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Autore: ReaderNotViewer    23/08/2007    5 recensioni
Come Gil Grissom sa molto bene, nessuno è mai completamente innocente. Ed è principalmente per questa ragione che ogni indagine su un delitto rischia di creare nuove vittime tra coloro che ne sono coinvolti. Non avete bisogno di aver visto CSI per leggere questa storia ambientata a Las Vegas, poiché per una volta ad essere in primo piano non sono i componenti della celebre squadra della polizia scientifica, bensì i protagonisti della scena del crimine. Questa storia si è classificata terza alla sesta sfida di Out of Time, avente per argomento i telefilm, con l'obbligo di restare al di sotto delle 6.000 parole e di utilizzare il tema "tradimento".
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Black Jungle Hotel non si distingue particolarmente tra gli altri alberghi di Las Vegas. Persino il modo in cui è stato sviluppato nelle decorazioni il tema che il nome indica, cioè la giungla nera, non supera in nulla la media dello sfarzo, del cattivo gusto e della bizzarria caratteristici di simili opere.
Ma per me, il Black Jungle è innanzitutto la mia casa. Ricordo poco della villa in cui abitavamo un tempo e dove ora vive Big Randy, il proprietario del salone d’auto cittadino che costringe i suoi venditori a fare quella specie di rodeo in televisione.
Quando la mamma morì, mio padre, pensando che sarebbe stato più comodo trasferirci in albergo, fece unire due suite all’attico e trasformare uno dei bagni una piccola cucina, affinché il tutto sembrasse una vera casa. Ci vivo ormai da quasi trent’anni, gli ultimi tre con Eddie, mio marito. È comprensibile perciò che non mi faccia piacere che questi due della polizia scientifica, la donna bionda con l'aria scocciata e il giovanotto di colore con gli occhi chiari, ficchino ovunque le loro dita fasciate di gomma trasparente. Il corpo giaceva fino a poco tempo fa nel bel mezzo di ciò che loro chiamano la “scena del crimine” e che secondo me resta invece tuttora “la sala riunioni a pianterreno”, scompostamente riverso a terra in mezzo al tappeto Isfahan, la cui pregiata seta ha assorbito gran parte del sangue. Quello che rimaneva è bastato a far urlare come una sirena Flora Martinez, una delle cameriere addette alle pulizie, quando verso mezzanotte, aprendo la porta con una mano e spingendo destramente il suo carrello con l’altra, si è trovata davanti all’imprevisto spettacolo. Le sue grida hanno interrotto il mio tranquillo tete à tete con i pesci tropicali dell’acquario del mio ufficio, dove ora si trova Flora in compagnia di un ometto stempiato di mezza età con l'aria da duro, il capitano Brass, che sta tentando di ricavare una testimonianza coerente da un torrente di lacrime e di frasi in spagnolo.
L'agente della scientifica Catherine Willows solleva lo sguardo dalle macchie di sangue sul tappeto e mi osserva con aria vagamente schifata attraverso una breve cortina di lucenti capelli biondi. Mi chiedo quante volte troverà i suoi di capelli, sulla scena del crimine, se non usa un berretto o un elastico per raccoglierli.
"Lei non è entrata?" mi chiede sospettosa. Non è la prima volta che mi rivolge questa domanda.
"No." rispondo pazientemente. "Sono rimasta qui fuori in corridoio."
È già stato abbastanza spiacevole osservare la scena attraverso la porta aperta: prima di allora non avevo mai visto sporgere un manico di coltello da un cadavere come lo stecchino infilzato su una tartina. Figlia e moglie di albergatori, sono decisamente più un tipo da tartine che da delitti.
Solo Walt Bolton, il vicedirettore, si è avvicinato alla persona a terra per capire se dovevamo chiamare per prima l'ambulanza o la polizia. Questi due signori della scientifica sembrerebbero convinti che nessuno di noi abbia mai visto un telefilm poliziesco. Pensano forse che ci saremmo precipitati in massa nella stanza dove giaceva un uomo con un coltello infilato nella schiena? Che avremmo camminato dentro la pozza di sangue e trascinato il morto in giro per la sala rovesciando i mobili e lasciando dovunque le impronte delle nostre scarpe insanguinate?
"Immagino che lei entri qui spesso e che quindi ci troveremo le sue impronte." mi dice come se io, quando in passato ho utilizzato questa stanza, l'avessi fatto col solo maligno intento di complicarle la vita.
"Dipende da quanto è stato scrupoloso il personale incaricato delle pulizie, ma non ricordo di esserci entrata dopo che mio marito è partito per Filadelfia l'altro ieri."
"È sicura?"
"No che non sono sicura." rispondo sinceramente "Magari sono venuta a prendere delle buste e in questo momento non me ne ricordo."
"Io ci sono entrato ieri perché la cartuccia della mia stampante era finita." dichiara Walt. È di fronte a me, appoggiato con la schiena al muro del corridoio, i piedi incrociati e le braccia conserte.
