta.
-
La Regina – mi dissi da sola.
-
Ti sta perfettamente, mihe -
-
Grazie. Ora, puoi chiamare un’ancella? Ti raggiungerò tra poco – lui annuì,
lasciando la stanza.
Poco
dopo, la stessa ancella di prima entrò, spalancando teatralmente la bocca alla
mia vista.
-
Siete… bellissima, Principessa! – mi disse, senza fiato. Le rivolsi un mezzo
sorriso, che però la soddisfò comunque. Si diresse verso di me allegra,
facendomi segno di sedermi alla sedia e cominciando a chiacchierare. Mi lasciai
trasportare dalle sue parole, tuttavia senza sentirle.
-
…i vostri boccoli si sono tutti disfatti durante i sonno… avete dei capelli
così belli, dovreste curarvene di più! Oh, se solo io avessi avuto la vostra
stessa fortuna…! -
Quando
non sentì più il pettine o le sue mani tra i capelli, mi alzai, ponendo fine
alle sue chiacchiere.
Mi
diressi alla porta aprendola e girandomi un’ultima volta verso l’ancella, e
gratificandola con il mio migliore sorriso: in fondo, con le sue parole mi
aveva distratto.
Accidenti!
Avevo
detto al Re che lo avrei raggiunto a breve… il problema era: dove diavolo si
era cacciato?!
Sbuffai
seccata, mentre uno dei miei boccoli castano scuro si alzava in sintonia col
mio sbuffo.
Mi
sfuggii una risatina.
Mi
guardai ancora intorno, cercando di capire dove mi trovassi… incredibile!
Era
praticamente da quando era morta la Regina, e il Re aveva sentito il bisogno di
trovare una fidanzata al suo figlio maggiore, che vivevo a castello, ma
riuscivo ancora a perdermi!
Maledissi
silenziosamente le ancelle – che erano sempre tra i piedi e quando servivano
scomparivano – centinaia di volte, finché non incrociai quella che poteva ormai
dirsi la mia vecchia amica, l’ancella che mi era sempre tra i piedi ma che,
questa volta, non poteva rivelarsi più provvidenziale.
-
Principessa! – mi chiamò stupita. Corsi subito verso di lei, con uno spontaneo
moto di affetto nei suoi confronti.
-
Grazie al cielo! Dov’è il Re? – le domandai.
-
Vi stava cercando – mi rispose con un’espressione confusa. – Ma voi cosa ci
fate qui? -
-
Mi sono persa – ammisi imbarazzata. Lei mi sorrise.
-
Venite, vi accompagno da lui. È nelle sue stanze, vi aspettava per poi uscire…
è in programma un’uscita ufficiale, o qualcosa del genere… penso vi spiegherà
meglio il Re -
Seguii
silenziosamente l’ancella, cercando di imprimermi nella memoria quei luoghi,
per non perdermi più – impresa disperata, ma faceva lo stesso – ed evitare di
fare altre figure del genere.
Quando
l’ancella mi lasciò davanti alla porta del soggiorno personale del Re,
un’improvvisa timidezza nient’affatto da me mi prese.
La
ignorai, ripetendomi che non mi poteva mica mangiare, il Re, e mi decisi a
bussare. Nessuno mi rispose, e bussai di nuovo. Dopo un po’ mi stufai ed
entrai, aspettandomi di vedere il Re, magari appisolato su una poltrona.
E
lo vidi. Ma non era da solo.
Legolas
mi dava le spalle – non si era accorto di me – e guardava, fuori dalla finestra
chiusa, il cielo. Indossava dei pantaloni color panna e una camicia in tinta, i
capelli biondi sciolti sulle spalle, l’inseparabile arco stretto tra le mani.
Legolas
ama il suo arco. Lo ama più di qualunque altra cosa – e forse anche persona – e
ciò, anche se da un lato mi infastidisce, dall’altro mi riempie di orgoglio. Da
quando gliel’ho regalato, praticamente, non se ne separa mai. Eppure –
nonostante tutto questo amore – non si è mai accorto dell’incisione con le
nostre iniziali che gli ho fatto. È molto piccola e nascosta, ma anche lui è
davvero distratto.
Alla sua vista mi uscì una specie di strano verso senza nessun senso, dallo stupore e dalla paura. Incredibile! Ora avevo paura di lui!
