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Autore: Momoko The Butterfly    01/02/2013    2 recensioni
Sono ormai passati cento anni dalla quasi distruzione del genere umano. Dopo un'estenuante battaglia tra bene e male, il mondo è caduto infine preda di tenebre fatte di solitudine e sofferenza; il Conte del Millennio regna baldanzoso su una terra devastata dalla fame e dalla morte, tartassata fin nel profondo dell'animo da eserciti di Akuma voraci e famelici. Ma l'umanità non demorde, per questo si nasconde dalla loro vista, fiduciosa di poter riassemblare i tasselli di una vita in frantumi. Leda e Alan, fratelli inseparabili, hanno perso ogni cosa. Eppure sembra che la sede Nord America possa davvero diventare la loro nuova casa, grazie a benevole persone che hanno saputo ridonare speranza ai loro cuori avviziti dal dolore.
Ma nulla andrà per il verso giusto. Quando la sede verrà messa sotto assedio, sarà tempo per loro di cominciare un viaggio fatto di rischi e incertezze alla ricerca di risposte. Ad accompagnarli, i paladini dell'Innocence, gli Esorcisti, e un sempre più enigmatico Tyki Mikk...
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bookman, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Tyki Mikk, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 5: Occhi rossi nell'oscurità 

E invece erano passate altre tre ore.
I tre procedevano con passo svelto all’interno della galleria senza dire una parola. Tuttavia, Leda era sicurissima che Tyki non sapesse minimamente dove li stesse portando.
Sollevò appena la torcia che stringeva in mano per esaminarla con attenzione: era molto consumata, non sapeva quanto ancora avrebbe illuminato il loro cammino. In ogni caso, era meglio non saperlo. Aveva visto Akuma capaci di nascondersi sotto terra, di volare, di infiltrarsi nell’ombra e prenderti alle spalle. Dio solo sapeva cosa avrebbero potuto incontrare una volta rimasti al buio, senza vie di fuga e completamente indifesi.
Leda sentiva dentro di sé uno strano stato di agitazione. Era come se i suoi sensi fossero all’erta per fronteggiare un qualche nemico nascosto. Ma più si guardava attorno e più si rendeva conto di essere in errore: quel posto non sarebbe potuto essere più isolato e decadente di così.
I muri metallici, scrostati e arrugginiti, erano la sola cosa che in quel momento li circondava. In più, la presenza dei topi di fogna, per quanto nauseabonda, la rassicurava. In presenza di un pericolo, sarebbero certamente scappati il più lontano possibile.
Proprio in quel momento rischiò di pestarne uno. La bestiola squittì offesa e zampettò dietro a un compagno fin dentro le tenebre, dietro di lei.
Il disgusto era alle stelle. Leda sperava vivamente che almeno Alan si sentisse meglio di lei.
- Hey, mostriciattolo – lo chiamò, con un sorriso amichevole in volto.
Il fratellino gonfiò le guance, evidentemente offeso dall’appellativo con il quale gli si era rivolta.
- Va tutto bene? – domandò ancora, camminando al suo fianco.
- Sì – rispose Alan, un po’ perplesso – Perché?
- Così…
Seguì qualche attimo di pausa.
- Leda – questa volta fu Alan a chiamare la sorella.
- Sì?
- Credi che Theodore starà bene?
A quella domanda alla ragazza venne un groppo alla gola, che rischiò quasi di soffocarla. Il suo cuore cominciò a tamburellarle nel petto, talmente forte che temette che potesse sentirlo.
Come rispondere… ?
Come spiegargli che la persona che li aveva accolti e amati per due anni come fosse il loro vero padre, ora era un resto carbonizzato fatto di polvere?
Avrebbe potuto mentirgli. Ma più guardava quel suo visino così innocente, così ingenuo, più le sembrava di essere un mostro schifoso che si prendeva gioco di lui.
“No, non starà bene. Ted è morto e non tornerà più”. Le parole più orribili, malsane e meschine che avrebbe mai potuto dire. Ma anche le più veritiere. Le più terribili, ma anche le più giuste. Le più difficili.
Se gli avesse detto una bugia, lo avrebbe scoperto prima o poi, il che gli avrebbe sicuramente procurato molto più dolore di quanto non ne avesse già.
Anche questo era dovere di una sorella maggiore: proteggere il proprio fratellino.
In quel momento però, rispetto all’affrontare Akuma, scappare da un condotto fognario e sopravvivere, sembrava la cosa più ardua.
Ogni singola ipotesi che il suo cervello ideava veniva smontata subito dopo. Era inutile accampare scuse. La verità era lì, davanti a lei, che premeva forte per uscire dalle sue labbra rosee. Ma non poteva farlo.
Così Leda optò per una risposta evasiva, che avrebbe lasciato la strada aperta a un forse…
Alan non era pronto per sapere la verità. Ed era troppo tardi ormai per cercare di imbrogliarlo.
- Non lo so – rispose, sollevando un poco la torcia per illuminare davanti a lei – Lo spero.
Il bambino accennò un sorrisino speranzoso.
Leda ricambiò, ma il suo sorriso era velato di tristezza.
“Che bugiarda, che sei" si disse, nei suoi pensieri.
Già. Una bugiarda che vuole troppo bene a suo fratello.
Se reprimere il dolore per la scomparsa di Ted e mostrare un chiaro sorriso fiducioso avrebbe protetto Alan, allora sarebbe stata pronta a reggere quella orribile farsa per l’eternità.
Proprio in quel momento le venne in mente che aveva già fatto una cosa del genere, molto tempo prima…
 