Suppongo che dormisse quando l'ho mandato a chiamare.
La dottoressa della scientifica fa una smorfia di disgusto.
"Il mio collega prenderà le impronte a tutti e due. Warrick, fatti dare l'elenco di tutti coloro che hanno libero accesso a questa stanza."
Il suo collega chiude con gesti precisi il contenitore di plastica in cui ha infilato tutto quello che era sparpagliato per terra, dietro la testa del cadavere: un portamonete, alcuni fogli di carta, una mappa di Las Vegas e un paio di calzini arrotolati. Non so che cosa c'entrino i calzini, ma il resto proviene evidentemente dalla valigetta di pelle marrone che giaceva, rovesciata e semivuota, ai piedi della vittima e che è appoggiata sul tavolo, avvolta in una busta di plastica trasparente. Ben chiuso anche lui dentro un sacco di materiale plastico, il morto invece è stato portato via. L’hanno lasciato per un po' nella stanzetta di fianco al magazzino, appoggiato sulla barella d'acciaio con le rotelle, in modo che potessimo dare un'occhiata alla sua faccia e dire se sapevamo chi fosse. Ci hanno fatto avanzare uno alla volta, prima Flora, poi Walt e poi io. La Willows scrutava la nostra espressione mentre gli guardavamo il viso, lasciato scoperto dall'apertura nella parte superiore del sacco, quasi si aspettasse che qualcuno di noi confessasse sui due piedi delitto e movente. Flora e Walt sono usciti, verdi in faccia, barcollando leggermente.
Accompagnata dal capitano Brass, ho visto anch'io la faccia dello sconosciuto, con gli occhi sbarrati, una palpebra rovesciata all'indietro e la bocca contorta e sporca di sangue. Non è stato un bello spettacolo.
"Quando si pugnala qualcuno alla schiena e questo qualcuno ha abbastanza forza per cercare di liberarsi del sangue in cui sta soffocando" ha spiegato la Willows rivolta non so se a me o al capitano "si verifica talvolta un'imponente emottisi."
"Emottisi vuol dire fuoriuscita dalla bocca di sangue che proviene dai bronchi o dai polmoni." ha aggiunto. Del tutto inutilmente, a mio parere, perché io avrei fatto volentieri a meno di saperlo. E in quanto al capitano Brass, credo proprio che conosca già questa terminologia.
La polizia deve aver chiamato altri dipendenti dell'albergo per tentare un’identificazione, perché il furgone della mortuaria non ha lasciato il parcheggio di servizio che dopo una mezz'ora buona, ma non so di chi si trattasse né se qualcuno lo abbia riconosciuto. La realtà è che non siamo più noi a comandare nel nostro albergo: possiamo solo sperare che Brass mantenga la parola di fare in modo che i clienti non si accorgano di niente.
"A meno che non sia stato uno di loro a fare questo." come ha graziosamente osservato la Willows davanti al cadavere.
"OK." dice l’agente Brown alzandosi agilmente dalla sua posizione accucciata. È molto alto e piuttosto attraente. Mi pare che sia stranamente nervoso, mentre questa per lui non dovrebbe essere che noiosa routine. Magari ce l’ha con noi, perché forniamo un tetto, e per di più non esattamente a buon mercato, a coloro che vengono in città per provare l’emozione di sedersi al tavolo verde. Forse è uno di quei fondamentalisti religiosi che disprezzano il gioco d'azzardo in tutte le sue forme e pensano che Las Vegas, con tutti i suoi casinò e i suoi alberghi, starebbe meglio sprofondata all'Inferno. Siamo una città di peccatori, questo è certo. Qualcuno più di altri.
C’è un modo di dire che mette sull’avviso quelli tra di noi che si arricchiscono più o meno lecitamente con il gioco d’azzardo e che recita all'incirca così: o giochi o fai giocare. Mio padre preferiva trattenere il fiato davanti alle fluttuazioni dei titoli invece che all’ondeggiare della pallina che rallenta la sua corsa e pigramente, con sovrana indifferenza, si appoggia all’uno o all’altro dei numeri. Ma sebbene tendesse l’orecchio alla voce impostata che snocciola le quotazioni dei titoli alla radio piuttosto che a quella cantilenante del croupier, non per questo la dea bendata che governa questa città perdonò la sua trasgressione. Perse. Giocò ancora. E poi giocò e poi perse ancora, in cerca di una rivincita che sembrava sempre a portata di mano ma che non arrivò mai.
Arrivò la rovina, invece. E alla fine la famiglia Gomez a rilevare l’hotel e a mettere a dirigerlo il maggiore dei figli, Edmundo detto Eddie. Mi chiese di restare nello staff, visto che lavoravo già da un paio d’anni nella promozione e nell’organizzazione di eventi e che sapevo fare il mio lavoro. O magari mi chiese di restare al mio posto soltanto perché eravamo già amanti da qualche mese.