Ma
sì, mi dissi. Io avevo sempre avuto
paura di lui, paura che mi odiasse, che mi disprezzasse, che mi giudicasse
sciocca, paura di ogni suo giudizio, paura di non essere amata da lui.
E
continuo ad aver paura. Io non sono amata da lui. Oltre al fatto che non
ha mai detto il contrario, è una cosa naturale. Forse il Re non lo sa, ma non
tutti riescono ad innamorarsi a comando.
Lui
mi raccontava sempre di come ci fosse invece riuscito, e si era innamorato della
Regina, della sua promessa sposa. Legolas probabilmente non ha preso questo
lato della sua personalità dal padre.
Chissà
se la Regina era innamorata del suo Re…
Scacciai
questi sciocchi pensieri dalla testa con un impercettibile cenno del capo.
-
Io… ho bussato ma… - la mia giustificazione venne interrotta da Legolas che, al
suono della mia voce, si era girato di scatto, l’arco stretto convulsamente,
come se potesse dargli la forza necessaria – forse anch’io facevo paura a lui
quanta lui a me?
-
Alayes… - mi disse con voce strozzata.
-
Principe – replicai asciutta. – Come vi dicevo, ho bussato, ma nessuno mi ha
risposto – continuai indicando la porta.
Il
Re mi si avvicinò, posandomi una mano sulla spalla.
-
Io vi lascio soli, Mihe, così potrete parlare -
Della
sua frase mi rimase impresso soltanto il fatto che lui mi aveva chiamata Mihe
in presenza di Legolas, cosa che non aveva mai fatto.
Solo
quando uscì dalla stanza chiudendosi la porta dietro le spalle, afferrai tutta
la frase.
Mi
voltai verso il Principe, guardandolo alla ricerca di qualcosa che mi facesse
capire che non era arrabbiato con me.
Lui
rimase immobile, impassibile, fissando l’arco tra le sue mani come se ci fosse
impresso il segreto dell’eterna giovinezza – no, non era un paragone calzante –
come se ci fosse impressa la fine che avrebbe fatto la Compagnia dell’Anello –
ecco, questo andava meglio.
Fu
allora che persi la pazienza.
Con
un rabbia incredibile in corpo mi avvicinai a lui e gli strappai l’arco di
mano, violentemente – e, tra l’altro, dovetti metterci più forza di quanto
avevo calcolato… lo stringeva davvero forte, quel maledetto affare!
Mi
guardò, stupito che la sua calma e dolce fidanzatina avesse avuto tale reazione
violenta.
-
Parlatemi, Legolas! Non posso leggervi nel pensiero, non è tra le mie facoltà!
E visto che la lingua ce l’avete quando volete, usatela! – sbottai.
-
Alayes… - prese un profondo sospiro, come se fosse stato pronto a battere il
record mondiale di apnea. – perché sei fuggita ieri sera? -
-
Mi chiedete perché… - strinsi gli occhi in due fessure, fissandolo
attentamente. – sono fuggita ieri sera? Non ve ne rendete conto? -
-
No, non me ne rendo conto – mi disse, con lo stesso tono di un bambino che
ribatteva arrabbiato alla madre che non gli dava una caramella.
-
Voi… voi… - ricorsi a tutte le tecniche rilassatrici di mia conoscenza per non
dargli uno schiaffo.
Respirai
profondamente, per calmarmi.
-
E poi, non saresti più contenta se non tornassi? Saresti libera dal tuo
fidanzamento imposto… avete detto così, le vostre esatte parole… è come… come…
come se voi credeste davvero che io… fossi più contenta che voi moriste… come
se io fossi solo una bambina viziata che… oh, ma avete così poca considerazione
di me? -
-
Ma Alayes! Non è affatto vero, e tu lo sai! Ti ho già detto che non morirò, e
poi sei tu quella con lo sguardo sempre triste! Non capisci quanto sia
frustrante, per me? Ti osservo da lontano, vedo che sei triste… penso: “Alay
non sta bene, adesso vado e mi faccio dire cos’ha”. Arrivo, e tu ti stampi in faccia
quel tuo eterno sorriso, e mi fai sentire stupido. “Ma no, che dici? Io triste?