Avvolta da contorni opachi e soffusi, aveva l’immagine di una casa. La loro casa. Riusciva ancora a ricordarsela: mattoni bianchi, un tetto di legno scuro e resistente, un camino dal quale fuoriusciva costantemente un sottile filo di fumo grigio. Accanto, una piccola rimessa con ciocchi di legna tondi e grossi, secchi e pronti per essere bruciati. Ricordava che il tettuccio di paglia intrecciata lo aveva fatto lei, e sotto gli aveva posizionato un rinforzo in legno, perché l’acqua non penetrasse.
Il prato tutt’attorno era verde acceso, quasi volesse gridare festoso al mondo di essere vivo. Piccole margherite lo punteggiavano di bianco, come tante stelle luminose nel cielo notturno.
Una palla rotolò veloce, andando a sbattere contro un muro della casa. Subito dopo, risuonò in quel luogo calmo una voce squillante, che sapeva di gioventù.
- Ma che tiro era quello?
Subito dopo comparve una bambina. Superava appena il metro, e teneva i lunghi capelli castani raccolti in una folta coda di cavallo. Gli occhi erano neri e lucidi, come due ossidiane.
Corse fino alla palla, la schiacciò col piede e poi la calciò via, ridendo.
- Non so giocare, Leda! – uggiolò un’altra vocetta, spuntata da un cespuglio lì vicino.
Un bambino piccolo, dai capelli color nocciola e gli occhi tinti del mare più profondo. Aveva il viso arrossato, questo perché aveva rincorso come un dannato la palla senza mai essere riuscito a sfiorarla.
Leda era brava a giocare a pallone. Lui non l’aveva mai battuta, in tutti quei pomeriggi passati a ridere e giocare tra gli alberi del boschetto. Era frustrato per questo, ma alla fine la sorellona sapeva farsi perdonare a dovere.
La sera, infatti, quando la loro madre andava a dormire, lo aiutava a uscire di nascosto dalla finestra e ad arrampicarsi sul tetto di casa, per guardare le stelle. Da lì erano stupende. In quel momento Leda gli raccontava le storie più inverosimili: draghi volanti, principesse da salvare, streghe maligne e avventure immaginare ispirate ai nomi delle stelle. Ovviamente, anch’essi inventati.
Quello che a Leda piaceva di più però erano le storie sugli Esorcisti. Fieri guerrieri scelti dal destino che combattevano i demoni maligni venuti dall’inferno.
Le sembravano la cosa più bella del mondo, e le loro gesta brillavano nella sua immaginazione come fossero state il più prezioso dei tesori. E un giorno, sperava lei, ne avrebbe fatto parte…
- Leda – la chiamava ogni tanto Alan, mentre stavano stesi col naso all’insù verso il cielo stellato – Come si chiama quella stella?
E da lì la sorella maggiore inventava storie su storie ispirate all’Eroe legato al piccolo puntino luminoso.
Ma non sapeva che Alan credeva veramente a tutte quelle storie, e vedeva la ragazza come un’eroina ancora tutta da scoprire.
In realtà, era loro padre il vero eroe.
Non lo vedevano mai, ma grazie allo stipendio che mandava ogni mese dal suo luogo di lavoro, potevano vivere adeguatamente senza fastidi.
Leda sapeva solo che lavorava per loro, i miti viventi su cui amava perdersi in magnifiche fantasie: gli Esorcisti.
Era orgogliosa di lui. Il solo sapere che contribuiva alla lotta per il bene, le faceva gonfiare il petto. E il suo sogno era quello di diventare, un giorno, una fiera guerriera santa. Proprio come lui…
 
