Anime & Manga > Death Note
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Autore: MadLucy    01/02/2013    2 recensioni
Giappone, 2025. Nel vecchio quartier generale dell'SPK cresce una bambina, consegnata quindici anni prima da Mello al suo più acerrimo rivale.
Inghilterra, 2025. Un misterioso studente della Wammy's House parte per il Giappone, portando con sè un quaderno nero e una Shinigami petulante.
Usa, 2025. Un esperimento genetico iniziato nove anni prima, il cui scopo era creare un essere umano dall'intelligenza devastante, ha esito positivo.
Spagna, 2025. In seguito a una serie di barbari e atroci omicidi, una ragazza dagli occhi rossi viene internata in un manicomio.
E Death Note può ricominciare lì dov'è finito.
Genere: Generale, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Bivio.




Quando Marion sollevò la pistola stretta convulsamente fra le sue mani sudate, le braccia fremevano troppo forte. Non sarebbe mai riuscita a prendere la mira, anche all'occhio più inesperto appariva evidente. Le sue pupille dilatate erano iniettate di sangue e respirava forte, dolorosamente. La gola di Craig invece era mozzata e non credeva sarebbe mai riuscito a rendersene conto.
Un secondo. Due. Tre. Il suo cervello impazzì ed affogò in un'incalzante ed opprimente follia, come se il sangue avesse rotto ogni vena nella sua testa, fosse uscito dai suoi canali e avesse inondato e desensibilizzato ogni capacità di comprensione fino a ridurlo sul ciglio di un panico vertiginoso e famelico. Si gettò fuori dal suo nascondiglio senza nemmeno prendere coscienza d'avere due gambe. La mano di Harmony scattò e gli afferrò la maglia con un vigore ferreo ed inaspettato, un impedimento che lo stordì e confuse, ma si strappò alla sua presa con la forza della disperazione più irrecuperabile. Marion non si accorse nemmeno di lui. Le tremavano anche gli occhi, forse di lacrime o forse di rabbia o forse d'entrambi.
-Non muo-verti. No-non azzardarti. Stai zitto. Dov'è quell'altra?-
Il ragazzo biondo ed adorabile seduto al tavolo sorrise affabile, come avrebbe fatto un vicino di casa gentile, e lei sentì la rabbia montare nel petto ed affluire nelle dita come una scarica elettrica. Mani incuranti estirpavano senza pietà ogni emozione che prima infestava il suo petto, ansia e paura e quella freddezza calcolata che sapeva bene non avrebbe mai saputo ostentare, e avvertiva quelle dita fredde lasciare un vuoto nero dentro di lei capace di divorare ogni pensiero e riflessione. Le rimanevano solo un groviglio di nervi roventi e istinti fugaci e mutevoli come onde d'un mare tempestoso, ad affiorare contro la sua pelle, prima una, poi l'altra, poi un'altra. Non capiva più niente, non realizzava niente se non quel calore a scottare sul tessuto dell'epidermide.
Un'ustione. Soffocava nel fuoco bianco nello sguardo di Law.
Near e i suoi occhi impietriti di morte. Near voltato di schiena che le diceva buonanotte per l'ultima volta.
Il dito calcato sul grilletto esitò tremando senza riuscire nè ad allontanarsi nè a sparare.
Poi Rowena apparve, da una piccola porta laterale nella stanza che non aveva notato. I suoi occhi sgranati la inquadrarono con curioso stupore, e sembravano tonde bolle di sangue. La pelle era troppo bianca, i capelli dolci e sinuosi le lambivano il petto. La bambola di porcellana di un film dell'orrore, ma era impossibile non sentirsi bizzarramente attratti da lei.
Marion le puntò la pistola contro con uno scatto nervoso e simultaneo: un errore decisamente fragoroso, che di sicuro in una situazione nella quale si fosse sentita più a suo agio non avrebbe mai e poi mai commesso. Craig allora puntò l'arma contro Kira, una muta minaccia intimata nello sguardo.
-Se provi a dire il mio nome ad alta voce, ti sparo in un orecchio e ti faccio saltare le cervella dall'altro.- Marion scoprì che la sua voce graffiava con inconsueta foga rancorosa, violenta, come la rabbia di un animale selvatico. Incatenò bene lo sguardo a quello di Rowena. Lei dopo una pausa azzardò l'accenno di un sorriso e inarcò le sopracciglia, senza scomporsi.
-Ecco qual'era il tuo asso nella manica, L... hai degli alleati. Mi chiedevo come mai la figlia di Keehl non si facesse sentire, e adesso ho capito.- Law le sorrise con una sorta di sarcasmo leggero.
-Zitto!- sibilò Marion in un sussurro vibrante di strizza. A Rowena sfuggì una risatina sottile.
-Cazzo ridi, bastarda!-
Craig capì che l'amica stava dando di matto e che non avrebbe sostenuto a lungo una situazione simile. Era stremata psicologicamente e tremava da capo a piedi. Era uno straccio, la concentrazione era ridotta ad una strenua resistenza a quegli eventi che la stavano travolgendo incontrastabili. Reagiva istintivamente senza pensare nè provarci. Così non andava bene. Decise di procedere con cautela.
-State lì dove siete. Matsuda, le manette.- Sperò che avere chiamato solo Matsuda fosse stato indicativo come lui avrebbe voluto che fosse: infatti sua sorella, Tennyson e la bambina rimasero dov'erano. Tirò mentalmente un sospiro di sollievo. Matsuda avanzò con circospezione accigliata, e appena incrociò lo sguardo di Law il suo viso fu attraversato da uno spasmo doloroso.
L'uomo si avvicinò a Rowena estraendo, con un flebile tintinnìo metallico, le manette dalla tasca. Marion e Craig non distolsero le pistole dai loro volti. Quando Matsuda fu a quattro passi da Rowena, lei abbassò il mento e sorrise spudorata.
Fece un balzò in avanti che nulla aveva d'umano -felino, casomai, d'una pantera o di un ghepardo- e colpì con una gomitata fulminea la testa dell'uomo, facendolo sussultare sorpreso, e poi lo spinse contro il pavimento con un calcio stranamente aggraziato. Con la stessa impareggiabile rapidità si avventò contro Craig. Inconcepibile immaginare di seguire la traiettoria dei suoi movimenti con la pistola, e tantomeno di riuscire a spararle. Craig non la vide staccarsi dal suolo o estinguire la distanza che li divideva, ma capì confusamente di avere picchiato la nuca contro le assi per terra. Odore di polvere e muffa. Rowena, premuta sul suo petto, sorrise dolcemente dei suoi deboli tentativi di scrollarsela di dosso e gli accarezzò le spalle con un movimento languido, lasciando salire poi le mani alla gola e circondando con le dita la fragilità del collo. Craig si sentì perduto in quella stretta d'acciaio di ragazza, mani piccole e delicate come marmo, e si accorse che la pistola gli era stata sottratta. Capì, con lucida isteria, che Rowena era una macchina da guerra. Stava accadendo tutto così in fretta. Vide Marion, sconvolta, puntare la sua arma contro la schiena della ragazza ma esitare meditando del fatto che erano così vicini che rischiava di ferirli entrambi. Era finita. Ogni attimo impregnato di significato della sua vita gli passò davanti agli occhi. Sua madre che gli carezzava i capelli prima di dormire, lui e Harmony quando scorrazzavano in autostrada a velocità spaventosa, Marion che lo guardava negli occhi e lo baciava...