Figuriamoci!” Succede sempre così! E io non lo sopporto, che tu finga con me! –
sferrò un violento pugno sul tavolo, un’espressione che non gli avevo mai visto
sul viso… ferito? È ferito? …Io l’ho ferito?
-
Ma, mio Principe… - cominciai, ma lui mi interruppe, lanciandomi un altro di
quegli sguardi che non gli avevo mai visto, ferito e arrabbiato. Cosa diavolo
gli stava succedendo?!
-
E non sopporto quando dici così! -
-
Cosa? -
-
Principe! E… il voi! Sembra… che siamo estranei… e mio padre… lui no, a lui dai
del tu, ed ha un titolo nobiliare ben più alto del mio! È insopportabile! Ti ha
anche chiamato Mihe! -
Speravo
vivamente che non fosse così stolto da essere geloso di suo padre, ma…
Sospirai.
-
E va bene, Legolas… e se io ti dicessi che, magari, quando tu arrivi io non
sono più triste? E se poi… facciamo il caso che io finga. Perché credi che lo
faccia? -
-
Non lo so, dimmelo tu - Era scontroso… non era mai stato scontroso, da che lo
conoscevo. Quando riuscirò a capire cosa cavolo gli passa per la testa sarò una
donna felice!
-
Ma è per non farti preoccupare, Legolas… - perché non riusciva a capire?
-
Perfetto, poniamo il caso che sia davvero così… -
-
Ma è così! -
-
Ti farebbe piacere che io ti mentissi, ti nascondessi un mio problema giusto
per non farti preoccupare? E poi mi piacerebbe sapere cosa nascondi! Non sei
felice, qui? -
-
No! – mi affrettai a smentire… forse anche troppo in fretta… – In ogni caso…
ogni donna ha i suoi giorni no… è perché tu non conosci le donne! -
Mi
guardò confuso.
-
Oh, lascia perdere! – ci mancava solo che mi venisse a chiedere delucidazioni
sull’argomento! – Che ne dici se chiudessimo l’argomento? Mh? -
-
Per ora sì, ma al mio ritorno riapriremo il discorso! -
-
Tornerai? -
-
Sì -
-
È una promessa? -
-
No. Tornerò, farò il possibile, ti posso solo dare la mia parola che farò il
possibile. Non farmi promettere cose che non sono certo di mantenere -
-
Cerca di fare anche l’impossibile -
Gli
sorrisi, e mi avvicinai a lui. Strinsi fra le dita la stoffa della sua camicia,
fissando il pavimento.
-
Non rischiare inutilmente… -
-
Non ho paura -
-
I coraggiosi non sono coloro che non hanno paura, ma coloro che sanno
dissimularla. Solo gli sciocchi non hanno paura… il coraggio non è rischiare
inutilmente la vita, non è essere avventati… -
-
Basta, Alayes… ho capito – sentii un suo braccio che mi cingeva la vita,
l’altro mi accarezzava la schiena. Appoggiai la fronte sul suo petto per
nascondere il rossore. – Mi mancheranno le tue perle di saggezza – commentò.
Sorrisi
leggermente alla sua presa in giro, ma il fatto che scherzasse mi rincuorava un
po’.
Rimase un attimo in
silenzio, poi continuò:
- Mi mancherai molto… -
disse, poi si interruppe. – E, ogni volta che impugnerò il mio arco, ti giuro
che penserò a te… -
Mi staccai da lui e lo
guardai, imbronciata.
- Sarebbe meglio di no! –
gli dissi, agitandogli un dito davanti alla faccia. – Che succede se pensi a
me, ti viene in mente il mio viso, ti spaventi e ti cade l’arco?! I nemici ne
approfitterebbero! Possibile che devo venirti a spiegare anche le cose più
elementari? -
Lui scoppiò a ridere, una
risata sincera, fresca, come me le ricordavo.
Poi alzò la mano e fece per
scompigliarmi i capelli, ma gliela presi e lo bloccai, intrecciandola con la
mia.
- Legolas… hai una vaga
idea di quanto ci ha messo quella benedetta ancella a pettinarmi?! – gli chiesi
fingendomi seccata.
Mi guardò stupito.
- Da quando in qua ti
preoccupi dei capelli?! – ribatté, con in viso l’espressione più buffa che
avessi mai visto.
