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Autore: GreenParadise    01/02/2013    1 recensioni
Prima Blainchel in cui mi cimento.
Tanto amore e tenerezza, come mio solito, Taylor Swift a quantità e forse un pò no-sense, ma è nata da sola quindi tanto vale darle luce!
Genere: Sentimentale, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rachel Berry | Coppie: Blaine/Rachel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“I miss your tan skin, your sweet smile, so good to me,
so right and how you held me in your arms that September night.
The first time you ever saw me cry maybe this is wishful thinking.”



Stupido Blaine come aveva fatto a non capire cosa volessero dire quelle parole sussurrate in una sera di inizio inverno? Come aveva fatto a pensare che fosse solo una canzone cantata perché venuta in mente improvvisamente? E se solo avesse prestato maggiormente attenzione a tutti quei giorni passati insieme, avrebbe scoperto che non era il primo segnale che lei gli stava mandando.

“We're drivin' down the road I wonder if you know
I'm tryin' so hard not to get caught up now,
but you're just so cool run your hands through your hair
absent mindedly makin' me want you.”

 


Aveva canticchiato la ragazza quando, dopo la festa in cui si erano baciati a causa del gioco della bottiglia, lui la stava riaccompagnando a casa dato che Quinn e tutti gli altri erano troppo brilli per poterlo fare. Lo guardava mentre guidava con lentezza e attenzione, considerando la piccola quantità di alcool che attraversava anche le sue vene, ma lui era troppo intento a pensare alla sua salute, a riportarla sana e salva a casa per notare che quella canzone non era stata cantata a caso. E non si accorse nemmeno dello sguardo che la mora gli lasciò prima di scendere dall’auto, ignorò perfino il bacio languido che appoggiò sulla guancia, nulla.. Come se tutto fosse normale.

Ripensò anche alla festa in maschera alla quale erano andati insieme in quel quartiere tanto strano quanto attraente di New York. Erano passati ormai due anni da quando i due si erano trasferiti insieme nella Grande Mela e pian, piano avevano imparato a conoscere ogni angolo della città, perfino i vicoli e le stradine più strette, ma quel tratto di strada che congiungeva due stradine secondarie davvero non l’avevano mai visto e si sorpresero di trovare in un ambiente come quello un posto così carino e curato, un appartamento nel quale non mancava niente, addobbato perfettamente per la festa, ma tenuto in ordine a prescindere dalla specifica attività che si stava svolgendo quella sera.
Lei aveva scelto un abito bianco, lungo fino ai piedi, stretto in vita e sempre più largo verso il basso; lui aveva un classico smoking e un papillon abbinato, abbigliamento che lo faceva sentire il tipico “pinguino da festa” che tuttavia non gli dispiaceva fino in fondo. Erano usciti sul terrazzo dell’appartamento e lui aveva poggiato la sua giacca sulle spalle scoperte della ragazza, proteggendola da quel lieve venticello che rinfrescava la serata e lei, guardandolo negli occhi, lo ringraziò a suo modo, cantandogli una canzone.

 
“Romeo save me, they’re tryin’ to tell me how to feel.
This love is difficult, but it’s real.
Don’t be afraid, we’ll make it out of this mess.
It’s a love story, baby just say ‘Yes.’



E si ricordò anche di quella volta in cui lei gli chiese consiglio per cantare una canzone a Finn, quando salendo su quel piccolo palco del McKinley volle gridare tutta la sua rabbia all’unico ragazzo che le aveva rubato il cuore per prenderlo e calpestarlo subito dopo. Aveva pianto così tanto e le serate insieme erano cominciate a diventare la routine, un appuntamento quotidiano al quale nessuno dei due poteva rinunciare, un semplice modo per stare insieme e sentirsi bene. La canzone alla fine venne fuori e lei la cantò divinamente davanti a tutto il Glee Club concentrando il suo sguardo dritto su Hudson anche se di tanto in tanto gli occhi ricadevano su un altro moro, quello riccio ma dai capelli ingellati.
 
“And never really had a chance..
I had so many dreams about you and me, happy endings.”


Poi, prima di partire per New York , la ragazza gli aveva chiesto di vedersi perchè sapeva che per un anno non si sarebbero più visti dato che il moro si sarebbe diplomato solo dopo di lei e sapeva che quella lontananza le avrebbe fatto male, talmente male che per un po’ di tempo considerò davvero di rimandare la sua partenza, ma la NYADA non dà seconde possibilità e poi lui non voleva farle perdere l’occasione di diventare una star, di inseguire i propri sogni a causa di un’amicizia.. Già, solo un’amicizia. Ma lei non si perdeva d’animo e non si scoraggiava di fronte alla cecità dell’amico, anzi, trovava solo nuovi stimoli in più per cantargli il proprio amore e mostrargli i suoi veri sentimenti. E anche in quell’ultimo incontro a Lima aveva cantato, in un parco, sopra una panchina, fingendo di avere un microfono fra le mani, aveva intonato una canzone lenta e sentita sotto gli occhi emozionati del moro.
 