La malattia di mio padre fu breve e dolorosa. Eddie mi chiese di sposarlo non appena i medici cominciarono a fare facce di circostanza, probabilmente perché sapeva che non ci potevamo permettere le cure, tanto costose quanto inutili. O magari fu perché suonava infinitamente meglio presentarmi ai grossi clienti e ai nuovi investitori come “Mia moglie Millie, la figlia del precedente proprietario” piuttosto che come “Millicent Sanderson, la responsabile del marketing”.
L'elenco delle persone che hanno libero accesso alla sala riunioni è smisuratamente lungo, dal momento che tutto il personale di servizio che era presente nell'hotel avrebbe potuto, in teoria, fissare un appuntamento con uno sconosciuto nella stanza. Anche i clienti dell'albergo, a patto che conoscessero l'esistenza e l'ubicazione di quella sala, avrebbero potuto farlo a meno che non fosse chiusa a chiave, circostanza su cui al momento nessuno di noi ha potuto essere d'aiuto. Le porte degli uffici a pianterreno non si chiudono con le stesse serrature a tessera magnetica delle stanze riservate agli ospiti. C'è una normale chiave, che è tuttora appesa al quadro nell’ufficio dell’assistente di mio marito, Helen, e che nessuno ricorda esattamente quando sia stata usata per l’ultima volta. Chiudiamo regolarmente i nostri uffici ma non la sala riunioni, che non contiene denaro o altri valori.
“Proprio come vi riferirà l’assistente di mio marito, la signora Montgomery, quando tra poco arriverà al lavoro.” dico al signor Brown, coprendo educatamente uno sbadiglio con la mano. Eddie, al quale ho spiegato confusamente la situazione per telefono, si sta precipitando qui da Filadelfia e io vorrei dormire qualche ora prima di andare in aeroporto, sempre che la polizia me lo consenta.
“Che mi dice dei clienti?”
“Che qualcuno potrebbe benissimo essere arrivato gironzolando fin qui.” risponde Walt agitandosi sulla scomoda sedia riservata ai visitatori, dato che ha ceduto a me la sua poltrona girevole.
“Ma non so come. E soprattutto non so perché avrebbe dovuto farlo.”
L’agente della scientifica è rimasto in piedi.
“Già. A meno che non sia venuto apposta per commettere il delitto.” osserva, scontento di noi come lo sarebbe un maestro davanti a un compito che merita a malapena una D. “E a quanto pare non sapete nemmeno dirmi perché la vittima avrebbe dovuto trovarsi qui.”
Vedo il panico nello sguardo di Walt. Nessuno di noi si libera mai completamente degli atteggiamenti mentali acquisiti durante la prima giovinezza e di certo le forze dell'ordine non dovevano essere molto popolari tra i suoi amici d'infanzia. Non fatevi ingannare dal nome e dall’aspetto tipicamente anglosassone, che si deve a un fortunato incrocio di sangue slovacco, portoghese e non so cos’altro: Bolton è solo l’abbreviazione di un impronunciabile cognome dell’est europeo e il nostro vicedirettore è cresciuto nei bassifondi di Phoenix.
Quando il signor Brown ci lascia portandosi via la sua lista smisurata, Walt va alla finestra e guarda la luce violenta del mattino annunciare l'ennesima giornata di sole con quell'implacabile furore che solo chi vive ai margini del deserto può veramente capire. Chiusi dentro questa caricatura di giungla artificiale, è ancora più facile dimenticarsi dell'ambiente naturale su cui è stata impiantata l’intera città, come una specie di colonia umana arditamente innestata su un pianeta inospitale; ma basta un'occhiata attraverso i vetri per ricordare che non è passato poi così tanto tempo da quando da queste parti si poteva facilmente morire per il morso di un serpente.
"Questa adesso non ci voleva proprio." dice Walt senza voltarsi.
Vorrei chiedergli quale sarebbe secondo lui il momento giusto per trovare il cadavere di un uomo accoltellato sul tappeto in sala riunioni.
"Vado a cercare il capitano Brass." annuncio invece.
Walt si gira ma io non posso vedere la sua espressione perché è in controluce.
"Non ti preoccupare: tra poco sarà qui Eddie e metterà in moto i suoi avvocati e i suoi consulenti."
"Eddie, certo."
"Walt..."
"Non c'è problema, Millie. Non c'è assolutamente nessunissimo problema. A parte ovviamente quello di un omicidio nell'albergo."
Nel corridoio incontro Flora.
"Che cosa ci fa ancora qui? Il capitano della polizia non ha finito con lei?"