Poi Rowena contrasse le labbra in un'espressione infastidita e sciolse la presa al collo di Craig per portare le mani alla nuca. Alle sue spalle Harmony le aveva colpito la testa con una lunga asse di legno disseminata di chiodi, probabilmente strappata dal corridoio, e le stava rivolgendo un'occhiata malvagiamente compiaciuta. Craig si divincolò mentre Rowena afferrava i polsi di Harmony e li storgeva fino a farla gemere, e l'asse di legno cadeva con un tonfo per terra.
L approfittò della confusione e afferrò il Death Note che Law, concentrato sugli improbabili eventi, stringeva distrattamente fra le mani e si alzò in piedi, arretrando dal tavolo. Law sollevò lo sguardo e, realizzando l'accaduto, sgranò gli occhi e maledisse la propria sbadataggine. Però non potè fare nemmeno un tentativo di raggiungerla, avvertiva la canna della pistola di Marion premere sulla nuca: provò una frustrante quanto familiare sensazione d'impotenza e digrignò i denti, trafiggendo con lo sguardo gli occhi irremovibili di L.
-Non provarci, non provarci nemmeno.- sibilò Marion alle sue spalle, troppo vicina. Come fare? Se anche avesse tentato di colpirla, sarebbe partito un proiettile che gli avrebbe attraversato il cranio. Come se non bastasse, Matsuda si era alzò in piedi dopo l'aggressione di Rowena e si avvicinò ad L. Il suo sguardo era rotto da una patetica delusione.
-Lawrence, perchè stai facendo tutto questo? Che senso ha?! Perchè stai ripetendo gli errori di tuo padre?! Non stai facendo del bene al mondo, stai soltanto contribuendo a renderlo un universo infido e crudele...-
-Non fare finta di poter capire.- La voce di Law spezzò le sue parole come un dardo velenoso, come non era mai stata, dura di rancoroso distacco. -Se sei venuto qui per catturarmi insieme a loro, significa che non comprenderai mai mio padre... nè me. Non giudicare ciò che non conosci! Non riesci nemmeno ad immaginare come sia sollevante per le persone oneste sapere che c'è chi le protegge dalla cattiveria gratuita dei criminali, dalla pazzìa di certi individui... sono loro il pericolo! Sono loro la malattia da estirpare, l'errore della natura... non io.-
-Ignoralo.- ribattè L a Matsuda con voce piatta. -Non c'è niente che possiamo fare per lui.-
Law volse lo sguardo verso ciò che si stava svolgendo a pochi metri da loro. Ormai Rowena era la sua unica speranza di poter ribaltare la situazione.
-Rowena, il Death Note!- esclamò, sbattendo i palmi contro il tavolo, fingendo di non accorgersi di quanto lei fosse impegnata al momento.
Tennyson, il volto paonazzo di rabbia, uscì allo scoperto e colpì Rowena in faccia con un cazzotto potente da giocatore di football, che come minimo avrebbe potuto sfasciarle il naso; ma la ragazza arretrò abbastanza velocemente da non riportare troppi danni e piroettò su sè stessa, tirando un calcio a Craig dietro di lei.
Rowena indietreggiò fino ad urtare il muro con le spalle, in modo che nessuno potesse colpirla a tradimento, e saettò lo sguardo di qua e di là: fece un rapido riepilogo della situazione e realizzò le posizioni dei suoi nemici, per pianificare un contrattacco. Craig era a destra, verso le finestre, ed era disarmato. Di fronte a lei, a circa sette otto passi, c'era Harmony con una pistola. A sinistra stava Tennyson, imbracciando l'asse chiodata: anche lui aveva una pistola appesa alla cintura, però. L'uomo chiamato Matsuda affiancava L e stava dicendo qualcosa a Law con tono supplicante -al momento non costituiva un problema per lei. I tre ragazzi la fissavano con spaventato rancore. All'improvviso comprese cosa doveva fare, e non riuscì a trattenere un sorriso allegro ed eccitato. Questo gioco le piaceva tantissimo.
Fece una perfetta capriola nell'aria che sbalordì tutti e tre e, all'urto con il suolo pochi passi più avanti, allungò un calcio fulmineo ma violento alle ginocchia di Harmony -che, del tutto presa alla sprovvista, sparò mancandola di qualche centimetro e cacciò un urlo di dolore perdendo l'equilibrio. Craig e Tennyson scattarono praticamente nello stesso momento e Rowena, scoprendo con brio che stava andando come aveva previsto, lasciò che si avvicinassero pericolosamente prima di scartare all'indietro, afferrare le loro teste ed urtarle con energia l'una contro l'altra. Poi approfittò del loro stordimento per spingerli a terra e fregare a Craig la pistola. Tennyson invece non allentò la stretta sulla sua asse e la brandì alla cieca, sferzando soltanto l'aria inutilmente. Senza dare loro il tempo di rimettersi in piedi, Rowena sollevò il piede e con l'esaltazione negli occhi lo affondò contro la tempia di Tennyson, strappandogli un lamento; il colpo inferto gli annebbiò lo sguardo di rosso, mentre una parte della sua nuca pulsava e si arroventava orribilmente, e la confusione lasciava posto ad un dolore sempre più nitido ed acuminato, una lama a penetrargli il teschio gradatamente.
Con un abile balzo Rowena sorpassò i loro corpi a terra e fronteggiò Harmony, che le puntava contro la pistola.
-Assaggia qualche proiettile, troia.- La ragazza dai capelli rossi sparò un colpo, due, tre. Rowena li evitava saltando e storgendo il suo corpo flessuoso in maniera improbabile, slanciando la testa avanti ed indietro, piegando il busto orribilmente, come non avesse ossa. Harmony imprecò sottovoce: stava esaurendo i proiettili, e anche ogni certezza di poterla colpire. Lei si esercitava da anni, ma quella strana ragazza sembrava appartenere ad una razza sovrumana ed eludere qualsiasi legge di gravità. Come poteva essere minuta ed esile eppure forte, terribilmente giovane eppure esperta come una lottatrice professionista, matta da legare eppure abbastanza lucida da combattere in maniera così efficace?