Lo scoppiettio della torcia la fece tornare alla realtà.
Un pezzetto di brace di staccò e cadde nell’acqua, sollevando una lieve striscia di vapore. Non sarebbe durata ancora per molto, dovevano trovare un altro pezzo di legno, o dare fuoco a qualcosa perché quell’unica fiamma che avevano non si estinguesse.
Leda cercò Tyki con lo sguardo. Lo vide camminare a pochi passi da lei, assieme a suo fratello. I due però non si rivolgevano la parola.
- Hey, tu! – lo chiamò, accelerando il passo per raggiungerlo e mostrargli la torcia – Si sta spegnendo. Non hai altre torce dentro quella tua magica borsa delle meraviglie?
Il sopracciglio di Tyki s’inarcò leggermente.
- Prima di tutto – cominciò sillabico – Ho un nome. E’ Tyki Mikk. Secondo: no, non ce l’ho.
Leda sbuffò scocciata, battendo un braccio sul fianco.
- Fantastico. Manca molto all’uscita?
Domanda scontata. Lo sapeva benissimo che la risposta sarebbe stata ‘sì’. Era davvero sicura che farsi guidare da un tizio che si atteggiava a giramondo e che poi non sapeva nemmeno uscire da una fogna fosse stata la più pessima delle idee che aveva preso in quegli ultimi tempi.
Tyki le diede le spalle, con uno scatto nervoso. Non aveva nemmeno intenzione di risponderle, così riprese a camminare.
Leda sbuffò forte, affinché l’uomo la potesse sentire; e infatti questo accelerò immediatamente il passo. La ragazza sorrise, soddisfatta del suo gesto.
Alan guardò la sorella con rassegnazione. Un’altra volta. Subito dopo la raggiunse, tirandole un lembo della giacca.
- Che cosa c’è? – chiese con tono dolce Leda, voltandosi verso di lui.
Ma non ebbe il tempo di sentire la risposta che un gorgoglio proveniente dal suo stomaco rimbombò lungo il condotto, arrivando benissimo alle orecchie di Tyki. Egli infatti si fermò, e fece dietrofront, raggiungendo i due fratelli.
Alan diventò rosso in viso per l’imbarazzo, mentre Leda sorrideva, ricordandosi improvvisamente che, da quando erano scappati, erano già passati alcuni giorni e loro non avevano messo nulla sotto i denti. La cosa strana, era che i due sembravano essersene completamente dimenticati. Almeno, fino a quel momento.
Improvvisamente si vide mettere qualcosa sotto il naso. Sollevò appena lo sguardo e vide un pezzo di pane, ancora fresco. Lo afferrò, un po’ incredula, e la voce di Tyki le arrivò tagliente eppure, in un certo senso, dolce:
- Vedi di fartelo bastare. Non ho altro.
Poi si chinò, e porse, con molta più gentilezza che a Leda, lo stesso pezzetto di pane a Alan.
- Grazie! – esclamò contento il bambino, addentando il suo pranzo con un morso delle dimensioni di quello di uno squalo bianco.
- Di nulla – fece l’uomo, accennando un piccolo sorriso.
Leda si sentì un po’ gelosa. Perché dava tutte quelle attenzioni a suo fratello, mentre con lei era più acido di un limone?
Lo guardò storto mentre si accucciava a terra e frugava nella sua borsa (che compariva sempre dal nulla).
- Riposatevi pure qualche minuto, se volete – pronunciò, indifferente, mentre tirava fuori un pezzo di legno.
Leda si sedette a terra, bagnandosi il retro dei pantaloni. Per non far fare la stessa fine anche ai suoi, Alan si sedette sulle gambe della sorella mentre, tutto tranquillo, continuava a consumare il suo pezzo di pane.
- Lasciane un po’ anche per dopo – gli consigliò Leda, con una certa nota di rimprovero nella voce. Intanto prese il suo, e lo infilò nella tasca della giacca.
Poi spostò il suo sguardo su Tyki. Si era strappato parte del mantello e l’aveva avvolto intorno a un’estremità del pezzo di legno.
La ragazza si sentì sollevata: almeno avrebbero avuto un’altra torcia da usare, quando quella che teneva in mano si sarebbe spenta.
A quel punto si sentì invadere dalla stanchezza. Si rese conto di tutto il tempo che era trascorso dal momento dell’assalto e che lei, sin da quando era tornata dal suo viaggio, non aveva nemmeno avuto un momento libero per riposarsi. E ora che finalmente aveva qualche attimo di tranquillità, avrebbe potuto recuperare un po’ di energie.
Cominciò a chiudere piano gli occhi. E in quella semi oscurità che la stava lentamente avvolgendo, ripensò ai suoi amici. Trattenne una lacrima. Sarebbe tornata da loro, ad ogni costo, a salutarli per l’ultima volta. E quando non vide altro che una nera parete davanti a sé, si lasciò scivolare delicatamente nel mondo dei sogni…

