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Autore: NoceAlVento    02/02/2013    2 recensioni
Un breve monologo teatrale.
 
Per fortuna c'era Proton. Lui sì che era un grande condottiero. Ci istruì su dove andare, ognuno di noi, ancora mi ricordo il suo modo di parlare, crudele e spaventoso.
(si alza e mima il discorso in una voce impostata e decisa) “122”, diceva, “tu vai a nordest e tieni d'occhio l'accesso… E tu, 67, coprilo qualche metro più in là. Voi due”, e guardava me e Lynn, “venite con me”.
(si sposta verso il lato destro del palco) Ci portò dalla parte quasi opposta, e mise Lynn a fare da guardia all'unica via che ci arrivava. Poi mi diede in mano una pala e mi disse “Avanti, ora scava”. Io non ho mai avuto braccia forti e dopo due minuti già non ce l'avrei fatta più; ma ero nei Rocket, e non obbedire avrebbe significato finirne fuori in un niente.
Una domanda comunque gliela feci. Mi presi questa soddisfazione. “E tu dove vai?”.
“A non farmi prendere dalla polizia”, rispose. Non è che si potesse discutere un granché, con quella partenza.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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V: "Elegia per un albatro abbattuto"

V: "Elegia per un albatro abbattuto"



(Rientra.)

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Ah, buonasera. Questa volta non mi ha anticipato, vero? Sì, non si preoccupi, sto meglio. D'altronde devo ancora raccontare un buon pezzo di storia, no?

Bando agli indugi, direi. (beve)

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Dopo la scomparsa di Amalia avevo ancora da scontare metà dell'embargo. Come le ho già detto, non c'era granché da fare ora. Ma in qualche modo il tempo dovevo pur passarlo, e non ero certo in vena di farmi nuovi amici. Non che fossi in depressione, ma poco mancava.

Ci sono certe cose che sono inevitabili. Come mangiare quando si ha fame. O lo fai o muori, non è che puoi scegliere. Io chiuso là sotto c'ero già stato per qualche mese, ricorda? Dopo Cerulean. Era ovvio che sarebbe finita nello stesso modo.

\

Eh già, la porta.

Fu come rincontrare un vecchio amico. Ci avrei quasi parlato, tanto non c'era nessuno, e poi io volevo parlare con qualcuno. Però mi trattenni.

La osservai per una settimana buona, lì, fermo, senza più incontrare Giovanni che era rintanato là dietro. Poi, poi successe l'imprevedibile.

\

Si immagini la scena. Saranno le sette di mattina, il riscaldamento non è ancora acceso da nessuna parte, e io me ne vado lì con l'aria quasi allegra con l'intenzione di fissare la porta per almeno un paio d'ore. La conosco già a memoria, ma chi se ne frega? O quello o il corso di missioni. Ma quello mi ricorda troppo Amalia, quindi no.

Perciò dicevo, vado lì, e la trovo\

aperta.

Non so se può concepire la mia faccia.

Era spalancata, con la luce accesa e tutto, ma di Giovanni non c'era traccia. Com'è normale, chi si sveglierebbe a quell'ora per andare a lavorare?

Entrai in un misto di euforia e panico. L'avevo osservata per giorni, anche mesi se contavamo il primo embargo, e ora era aperta. Un mondo completamente nuovo, ero come un bambino che scopre una stanza della sua casa, o che riceve un nuovo giocattolo. Dovevo entrare, non c'era alternativa.

Attraversai quell'infinito corridoio polveroso con una paura che neanche può pensare. E se mi avessero preso? Mi avrebbero ucciso! Ah, ma che cambiava? Mi andava quasi bene.

Cado in trance\

entro\

e faccio la cosa più stupida che potessi fare.

Spingo la porta all'indietro. Così, d'istinto.

Tonf-clac. Un suono sordo e una serratura che scatta. Ci metto qualche secondo a capire che cosa ho appena fatto. Mi giro terrorizzato per vedere confermate con orrore le mie peggiori paure.

La chiave non c'è. Mi sono appena chiuso nell'ufficio di Giovanni.