Sparò ancora, almeno per prendere tempo: infatti Craig e Tennyson si stavano rialzando. Ma Rowena aveva intuito il loro gioco e si stava dirigendo verso la porta d'ingresso che dava verso il corridoio, fuori dalla portata di tutti loro. Harmony strinse gli occhi ed abbassò la pistola, furente e sdegnata. Quanti proiettili potevano esserle rimasti?
I due ragazzi si affrettarono ad avvicinarlesi.
-Come stai?- domandò Tennyson preoccupato, la fronte aggrottata. Lei sorrise sarcastica, rassicurandolo.
-Le gambe sono un po' doloranti e la dignità appena maciullata, ma non c'è male. Voi?-
-Siamo ancora vivi.- replicò Craig, massaggiandosi la testa con disappunto. -Per ora.-
Rowena però aveva avuto un'altra idea. Uscì in corridoio, attraversò correndo la passerella traballante ed adocchiò una vecchia finestra dal vetro pesante ed opaco d'un manto di polvere. Strinse la mano destra in un pugno e, noncurante, lo scagliò contro la finestra con tutta la sua forza. Quello s'incrinò in una ragnatela di crepe e si infranse crollando a terra con uno strepito.
La ragazza sorrise alla vista delle chiazze color rame che fiorivano sulle sue nocche, si chinò ed esaminò le schegge di vetro. Infine raccolse un lungo frammento dal profilo frastagliato ed irregolare, aguzzo come un rasoio. Lo saggiò sul polpastrello dell'indice e tornò sui suoi passi soddisfatta, ma prima di rientrare lanciò la pistola rubata a Craig giù per la tromba delle scale. Il buio l'assorbì.
Harmony, Craig e Tennyson stavano attendendo il suo ritorno, interdetti dal fatto che fosse uscita così all'improvviso. Quando varcò la soglia non notarono l'arma di Rowena, dato che l'aveva infilata abilmente nella manica, con l'ausilio dell'apposito bracciale di ferro indossato nell'eventualità di dover nascondere coltelli. Lo sguardo della ragazza corse ai riccioli scompigliati di Craig: non si era lasciata sfuggire il fiotto di sangue che gli gocciolava lungo il collo dalla ferita inferta sulla nuca. Si leccò bramosamente le labbra, quasi incantata. Craig sentì un brivido freddo d'orrore percorrergli le braccia istintivamente. Anche Tennyson aveva di certo la pelle arrossata sotto la chioma corvina e a Harmony sarebbero rimasti diversi lividi sulle ginocchia.
Rowena avvertì la mano destra inumidirsi di sangue e la nascose allo sguardo dei tre.
Tennyson tentò di coglierla alla sprovvista gettando con vigore l'asse di legno contro di lei. Rowena non si degnò nemmeno di schivarla e la fermò urtandola con le dita tese e poi prendendola al volo. Harmony sparò un colpo sperando fosse distratta, ma lei parò come scudo davanti a sè l'asse stessa. Craig da sinistra le si avventò sul braccio e lo strinse forte, Rowena lo sollevò da terra e dopo avergli fatto descrivere un arco a mezz'aria lo schiantò al suolo a destra. Tennyson puntò la pistola contro il suo piede e Rowena lanciò l'asse contro di essa, facendogliela saltare di mano. Entrambi si gettarono per raccoglierla e Rowena lo impedì ficcandogli le dita negli occhi. Mentre Tennyson si afferrava il volto borbottando, lei balzò in piedi ed analizzò l'attuale situazione.
Craig giaceva carponi a terra, stordito dalla caduta, e la gemella gli si era accostata ansiosa. Lui era disarmato e lei aveva solo un paio di proiettili nella pistola. Tennyson aveva recuperato la sua asse, strofinandosi gli occhi dolenti, ma la pistola gli era stata sottratta. Rowena fissò l'arma, sogghignando, la sollevò in alto e la scagliò tanto energicamente che scivolò sul pavimento del corridoio e cadde nel baratro buio delle scale, facendo la stessa fine dell'altra.
-Beh? Perchè non la usi?- domandò Tennyson, sospettoso. Lei sorrise angelica: non conosceva neanche una parola di giapponese.
Le piaceva di più tirare i pugni e strappare la pelle. Odiava le armi da fuoco, Rowena. Causavano morti così rapide e pulite che non c'era nè tempo nè modo di divertirsi.

A Marion bastò un'occhiata circospetta verso i suoi amici per capire che la situazione stava precipitando. Quella Rowena era davvero terribile: non avrebbe scommesso dieci yen su una ragazzina così delicata e sottile, ma era riuscita a stendere niente meno che Tennyson. Matsuda stava persistendo nel recitare un appello disperato per far capire a Law che tutto quello che aveva fatto finora era controproducente. L seguiva con lo sguardo il combattimento accanito fra Rowena e gli altri, sapendo bene di non poter contribuire in alcun modo, e attendeva con fiducia il momento in cui sarebbero riusciti ad immobilizzarla. Il problema era che quella ragazza, al contrario di molti pazzi ed al pari dei grandi esperti, combatteva ragionando. I suoi colpi non erano casuali nè improvvisati. Ogni suo movimento la favoriva concedendole tempo o spazio. Pur essendo tre contro uno, Craig e gli altri erano decisamente svantaggiati. Per quanto riguardava la figlia di Near, era ancora lì dove L le aveva intimato di restare senza muovere un muscolo: sulle scale, nascosta nella nicchia fra un gradino e l'altro.
Marion si stava ancora arrovellando su un particolare che non era riuscita a spiegarsi. Premette con più insistenza la pistola contro la nuca di Law.
-Chi era ad urlare prima?! E perchè si sentiva da due direzioni?- domandò con voce brusca. Lui sorrise fra sè.
-Rowena, naturalmente. Quando si è accorta che qualcuno era entrato, le ho detto di confondervi con l'ausilio del condotto di areazione nell'altra stanza. L'edificio non è affatto costruito compiutamente, perciò vi sono soltanto intricati tunnel di metallo che attraversano quasi tutti i locali della struttura: se un rumore risuona all'imbocco di una di queste gallerie, esso è distinguibile in corrispondenza di tutti gli altri imbocchi. Riecheggia ovunque, insomma. Ma credevo fosse la polizia, non mi aspettavo certo una vostra visita.-
Marion s'irrigidì. -Non è una visita. E' un'esecuzione. Sono venuta per spararti un colpo in testa, Yagami.-
-E allora perchè non l'hai ancora fatto?- Marion s'infiammò d'uno stupore rabbioso pensando che certi idioti sono capaci di fare del sarcasmo anche con una pistola alla tempia.
