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Autore: Reikma    02/02/2013    2 recensioni
Ryoko Kuno, ragazza e maga di 18 anni, capelli verde acqua, occhi rossi con riflessi gialli, carnagione abbronata, alta 164 cm e peso 60 kg, fa parte della gilda "Death Scorpion" da ormai undici anni. Lei non si ricorda nulla prima dei suoi sette anni, ma dei sogni la tormentano ogni notte, facendole intuire che lei prima di essere una maga della Death Scorpion apparteneva ad un'altra gilda... In più giungono delle presenze morte che le parlano (come dal nome Ryoko:Evocatrice di spiriti), che la faranno prendere una decisione definitiva: ritrovare la sua memoria, capire cos'è successo prima dei suoi sette anni, come mai ha la sensazione di avere pezzi di altre otto coscienze dentro di lei e soprattutto cos'è la profezia che grava su di lei.
Coppie: RyokoxDoranbolt, Gruvia, Gerza, NaLu, GaLe, Laxana, FreedxMirajane, ...
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray Fullbuster, Lluvia, Luxus Dreher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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   Buonasera o dovrei dire buonanotte...? D:  Vabbhé, quel che è u.u Mi presento: Mi chiamo Raquel, ma potete chiamarmi
Raq, Kori, come preferite voi x° Amo tantissimo gli anime e i manga, il mio preferito è appunto Fairy Tail, sebbene per 
tutto il tempo che io sia stata su EFP non abbia mai postato una fanfiction a riguardo... bhé, vi dirò la verità... ne ho
tre già pronte per essere postate, ma non ho mai voglia di trascriverle a pc D': Così una bella sera(?) mi decisi a
postare questa x° (si, proprio oggi. Perché? Perché forse la febbre mi fa garbare a scriverla(?)).
Vabbhé comunque... premetto che in questa fic, che presenta il mio OC, Ryoko Kuno, ci saranno molti avvenimenti, e tutto
sarà collegato anche al manga, di conseguenza chi non legge le scan settimanali potrebbe avere degli spoiler non graditiD:

Detto questo... Gruvia for the life. u_____u

 


Prologo

Il cielo era coperto di nubi nere, a volte si facevano spazio lampi gialli tra quell’ammasso, illuminando tutto con luce sinistra. Si scorgevano uomini e donne con i loro bambini scappare… da qualcosa. La città era in fiamme e completamente distrutta. Sei sagome enormi si stagliavano in cielo, entrando e uscendo dalle nubi, contorcendosi: draghi. Cinque draghi combattevano ferocemente contro uno solo, cercavano di opporsi a quell’immenso potere. Esattamente sotto di loro un bambino piangeva: i capelli neri ricoperti alla polvere delle macerie e il viso pallido rigato da lacrime sporche. Una donna gli si avvicinò spaventata, e con movimenti frenetici si piazzò alla sua altezza, guardandolo.

«Non piangere, non piangere! Presto finirà tutto vedrai… » mormorò stringendo il bambino al petto.

«È tutta… È tutta colpa mia… » sussurrò lui, staccandosi da quella presa.

«Non è vero. Guardami. Non è colpa tua! Guardami Zer- »

«SONO STATO IO! È COLPA MIA! MORIRANNO TUTTI PER COLPA MIA!» l’urlo del bambino rimbombò tra tutto quel macello, mentre un’aura pesante e nera lo avvolgeva; un enorme potere spazzò via tutto ciò che era vicino a lui. La donna che prima gli parlava giaceva a terra morta, sotto un cumulo di detriti.

«L’ho uccisa… Mamma… » riuscì a dire il piccolo. I suoi occhi erano rossi.

**********

Una distesa innevata copriva tutto, i pochi abeti presenti erano sommersi da quella coltre ghiacciata e il cielo era cupo mentre mandava soffici fiocchi di neve verso il terreno. Un bambino dai mossi capelli neri camminava in quel mare bianco e ad ogni passo sprofondava al suo interno. Indossava dei jeans blu, un cappotto bianco con la pelliccia arancione intorno al collo e portava uno zaino a tracolla. Non sembrava patire il freddo, né gli importava della neve che gli entrava nelle scarpe a ogni tonfo: pareva determinato ad andare avanti. Inclinò la testa leggermente, guardando un albero e inseguito si diresse in quella direzione. Appena fu sotto le fronde della pianta si tolse lo zaino dalla schiena e si sedette contro il tronco freddo e duro; socchiuse gli occhi e con le mani creò una figura con il ghiaccio, una donna. Una lacrime rigò il volto del bambino.