Gli lasciai la mano,
lisciandomi il vestito e guardando in basso. Poi alzai lo sguardo e gli feci
l’occhiolino, dirigendomi verso la porta e aprendola.
- Non conosci le donne! -
Guardai, senza davvero
vederlo, il paesaggio al di fuori del finestrino della carrozza. Al mio fianco,
il Re, e di fronte a me, il Principe.
Perfetto, c’erano due
notizie, una buona e una cattiva. Quella buona: non era in programma la noiosa
giornata piena di noiosi saluti a tutte le noiose autorità del regno che mi ero
aspettata. Quella cattiva: stavamo andando a trovare la mia “gemella buona”. O,
in altre parole, andavamo alla tomba della Regina.
Come avrei dovuto sentirmi?
Non lo sapevo.
Non ero mai stata nella
foresta reale – nessuno era mai stato nella foresta reale. Perché? Beh, era
semplice: solo dopo la morte della Regina ero andata a vivere a palazzo e, a
quanto mi risultava, né il Re, né Legolas erano mai andati nella foresta reale
dove erano sepolti i parenti del Re o, se c’erano andati, non mi avevano mai
chiesto di andare con loro.
Legolas sapeva già tutto.
Lo avevo capito quando mi aveva messo per un attimo il braccio intorno alle
spalle, dicendomi di non preoccuparmi e che dopo saremo andati in un posto
speciale. “Un posto speciale” naturalmente non era la tomba di sua madre,
quindi dovevo aspettarmi un’ulteriore sorpresa. Troppe emozioni non mi facevano
bene!
E fu così che cominciai ad
apprezzare le visite ufficiali…
La carrozza si fermò, e
qualcuno all’esterno aprì la porta. Scesero prima Legolas e suo padre. Poi il
Principe mi porse la mano – questo era strano, di solito lo doveva fare il
paggio – e io la presi – non per essere polemica, ma riuscivo a scendere
benissimo anche da sola.
Quando scesi Legolas non
smise di stringere forte la mia mano, per farmi coraggio… mi leggeva nel
pensiero? Ne avevo davvero bisogno.
- Stai tremando… - mi fece
notare il Principe. Era vero. Volevo smettere, ma non ci riuscivo… ero
terrorizzata, ma non sapevo da cosa.
- Tranquilla… - mi sussurrò
all’orecchio, cominciando ad incamminarsi verso la foresta. Il Re era a qualche
passo da noi, mentre il paggio era rimasto al limitare degli alberi.
Io fui letteralmente
trascinata da Legolas, che mi teneva per una mano e, ad ogni passo che facevo,
un senso sempre più grande di oppressione mi attanagliava il cuore.
Dopo un paio di metri, nei
quali dovette trascinarmi, mi decisi a prendere coraggio e lo affiancai.
La tomba era situata al
centro della foresta, a quanto avevo sentito, ma ci arrivammo abbastanza
velocemente.
Poco prima dell’arrivo
Legolas mi lasciò la mano, correndo davanti a me. Io, che non avevo
assolutamente fretta di arrivare, mantenni il passo. Per farmi strada dovetti
scostare un ramo più basso di un albero, e fu allora che la vidi.
Legolas e suo padre
osservavano una statua. Era davvero una bellissima statua, interamente in marmo
candido, e raffigurava… beh, immagino raffigurasse la Regina, ma io non potevo
fare a meno di rivedere me stessa in quell’immagine.
Quando sentirono il rumore
dei miei passi vicino, entrambi gli uomini si girarono verso nella mia
direzione, aspettando una reazione, qualcosa, da me.
Io ero rimasta
pietrificata, con ancora la mano alzata a scostare il ramo, la bocca semi
spalancata, immobile.
- Alayes… - cominciò
Legolas, evidentemente a disagio. La statua raffigurava una donna, una
bellissima donna, dai boccoli – beh, avrei detto castani, ma in realtà erano
bianchi, come il marmo – un po’ più corti dei miei, che le arrivavano alle
spalle e, me ne accorsi solo quando mi avvicinai ulteriormente alla statua… il
mio stesso abito.