-Perchè devo farlo passare per un incidente.- replicò.
Law scosse la testa appena, mentre la canna della pistola incideva la sua pelle. -Oh, non credo che Near avrebbe apprezzato un comportamento del genere... e tu davi retta a Near, giusto? Gli volevi bene, vero?-
-Stai zitto.- Marion tentò di placare i vistosi tremiti lungo le braccia, mentre gli occhi prendevano fuoco in una lenta consueta agonia. Non avrebbe pianto. Quel comando risuonò imperioso e sferzante, da una voce come una lama di ferro arroventata -voce del suo orgoglio o delle sue cicatrici, nella sua mente ovattata ed incapace di rilevare la realtà attorno a sè. Solo Law esisteva, in quel preciso istante, e non riusciva a mettere a fuoco null'altro se non la sua nuca bionda e la canna nera della pistola premuta contro. Quella voce cattiva e acuminata la tagliuzzava poco per volta.
-Ah, povero Near. Una persona così di buon cuore! Peccato mi abbia messo i bastoni fra le ruote. Non avrebbe dovuto fare una fine così misera, la stessa di tanti stupratori e mafiosi da quattro soldi... lui, il grande eroe... di cui il mondo non serberà nemmeno il più pallido ricordo. Come se non fosse mai esistito.-
Marion contrasse le mascelle e combattè una battaglia spietata contro l'arsura umida ad impastarle gli occhi. -Zitto, Yagami, taci, stai zitto.- La sua voce si assottigliò e stonò.
Law si sentì all'improvviso padrone della situazione -nonostante l'arma non si fosse spostata di un millimetro da lui- e un calore piacevole gli colmò il diaframma. Ogni parola pronunciata in una cantilena strascicata era una delizia, come miele sul palato.
-Un vero peccato, no? Che una tale mente, un tale uomo sia destinato a svanire nel nulla. Beh, sarà stata una punizione del destino. Forse non avrebbe dovuto opporsi a Kira. Dopotutto lo sapeva benissimo cosa gli sarebbe successo... eppure ha perseguito nel suo nefando scopo. Che dire, era un tipo bizzarro: come si spiega altrimenti che abbia cresciuto la figlia del suo peggior nemico?-
Marion non riusciva più a distinguere bene i profili delle ciocche bionde del ragazzo. Lo sguardo era diventato una pozza increspata, si disfaceva in mille frammenti come un mosaico, scioglieva i contorni della realtà. La coltre di lacrime rabbiose in precario equilibrio contro le sue iridi minacciava e ondeggiava. A quelle parole, battè le palpebre confusa ed una lacrima assunse consistenza, precipitando dalle palpebre dolenti.
-... cosa vai blaterando?! Quale nemico?!- Riuscì a controllare la voce il più possibile, dandosi un contegno. Era grata del fatto che il ragazzo fosse di schiena e non potesse vederla. Spazzò la lacrima fuggitiva con stizza: era stanca di piangere, stanca di svelare quella debolezza terribilmente umana che Near avrebbe disprezzato sinceramente.
Law sentì il trionfo ruggire da qualche parte nel suo sangue ribollente e capì che aveva appena trovato, fra le carte nelle sue mani, quella che gli avrebbe permesso di salvarsi. Si trattava solo di giocarsela al meglio. Si trattenne dallo schiarirsi la voce.
-Oh? Significa che non lo sai? Non ci credo. Impossibile che Near non te ne abbia mai accennato... impensabile. E' praticamente l'unica informazione indiscutibile riguardo tuo padre. Tutti lo sanno, compresi gli agenti dell'Spk. Anche troppo bene. Significa che davvero non hai idea di ciò di cui sto parlando?-
Era una goduria infinita. Marion impallidì. Si dimenticò delle lacrime, si dimenticò di essere arrabbiata e rimase solo una sospensione bianca e pulsante. Il suo cervello lavorava freneticamente, ma non riuscì a ricordare nulla su suo padre a cui tutti le avessero accennato, o in generale di sapere qualcosa di sicuro e specifico. Solo dati evasivi.
-Vieni al punto, Yagami, accidenti! Cosa cazzo intendi dire?! Cos'è?!-
-Dunque Near non era poi così impeccabile come voleva fare intendere... questa è la prova che anche i più intransigenti hanno i loro segreti. E a quanto pare il tuo tutore te ne ha nascosto uno parecchio importante... chi l'avrebbe mai immaginato? Il grande Near, un bugiardo.-
-Non osare! Non osare più, Yagami, che ti faccio schiantare il cervello al suolo!-
Law fece per voltarsi. Marion premette così forte la pistola contro il suo cranio che trattenne a stento un gemito.
-Come definirlo, altrimenti?- proseguì insinuante, -Come avrebbe potuto, una persona onesta, nasconderti che Nate River era il nemico giurato di Mihael Keehl? Che tuo padre ha passato la vita a cercare di surclassarlo senza riuscirci e l'ha perduta nel tentativo?-
Marion non reagì. Quelle parole non avevano valore. Le incassò senza commentare. Non capiva.
-Near e Mello crebbero insieme, non sai nemmeno questo? Alla Wammy's House, fabbrica fondata per duplicare un pezzo unico. Caserma per piccoli aspiranti L. Come credi che fosse Near a quei tempi? Esattamente come l'hai conosciuto, indiscutibilmente ed ineccepibilmente perfetto. Sempre se possiamo ancora azzardare che tu l'abbia conosciuto. Come può non averti parlato del modo in cui Keehl, all'epoca Mello, ridusse la sua esistenza al disperato e invano tentativo di eguagliare e superare quella perfezione devastante? E come dargli torto. Chi può amare una persona incapace di sbagliare? Chi può sopportare di vivere al fianco di una tale esasperazione? Mello non riusciva ad accettare che qualcuno fosse migliore di lui. Versò sudore e sangue per ottenere un risultato irraggiungibile, combattè con tutte le sue forze per realizzare, alla fine, di essersi soltanto frantumato le ossa. Mello era molto intelligente, certo. Ma non era Near.- Fece una pausa gravosa d'importanza, prima di proseguire. Marion si rese conto di avere aggrottato la fronte e di stare scuotendo la testa meccanicamente.
-Cosa... significa?!- sbottò. Quelle maledette rivelazioni erano solo frammenti sconnessi, che non potevano combaciare in alcun modo gli uni con gli altri. Il suo mondo tremava, scosso da parole come meteore. Suo padre... odiava Near?! Law proseguì imperterrito.