«Ur… »

*********

Un bambino dai capelli rosa correva in mezzo agli alberi, la sciarpa che aveva al collo svolazzava nella sua corsa verso il limitare del bosco. Aveva un enorme sorriso stampato sulla faccia e gli occhi gli rilucevano allegri. Sembrava non aver bisogno di riprendere fiato, anzi, ad ogni passo la sua velocità aumentava e, non appena uscì dalla boscaglia, ispirò con le narici e buttò fuori l’aria con un sospiro di sollievo, bruciacchiando però, qualche giovane arbusto con una fiammella scaturita dalla bocca. Davanti a lui c’era una grossa zona erbosa dove vi era un giaciglio fatto con rami e foglie in cui dormire. Il bambino inspirò nuovamente, sentendo l’odore ancora fresco di suo padre lì nei dintorni, dopodiché si accucciò nel nido costruito, aspettando che il padre tornasse. Erano le prime ore del pomeriggio. Lui si addormentò. Si risvegliò a notte fonda e si preoccupò nel non sentire il calore paterno accanto a sé; si alzò di scatto e, non sentendo alcun odore famigliare, capì che non era ancora tornato. Aspettò ancora qualche ora, ma sul suo viso nasceva sempre di più la preoccupazione. Si accorse troppo tardi che non sarebbe più tornato.

«Papà… Papà Igneel, dove sei?! Perché non torni?» singhiozzò, mentre lacrime calde gli solcavano il viso. Strinse a sé la sciarpa bianca a scaglie.

***********

Piangeva. Gocce di pioggia le scivolavano giù dal viso, fredde come il ghiaccio. La bambina stava in disparte, in un banco isolato in quell’enorme aula: nessuno le parlava, ma lei era lì e osservava. Osservava con lo sguardo triste di chi non ha un amico, di chi non ha mai avuto qualcuno con cui confidare le sue tristezze, il dolore covato dentro di sé.  I capelli blu le caddero davanti agli occhi, nascondendole gran parte del viso, mentre i suoi compagni mormoravano parole brutte contro di lei; lei portava solo la pioggia, ovunque andasse e loro non volevano che la compagna andasse in gita con loro o l’avrebbe rovinata di sicuro. A quel punto lei si alzò e singhiozzando corse fuori dall’aula, ma nessuno parve preoccuparsene; la bambina corse fino all’uscita della scuola, corse per le vie, corse fino ad arrivare a casa sua: una casa spoglia e senza amore, nessuno abitava con lei, viveva da sola. Prese un’ago, uno spago, della stoffa e cominciò a ricamare una bambolina Teru Teru Bozu, con le gote rosse dal pianto e il viso pallido tormentato dalla sofferenza.

«Perché nessuno mi vuole?»

***********

Fissava il macigno di ferro che chiamava casa, solo che il suo sguardo era vuoto e sul suo viso c’era… Disperazione. Il bambino dai lunghi capelli neri e spinosi non muoveva un muscolo, semplicemente guardava davanti a sé, come se stesse aspettando qualcosa. Passarono diversi minuti prima di vedere un suo lieve movimento, dopodiché l’espressione del volto di tramutò in rabbia. Il bambino strinse forte il pugno destro e, con uno scatto d’ira, colpì un mucchio di ferraglia davanti a lui, generando un cratere al suo interno. Colpì più e più volte lo stesso punto e scaraventò qualche rottame in aria. Quando parve calmarsi prese dei piccoli chiodi e li osservò un attimo, successivamente ne avvicinò sei al naso e con una manata se li conficcò nella carne; fece lo stesso con altri tre chiodi nelle orecchie, sul mento e al posto delle sopracciglia. Lasciò colare il sangue che usciva dalle ferite che si era inflitto e, con aria sofferente, voltò le spalle alla sua casa.

«Questo è per te, Metallicana.» e s’incamminò.

************

La ragazza albina dai capelli corti e gli occhi azzurri spalancò gli occhi e schivò una zampata di un mostro di fronte a lei.

«Elf, smettila! Torna in te!» urlò un’altra ragazza vicino a lei, identica ma con i capelli lunghi, legati in una coda. La belva non rispose e continuò a dimenarsi, distruggendo ciò che aveva vicino a sé; la giovane dai capelli corti si posiziono esattamente davanti alla bestia, spalancando le braccia per fermarlo.