- In realtà, Mihe – mi
disse il Re, tornando ad osservare la statua. – Quel vestito non è mai stato
della Regina… dopo che lo scultore aveva completato la statua, il vestito mi
piacque. Poi ti conobbi, e pensai che ti sarebbe stato bene. Allora chiesi ad
un sarto di farne uno per te… -
Improvvisamente, tutti i pensieri
nella mia testa si erano volatilizzati. Non riuscivo a riflettere sul
significato profondo delle sue parole, solo una domanda premeva con forza per
uscire dalle mia labbra. Era una domanda sciocca, che in apparenza non centrava
niente, ma sentivo l’impulso di porla.
Chi ha scelto il colore
del tramonto?
Stavo per farlo, quando la
mia attenzione fu catturata dalla lapide al fianco della scultura.
Ignorando totalmente sia il
Principe che il Re, mi avvicinai ad essa e mi ci inginocchiai davanti, intrecciando
le mani. Non vi era alcuna iscrizione, solo l’incisione di un rampicante
fiorito ornava il monumento funerario della regina. I fiori erano probabilmente
delle rose – questo mi scosse. Forse… forse era solo una macabra coincidenza,
ma il mio nome aveva un significato molto simile.
Mi alzai bruscamente,
convincendomi che era davvero solamente una coincidenza.
Mi girai, dando le spalle a
quella lapide e a quella statua di una donna che mi somigliava in maniera tale
da sentirmi male, e chiesi il permesso di tornare alla carrozza. Senza
aspettare la risposta, lasciai la piccola radura.
No, no, no!
Non era possibile! Non di
nuovo!! Non lì!
Mi presi la testa tra le
mani, sconsolata, pestando i piedi per terra come una bambina. Perché? Perché
certe cose succedevano solo a me?
Forse Legolas aveva ragione
quando mi diceva che…
- Non sai orientarti nei
grandi spazi, Alayes. Dove pensi di andare? – mi redarguì una voce alla mia
spalle. Mi girai di scatto e vidi Legolas.
- Ahh! – un grido gioioso
mi uscì dalle labbra, mentre lo raggiungevo e gli gettavo le braccia al collo.
– Sei la mia salvezza!! -
Legolas scosse la testa un
paio di volte, fingendosi seccato.
- Ahh, ma cosa devo fare io
con te? Eh? Me lo dici? -
Ignorandolo, feci un giro
su me stessa, contenta, e battei le mani.
- Allora, dove siamo? Eh?
Me lo dici? – lo scimmiottai.
- Esattamente dalla parte
opposta della foresta rispetto al luogo dove si trova la carrozza – mi informò
sghignazzando.
Ridacchiai un poco,
imbarazzata.
- Allora muoviamoci, cosa aspettiamo?
– dissi allegramente, precedendolo.
- Alayes… -
- Sì? -
- La carrozza è dall’altra
parte! -
Mi voltai e vidi Legolas
che indicava col braccio la direzione opposta a quella nella quale mi stavo
dirigendo.
- Sei irrecuperabile! –
sentenziò scuotendo la testa.
- Ho tante altre qualità! –
sostenni decisa.
Il paesaggio scorreva
veloce davanti ai miei occhi. Improvvisamente sentii una mano che mi spostava
una ciocca di capelli dal viso, e mi voltai.
- Siamo quasi arrivati – mi
disse Legolas sorridendo dolcemente.
- Dove? -
- Questo me l’hai già
chiesto, piccola -
- E tu non mi hai risposto…
e non sono piccola! -
Sorrise enigmatico in
risposta, e io distolsi lo sguardo, sbuffando.
Mi portai lentamente una
ciocca di capelli dietro l’orecchio e accavallai le gambe molto poco
signorilmente.
Il mio sguardo si posò sul
Re.
Aveva il volto pensieroso,
incupito, perso chissà dietro quali pensieri. In effetti, non eravamo poi così
diversi, noi due. Neanche io ero proprio al massimo della forma.
Era seduto di fronte a me e
a Legolas, nella carrozza, e continuava a tormentarsi un lembo del vestito.
Mi alzai, sedendomi di
fianco a lui e prendendogli una mano.
- Mio re, cosa ti turba? -
Lui parve risvegliarsi in
quel momento da una specie di sonno incantato.
- Eh? – fece, come
accorgendosi in quel momento della presenza mia e del figlio.