"Sì, ma si sono presi il mio carrello.” mi rivela indignata. Il verde dell'uniforme dell'albergo accentua il suo colorito livido, in contrasto con l’arrossamento degli occhi. La Martinez, una delle cameriere che sono da più tempo con noi, è una donna sulla quarantina grassoccia ma piuttosto graziosa, che non ha ancora perso la voglia di ridere e di scherzare. Ha una ciocca candida in mezzo a una massa di capelli corvini e lucenti che attira l'attenzione e che di solito è nascosta sotto l'incredibile cuffietta leopardata che completa la sua uniforme. In questo momento del suo carattere allegro non resta traccia, mentre la cuffietta pende malinconicamente sopra un orecchio lasciando scoperte ciocche disordinate di capelli e vistosi aloni di sudore macchiano il tessuto sotto le ascelle.
"Dicono che era sulla... Madre de Dios, ¿cómo se dice?"
"Scena del crimine? Non importa, abbiamo degli altri carrelli. Adesso vada a casa e cerchi di riposarsi."
"Più tardi devo andare alla policía per la firma. Non potrò fare il turno."
"Non si preoccupi, le pagheremo la giornata ugualmente."
"Grazie, señora."
"Dica al portiere di chiamarle un taxi, ha capito?" le grido dietro mentre si allontana barcollando per la stanchezza. “Glielo rimborserò io."
Trovo il capitano Brass intento a consultare il registro dei clienti nel retro-portineria.
“Signora Gomez. Venga. Avevo giusto bisogno di parlare con lei.”
Con me? Non ho fatto niente, quantomeno niente che riguardi la polizia, ma non riesco ad evitare di sentire salire l’agitazione mentre accetto di buona grazia il suo invito ad accomodarmi sulla poltroncina dietro la scrivania. Anni di buone scuole e di club esclusivi mi consentono di recitare con grande naturalezza la parte della vera signora. Sono molto brava in questo: non alzo mai la voce, non perdo mai l’autocontrollo e non dico mai quello che penso. Talvolta credo che Eddie mi abbia sposato proprio per questo. Siamo stati molto in silenzio insieme, io e lui, fin dall’inizio della nostra relazione. Prima è stata la passione che ci spingeva l’uno nelle braccia dell’altro a farmi apprezzare il silenzio. Non so quando sia iniziato, lento e subdolo, il terrore di dire la cosa sbagliata. Curioso che non abbia avuto altrettanta paura di fare la cosa sbagliata.
"Allora, signora Gomez: sappiamo già che l'arma del delitto proviene molto probabilmente dalle vostre cucine. E che difficilmente un estraneo potrebbe introdurvisi inosservato finché c'è personale in circolazione, vale a dire ben oltre mezzanotte, l'ora in cui la vostra cameriera ha trovato il cadavere."
"Questo significa che cercherete l'assassino tra gli addetti alle cucine?"
Il poliziotto mi guarda come se si chiedesse se sono davvero l'oca che sembro.
"Molti membri del personale dell'albergo sono transitati per le cucine, per un motivo o per l'altro, anche se non fanno parte dello staff. Persino lei, signora Gomez."
"Sospetta di me, capitano?"
Poiché mi aspetto che mi risponda che non sa ancora se può escludermi o meno dal novero degli indagati, mi sorprendo quando invece mi dice che all'ora del delitto ero certamente nel mio appartamento, come provato da diverse telefonate fatte e ricevute e anche dal cameriere che mi ha portato uno spuntino verso le dieci di sera, circostanza di cui mi ero completamente dimenticata.
Dubito che abbiano trovato delle impronte digitali sul manico del coltello poiché non mancano certo i guanti di gomma nell’albergo: basta prelevarne un paio dal carrello di una delle cameriere al piano. Soltanto un assassino particolarmente stupido non ne approfitterebbe.
"Ne deduco di essere libera di andare all'aeroporto a prendere mio marito, capitano, che era la ragione per cui l’avevo cercata. Perciò lei mi scuserà se adesso tenterò di dormire qualche ora."
"Vorrei che prima dicesse alla signora Montgomey e agli altri impiegati di offrirci la massima collaborazione. Solo un breve annuncio, se non le spiace."
"Non lo può fare il signor Bolton, il vice-direttore?"
"Sarebbe meglio se lo facesse qualcuno che rappresenta direttamente la proprietà, signora." insiste. "E visto che il suo nome da ragazza era Sanderson, lo stesso del precedente proprietario dell'hotel, nessuno mi pare più qualificato di lei."
All'inizio mi chiedo solo come abbia fatto in così poco tempo a sapere già tutta la storia della mia vita. Soltanto in seguito mi viene in mente che potrebbe esserci una ragione precisa per volere che sia io, e non il vice-direttore, a parlare con gli impiegati: in altre parole, che il capitano Brass sospetti Walt di aver commesso il delitto.

***

"Avrei potuto prendere un taxi." protesta Eddie, seduto di fianco a me sulla mia XLR grigia.
"Ma così approfitto di questo viaggio per metterti al corrente. Non è meglio?"
"Meglio ancora sarebbe se riuscissimo ad arrivare in albergo tutti interi." brontola lui, scontento, mentre l'automobilista dietro di noi suona ripetutamente il clacson ritenendo, probabilmente a ragione, che io gli abbia tagliato la strada. "Ma sei sicura di poter guidare? Hai dormito abbastanza?"