 

Buio totale.
Non vedo nulla, sono completamente immersa nell’oscurità.
Eppure, non mi dispiace. Per certi versi, si potrebbe dire mia amica. Si tratta di quel vuoto, quel nulla dal quale nulla nasce e nulla muore, che mi culla e mi fa sentire sicura. E’ una vecchia sensazione, quella che provo. Uno strano senso di sollievo. E’ talmente rilassante, dopo giorni di preoccupazioni e paure… che mi sembra quasi di dimenticare quel giorno. Quel giorno in cui la mia vita, così come la conoscevo e l’amavo, è sfumata per sempre.
Non oso muovermi. Preferisco bearmi di quell’assoluto senso di calma che mi sta lentamente pervadendo dal profondo dell’anima. Potrei lasciarmi cadere, ora, e rimanere lì, immobile, sul pavimento, a non fare niente.
Qualcosa però attira la mia attenzione. Percepisco l’accendersi di una luce, soffusa e opaca, alle mie spalle. Lo so perché improvvisamente riesco a vedermi le mani, i capelli ai lati del volto, i vestiti. Sono gli stessi che portavo anche prima di addormentarmi.
 
Questo sogno è banale.
 
Devo subito ricredermi. Qualcosa appare dalla luce, come un miraggio. E immediatamente un sordo rumore di acqua che scroscia riempie il vuoto.
Mi volto: c’è una fontana, davanti a me. Bianca, di pietra. E sulla colonna al centro, fanno la loro bella figura due angioletti, anch’essi della stessa materia. In mano tengono due brocche, dalle quali zampilla fuori un sottile getto di linfa fresca e cristallina.
E’ talmente bella, splendente, pulita, che la tentazione mi vince, e avanzo così qualche passo verso il bordo della fontana per berne un sorso.
Ciò che penso mentre mi avvicino è che ovviamente tutto questo è solo un sogno. Probabilmente la mia sete reale viene esternata attraverso il subconscio, e quando mi sveglierò quello stimolo diventerà concreto. Poco male. Almeno qui, posso finalmente rilassarmi e soddisfare, anche se solo in maniera fittizia, i miei desideri.
Mi siedo sul bordo, e allungo con un po’ di esitazione le mani verso uno dei fiotti, per raccogliervi l’acqua cristallina.
 
Ed ecco che lo vedo, riflesso.
Uno degli angioletti sposta lo sguardo di pietra e lo getta su di me. Inizialmente ciò che provo è indistinto. Non so, in verità, cosa dovrei fare. Nel dubbio, mi blocco, e ricambio con una fugace occhiata, per vedere se sono ancora osservata.
La risposta è affermativa.
Comincio a sentirmi a disagio. So, per principio, che una statua non dovrebbe comportarsi così. Non dovrebbe affatto comportarsi, in realtà.
Anche se si tratta di un sogno, la mia mente non è in grado di accettarlo.
Azzardo un movimento, forse dettato dall’inquietudine, e ritirò la mano.
La statua rimane immobile. I suoi occhi spenti sono, tuttavia, sempre puntati su di me.
 
Qualcosa però all’improvviso cambia. La testa dell’angioletto s’inclina lentamente nella mia direzione. Subito dopo le sue labbra inanimate cominciano ad allargarsi, con mio sconcerto, in un sempre più strano sorriso. Barcollante, incerto, tremolante. Ma, tuttavia, inquietante.
Comincio ad alzarmi, leggermente intimorita. Non so perché, ma sento il bisogno di allontanarmi. Di correre.
E questo mio sentimento trova immediatamente conferma.
La statua cambia improvvisamente volto. I denti diventano lunghi e acuminati, e la bocca si spalanca in un’espressione famelica. La sua lingua s’insinua tra quelle zanne, carezzandole quasi come stesse aspettando che mordessero della carne prelibata.
La mia.
Ora ho paura.
Velocemente mi alzo, e comincio a correre. I mie piedi sono diventati pesanti come macigni, e ogni passo mi costa una fatica immane. Non so dove scappare, perché l’oscurità inghiotte ogni cosa e, allontanandomi dall’unica fonte di luce esistente, inizio a non vedere più nulla.
Mi sento stanca. Ho l’impulso di chiudere gli occhi.
Buffo.
Sono in un sogno, e starei già dormendo.
Ma questo non è più un sogno, bensì un incubo.
Sento un lontano sbattere d’ali dietro di me, sinistro e veloce. E’ lui. Volto la testa, e vedo due brillanti luci rosso sangue nell’oscurità. Mi fissano, affamate, bramose della mia anima.
La paura prende totalmente possesso del mio corpo.
Cerco di correre più forte, ma i piedi sembrano come affondare nel pavimento, rallentando i miei movimenti.
Il mostro è sempre più vicino. Sento il suo fiato, e l’inquietante calore di due mani dalle dita lunghe e ossute che si allungano verso di me.
Sono spacciata.
 
Quando però sembra che tutto stia per finire, una luce, abbagliante e pura, si apre dinnanzi a me. Sembra una porta.
Una via d’uscita.
Raccolgo le ultime energie che mi restano per darmi una spinta in più e raggiungerla. La vedo avvicinarsi sempre più, e accogliermi come un caldo abbraccio salvifico.
Allungo una mano per toccarla, per afferrarla, per mettermi finalmente in salvo e terminare così quest’orribile tormento…
 
E invece quella s’allontana.
 