Frugo a destra e a manca per cercarla. Non c'è. Ovviamente, chi lascerebbe la chiave per una stanza dentro la stanza?

È fatta, mi dico, sono fregato. Non posso uscire. Giovanni è l'unico che può aprire, entrerà, vedrà che mi sono intrufolato senza il suo permesso e mi rinchiuderà nelle segrete in un battito di ciglia. Mi maledico in ogni lingua possibile.

Poi subentra un'altra voce, più serena, che mi dice: calmati. Non c'è ragione di deprimersi, ormai la frittata è fatta. Sfrutta bene le tue ultime ore di libertà.

Non ha tutti i torti. Mi guardo intorno: è proprio un bell'ufficio. Spazioso, ben arredato, con una miriade di posti da esaminare. Vado allo scaffale con i libri e mi metto a scorrere i titoli. Io non leggo, quindi non li ho mai sentiti, però non importa.

Poi mi metto a rovistare tra gli scatoloni e ne trovo uno pieno zeppo di cinture da Poké Balls, probabilmente quelle che usa Giovanni nei suoi scontri. Non capisco se siano tutte uguali o no, e poi che mi frega? Ne prendo una da tre sfere, per sentirmi un po' a casa, e me la lego alla vita. Provo un'ebbrezza mai vissuta prima. Io, Miguel, che fino a ora ho solo tenuto con me Voltorb e Grimer, ho una squadra che ha preso in mano il gran capo dei Rocket prima di me! Ora sono io Giovanni!

Già, mi dico. Sono io. Getto un'occhiata alla scrivania, affollata da progetti astrusi sulla Silph Company, e mi sale in testa un'idea balzana. Senza pensarci su due volte mi metto sulla sedia, anche se in effetti è più un trono, e mi fingo il boss del Team che riceve il giovane Miguel.

(si alza e alterna una voce profonda a quella naturale, mimando un dialogo)


Buongiorno, giovanotto”.

Buongiorno, signore”.



Come mai qui?”.

Vede, sono rimasto chiuso qua dentro…”.



E cosa intende fare?”.

Beh, come prima cosa ho pensato di chiedere consiglio a lei”.



Mi spiace, temo dovrà cavarsela da solo”.

Ma lei non ha la chiave?”.



Purtroppo no, ho altri che ci pensano. Io poi sono basso, non posso proprio badare a tutto, ho un Team da mandare avanti”.

E ora che cosa posso fare?”.



Se vuole possiamo parlare un po'”.

Ah, molto gentile, è da una settimana che non parlo con nessuno”.



Come mai?”.

Beh, non sono uno molto socievole. Prima c'era Amalia che mi ascoltava, ma ora se n'è andata”.



Amalia, eh? Una ragazza?”.

Già”.



Non si preoccupi, giovanotto, ne troverà altre. Un bell'uomo come lei, poi…”.

Penso che come lei non ne troverò più, però”.



Non diciamo fesserie, il mare è pieno di pesci”.

Sì, ma lei era speciale… E poi io sono costretto nei Rocket”.



E quindi?”.

Come faccio a cercarne altre in questo stato?”.



Non apprezza i metodi del Team?”.

No, no, non dico questo”.



E allora qual è il problema?”.

Mi faccio coraggio.

Beh, mi scusi, signore, ma tanto per cominciare dovreste accendere i caloriferi un po' di più, perché fa sempre freddo, e io sono fermo qua sotto da mesi a prendermi raffreddori dietro raffreddori. E poi, mi scusi, ma non le pare, se posso, stupido rinchiudere qualcuno qua nella base? E ancora, perché dividere spacciatori e agenti in missione? E in base a cosa si viene scelti? E ancora, scusi di nuovo, ma non capisco il vantaggio di uccidere chi cambi idea, perché siamo uomini e donne, e possiamo sbagliare, non siamo tutti infallibili come lei”.

Non ho modo di sentire la risposta perché un nuovo clac risuona nella stanza. Tutte le paure che mi avevano abbandonato ritornano di colpo. Ecco, ho sprecato i miei ultimi minuti di vita a parlare da solo. Ottimo, Miguel, i miei complimenti.