"Ma certo. Com'è andata a Filadelfia?"
"È andata che al momento buono ho dovuto levare le tende." risponde di cattivo umore. Sempre in cerca di nuove prospettive per ampliare i suoi affari, non pensa che al lavoro e non smette mai di lavorare.
"Proprio adesso dovevano ammazzare quel tipo." aggiunge con un'espressione imbronciata che mi fa sorridere. Nonostante i capelli brizzolati e una sottile ragnatela di rughe attorno agli occhi, non si direbbe che abbia dodici anni più di me. E malgrado la giovinezza dorata che il patrimonio della sua famiglia gli ha potuto comprare, non sembra proprio un uomo d'affari plurimilionario con una laurea in un college esclusivo, quanto un qualsiasi spiantato latino un po' malandrino, che potrebbe portarti a ballare e a bere tequila. Poco dopo che eravamo sposati, uno dei vecchi amici di mio padre, incontrandoci al club, gli diede un'occhiata e mi chiese sorpreso: "Come mai il tuo autista non ti aspetta fuori, Millie cara?"
"Scommetto che quel tale ci avrebbe volentieri risparmiato il fastidio di farsi ammazzare nel nostro albergo."
"Chi è?"
"Non si sa. Anche se dopo averci dormito su, devo dire che la sua faccia non mi è del tutto nuova."
Abbiamo appena posato i piedi sul realistico boa constrinctor di minute tessere colorate che accoglie i visitatori all'ingresso che veniamo messi al corrente delle ultime novità. Punto primo, Walt Bolton è stato arrestato e portato alla stazione di polizia per essere interrogato. Punto secondo, il morto è stato identificato come uno dei venditori di Big Randy. Probabilmente avrò notato la faccia di quel disgraziato mentre tentava di non farsi buttare a terra dal toro meccanico.
La squadra della polizia scientifica se n'è andata, dopo aver sigillato la scena del crimine.
Mi defilo sotto l'arco di finte liane a sinistra dell'ingresso che interrompe l'opprimente riproduzione di una fitta giungla e ritorno nel fatale corridoio, quello in cui tutto è cominciato. Il mio ufficio è rimasto come l'ho lasciato nel momento in cui sono stata richiamata dalle urla di Flora. Nella luce pomeridiana, la polvere fine e sottile che si forma in questo clima desertico sembra un impalpabile velo steso sul ripiano di lacca nera della mia scrivania. A confronto delle sovraccariche decorazioni che riempiono artificialmente tutto il resto dell'albergo di fogliame, di orchidee e di inquietanti specie animali, l’arredamento lineare dei locali di servizio e di quelli dell'amministrazione mi procura sempre una sensazione di sollievo.
Le sgargianti livree dei pesci tropicali scintillano in tutto il loro splendore nella calda luce del sole ancora lontano dal tramonto. Tra tutte queste stupefacenti creature marine, i miei occhi corrono subito a cercare il mio preferito, un piccolo pesce che ha il corpo giallo attraversato da tre larghe bande nere, due piccole pinne color arancio e un curioso paio di baffetti. Sebbene mi sia stato ripetuto più volte da parte di scandalizzati appassionati che quelli in realtà sono bargigli e che il pesce si chiama "Pagliaccio qualcosa", per me rimane "il pescetto con i baffi". Non so perché mi piaccia più degli altri, forse perché in mezzo ai suoi colleghi coloratissimi e stravaganti, che attirano l'attenzione, lui si occupa tranquillamente dei fatti suoi, che a quanto pare consistono nel mangiare incessantemente sul fondo dell'acquario.
In questo momento, vorrei tanto essere anch'io un pesce con i baffi chiuso in un acquario.
Invece riprendo la macchina e mi reco alla nuovissima sede della polizia scientifica di Las Vegas per chiedere di parlare con la dottoressa Willows. Dopo aver aspettato in un corridoio per quello che sembra un tempo infinito, mi fanno entrare in una stanzetta dove ci sono solo un tavolo e qualche sedia. Qualche minuto più tardi fa il suo ingresso un uomo ben piantato con una corta barba scura.
"Sono Gil Grissom, il responsabile della squadra. La signora Willows è occupata con un altro caso. Cosa posso fare per lei, signora Gomez?"
Gilbert Grissom in persona, quale onore. Lo si vede qualche volta al telegiornale mentre cerca di sfuggire all'attenzione dei giornalisti dopo aver risolto brillantemente qualche caso. Pare che sia un genio nel suo campo, ma se devo dire la verità, sembra quasi più il protagonista di un fatto criminoso che l'investigatore incaricato d’inchiodare il colpevole con inconfutabili prove scientifiche. Uno di quegli assassini seriali a proposito dei quali i vicini di casa concordemente esclamano: "Chi l'avrebbe mai detto? Era così beneducato!"