“Impossibile” è ciò che penso, mentre vedo la mia unica via di salvezza ridursi a una microscopica particella di luce a chilometri da me.
 
E come mi rendo conto di essere stata presa in giro da un’occasione bugiarda, le mani del mostro si avventano su di me.
Mi sollevano da terra e le sue unghie affondano voraci nella mia carne. Sento la pelle che si strappa, il sangue che sgorga fuori, caldo e nauseabondo, ma soprattutto sento il dolore. Un dolore lancinante al petto, all’addome, che mi perfora come tanti spilli acuminati e trafigge come mille lame affilate.
E mentre lentamente chiudo gli occhi, ormai preda del falso spirito celeste, sento la sua risata sguaiata che mi accompagna fino al risveglio…
 
 


 

Leda riaprì gli occhi, di scatto. Alan era di fronte a lei, e la chiamava dolcemente scossandola per una spalla.
La ragazza rimase assai sollevata nello scoprire che aveva solo sognato. E che non era stata divorata da un orribile demone. La presenza di suo fratello, in quel momento, era la sola luce salvifica che potesse mai desiderare.
Sorrise, mentre lentamente si sollevava, ancora intorpidita dal sonno. Sentiva la testa un po’ in subbuglio, e i muscoli indolenziti. Guardò il punto in cui si era addormentata, e non si stupì affatto di sentir male alle ossa.
Si guardò attorno, riconoscendo, suo malgrado, il ben noto canale fognario dentro al quale vagavano ormai da giorni. Tuttavia, alla tetra oscurità del suo sogno, preferiva di gran lunga quell’orribile condotto che puzzava di acqua marcia.
Improvvisamente la voce di Tyki, del quale si era totalmente dimenticata, irruppe nei suoi pensieri con la solita ‘gentilezza’.
- Devo dirti una cosa.
Si voltò nella sua direzione, troppo impigrita per inveirgli contro. Cosa voleva ora?! Dire che si era dimenticato la strada per la superficie?
Chissà perché, Leda non ne era affatto stupita…
L’uomo invece distrusse ogni sua supposizione, tirando fuori qualcosa che fece imbestialire ancora di più la ragazza.
- Esiste un modo per arrivare in superficie senza dove necessariamente percorrere il condotto – disse, con aria saccente.
A Leda cascarono le spalle, mentre la sua bocca rimase lievemente socchiusa in un’espressione allibita.
La prima cosa che ebbe l’impulso di fare, fu di tirargli un sonoro pugno su quel bel faccino che ritrovava, per cambiargli i connotati. Non era però nelle condizioni di farlo, quindi si limitò a restare basita, pietrificata dall’amara sorpresa.
Ormai aveva perso le speranze di comprendere cosa gli passasse per la testa; se lo divertisse metterli in difficoltà o se semplicemente fosse impedito. La seconda ipotesi era quella che più gli riusciva facile appoggiare.
Doveva essere assai stupido per non capire che, dopo giorni di vagabondaggio in quello schifo, dire che esisteva una via alternativa in quel momento, a loro, a lei, equivaleva a un atto di suicidio.