“All that I know is that: I don’t know how to be something you miss,
never thought we’d have a last kiss, never imagined we’d end like this.
Your name, forever the name on my lips.”


Era stata così chiara e diretta, limpida e trasparente, eppure lui ancora una volta non aveva capito; scambiava tutto quell’affetto, tutte quelle attenzioni per amicizia. Che poi lei non era nemmeno sicura se lo facesse apposta, se volontariamente evitasse quelle sue cure o se davvero non capiva che lo amava, che non le bastava averlo come amico, ma desiderava qualcosa di più. Non lo sapeva e non aveva mai voluto indagare maggiormente.

Adesso, dopo la discussione avuta, l’unica canzone che ruota nella mente di Blaine fa più o meno così “It’s the kind of ending you don’t really wanna see cause it’s tragedy and it’ll only bring you down. Now I don’t know what to be without you around.”
Dopo un anno di lontananza e due passati sotto il cielo della stessa città, si rende conto dei sentimenti di Rachel, di quella ragazza così timida e insicura all’apparenza, ma con un carattere forte e determinato nascosto sotto le mille emozioni che ogni giorno attraversano i suoi occhi.
Fra lezioni e uscite varie, avevano comunque trovato il tempo di stare insieme, sentirsi quasi ogni giorno e vedersi di tanto in tanto e la loro amicizia era quella di sempre, la solita Rachel e il solito Blaine, peccato che in quella ‘solita Rachel’ si nascondeva ancora amore, tanto amore che la ragazza non poteva più tenersi dentro. Era cambiata negli ultimi mesi, non era più la diciottenne fragile ed emotivamente instabile, la ragazzina che si nascondeva sotto maglioni troppo larghi ed esibizioni strappalacrime; era diventata una donna forte e sicura di sé stessa, aveva tirato fuori la determinazione che da sempre risiedeva in lei e mostrava in ogni occasione tutto il suo carisma e la luce che risplendeva in lei, gesto dopo gesto, sorriso su sorriso. Era una persona diversa, ma uguale allo stesso tempo. Era tutto ciò che Blaine aveva imparato a conoscere, rispettare e capire; era la sua amica di sempre con qualche sfaccettatura diversa, la stessa persona con diverse sfumature. La nuova Rachel, però, non ce la faceva più a tenere dentro di sé tutti quei sentimenti confusi e troppo grandi per essere repressi e così, quando in uno dei soliti pomeriggi allo Starbucks, decise di vuotare il sacco, Blaine se l’era data a gambe. Aveva provato a giustificarsi, cercando una ragione per la quale loro due non potessero stare insieme, ma non trovandola dovette arrampicarsi sugli specchi dicendo che fra loro due non poteva mai funzionare perché entrambi avrebbero sempre messo in primo piano la carriera e il successo anziché l’amore. Era semplicemente scappato davanti alle parole che Rachel portava nel proprio cuore da anni, ma anche quel rifiuto non riuscì ad intaccare la grinta che la ragazza aveva ormai edificato nel proprio DNA; era distrutta, amareggiata, delusa, ma tutto il mondo non doveva sapere del proprio dolore, le sarebbe bastato lamentarsi in silenzio.
Blaine d’altro canto, aveva cominciato ad evitarla: non si vedevano più, non si cercavano, non si chiamavano, si evitavano se per caso si scontravano nei corridoi della NYADA e la situazione era diventata insostenibile. Blaine sapeva che non toccava a Rachel farsi avanti, ma che era il suo momento, il momento di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma la mente non gli suggeriva nulla oltre ad un bagaglio di tristezza e confusione. Le sue giornate non erano più le stesse da quando la mora non faceva più parte della sua vita, le mattinate non erano poi così colorate, le serie televisive viste da solo nel proprio divano rimanevano solo dei semplici copioni mal recitati, il caffè del pomeriggio non aveva più lo stesso sapore e persino il proprio mp3 sembrava mandare le canzoni più assurde e assolutamente non adatte alla situazione. Ma ci fu un pomeriggio, uno di quelli grigi e scuri, uno di quelli in cui la pioggia batte rumorosa sulla propria finestra e c’è chi si rifugia sotto le coperte o davanti la televisione, annoiato da così tanta umidità o chi, come lui, accende lo stereo, si sdraia sul letto e si lascia coccolare da quel ticchettio della pioggia sul vetro e dalla migliore musica che si espande per la stanza. E fu proprio quel pomeriggio, quella canzone a far venire in mente a Blaine tutte le cose che era riuscito a superare grazie alla mano di Rachel sempre pronta a sostenerlo. Le audizioni per i musicals a Lima, la fine della relazione con Kurt, la prima sbronza e anche la seconda, l’allontanamento dai Warblers, i litigi con Sebastian, le incomprensioni con il fratello, persino i brutti voti dell’ultimo anno di scuola. Gioia o dolori, lei c’era sempre stata. Era stata al suo fianco anche quando a causa di una disattenzione aveva bruciato tutti i vestiti per il musical di Natale e tutti gli avevano dato addosso senza concedergli l’opportunità di farsi perdonare mentre lei con un sorriso, lo aveva rincuorato, dicendogli semplicemente che aveva fatto involontariamente una cosa stupenda: quei vestiti erano veramente orrendi. Lei era sempre al suo fianco, gli era stato vicino ogniqualvolta ne aveva avuto bisogno e adesso lui non poteva ripagarla con quella moneta, non poteva chiuderle la porta in faccia, doveva semplicemente ammettere la verità. Doveva dire ad alta voce ciò che sentiva tutte le volte che le dita di Rachel si intrecciavano alle sue, i brividi che gli percorrevano la schiena ogni volta che la sua voce arrivava alle proprie orecchie, ogni volta che un suo sorriso gli illuminava la giornata. Doveva solo ammettere di amarla e mettere da parte ogni paura.