La porta si apre cigolando. Ecco che entra Giovanni, sono finito. O magari non è lui? Magari è Proton? Non so cosa sia peggio.

Invece non è nessuno dei due.

\

\

È il ragazzo. Quello di Cerulean e di Lavender. Basso, vestito in rosso, con un Pikachu al seguito e quello sguardo da arrogante. È proprio lui.

Allora sei tu”, mi dice, e io non so che rispondere. Certo che sono io. Non credevo però che lui si ricordasse di me.

Finalmente ci incontriamo, Giovanni”. Capisco l'equivoco. Sono nel suo ufficio, alla sua scrivania, è ovvio che creda che sia lui. Strano, perché mi ha pure già incontrato a Cerulean, come fa a non collegare? D'altronde era buio, e poi io stesso a momenti me ne ero scordato. Per lui sono solo uno dei tanti.

Per un momento penso di spiegargli la verità, che non sono io. Ma ripensandoci, perché dovrei? Ho appena passato un quarto d'ora a fingermi Giovanni. Questo è il mio spettacolo. Giovanni sono io.

Sono davvero sorpreso che tu ce l'abbia fatta ad arrivare fin qui”, dico con un accento grave, per fare un po' di scena.

Lui come risposta nemmeno mi parla e estrae dalla cintura una sfera. Lui ne ha cinque, io solo tre, insomma parto già sconfitto. Un attimo, però, sono pur sempre i pokémon di Giovanni. Non mi arrenderò senza combattere. Ne lancio una anche io.

La sua prima scelta è un Charmeleon, la mia un Onix. Sono fortunato, penso, dev'essere la buona stella di Giovanni. Le sue mosse sono inutili contro un pokémon di tipo Roccia, la vinco facile.

Il secondo è un Wartortle. Acqua. Contro un Roccia-Terra non ha neanche senso provare, nemmeno attacco ed è già affossato. Bene, ora ne rimangono solo due. Prego solo che Giovanni abbia pensato a un piano B.

Lancio una sfera che sembra più usurata, come se l'avesse utilizzata di più. È una Persian. Quantomeno non è debole all'acqua, mi dico. Quella, al contrario di Onix, sembra accorgersi che non sono Giovanni, e mi guarda emettendo un verso dubbioso. Ma tant'è, ormai è in battaglia, quindi si scaglia su Wartortle con una violenza inaudita. 1-1, palla al centro.

Tocca a lui, il ragazzo in rosso, e sceglie un Ivysaur. Anche qui nessun vantaggio di partenza, e infatti è una battaglia parecchio combattuta. Ma Persian la spunta per un nonnulla. Ora siamo davvero pari, due pokémon ciascuno. Ma lui non ha ancora giocato il suo asso nella manica, lo so bene.

Eccolo, questa volta non lancia nessuna Poké Ball e si limita a stendere la mano. Tocca a Pikachu. Persian ce la mette tutta, ma è quasi sfinita contro il cavallo di battaglia del mio nemico, non c'è speranza.

Ora siamo alla resa dei conti. Ultimo pokémon. O la va o la spacca. Chiudo gli occhi e spedisco in aria la sfera. Un verso grave e sofisticato scaccia il silenzio.

Rhyhorn.

Rhyhorn! Terra-Roccia! Pikachu non ce la farà mai a sconfiggerlo! Con la coda dell'occhio scorgo la vittoria, ormai è a un passo. Aspettami, le dico, mentre ordino al pokémon di sconfiggere quel dannato topo.

Massimo risultato con il minimo sforzo. Grazie, Giovanni. E tu, bambino, questo è per esserti messo contro Miguel a Cerulean. Ti serva di lezione! Eccolo che lancia la sua ultima Ball. È tutto inutile, tanto.

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Mi si gela il sangue.

Non l'ho mai visto, quel pokémon. È una specie di trilobita, un granchio di roccia.

Ma so da dove viene. O temo di saperlo.

No, non può essere!”, mi lascio sfuggire mentre lo esamino dalla distanza. È debole, non può sconfiggermi, è un miracolo se non muore a contatto con l'aria. Ma più lo guardo più me ne convinco.