Il signor Grissom sembra genuinamente interessato a quello che ho da dire. O forse la parola esatta è incuriosito: comincio a sentirmi come un insetto sotto la lente.
"Voi potete scoprire se una persona è stata veramente dove dice di essere stata, non è vero?"
Mi guarda come un ragazzino un po' secchione osserverebbe una tartaruga che annaspa zampe all'aria.
"Potete trovare le prove scientifiche che confermano le sue dichiarazioni." aggiungo.
"O che le smentiscono." mi corregge.
"Non è questo il problema."
"E allora qual è il problema, signora Gomez?"
"Per il delitto nel nostro albergo, il Black Jungle, oggi avete arrestato Walt Bolton, il vice-direttore. Non so che cosa abbiate contro di lui ma so che è innocente."
Grissom si volta verso la porta.
"Entra pure, Sara. Sembra che ci siano novità nel caso del Black Jungle."
Una donna alta, giovane e bruna si siede silenziosamente al suo fianco. Sotto il camice bianco che le pende addosso in modo informe, indossa abiti che sembrano presi a casaccio dall'armadio e che non fanno niente per valorizzare la sua figura. È una donna dall'aspetto semplice, quasi austero, eppure la si potrebbe definire attraente.
"La signora Gomez, la moglie del proprietario, mi stava dicendo che avremmo arrestato l'uomo sbagliato."
"Davvero?" Sara sorride lievemente ma si guarda le mani, appoggiate sul tavolo. Ha le unghie corte e senza smalto. Riconosco quel sorriso e quello sguardo.
"Ho passato con Walt tutta la serata fino a... non so, le undici e un quarto, diciamo. A quel punto ci siamo separati e poco dopo io sono andata nel mio ufficio, dove mi trovavo quando ho sentito urlare la cameriera che ha scoperto il corpo. Secondo il capitano Brass, sono stata scagionata. Ma, se non posso essere stata io, allora nemmeno Walt ha potuto compiere il delitto."
"Il signor Bolton non ha dichiarato niente di simile."
"Non avrà confessato un delitto che non ha compiuto, spero."
"No. Ma non ha nemmeno detto di avere un... alibi."
E così adesso sono diventata un alibi.
"Ve lo dico io. Potrete dimostrarlo, immagino."
"Il signor Bolton potrebbe essere stato nel suo appartamento in altre occasioni, signora Gomez."
"Sicuramente c'è stato. In salotto, in più di un'occasione. E anche in cucina, credo. Ma non in..."
"Non in camera da letto." completa la frase Grissom al posto mio.
"Non sarà possibile che mio marito non lo venga a sapere."
Non è una domanda, è una constatazione.
"Non glielo diremo, se non sarà necessario." questa volta è stata Sara a parlare.
"Lo verrà a sapere." dico più rivolta a me stessa che ad altri.
"È molto probabile." ammette Grissom.
"Il signor Bolton apprezzerà molto la sua lealtà nei suoi confronti." dice ancora Sara.
Un "In compenso" resta sospeso tra di noi. Perdi il marito ricco e guadagni l'amante belloccio e squattrinato. Se solo fosse così semplice.
Mi alzo con tutta la dignità che sono capace di raccattare ed esco a testa alta mentre il signor Grissom mi tiene cortesemente aperta la porta. Mi comporto come se fossi una cittadina che ha fatto il suo dovere invece che un'adultera che ha tradito il marito con il suo più stretto collaboratore.
Sono entrambe le cose, in realtà. E tante altre ancora, che forse non sono sfuggite all'intuizione di Grissom e di questa ragazza, Sara, che lo adora in silenzio, raccattando ogni briciola della sua attenzione di nascosto come un topolino che esce dalla sua tana, quando non c'è nessuno in giro, per rosicchiare un piccolo avanzo di cibo sfuggito alla ramazza. Ma nessuno di noi è qua per discutere la sua vita sentimentale. Io ho finito: adesso tocca a loro.

***

Per ironia della sorte, il caso alla fine lo risolve Eddie. Ho appena fatto in tempo a dirgli di me e di Walt che Brown e la Willows sono tornati per prendere dei nuovi campioni. Poiché mi hanno buttato fuori dal mio appartamento senza tanti complimenti, sono stata costretta a rimandare a un altro momento quello che stavo facendo, cioè preparare la valigia. Andrò a Reno o a Miami o a Disneyland, in un posto qualsiasi dove ci sono grandi alberghi pacchiani dove la gente accorre per divertirsi e per farsi prendere per il naso con finte piramidi e vere fontane di cioccolato.
Così come Walt Bolton non ha la faccia giusta per essere stato in riformatorio insieme a Bill Geronzi, il venditore di macchine che è venuto a farsi ammazzare nella sala riunioni del Black Jungle dopo che il suo piccolo commercio di borchie d'auto rubate è andato in fumo, allo stesso modo Eddie Gomez, nonostante il suo cognome e il suo aspetto, non è uomo da avere una reazione violenta davanti alla confessione di un tradimento. Per un momento, ho persino sperato che mi rispondesse qualcosa come: "Non avresti dovuto, Millie, ma non facciamone una tragedia. E adesso, ti dispiace passarmi la cartella dell'acquisizione dei terreni Foster?"