La sola cosa che gli impedì di ricevere le cinque dita di Leda sulla faccia fu l’inquietudine di quest’ultima, ancora pensierosa per via dello strano sogno avuto.
La ragazza strinse i pugni, in preda alla rabbia che cercava di controllare con tutte le sue forze, mentre tutto il suo corpo tremava, immobile, per evitare di perdere le staffe ed esplodere.
Improvvisamente Alan s’intromise, tirandole piano una manica della giacca. Leda se la guardò velocemente: era ricoperta di buchi, e sporca di polvere. Decisamente non in un bello stato. Chissà se qualcuno gliel’avrebbe potuta rammendare.
- Leda – la chiamò il fratellino, saltellando su e giù con gli occhi brillanti per la felicità – Lui ha i superpoteri! Può portarci via da qui!
- Come? – domandò la sorella, certa di non aver capito niente di quanto gli avesse appena detto.
Certo che Alan era un ragazzino vispo, e spesso troppo energico, ma se c’era una cosa che proprio non gli riusciva era mantenere il contegno. Certamente la frase ‘ha i superpoteri’ andava tradotta con qualcosa di più sobrio e meno fantasioso. Era spesso capitato, da Ted, che corresse da lei urlando: ‘C’è un mostro nella mia stanza!’, per poi scoprire che si trattava di un banale ragnetto. Altre volte, catturando una lucertola tra i sassi della loro vecchia casa, aveva esclamato: ‘Che drago enorme!’.
Leda però a quello non si era mai abituata. E decidere come interpretare le parole del fratello era sempre più difficile.
- Mi ha fatto vedere una cosa fantastica, prima! – continuò a esclamare il bambino, con meno energia, strattonando la manica della sorella.
Questa se lo scrollò di dosso, esasperata, recuperando pian piano parte della propria coscienza. Se non altro, la voce squillante di Alan era riuscita a destarla completamente. Gli posò una mano sulla testa e la schiacciò, scherzosamente, costringendolo a fermarsi e a parlare con più calma.
- Che cosa? – domandò poi, rivolgendo un’occhiata sospettosa a Tyki. Anche se li aveva aiutati, ancora non si fidava pienamente a lasciare Alan in sua compagnia.
Inaspettatamente, fu proprio lui a rispondere al posto di suo fratello.
- Io posso portarvi in superficie, passando da lassù – spiegò, indicando il soffitto del canale.
Leda guardò in alto, vedendo solo un muro nero e arrugginito. Come avrebbe mai potuto passare da lì? Forse facendo un buco… ?
- Di grazia, come penseresti di fare? – domandò, per nulla convinta, ma tuttavia incuriosita.
Tyki le rivolse lo sguardo più strafottente del mondo. Si sistemò i capelli con una mano, portandoseli all’indietro, per poi lasciarli ricadere scomposti sul viso nuovamente. Si avvicinò a Alan, si chinò verso di lui e liberò un braccio dal mantello. Leda notò ancora una volta le strane cicatrici che lo circondavano, e rimase perplessa.
Lo vide sollevare la mano, e mostrandogliela come fa un prestigiatore prima di compiere una magia.
- Così – disse.
Poi trapassò la testa di Alan.