Richiamo Rhyhorn e getto a terra la cintura. Vorrei andarmene, ma mi ricordo che sono ancora Giovanni, dopotutto, e quindi chiudo dicendo: “Vedo che alleni i pokémon con molta passione. Un bambino però non capirebbe mai ciò che spero di ottenere… Questa volta ti faccio passare”.

Poi, prima di lasciare la stanza, soggiungo: “Spero che ci rincontreremo”. Così Giovanni ti schiaccerà, completo mentalmente. (si siede)

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Quel pokémon si chiamava Kabuto, scoprii anni dopo. È estinto, non c'è modo di catturarlo normalmente. Avevo visto giusto, una volta tanto.

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In non so che modo aveva estratto quel pokémon dal fossile che io gli avevo dato. Ricombinazione genetica, chi lo sa. Non è importante.

Fino ad allora avevo solo un grande peso sulla coscienza: la Marowak. Con il tempo avevo imparato ad affrontarlo, ma restava. Perlomeno, però, era uno.

Ora invece spuntava che da quel fossile era nato un pokémon. Ma non c'era un solo fossile tra quelli da me estratti quella notte: ne avevo due. Che dire dell'altro, l'Helixfossile? Anche da quello sarebbe stato possibile ricreare un pokémon? In quel caso io, cedendolo ai Rocket, l'avevo ucciso.

E tutti gli altri fossili? Solo nella missione di Cerulean ne avevamo estratti a decine. Erano tutti pokémon anche quelli? Quante ali avevamo tarpato con la nostra ignoranza? Perché non ci avevano avvertiti?

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Dopo quel giorno smisi di osservare la porta dell'ufficio e mi rintanai nella mia stanza per i mesi rimanenti di embargo. Non facevo niente, stavo ore a fissare il soffitto, oppure a pensare ad Amalia, anche se per la verità quello era più dannoso che altro. Cercavo di dormire il più possibile, tranne l'ultima settimana in cui mi rimisi in sesto in vista della liberazione.

Combinazione, proprio per il primo giorno di nuovo da Rocket fu stabilita quella che fu rapidamente ribattezzata la missione delle missioni. Cos'era? Un attimo e ci arrivo. Non fu l'unica cosa che successe in quelle ventiquattr'ore.

La mattina rividi Lynn. Erano passati sette mesi dal nostro ultimo incontro, là nella Pokémon Tower. Ci parlammo, ma fu un dialogo freddo. Per carità, lui era rimasto sempre lo stesso, ciecamente devoto alla causa del Team.

Ero io a essere cambiato. Io avevo vissuto la più alta gioia e il più profondo dolore, io avevo scoperto la verità sui fossili, io ero stato Giovanni per un'ora. Non ero più lo stesso, ed ero io quello che non andava. Lui invece era stato promosso a ufficiale, se non sbaglio. Ufficiale Lynn. Suonava bene, devo dire.

Ci scambiammo pochissime parole e poi ci salutammo. Non so se comprese mai cosa mi fosse successo, ma io di certo non glielo dissi. Non potevo più fidarmi, dal mio punto di vista lui era il morto vivente che era divenuto parte integrante dell'organizzazione.

Ma tant'è, Lynn era pur sempre un superiore, e allo squadrone in carico a lui fui affidato anche io. Insomma, la grande missione fu una riunione forzata. Sotto la sua scorza di affabilità penso che anche per lui fosse un peso, credo percepisse che qualcosa non andava. Comunque non si fece problemi. Ci mettemmo in marcia per Saffron di buon'ora, sotto una primavera che si preparava a rinascere.

Perché Saffron? È molto semplice: la Silph Company. La conosce, immagino, la più grande società di Kanto. Lo scopo era prendere possesso della sede centrale, quella in centro città, per estorcere qualcosa al presidente. Non ce lo dissero mai, però io ero stato nell'ufficio di Giovanni e avevo visto tra le scartoffie che doveva riguardare un nuovo tipo di Poké Ball. Tanto alle reclute non serviva avere una ragione: si agiva e basta.

Però io non avevo ancora scordato il ragazzo. Mi aveva battuto perché Kabuto era legato a me, quindi contro il boss in teoria non avrebbe avuto speranza. In teoria.