Avrei ricominciato a vivere in punta di piedi, con la paura di annoiarlo con la mia devozione e di stancarlo con la mia sollecitudine. Non sarebbe stato più divertente di prima, ma certamente non avrei mai più ceduto alla tentazione di staccarmi per qualche ora da questo guinzaglio che mi sono messa al collo da sola. Di scendere dall'immaginario ottovolante della mia vita coniugale, in cui un sorriso distratto valeva come una ripida salita e un appuntamento dimenticato mi faceva precipitare giù a tutta velocità, per concedermi un giro sulla barchetta del tunnel dell'amore, tra fantocci di cartapesta che non fanno veramente paura e ridicole urla di terrore.
Sebbene non riesca a ricordare le parole che ho usato per confessare a Eddie il mio tradimento, temo fortemente che siano state tutte sbagliate. Ho capito che non c'era speranza quando mi sono accorta che il suo colorito olivastro era diventato stranamente pallido; si è voltato ed è uscito dal mio ufficio senza dire nulla.
Sono rimasta da sola a guardare l'acquario per ventisette minuti ma nemmeno il mio pescetto con i baffi, che s'ingozzava sul fondo con più entusiasmo del solito, è riuscito a consolarmi. Pensavo: 'Solo tu sei un pesce vero. Io sono una donna finta davanti a un finto habitat marino dentro una finta giungla."
Poi Eddie ha messo dentro la testa e mi ha detto che avrebbe fatto preparare le carte per il divorzio dal suo avvocato.
"Avrai degli alimenti equi." ha aggiunto.
Perciò adesso sto girando per l'hotel in cerca di Eddie, perché gli voglio dire che non faccia perdere tempo al suo avvocato a definire degli alimenti equi per me, visto che io non li voglio, né equi né iniqui che siano.
Lo trovo in quella che chiamiamo "sala di scrittura" perché ai tempi di mio nonno la gente ci veniva a scrivere le sue lettere. Non so che cosa avesse spinto mio nonno a non estendere la decorazione a tema anche a questo locale ma resta il fatto che nelle successive ristrutturazioni abbiamo sempre rispettato la sua primitiva intenzione. L'arredamento della sala di scrittura, di conseguenza, assomiglia più a quello dei nostri uffici che a quello del resto dell'hotel.
Eddie è seduto con in mano una rivista economica su una delle poltrone che formano una specie di cerchio attorno al tappeto al centro del locale. Tiene il pollice tra le pagine in modo da non perdere il segno e guarda nel vuoto davanti a sé.
Mi siedo sulla poltrona di fronte a lui, a distanza di sicurezza per non cedere alla tentazione di toccarlo.
"Eddie."
"Che cosa vuoi?" mi risponde senza guardarmi. Anzi abbassa gli occhi ancor di più, come se ci fosse qualcosa di tremendamente interessante nel disegno del tappeto Isfahan, cosa del tutto improbabile perché c'è una mezza dozzina di tappeti quasi esattamente uguali a quello sparsi per l'albergo. Persino nel suo ufficio ce n'è uno.
"Ti volevo parlare degli alimenti."
Ma lui non mi ascolta.
"Non è lo stesso." mi dice invece.
"Che cosa?"
"Il tappeto, Millie." Eddie indica il tappeto al centro della stanza. Isfahan, circa due metri per tre. "Questi tappeti sono fatti a mano, perciò ognuno è un pezzo unico, non è vero?"
"Certo, è così." concordo io, accantonando la faccenda degli alimenti.
"Hai detto che il cadavere era su un tappeto simile a questo."
"Il suo fratello gemello. Ci sono sei tappeti Isfahan, che mio padre comprò circa vent'anni fa a un'asta.” So tutto degli arredi di questo albergo. Sono molto più preparata sui tappeti del Black Jungle Hotel che sui tradimenti coniugali. "Uno qui, uno nella sala riunioni e uno nel tuo ufficio; poi ce n'è uno nell'atrio del..."
"Lo so dove sono i tappeti. Ma so anche che questo qui era nella sala riunioni."
Lo guardo. Poi guardo il tappeto. Poi guardo di nuovo lui.
"Come fai a dirlo?"
Eddie si inginocchia sul tappeto. Mi indica una serie di motivi lungo il lato più breve, a circa venti centimetri dal bordo.
“Il terzo disegnino, guarda qui."
Mi inginocchio anch'io.
"È una palmetta a ventaglio. In effetti questa voluta è più lunga delle altre: un piccolo errore del tessitore. Ma come fai a dire che questo tappeto..."
Adesso ho visto anch'io. "C'è una bruciatura, subito sotto il terzo disegno. Per fortuna è piccola e si confonde con il colore di fondo."