-Quando L morì e Near iniziò a dare la caccia a mio padre in titolo di suo erede, Mello dichiarò guerra aperta. Aveva lasciato che Near ricoprisse il ruolo di L per poter camminare nel mondo con le sue gambe. Era entrato in una banda mafiosa e non si faceva scrupoli a ricorrere ad ogni sorta di vandalismo e crimine per raggiungere i suoi scopi, in fondo era fatto così. Fra le tante accuse che gli si possono rivolgere, fra le quali furto e possesso illecito d'armi da fuoco, c'è quella di omicidio. Cercò di arrivare a Kira utilizzando le sue risorse e suoi mezzi, che pur essendo impropri funzionavano abbastanza spesso. E che dire della drammatica quanto plateale conclusione di questa storia?- Spalancò le braccia in un gesto teatrale, ma Marion non reagì. Ogni rivelazione che aggiungesse un dettaglio a quel racconto inverosimile di mostri e battaglie stordiva, frastornava memoria, passato e presente. La sua vita non era affatto ciò che le era stato insegnato. Era qualcos'altro.
Conosceva il finale di quella storia. Stridette i denti gli uni sugli altri.
Law pronunciò quelle ultime parole con lenta, minacciosa solennità. -Mello trovò una falla nel piano di Near. La sanò rapendo Kiyomi Takada. Fu ucciso consapevole che sarebbe successo. Near vinse.-
Marion arretrò, come se tutto ciò le ispirasse repulsione. Una negazione fragile morì prima ancora di essere presa in considerazione come appiglio. La aspettava solo un burrone.
Si perse fra quelle parole, senza che nessuna delle immagini da esse evocate riuscisse a prendere forma nella sua immaginazione. Near il ragazzo troppo perfetto odiato da Mello? Mello a consumarsi nell'odio ispirato dalla persona che Marion riteneva suo padre?
-Ora, alla luce di queste nuove scoperte, davvero te la senti di schierarti dalla parte del nemico peggiore di Mello? Se lui fosse stato ancora vivo, probabilmente avrebbe messo di persona fine alla vita di Near. Rovinò la sua vita di bambino, ragazzo e poi uomo. Come sarebbe arrabbiato nello scoprire che tu ti stai mettendo in pericolo per vendicare proprio lui...-
-Smettila, cazzo, non parlare! Non parlare... Stai zitto!- Marion strizzò gli occhi esasperata, scuotendo vigorosamente il capo. Tutti quei discorsi mellifui stavano mettendo in discussione qualsiasi cosa lei credesse di sapere riguardo il suo passato, e voleva che il mondo smettesse di ruotare per il verso sbagliato. Voleva fermarsi, inquadrare tutta quella situazione vertiginosa e sconvolgente, fermare quella giostra vorticosa...
Come aveva potuto, Near, tenerle nascosto tutto questo? Come poteva averlo solo fatto per il suo bene, per proteggerla? Non era una spiegazione sufficiente per giustificare tutto. Quel silenzio testardo, una vita in silenzio, era peggiore di qualsiasi bugia. Perchè il suo tutore non le aveva raccontato la verità? Aveva temuto così tanto il suo giudizio, la sua opinione? Oppure c'era dell'altro? Near le aveva sempre parlato poco di Mello, ma visto ch'era stata cresciuta da lui Marion aveva immaginato che fra loro due ci fosse stata una bella intesa, se non addirittura una grande amicizia, idea consolidata dal fatto che il suo tutore sembrava malinconico quando il discorso divergeva su Mello. Dopotutto una figlia non si affida ad un nemico, no?
-Stai mentendo.- affermò con voce tremante di sdegno e shock, mentre la più flebile delle speranze si materializzava senza rinfrancare. Law, beffardo, fece un cenno con la testa a Matsuda.
-Tu a quel tempo c'eri, no? Facevi parte della squadra di mio padre. Sicuramente hai sentito questa storia. Allora, è vero o no? Chiariscile le idee, che di me non si fida.-
Matsuda si trovò colto alla sprovvista. Sussultò e spostò lo sguardo da lui a Marion. Era colmo di una pietà annichilita. Dire quanto segue gli costò non poca fatica.
-Ecco, vedi... effettivamente... credo sia vero. Quando indagavamo su Mello, più volte ci è capitato di osservare che sembrava gareggiare contro Near per la cattura di Kira... tutto ciò che gli interessava era trovarlo prima di lui. Mi dispiace.- aggiunse, rosso in volto.
Marion sentì il mondo ondeggiarle sotto i piedi. Near. Mello. Lei. D'un tratto le parve di stare vivendo la vita di un'estranea.
-Posso capire che in questo momento tu sia confusa.- proseguì Law. -Rifletti. Near rovinò la vita di tuo padre. Lo annientò, causò la sua morte... se non l'avesse rincontrato, Mello sarebbe ancora vivo. Pensaci. Ti ha strappato l'opportunità di crescere con il tuo vero padre. A conti fatti, ha cercato di rovinare anche la tua, di vita. Vale davvero questa vendetta? Vale davvero tanto dolore?- Con un gesto eloquente, indicò Rowena intenta a pestare gli altri. Marion aguzzò gli occhi preoccupata: le parve che Craig perdesse sangue dalla testa. Raggelò.
L'immagine grottesca di Near con un ghigno perverso in volto attraversò fugace la sua mente. L'accartocciò con impeto, con rabbia. Non bastavano quattro parole di un assassino per farle cambiare idea su suo padre.
Ma per un attimo s'immedesimò in Mello, scivolò nei suoi panni e immaginò quanta frustrazione dovesse aver provato nello sfidare Near: come picchiare un muro di sassi. Sassi che crollano e colpiscono alla testa. Provò un'infinita tenera pietà per quel ragazzino di cui non conosceva il volto, che tanto doveva aver odiato Near ma mai quanto aveva disprezzato se stesso. Provò un'infinita tenera pietà per l'uomo che le aveva dato la vita. Riavvertì quella bizzarra sensazione di vicinanza, come se il suo fantasma fosse accanto a lei e le stesse accarezzando una guancia.
-Sì, vale questa vendetta, bastardo. Near vale qualsiasi cosa. Near vale mille volte la tua misera vita. Io non riuscirò mai a saldare il debito che ho nei suoi confronti. Lui mi ha dato tutto... lui è stato tutto... e non ha mai chiesto niente.- Deglutì a fatica. -Speri di ingannarmi con qualche trucchetto di retorica?! No, non mi abbindoli, razza di viscido verme. E se oserai ingiuriare ancora il suo nome, giuro che sarà l'ultima cosa che farai.-
E poi uno sparo tagliò l'aria.

Sentì lo sparo terribilmente vicino. Lì, accanto a lei. Il cuore non esalò più respiri e l'ossigeno divenne cemento.