Ma sapevo che ci sarebbe stato, perché era da lui, ed era inevitabile che mi ci sarei scontrato. Chiedere di sorvegliare i piani più alti sarebbe stato inutile, perché avrebbe sgominato tutte le reclute inferiori e prima o poi sarebbe arrivato a me. Non c'era via di scampo, ero come un albatro ferito che cerca di non schiantarsi al suolo.

Così chiesi a Lynn con il sorriso più disarmante che potessi mostrare di essere messo al pianterreno. Il suo gruppo era destinato al quarto, e io con esso, ma per me avrebbe fatto un'eccezione. Giusto?

Lui acconsentì senza troppe insistenze, tanto non importava, disse, nessuno avrebbe potuto fermarli. Forse ero fissato, ma ci vidi una frecciatina a me. Come a dire: sei una pezza, ti asfalteranno, ma abbiamo qui tutto il Team Rocket in abito da cerimonia, quindi possiamo permettercelo.

Quindi mi diedero una cintura con un Drowzee e un Machop e mi posizionarono a lato dell'entrata, da solo, a scambiare due parole con la piscina del piano terra, pronto a tendere un agguato allo sventurato che entrasse. Per il primo quarto d'ora fu calma totale, tutto lo staff era stato segregato e nessun imprenditore, impiegato o bambino in rosso varcarono la porta.

Ma era solo questione di tempo, lo sapevo, ero un pianeta che aspetta la collisione con il suo satellite. Si avvicinava sempre di più, sentivo la sua forza attrattiva sollevare gli oceani. L'albatro era a due passi dal suolo.

\

Ed ecco che entra, altezzoso come sempre, con il suo Pikachu al seguito, con lo sguardo disorientato. Sono l'unico, laggiù. I miei occhi incrociano i suoi, non c'è bisogno di dire una parola, dubito mi abbia riconosciuto comunque. Parte la sfida.

\

È veloce, per certi versi indolore. Io mando subito il mio Drowzee, lui…

Lui sceglie un pokémon nuovo. O meglio, non nuovo del tutto.

È Kabutops. L'evoluzione di Kabuto, cioè del fossile che gli ho dato. Un segno del destino, non trova? Voglio dire, lui non sa che io ho impersonato Giovanni, eppure mi manda contro proprio la mia nemesi.

Combatto senza trattenermi, voglio dare il meglio di me, anche se del Team non mi importa niente, perché lotto per me soltanto. Tutto inutile: è migliorato in modo sostanziale e io non ho più la squadra di Giovanni. Per Drowzee prima e Machop poi non c'è alcuna speranza.

Aveva ragione Lynn, mi ha asfaltato.

Il satellite mi ha perforato, l'albatro si è sfracellato.

Il bambino se ne va, pronto a sgominare per l'ultima volta i piani dei Rocket. Ho atteso per tre mesi una battaglia durata tre minuti.

\

\

Ma sono in pace. È come essersi liberati di un peso che ti opprimeva. Mi ha sconfitto, ma io ho vinto.

Ho vinto contro i Rocket. Non sono più loro schiavo. Tutto è compiuto. Non provo più rancore verso il ragazzo, non provo più astio per il Team, non provo più fastidio nei confronti di Lynn. Tutto è pace. La penna e il foglio non servono più perché non sono più prigioniero della stanza fredda. Sono all'aria aperta. Ho ritrovato davvero contatto con la Natura, con il mondo, con l'Universo.

Ora c'è solo Miguel, non più la recluta numero 215.

Mi volto. Il ragazzino sta per prendere l'ascensore. Prendo coraggio: “Ehi, tu! Come ti chiami?”.

Red”, risponde con tono distaccato, poi oltrepassa le porte automatiche e preme un pulsante.

Mi giro nuovamente, scorgendo il raggio di sole primaverile che penetra dalla porta in vetro della Silph.

Grazie”, dico, e non so se parlo con lui, o con Amalia, o semplicemente con quel tutto al di fuori di me con cui mi sono finalmente ricongiunto.

\

(Esce.)

   
 
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