Legolas sospirò, tornando a
guardare fuori dalla carrozza. Lui sapeva qualcosa che io non sapevo… come, per
esempio, la nostra destinazione. E ciò non mi piaceva.
Capii dove eravamo diretti
solo quando fummo proprio di fronte a una povera casa di campagna.
Un Elfo era seduto su un
sedia di paglia nella piccola veranda, e aveva gli occhi vacui, assenti. Era
cieco.
Non lo vedevo da anni,
molti anni. Ma non mi ci volle niente a riconoscerlo, anche guardandolo da
lontano dal finestrino della carrozza.
- I-io… io non… - balbettai
confusa guardando Legolas. Il mio sguardo si posò sul Re.
- Va da lui – sospirò. – Io
tornerò nella foresta reale. Ti veniamo a prendere fra un po’ -
Legolas mi sorrise
caldamente.
- Io scendo con te – mi
disse. Mi sorrise. Il mio cuore accelerò i battiti e le lacrime tornarono a
pungermi gli occhi.
Sentii la mia mano
afferrata dalla sua e lui che mi tirava per farmi scendere dalla carrozza.
E in quel momento non ero
più cosciente di niente: del fatto che mi sarei tormentata per tutti i giorni e
i mesi a venire per Legolas, che mi sarei chiesta perché lui era così dolce con
me, alle volte, e così cocciuto e testardo e incredibilmente stupido altre, sui
sentimenti del Re e sulla Regina e sulle mie visioni o quant’altro… urlai
quella parola, la urlai con quando fiato avevo in gola.
- Padre! -
Lasciai la mano di Legolas
e corsi verso di lui che naturalmente si era accorto di me solo quando avevo urlato…
e lo abbracciai… e piansi.
Legolas mi segui camminando
lentamente e ci guardò.
Mio padre mi accarezzava il
viso, cercando con le mani di vedere il quel modo speciale che sapeva fare solo
lui.
- Alayes, Alayes… cosa fai qui? La
mia bambina... – si era alzato e ci abbracciavamo. Dietro di me c’era Legolas.
- Ehi, ehi, basta piangere…
- mi staccò delicatamente dall’abbraccio di mio padre e mi asciugò le lacrime
con la punta delle dita. Questo suo gesto così dolce mi fece piangere ancora di
più.
Mi strinsi al suo petto,
passandogli un braccio intorno alla vita, stringendolo come una bambina, e
sorrisi.
- Grazie, Legolas… grazie…
- mormorai. Sentii che mi stringeva più forte.
- Principe Legolas… - mio
padre si inchinò goffamente. Alzai il viso, e notai che le guance di Legolas si
erano leggermente colorate di rosso.
- N-no, non inchinarti, per
favore… - mormorò imbarazzato.
Mi sciolsi dal suo
abbraccio a spalancai le braccia, come accogliendo contro di me tutto il posto.
- Amo questo luogo! Sono a
casa, papà! -
Il mio vecchio genitore
sorrise col suo sorriso sdentato.
Cominciai a correre verso
casa, non curandomi del mio bel vestito che strusciava per terra. Oramai nulla
aveva più importanza… non facevo caso a niente: quel che era importante, per
me, era che mi trovavo a casa.
Quello fu un errore.
Se avessi fatto attenzione,
avrei notato il sorriso scomparire dal volto immorale del mio nobile promesso.
Quel giorno fui felice.
Non sapevo cosa aspettava me, aspettava Legolas… quel giorno osservammo il
tramonto insieme, e seppi che mi voleva bene… non mi amava, di questo ne ero
praticamente sicura, ma c’era tempo… se fosse sopravvissuto.
Sì, sarebbe
sopravvissuto, decisi dentro di me. Lo sentivo, non come una delle mie visioni,
ma come una speranza che nasceva dal profondo del mio cuore.
E l’unica cosa che speravo era che quella speranza non dovesse andarsene sottomessa dalla realtà dei fatti… come il sole se ne andava, sottomesso dalla luna… come il tramonto.
FINE?
Avrei in mente un seguito… ma
solo se mi lasciate un commentino!
(*)Ho fatto un anagramma…
Mihe è l’anagramma di Hime, che significa la stessa cosa, solo in giapponese!