“And all my walls stand tall painted blue,
and I’ll take them down, take them down
and open up the door for you.”


 
Doveva abbattere quei muri e doveva farlo subito prima che fosse troppo tardi.
Si alzò immediatamente dal letto e corse verso la porta di casa propria, uscendo fuori nonostante la pioggia non smettesse di scendere giù con una forza e una velocità insolite per essere solo una serata di Novembre. Erano le 17.00 e Rachel sarebbe tornata a momenti a casa, di ritorno dalla NYADA, doveva solo avere la fortuna di incontrarla, sperando che non fosse rimasse bloccata in metro o peggio ancora fra le grinfie di qualche sua insopportabile insegnante. Corse a più non posso, sotto l’acqua che gli bagnava i ricci lasciati liberi e ribelli, inghiottendo quei pochi metri che dividevano il proprio appartamento da quello della mora e quando la vide correre veloce verso l’entrata di casa, si precipitò nel vialetto che le stava di fronte e rimanendo fermo, urlò il suo nome fino a quando la ragazza si voltò sorpresa di ritrovarselo davanti.

- “Ti amo Rachel, l’ho sempre fatto e sono stato solo un emerito idiota a non dirtelo prima. Mi dispiace se ti ho ferita e se non l’ho mai capito prima, ma adesso ne sono sicuro, il mio cuore non grida altro: ti amo e vorrei che tu mi dessi una seconda possibilità.”
Continuò ad urlare per sovrastare lo scroscio della pioggia e arrivare dritto alle sue orecchie nonostante la distanza fra loro due e quando vide che Rachel rimase immobile sull’uscio di casa, pensò di aver sbagliato tutto, di essere stato troppo precipitoso quando invece avrebbe dovuto essere più riflessivo, di aver corso sotto la pioggia spinto da un istinto irrefrenabile che tuttavia doveva essere fermato per evitare di rendersi ridicolo nel modo in cui adesso si presentava sotto gli occhi della ragazza. Rachel esitò qualche istante prima di dargli le spalle, aprire la porta e rompere qualsiasi speranza del moro che lasciando ciondolare le braccia lungo i fianchi, sospirò rassegnato fino a quando vide la ragazza corrergli incontro per poi buttarsi fra le sue braccia.
- “ Ho tolto i tacchi, altrimenti mi sarei rotta una gamba e.. Ti amo! Blaine Anderson ti amo più della mia stessa vita da sempre e per sempre se lo vorrai, non potevo chiedere di meglio.”
- “Sei la cosa più bella che potesse mai capitarmi.”
- “Sei la persona più pazza che io abbia mai conosciuto, ma mi piaci anche per questo.”
- “Our song is the way you laugh.”

Concluse il moro baciando finalmente quelle labbra che in quegli anni passati insieme tanto lo avevano rassicurato, rallegrato, protetto, ripreso, sfiorato.. Le baciò con così tanta dolcezza da far tremare Rachel fra le sue braccia, braccia che la tenevano stretta al proprio corpo, vicino al suo cuore nel quale era entrata e forse non sarebbe più uscita.
   
 
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