"Proprio quello che ho pensato io lunedì mattina quando mi è caduto il sigaro sul tappeto in sala riunioni. Mentre lo raccoglievo ho notato l’errore nel disegno."
"Non mi hai detto niente."
"Mi dispiaceva di aver rovinato uno dei tappeti di tuo padre." mi risponde a voce così bassa che se non fossimo vicini, inginocchiati su questo tappeto, non avrei sentito.
"Dobbiamo dire alla polizia che qualcuno ha scambiato i tappeti." aggiunge in tono pratico rimettendosi in piedi.
Non mi tende la mano per aiutarmi a rialzarmi.

***

Il capitano Brass non ha potuto mantenere la promessa di non disturbare i clienti quando ha arrestato la donna che tutti credevamo si chiamasse Flora Martinez, che ha perso la testa ed è fuggita urlando per tutto l'albergo finché non è stata bloccata proprio in mezzo all'atrio.
"Il suo vero nome era Angela Alonso." mi dice Catherine Willows osservando le quattro valigie ai miei piedi. "Flora Martinez era sua cugina ed era nata in questo paese. Per farla breve, Angela sostiene di essere immigrata illegalmente, di averla cercata e di aver scoperto che era stata uccisa dal marito. L'uomo tentò di uccidere anche lei, ma Angela ebbe la meglio."
"Grazie a un coltello?"
"Veramente era un tubo di piombo. Angela si disfò del corpo e assunse l'identità di sua cugina, alla quale assomigliava molto. Da allora si è sempre comportata bene."
"Era una delle migliori cameriere che io abbia mai avuto. Ma Bill Geronzi che c'entra?"
"Era il figlio adolescente dei vicini di casa della vera Flora Martinez. Per combinazione, a un certo punto giunge anche lui a Las Vegas e va a lavorare da Big Randy. Finché non si mette nei pasticci..."
"... con le borchie rubate. Viene qui per tentare di spillare qualche quattrino al suo ex-compagno di riformatorio e incontra per caso Angela, che adesso si fa chiamare Flora. Ma cosa voleva da lei? È solo una cameriera."
"Perciò aveva un badge passepartout con cui entrare nelle stanze dei clienti per portare via contanti e qualche prezioso. Non le cose di valore che la gente mette in cassaforte ma la robetta che lascia sparpagliata in giro. Del resto, anche se come i veri topi d'albergo metteva i calzini sopra le scarpe per non lasciare impronte, Bill Geronzi non era che un ladruncolo.”
"Ah, ecco spiegati i calzini dentro la borsa! Ma perché Flora, cioè Angela, ha scambiato i tappeti?"
"Dovevano trovarsi nella sala scrittura perché lei gli consegnasse il passepartout prima di iniziare a pulire gli uffici, dove non le sarebbe servito. Ma si è presentata con un coltello nella tasca del grembiule e quando lui non ha voluto sentire ragioni l'ha usato. Poi l’ha trascinato insieme al tappeto nella sala riunioni e ha portato in sala scrittura l’altro tappeto.”
“Dev’essere stato un lavoraccio.” rifletto ad alta voce, ricordando che alla fine della serata Flora/Angela era in un bagno di sudore.
“S’è aiutata con uno dei carrelli che tenete in magazzino. Nessuno fa gran caso agli andirivieni di una cameriera in un albergo.”
“Tanto più se ripulire perfettamente la scena del crimine fa parte del suo lavoro.”
Catherine Willows guarda di nuovo le mie valigie.
“Vedo che sta partendo. Suo marito…”
“Non l’ha presa bene. Non lo biasimo.”
“Il signor Bolton è già stato rilasciato.”
“Davvero?”
All’improvviso, Catherine Willows mi tende la mano e me la stringe.
“Lei è una brava persona, signora Gomez.” mi dice sorridendo. Non sembra nemmeno più lei, quando sorride in questo modo. “Il mio capo dice che lei ha aiutato il signor Bolton anche a costo di ciò a cui tiene di più.”
“Che io non lo amassi non era una buona ragione per lasciarlo marcire in galera, non le pare? Oh, ecco qui la mia macchina. Trattamento da cliente di riguardo, per l’ultima volta. Addio, signora Willows. Mi saluti i suoi colleghi.”
Le porte girevoli del Black Jungle Hotel mi depositano sull’asfalto rovente all’esterno mentre il portiere di giorno si precipita a mettere le mie valigie nel baule.
Non mi volto per dare un ultimo sguardo alle gigantesche mangrovie di stucco sulla facciata, che consentono di riconoscere il Black Jungle da lontano.
Forse in questo momento Eddie mi sta osservando dalla finestra del suo ufficio, tra un tripudio di liane e di orchidee grosse come cocomeri. Guardo la strada davanti a me, mentre il sole implacabile del Nevada mi abbaglia e mi fa lacrimare gli occhi.

  
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