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Autore: Mel_beh    31/01/2013    0 recensioni
In memoria di una persona cara, venuta a mancare vari anni fa.
In quel giorno cerco sempre di trovare un po' di tempo per lei, e questo è il risultato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giorni,

mesi,

stagioni

sono passate.

Il pensiero torna a te,

è inevitabile.

 

Poco so di te,

ricordo il profumo,

il calore

della tua casa.

I viaggi fatti fino al tuo bel giardino.

Pioggia o bel tempo,

poco importava,

contavano solo le persone,

le parole,

le risate.

 

Poco ricordo delle serate,

pochi discorsi,

ma tante immagini.

Tanti oggetti,

memento di luoghi lontani.

Sempre un profumo particolare.

 

Un pomeriggio,

al parco.

Ancora non ho capito dove si trovi quel parco,

ma ricordo le tue risate,

il tuo sorriso,

che denti bianchi.

 

Nel tuo giardino,

il primo,

forse unico,

insetto stecco che abbia mai visto.

Casa tua era una continua sorpresa.

Cose esotiche,

sapori esotici.

E lui,

sempre pronto a scherzare,

a disegnare.

 

Un giorno,

ricordo qualcosa da dipingere,

una staccionata?

Un cancello?

Dove non ricordo.

 

In città ero stata poche volte,

persa la fermata ero perduta ance io.

Telefono alla mano,

mi guardo intorno,

l’area è familiare,

ma non sono sicura.

Persa,

nel panico,

quando vedo lui.

Raggiungiamo il tuo giardino,

quel bel cancello avvolto nel verde.

La porta sembra diversa,

di giorno.

Dentro è sempre tutto uguale invece,

il solito profumo,

ma tu sei diversa,

il tuo volto è più cupo.

Che succede?

Sei molto dimagrita,

non era mai successo…

non capisco.

 

Il ritorno è sempre stato bellissimo,

uscire nel freddo notturno,

fare nuvolette col respiro,

addormentarsi cullata dal motore,

e riapparire a casa.

 

Del tempo è trascorso,

non siamo più venuti da te,

siamo andati da lui,

sembravi debole,

che ti succede?

Nei tuoi occhi il riflesso è meno intenso,

cosa c’è che non va?

 

Un giorno,

il telefono,

La notizia.

 

Su quel letto,

la tua pelle così scura,

ora si confonde con quel triste muro.

Cammini a fatica,

ma vuoi arrivare alle poltroncine,

sgranchirti le gambe.

Lui scherza,

ti strappa a stento un sorriso,

anche a noi.

 

Quel giorno,

quel viaggio,

l’unico in cui il motore non è stato sufficiente,

perfettamente lucida sedevo

mentre ascoltavo.

Quanto manca?

Giorni?

Mesi?

Sempre troppo poco.

 

Squilla il telefono,

ma la mia giornata deve continuare.

 

No, tu hai la scuola.

Un saluto negato.

 

I tuoi occhi,

il tuo sorriso,

ancora vividi nel mio pensiero.

Forse anche la tua voce…

Sì,

eccola!

Squillante,

ma non acuta,

calma

e dolce.

 

I ricordi si accavallano,

troppe cose,

poche parole,

troppe immagini.

 

Ricordo la mia prima reazione.

Le parole nella mia mente

si erano frantumate,

lasciando solo uno schermo bianco,

privo di immagini.

 

Non ricordo il nostro primo incontro,

probabilmente ero troppo piccola,

chissà cosa pensai.

 

Un giorno siete venuti voi a casa nostra.

Dopo pochi minuti una nebbia bianca ci avvolgeva.

 

Ci hai regalato momenti stupendi,

forse in quel parco ci siamo state più volte.

 

Maschere,

utensili,

e quello cos’è?

Che strano,

con quei tubicini.

Poi scoprii che si chiama narghilè.

Quanti posti i tuoi stanchi occhi devono aver visto,

quante persone devi aver conosciuto.

 

Tanti, tanti accendini,

di tutte le forme.

Uno persino a forma di bici,

e quello a pesce, in metallo.

I tuoi occhi.

Grandi,

un po’ sporgenti,

buoni.

Il sorriso sempre stampato sul tuo volto.

 

In quel giardino ci contendevamo l’amaca.

Che cosa difficile starci stesi.

 

Un giorno sono passata davanti a casa tua,

di giorno.

Che strano,

tutta la magia,

la particolarità di quella casa,

di quel giardino,

svanita,

con te.

 

Hai mai avuto un gatto?

Forse mi confondo col suo cane,

e tutte quelle statuine.

Prima che abbattessi la parete di mezzo,

nella stanzina sempre buia,

ricordo quel gatto azzurro,

con le righe e le orecchie lunghe e strette.

Ho sempre pensato che era strano,

lì, al buio,

forse alla luce sarebbe stato diverso.

Chissà dov’è finito,

ora.

 

Avevo fatto amicizia con qualche bambino,

in quel parco,

strano per me.

Strano era anche quel parco.

Quasi solo ghiaia e terra,

pochissima erba,

e uno scivolo nero bellissimo,

anche se in estate rischiavi di lasciarci la carne attaccata.

Sì,

dobbiamo esserci state più volte,

forse dopo la piscina.

Ricordo quasi solo quello scivolo,

parte di una struttura più grande,

i paletti rossi,

una staccionata in cima ad un…

o forse era da un’altra parte?

 

La mia prima passeggiata in notturna per la città,

quante luci,

quante persone.

Solo qualche tempo fa ho capito dove eravamo,

su quelle strisce pedonali.

Sembrava tutto così grande, allora.

 

Un giorno verrò a trovarti,

appena scoprirò dove sei,

nel frattempo conservo il tuo ricordo,

con affetto.

  
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