Marion non avrebbe voluto voltarsi mai, ma lo fece con lento stordimento. Ebbe paura. Paura abissale, paura nelle viscere, paura dell'inevitabile. Ogni pensiero crollò e uno shock paralizzante irrigidì il suo corpo.
Harmony aveva gli occhi leggermente sgranati, come chi inaspettatamente colpisce uno spigolo, ma la sua espressione non mutava. Il braccio era sospeso a mezz'aria, immobilizzatosi nell'atto di compiere un gesto, senza riuscire a portarlo a termine. Il colorito abbandonò le guance. Barcollò incerta sulle gambe e tentò un respiro spezzato, mentre lo sguardo di Marion cadde sul foro che la pallottola aveva lasciato nella sua spalla. Craig urlò come se un ferro incandescente gli fosse stato impiantato in gola.
Rowena, colei che aveva sparato a Harmony dopo averle sottratto la sua stessa pistola, rise allegra e fece per slanciarsi contro la ragazza ferita; Craig si gettò sulla sua gemella coprendola col suo corpo e spalancò le braccia, una follia rotta negli occhi dilatati.
Marion fece scattare la pistola contro Rowena e, pietra nei lineamenti, sparò tre colpi. La ragazza li schivò senza nemmeno girarsi a guardare la loro traiettoria, sfoderò il frammento di vetro dalla manica e lo slanciò verso il petto di Craig. Tennyson si scagliò contro la sua schiena, un rancore bruciante nello sguardo, e iniziò a colpire ripetutamente la nuca di Rowena con l'asse, dalla parte dov'erano infilzati i chiodi. La ragazza sollevò le braccia sopra la testa, afferrò l'asse con entrambe le mani e la sollevò con tutte le sue forze fino a colpire Tennyson al mento.
Matsuda estrasse la sua pistola di servizio e la puntò contro Rowena. Law con un movimento fulmineo si allontanò dal raggio visivo di Marion e si avventò su L, strappandole di mano il quaderno.
-I nomi, Rowena!- urlò eccitato.
E fu allora. Harmony si accorse, nella sua immobile lucidità, che il volto di Rowena era vicinissimo al suo ed era del tutto distratta, ancora intenta a lottare contro Craig e la sua asse. Era il momento perfetto. Con il braccio sano frugò nella borsa che aveva con sè, le sue dita toccarono qualcosa di metallico e liscio: la estrasse. Era una bomboletta spray al peperoncino che sua madre le aveva rifilato con il pretesto che c'erano tanti malintenzionati in giro. Si diede mentalmente della stupida per aver creduto che fosse inutile. La puntò premendola contro gli occhi della ragazza e la azionò. Prima di poter anche solo pronunciare una sillaba Rowena cadde all'indietro, gridando come un'invasata e contorcendo le palpebre sugli occhi avvelenati.
Law imprecò accigliato e allontanò L con un calcio, portando il Death Note fuori dalla sua portata, ma l'uscita era assolutamente impossibile da raggiungere: per farlo avrebbe dovuto passare in mezzo al gruppo composto dai ragazzi. Calcolò rapidamente il da farsi.
Marion, atterrita dall'immagine di Harmony a terra, fece un cenno a Matsuda. -Puntagli la pistola alla testa, ammanettalo e prendigli il quaderno. Tennyson, tieni ferma quel demonio di ragazza.-
I due si affrettarono ad obbedire. Matsuda un po' titubante ordinò al nipote di voltarsi, con una tristezza più copiosa dell'autorità nella voce, e fece scattare le manette ai suoi polsi; Law non oppose resistenza e tacque un silenzio risoluto mentre ragionava in gran fretta. Invece Tennyson con parecchia foga spinse la schiena di Rowena a terra, le impiantò un ginocchio fra le scapole e le fermò i polsi con un altro paio di manette. Poi, senza lasciare la presa sul suo corpo, rivolse lo sguardo a Harmony. Craig, inginocchiatosi accanto, aveva sbrindellato la sua maglietta per improvvisare delle bende d'emergenza e sistemava con delicatezza e pazienza le strisce di stoffa contro la ferita alla spalla di lei, imponendo precisione alle sue mani tremanti.
Marion si avvicinò, ansiosa. -Come l'ha colpita, è grave?! Come sta?!-
-Non posso dirlo con certezza, ma mi pare che la ferita non le abbia procurato danni letali. Dopotutto le ha colpito la spalla. Comunque il proiettile è penetrato piuttosto a fondo.- mormorò il gemello, legando strettamente le bende alla spalla della ragazza.
A quel punto Harmony socchiuse gli occhi e stiracchiò un sorriso indolenzito. -Prego, eh, è stata una cretinata mettere fuori gioco Lara Croft, figuratevi, non c'è di che...-
-Grazie.- ammise Marion sorridendole di rimando. -E' stata un'idea decisamente geniale. Soprattutto per impedirle di vedere i nomi.-
-Lo so, lo so.- Craig roteò gli occhi al soffitto: sì, sua sorella stava ufficialmente bene, se aveva anche le forze per scherzare. Anche Marion si tranquillizzò nel sentirla parlare così.
-Dobbiamo scendere subito, cercare gli altri e sotterrare questi due deficienti in prigione.- sentenziò con freddezza. -Harmony ha bisogno di un'ambulanza.-
-E di una sigaretta.- brontolò lei. Tennyson scosse la testa, divertito e sinceramente sollevato nel vederla comportarsi al suo solito modo.
Fu in quel momento che Rowena spalancò gli occhi brucianti, velati da una patina rossa. Le bastò uno scatto simultaneo e deciso dei polsi nelle opposte direzioni per fare in modo che la catenella si tendesse, vibrasse ed esplodesse in schizzi di anelli di ferro; prima che qualcuno potesse realizzare l'accaduto, colpì con un calcio poderoso Tennyson e scattò verso Matsuda. Gli afferrò i capelli corvini e lo slanciò violentemente contro il muro, senza che la loro differenza di altezza e stazza le creasse un benchè minimo problema, poi lo stordì con un pugno contro i denti che le permise di recuperare il quaderno con disinvoltura mentre l'uomo perdeva i sensi; poi, in un gesto tanto fulmineo che dimostrò d'essere avvenuto solo quando gli altri videro Lawrence libero, Rowena liberò il ragazzo dalle manette.
Marion si rese conto della situazione e la sua mano scattò alla pistola: esaurite le munizioni. Tennyson, nella fretta, non aveva controllato quanti proiettili avesse ciascuna arma. Inoltre a quel punto, con Rowena libera, sarebbe servita a ben poco. Ormai rimaneva loro solo la pistola di Matsuda, che era però svenuto.