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♣ Angolo di Momoko 

Salve a tutti! Tranquilli, non sono morta ^^'
La scuola in questi giorni mi ha impegnata parecchio, con la fine del quadrimestre ho dovuto studiare per non abbassare le medie xDD Poi con 'sti treni maledetti, che vengono soppresso praticamente tutti giorni, tornare a casa è una specie di battaglia all'ultimo sangue!
In questo capitolo le cose cominciano a subire una leggera modifica solo verso la fine... Avrei potuto scrivere di più, ma volevo mantenere l'effetto suspence *W* Nel prossimo invece ci saranno delle belle sorprese!
Volevo spendere due paroline per la mia raccolta di drabbles, Tears. Chi la segue avrà certamente visto che nella pagina d'autore, accanto al nome, ho aggiunto 'sospesa'. Non si tratta di mancanza d'ispirazione, affatto. E' stato un gesto di cortesia nei confronti di Myrae, che ora non è più su EFP. Non so se la continuerò ma, aspettando un suo eventuale ritorno, per ora rimane bloccata.
Invece, nei coming soon, c'è un'altro progetto, abbastanza strampalato, che spero di potervi mostrare il prima possibile :) *Momoko ingrana la marcia*.
Bene, ora mi dileguo! *W*

A prestoooo,

Momoko.

   
 
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