«Ma
cosa diavolo..?» mi
precipitai vicino al corpo; ormai era già morta da molto
tempo, le membra erano
fredde.
«Era
per questo che vi
avevo mandata a chiamare con così tanta urgenza..»
disse un anziano signore che comparve
da dietro la porta. Si reggeva con un bastone e avanzava sorretto anche
dall’uomo che ci aveva condotti lì.
«Ma
che vi salta in mente?!
Non avete chiamato un’ambulanza, la polizia o i soccorsi?! E
noi cosa dovremmo
fare ora??» Lenzi si disperava.
Il mio
collega era solito
avere attacchi di panico quando c’era di mezzo un delitto,
guai con la legge o
la sua amata Volksvagen. «È
l’orgoglio
del suo papino» diceva sempre.
«Siamo
terribilmente
desolati! Ma il telefono.. la corrente, non andava.. e il panico.. insomma non è
stata colpa nostra! Non ci
posso ancora credere che sia morta..» aveva mormorato
l’uomo in piedi, che
avevamo scoperto essere il figlio della signora.
«Certo..
comunque un medico
bisognerà pur chiamarlo, almeno per stabilire intorno a che
ora è morta» emisi
un sospiro, cominciando ad esaminare il resto della stanza.
«Oh,
certo.. se volete
scusarmi, vado subito a chiamarlo» il figlio si
dileguò nel lungo corridoio.
Mentre
io e Lenzi
esaminavamo la scena del crimine, l’anziano signore rimasto
vicino alla porta
ci scrutava con i suoi occhietti furbi e indagatori.
«Forse
sarebbe meglio
portarlo fuori..» ed entrambi ci girammo a fissare la figura
di quell’uomo, che
rimaneva appoggiato alla porta e ci osservava attentamente.
«Va
bene capo, ci penso io»
Lenzi si alzò, dopodiché prese per un braccio
l’anziano e lo condusse nel
soggiorno.
Intanto
io continuai ad esaminare
il luogo del delitto: la signora era stesa a pancia in su con le gambe
divaricate, sul suo viso un’espressione contorta simile a un
ghigno malefico.
Era raccapricciante.
Dietro
la nuca, una scia di
sangue secco che probabilmente era fuoriuscito dalla schiena. Non
c’erano impronte
di alcun tipo, l’arma del delitto era sparita e sul tavolo
una lettera di poche
righe scritte a macchina: «Me ne
devo
andare. Spero che il mio sacrificio varrà la pena».
Molto
singolare come
suicidio. Ovviamente se davvero di questo si tratta.
Il
resto della stanza era
stato messo in disordine, probabilmente una rapina andata a male.
«Anche
se» mormorai tra me
e me «i soldi sono ancora nella cassaforte e i gioielli pure.
Qualcosa non
quadra..» mi avvicinai alla finestra.
Scostai
le tende e vidi che
stava nevicando. Era successo già due giorni fa, nonostante
fossimo in pieno
autunno.
«Capo,
i parenti della
donna si sono riuniti giù in salotto, se vuole possiamo
incominciare ad
interrogarli» Lenzi si presentò alla porta e con
un cenno mi fece segno di
seguirlo.
«D’accordo,
andiamo pure..
ma cosa? Aspetti un secondo, Lenzi..»
«Trovato
qualcosa capo?»
«Si
anche se non si capisce
cosa sia.. si, sembra un ciondolo d’oro, a forma di
angelo»
«Uff,
beh almeno abbiamo
qualcosa per le mani..»
Finalmente
giunse il
medico, che si mise immediatamente al lavoro.
«Come
mai ci avete messo
così tanto a chiamarmi? Questa poveretta è morta
da più di quarantotto ore!»
Il
medico girò il corpo
dell’anziana signora e chiamò i suoi due
assistenti, che arrivarono con la
barella.
«Piacerebbe
anche a noi
saperlo.. può darci qualche altro ragguaglio sulle
circostanze di morte?»
chiesi al dottore, mentre Lenzi, come un provetto Sherlock Holmes,
esaminava
tutto minuziosamente con una lente d’ingrandimento e prendeva
appunti sul suo
taccuino.
«Per
adesso posso solo
dirvi che è morta per emorragia interna. Guardi, il
proiettile ha mirato dritto
al cuore e direi che l’ha proprio centrato. Considerando la
temperatura della
pelle e il colore direi che il fatto è accaduto due giorni
fa, naturalmente
sarò in grado di fornirvi maggiori dettagli solo dopo
l’autopsia»
«Grazie
mille intanto
dottore».
Scesi
giù in salotto, dove
trovai i parenti riuniti attorno al tavolo centrale, evidentemente
tutti in
preda ad un nervosismo cronico.
«Bene
signori e signore» annunciai
«sarò lieta di sentirvi circa gli avvenimenti di
oggi nello studio qui accanto.
Prego, entrate uno alla volta seguendo le istruzioni del mio
collega».
Mi
sistemai nello studio
del signor Morgan: una stanza molto ampia, con scaffali traboccanti di
libri e
antichi manoscritti. Al centro, un grande tavolo di mogano scuro e una
poltrona
in pelle color borgogna.
Le
pareti erano dipinte di
un grigio sbiadito, che davano all’ambiente un’aria
un po’ trascurata.
«Il
signor Morgan ha una
certa età, non penso sia ancora in grado di occuparsi
dell’intonaco delle
pareti» pensai tra me e me.
Stavo
immersa nelle mie riflessioni
quando sentii bussare alla porta. «Avanti» dissi.