L rivolse un cenno eloquente a Craig: il ragazzo si affrettò a sorreggere la sorella e metterla in salvo fuori dalla stanza, in corridoio, dietro la parete. Marion lo aiutò. Tennyson trovò rapidamente rifugio nella stanzetta accanto, quella dove si trovava il condotto d'areazione, sgattaiolando senza farsi vedere.
L stava sollevando Matsuda ancora privo di sensi quando si rese conto di essere l'unica rimasta nella stanza, e che Law la stava osservando con un sorriso ironico e malevolo.
-Ed eccoci tornati al punto di partenza, cara L.- commentò entusiasta. -Devo dire che l'inaspettata entrata in scena dei tuoi amici è stata divertente. Ha reso le cose più eccitanti e il finale meno scontato, te lo concedo. Ma è stato solo un modo per tergiversare inutilmente. Sai la fine che farai, no?-
L non reagì. A terra, Matsuda mugolò incosciente.
Law sorrise lento, godendosi il sapore del momento.
-Mettiamo fine a questa recita e a questo capitolo della storia. Basta divagare, è giunto il momento di ricapitolare. Rowena, toglile la maschera.-
Rowena esibì un ghigno famelico di denti candidi ed aguzzi. Avanzò con la graziosa eleganza, con la flessuosa elasticità di una ballerina fino a trovarsi ad un palmo da lei. Immerse lo sguardo fra le luci e le ombre annidate negli occhi della sua peggior nemica: giorno nell'argento a destra, notte nella pece a sinistra. Ma era un'eroica, regale, maestosa trasparenza a rilucere nello sguardo di L, una sicurezza infrangibile davvero poco adeguata alla situazione. Guerriera infallibile che non si arrende, quasi sentendosi protetta da quella difesa inutile calata sul volto.
Rowena rise tutta la frustrazione accumulata come polvere di famiglia sgretolata, come macerie di vita abbattuta, come carcasse di persone lasciate indietro. Lì ancora nel suo petto il fumo acre della sua coscienza arsa e le radici mozzate di sentimenti mai nati. Un cadavere sotto la sua pelle, quello della ragazza che avrebbe potuto essere: ma era troppo tardi, solo una perfetta estranea che guarda con occhi pietosi quell'ultimo atto finale.
Marion, dietro la porta, strinse lo stipite finchè le sue nocche impallidirono. Nessuno respirava.
Rowena toccò con la punta delle dita la maschera di L, come se le stesse accarezzando le guance. Law assisteva con occhi affamati, la penna in pugno e il quaderno spalancato.
La fine.
La fine, finchè una figuretta minuta non si stagliò alla soglia della porta. Era troppo bassa per essere Craig, Marion o Harmony.
Quando la vide apparire agli occhi di Law, Marion trattenne un grido. Craig fece per alzarsi in piedi. L sorrise di nascosto, cautamente.
Law osservò con sguardo aggrottato e indagatore la minuscola, gracile bambina davanti a Rowena. Aveva un ordinato caschetto corvino ad accarezzarle la linea delicata del collo ed occhi spalancati in cui si precipitava, che parlavano di una maturità spaventosamente precoce e gravosa. Sguardo antico di adulta mentre puntava, con risoluta asciutta calma, una revolver davanti a sè.
La prima reazione del ragazzo, non appena la vide, fu smarrimento totale ed interrogativo. Chi diavolo era? Com'era entrata lì? Subito dopo aveva notato la pistola e quell'espressione agghiacciante. Che ci faceva una bambina armata? Una specie di baby agente dell'Fbi? Non aveva mai visto una ragazzina così piccola con una pistola in mano, e soprattutto con quegli occhi così duri. Per un attimo fu il timore ad invaderlo, che però scemò con la stessa fretta con cui era arrivato. Prima di tutto, L dava le spalle alla porta e si trovava proprio di fronte a Rowena: impossibile sparare a quest'ultima senza colpire anche l'altra. Lui, poi, era ancora dietro a Rowena, perciò non correva nessun rischio. Inoltre era pur sempre un bambina, cosa poteva mai fare? Quando mai una bambina sa sparare?! E poi Rowena avrebbe saputo difendersi egregiamente da un'arma da fuoco, l'aveva già dimostrato quel giorno.
-Un'altra entrata in scena? Incredibile, una giornata piena di sorprese.- ironizzò quindi. -Come ti chiami, piccola? Non riesci a trovare la mamma?-
Il suo volto rimase privo d'espressione. Non azzardò parola. Rowena non le prestò la minima attenzione e sfilò una parte della maschera di L, lasciandola scivolare giù... Un istante dopo un proiettile esplose e lei si piegò, colpita alla coscia.
Law non riusciva a raccapezzarsi davvero di ciò che era successo. Quel dannato proiettile aveva sfiorato la gamba di L di pochissimi millimetri -una distanza insignificante, nulla- ma era andata a conficcarsi con precisione puntigliosa nella carne di Rowena. Ancora un dettaglio raccapricciante: Rowena aveva scansato la gamba d'istinto, al suono del proiettile, ma esso era indirizzato esattamente nel punto in cui si era spostata. C'erano due possibilità. O quella stramaledetta bambina aveva avuto una fortuna sfacciata, oppure era un mostro che a dieci anni sparava meglio dei poliziotti professionisti. E che prevedeva le mosse degli avversari. E che mirava a distanze molto ampie riuscendo ad evitare i soggetti che non voleva colpire. Law era terrificato.
Rowena cacciò uno strillo lacerante, e lui decise di stroncare sul nascere quella strana quanto inaspettata minaccia. Gli sembrava una specie di incubo.
-Il nome, Rowena, dimmi come si chiama!- sbottò. Rowena spalancò gli occhi stralunati di dolore e fissò la strana bambina in volto come volesse estirparle il nome dall'anima. L, di fronte a lei, non si mosse. Nemmeno la bambina.
Gli orologi ai polsi scandirono sette aridi secondi in ineguagliabile armonia. Law attendeva con le labbra secche e contratte, la penna umida del sudore che bagnava il suo palmo.
-Rowena!- tuonò esasperato con petulanza. -Come straccidenti si chiama?!-
L pensò che qualcosa si stava inevitabilmente incrinando in lui e le crepe si stavano sgranando in voragini. Rowena, a terra davanti a lei, scuoteva la testa con scatti nervosi e convulsi. Il suo volto era distorto orribilmente.
-Non vedo.- bisbigliò con voce fievole.
-Cosa?!- strepitò Law allucinato.
-Non vedo! Non vedo! Non leggo niente! Non c'è scritto niente! Non vedo, non vedo! Non vedo!- Rowena bisciacava e ondeggiava il capo afferrandolo con le mani, come una bambina in preda al panico.
Law non capiva più nulla. Che diamine significava che non c'era scritto niente?! Che accidenti...