«Elf nii-chan, siamo noi! È finita, smettila!» gli disse, con un sorriso sul volto.

«Lisanna, no!» le urlò l’altra ragazza, spaventata dal gesto avventato della sorella.

Il mostro non parve sentire ciò che gli era stato detto  e indirizzò un’artigliata verso la ragazza minore, che non fece nemmeno in tempo a sbattere le ciglia che venne colpita e si ritrovò a volare in aria, per poi cadere pesantemente a terra. Sputò un grumo di sangue all’impatto, che risultò doloroso e, sebbene gli sforzi, la ragazza non riusciva più a muoversi; gli arti non le rispondevano, aveva paura, sentiva i battiti del cuore farsi più lenti e un senso di oppressione prenderle il petto, aveva come la sensazione di venire risucchiata. Stava forse morendo? La sorella arrivò correndo, a fiato corto e con un’espressione sconvolta e, non appena la vide distesa a terra immobile, scoppio a piangere, gettandosi su di lei.

«Lisanna… non lasciarmi per favore!» singhiozzò quest’ultima afferrandole le mani distese lungo i fianchi.
La sorella minore le sorrise triste, con un inizio di lacrime agli orli degli occhi.

«Mira nee-chan… non ti preoccupare…» strinse lievemente le sue mani in quelle della sorella e chiuse gli occhi; un senso di pace cominciò ad avvolgerla. Una lacrima solitaria le scivolò lungo il volto, poi il suo corpo cominciò a brillare e venne sollevata in aria; la ragazza a terra fissava addolorata e sorpresa la scena, mentre lei si screpolava e con un ultimo soffio, scompariva.

«LISANNA!»

*************

«Grandine … sigh … sob …» piangeva una bambina, accasciata a terra, le mani sul viso rigato di lacrime e dalla pioggia che cadeva fitta e la bagnava velocemente, rendendole i capelli di un blu sporco.

Una folata di vento la fece raggelare; si alzò e, con passo debole e tremolante, cominciò a camminare senza meta, semplicemente in cerca di un posto sicuro. La pioggia non accennava a fermarsi, anzi, aumentava il suo ritmo, cadendo sempre più forte; la bambina era ormai bagnata fradicia e non avendo trovato rifugio dove si trovava prima, si era spinta fino all’interno di una foresta. Aveva paura e le lacrime non smettevano di scendere, mescolandosi con le gocce di pioggia. Improvvisamente un’enorme foglia la coprì dall’acqua. Accanto a lei c’era un ragazzino dai capelli blu, gli occhi marroni, un tatuaggio rosso lungo l’occhio destro e portava dei bastoni sulla schiena: le stava sorridendo.


«Ti proteggo io adesso… mi chiamo Gerard.»

************

«Non so di cosa tu stia parlando!» urlò un ragazzo sulla quindicina dai capelli biondi e gli occhi arancioni.

«Dimmi dov’è il Lumen Historie! Tuo nonno deve avertelo detto!» un uomo alto, coperto da pellicce, con una barba nera, un naso grande e adunco, capelli neri, sopracciglia folte e occhi piccoli e malvagi lo prese per i capelli e gli strattonò la testa all’indietro, soffiandogli sul viso.
Il ragazzo era combattuto tra la paura, la rabbia e il voler dimostrare di riuscire a contrastare l’uomo davanti a lui.

«Padre … ve lo giuro … io non ne so nulla!» mormorò in un soffio, la mascella che tremava contro il suo volere; il padre parve notarlo e mostrò un sorriso crudele di denti giallastri che gli deformò il viso.

«E ti aspetti che io ti creda? Così infanghi il mio nome, figlio. Forse questo ti farà cambiare idea…» sogghignò, visibilmente divertito; fece comparire degli esserini di carta che circondarono il ragazzo e, prima che potesse reagire, un corvo comparso dal nulla cadde in volo su di lui. Un veloce luccichio di artigli e un secondo dopo sentì una fitta di dolore lungo la parte destra del volto, si portò una mano all’occhio e quella gli si ricoprì di sangue. Spaventato e amareggiato si lasciò sfuggire delle lacrime dall’occhio sinistro e, arretrando fino alla porta chiese:

«Perché?» e uscì correndo, sotto lo sguardo soddisfatto del padre.