Sollevò lo sguardo verso L, lentamente. La consapevolezza si disegnò netta e definita sui suoi tratti. La ragazza rispose ai suoi occhi, sostenendoli con tranquillità.
-E' una tua complice.- proferì con voce neutra e svuotata. Lei annuì con la testa, docilmente.
-L'hai fatto apposta. C'è un trucco. Tu sapevi che sarebbe finita così.- Ora era sparita la rabbia, l'esaltazione, la furia appassionata e invincibile nella sua voce. Era prosciugata di ogni emozione.
L confermò di nuovo con un cenno affermativo ed un piccolo, pacato sorriso. I suoi occhi dichiaravano ed esultavano composti, contenuti, in silenzio.
Law precipitò dal trono della vittoria con una velocità stordente. Era la polvere della sconfitta quella in cui si schiantò e si ruppe le ossa.
-La figlia di Near.- sussurrò L. Il ragazzo rimase immobile. Quella storia era sbagliata, un copione già letto. La figlia di Near aveva in eredità i suoi occhi cattivi e dannati. E l'aveva sconfitto.
Tennyson, comparendo dietro di lui dalla stanzetta, gli afferrò i polsi e lo ammanettò nuovamente. Il quaderno gli fu strappato di mano e la penna cadde a terra. Non si mosse nemmeno. La sconfitta lo sopraffece e non trovò la forza di opporsi a quel destino insistentemente ostile, avverso all'unico dio che avrebbe potuto dissipare la cortina di morte drappeggiata dal fato stesso sul mondo.
Rowena a terra gridava come un animale morente, mentre il sangue sgorgava copioso dalla ferita alla gamba e imbrattava la polvere di nero. Piegata anche lei.
La figlia di Near avanzò di qualche passo, un vuoto deleterio inciso nei tratti di gesso, la pistola ancora puntata: stavolta contro il viso di Law. E accadde l'impensabile, un avvenimento che sconvolse Marion nel profondo.
-Lawrence Yagami, sei in arresto. Consegnati spontaneamente o saremo costretti a farti del male.-
La voce della ragazzina riecheggiò come un'eco maledetta, e Marion avvertì la terribile sensazione che quelle medesime parole fossero già state pronunciate quindici anni prima, fra quelle pareti.
L si inginocchiò davanti a Rowena. I suoi occhi erano irremovibili ma in essi vi era una luce riverente, un barlume di rispetto.
Rowena allungò le mani con un gesto delicato. La maschera di porcellana candida scoprì il suo viso.
La guardò a lungo, intensamente, negli occhi bicolori. Sorrise, e quello fu probabilmente il primo davvero sincero.
-Ciao, Lisbeth.- Adesso potevano conoscersi davvero. L sorrise a sua volta nel sentire quel nome che solo suo padre aveva mai pronunciato.
-Ciao, Rowena.- ribattè piano in spagnolo. La ascoltò esalare difficoltosi respiri insanguinati.
-Hai vinto.- sussurrò Rowena con un sorriso rossastro.
L scosse la testa, vitrea. -Ti sbagli. Non c'è mai stata nessuna battaglia. Non verserai mai abbastanza sangue da capirlo.-
Rimase lì, seduta sul pavimento, il capo della sua peggior nemica abbandonato in grembo; sollevò lo sguardo verso la scena che stava per svolgersi.
Marion avanzava, negli occhi ferro a proteggere una ferita spalancata. Lawrence era davanti a lei, il capo sollevato con la fierezza, con la dignità intagliata di un re sconfitto e condotto in catene. Come se quella vista le risultasse insopportabile, la ragazza sollevò la pistola rabbiosamente. L'unica supplica suadente che sibilava nella sua mente era cancellare nel sangue l'altezzosa maledetta superbia sul suo volto.
Craig scosse la testa inorridito, intendendo. -Oh no, Marion. Non lo fare.-
Near che le correggeva un'equazione. Near che la sconfiggeva clamorosamente a scacchi. Near riverso a terra con gli occhi sbarrati. Marion non si mosse e le sue iridi fremettero.
-Tu non sei al suo livello! Non sei un'assassina! Se spari, te ne pentirai per tutta la vita.- insistette Craig. Iniziava a preoccuparsi sul serio. Non ne dubitava: Marion avrebbe avuto il coraggio di ucciderlo, se ne fosse stata davvero intenzionata. E la perdita di Near era per lei un tumore senza cura, che rimaneva lì vuoto e pulsante. Il dolore c'era, la rabbia c'era. E, purtroppo per lui, anche Law c'era. Adesso che se lo trovava davanti, sarebbe stato troppo difficile per lei non cedere alla tentazione di annientarlo. Craig contrasse le labbra e pregò in silenzio.
Near che le diceva brava. Near che accettava pazientemente la sua presenza, durante le lunghe notti popolate di incubi. Near che prometteva di difenderla ad ogni costo.
La pistola tremava di rancore fra le sue mani. Marion strinse i denti convulsamente. L'espressione di Law era quasi una sfida silenziosa, fredda e risoluta.
-Molla quella pistola. Non sei come lui e non lo sarai mai. Non godi nell'uccidere, non sei una bestia. Sei superiore. Dimostraglielo, Marion. Ti prego. Dico sul serio!-
Near che la guardava negli occhi, con uno strana malinconia in fondo alle iridi. Near che mormorava formule matematiche e costruiva torri di stuzzicadenti. Near che sorrideva ai suoi fantasmi.
Marion puntò la pistola bene in faccia a Lawrence. Un rivolo di sudore le inumidiva una tempia. Una vampa di rossore furioso le invadeva le guance. Quando i suoi occhi verdi si colmarono di nebbia, i presenti realizzarono che aveva preso una decisione e trattennero il respiro.
Marion gettò la pistola a terra con tutta la forza che le sue braccia tremanti le concessero. Un tonfo spaventoso vibrò nell'aria, spezzando la tensione stagnante. Le ginocchia non la sostennero più e ricadde a terra, devastata. Urtò la fronte contro il pavimento e strappò la voce in un urlo liberatorio, per la prima volta dopo un mese di dolore incrostato e raffermo.



































Note dell'Autrice: Ed ecco l'ultimo capitolo di questa storia. Mi ci sono impegnata molto, volevo che fosse assolutamente come me l'ero immaginato! Bisognava infilarci un sacco di azione, oltretutto. ^-^ Che dire, e così scopriamo il nome di L e che la figlia di Near sa parlare. XD
Spero vivamente che vi sia piaciuto e che abbiate il cuore di lasciarmi una piccola recensione!
Vedrò al più presto di postare l'epilogo. Grazie mille per avere letto,
Lucy
  
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