***********

Si risvegliò mentre veniva trascinata per le braccia lungo corridoi scuri, brulicanti di celle e uomini che lavoravano come schiavi, sotto costanti frecciate di fruste e urla concitate.
Dove si trovava? Ricordava solo la sua casa in fiamme e i suoi genitori che le urlavano di scappare il più lontano possibile, mentre una marea di uomini armati affollava il paese, poi il buio.
Con uno strattone venne gettata dentro una cella buia e fredda e la chiusero lì dentro; rimase un attimo accasciata per terra, ma quando sentì delle voci sottili dietro di sé si alzò di scatto. C’erano cinque bambini che la osservavano timorosi:
uno con i capelli marroni scuro con il viso duro, un altro biondo, uno con i capelli neri e il viso pallido, una bambina con i tratti felini e un ultimo con i capelli blu e un tatuaggio rosso lungo l’occhio destro. Si presentarono e il ragazzino con il marchio le chiese:

«Come ti chiami?» lei rimase sorpresa.

«Erza…Erza e basta.» lui le se avvicinò e le prese i capelli rossi in mano, sotto la protesta dei compagni.

«Erza… Scarlet.» lei lo guardò interrogativa.

«Scarlet, come il colore dei tuoi capelli!» le rivolse un dolce e splendido sorriso e lei arrossì.

«Sì…» “Gerard”.


**************

Una stanza. Una stanza buia. Una stanza buia dove si udiva il continuo armeggiare di qualcosa. Una stanza in cui non avrebbe mai voluto essere. In un angolo in fondo alla stanza o almeno a quello che sembrava una fine, vi era un lettino, vecchio, lacero e ingiallito dal tempo, sopra questa brandina era posta una bambina tra i tre e i quattro anni. Era accerchiata da vari apparecchi, tra fili, tubi, siringhe, coltelli, pinze e quant’altro; un uomo sulla ventina, con capelli neri e occhi rossi la stava esaminando da ogni lato, inserendole diversi contenuti da alcune provette lì accanto nel suo corpo con una siringa. La bambina non sembrò dar segno di ribellione, anzi, rimase immobile, gli occhi spalancati. L’uomo chinò maggiormente la testa sulla bambina, restando a un palmo dal suo viso e soffiandole addosso il suo fetido alito. I capelli verde acqua della bambina si spostarono leggermente a quel movimento d’aria e gli occhi rossi con riflessi giallastri rimasero esattamente nella stessa posizione di prima, non accennarono a spostarsi lateralmente.

«Quando ti sveglierai sarai come nuova numero 8, Ryoko.»


**************

[Gilda DEATH SCORPION: Tempo reale]

Mi svegliai di soprassalto, con i primi raggi del sole che facevano brillare le perle di sudore che coprivano il mio viso e i miei capelli incollati alla fronte.

“Ancora quel sogno…  È da parecchio che mi perseguita. È davvero una coincidenza come dice il Master, oppure… No, sarà solamente una mia impressione” pensai, scostandomi la frangia umida con la mano sinistra e legando i miei lunghi capelli verde acqua in modo che ci fossero due parti alla fine.
Dopodiché scostai le coperte, che trovai, con immensa frustrazione, molto più pesanti del solito; presi la prima maglietta che trovai, una semplice canottiera violacea e un paio di jeans abbastanza corti, poi mi avviai verso la finestra e scostai le tende di lino, permettendo al sole di illuminare ora tutta la stanza. Mi abbandonai un attimo a quel tepore, prima di sentire la voce del Master che mi chiamava.

«Ryoko! Sbrigati, ho qualcosa da chiederti, ma soprattutto da farti vedere! Non ammetto ritardi!»

Sospirai, dando le spalle al paesaggio fuori dalla mia camera, presi delle calze fine che mi arrivavano fino sotto il ginocchio e indossai i miei soliti tacchi bassi con il bordo di lana. Quando mi alzai non feci troppo caso all’ombra che mi fissava accanto alla mia porta. Lei era lì, ogni volta che facevo quel sogno. Sempre. E mi fissava con i suoi occhi rossi.


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ANGOLINO AUTRICE:

Ringrazio tutti coloro che leggeranno questa fic, spero vi piaccia come inizio, anche se non si capisce molto della storia in sé x°°
Questa dovrebbe essere Ryoko, disegnata da me:'3



Ringrazio
Phoebe_721 per avermi illuminato il passato di Laxus con due suoi disegni u____u


  
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