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Autore: JuliatheElder    03/02/2013    1 recensioni
Si tratta di una rivisitazione de "La Bella e la Bestia".
Dal testo:"Si era presentata così sprezzante e scortese, come anche lui sapeva essere, da rendersi adorabilmente fastidiosa. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi, a qualcuno, per liberarsi da quel fardello opprimente. Ma chi avrebbe amato un mostro, un folle omicida?
Ebbe paura di sé per un attimo e della collera cieca che lo invase quella notte fatidica e che non si era più manifestata: evidentemente era stata saziata, ma sarebbe sempre potuta tornare alla ribalta con delle nuove pretese."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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      Bella come una bestia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si apprestava ad essere una delle notti più fredde di quel rigido e lungo inverno.                            La neve cadeva a larghe falde: aveva smesso di cadere a fiocchi incessanti, per aumentare la sua intensità,dunque non avrebbe smesso molto presto.
Lei se ne era andata.
“ Le bestie devono stare con le bestie” aveva concluso risentita, prima di sbattere il portone del  maniero la sua reclusa. La sua speranza se ne era volata via.
L ’aveva lasciata andare ,già, non perché ne fosse intimamente innamorato, - sapeva bene che giunti a quel punto non avrebbe mai imparato ad amare e ad essere ricambiato- ma perché detestava la compassione di lei. Non era stata confinata in quella gabbia dorata per impietosirsi ogni volta che vedeva la sua deformità.
Avrebbe dovuto innamorarsi, lei. Avrebbe dovuto.
 D’ altro canto , non si può amare una donna così, scelta a caso,come se una valesse l’altra . Ma questo purtroppo era il suo caso , la sua forzata condizione: non poteva godere del privilegio di fare l’ incontentabile, non più ormai.
Era solo adesso, di nuovo carceriere di se stesso soltanto, circondato da secondini inesistenti, imprigionato di nuovo nella sua solitudine. Che fare?
L’ultima volta che scese nel villaggio  fu per conquistare  la sua preda, quella che proprio ora gli era sfuggita.
 L’aveva vinta con una partita a carte, il padre di lei morì  dalla vergogna e dal rimorso. Aveva trascorso mesi tutt’altro che rosei  in compagnia di quella giovane donna attraente ma piena di pregiudizi e priva di spirito critico. Si rivelò ben presto una noia ,per quanto più allettante della solita routine, era una donna priva di una qualche scintilla intellettuale.
Sarebbe potuto di nuovo scendere al villaggio, magari con un’altra partita a carte… ma se non ci fosse stata nessuna donna?Nessuna vittima disposta a sacrificare la propria esistenza per stare accanto ad un uomo divenuto la caricatura di se stesso?
Era un’incognita piuttosto rilevante.
Sprofondò nella grossa poltrona di fronte al caminetto e, con questo ultimo pensiero martellante nella testa, cominciò a sonnecchiare.
 
“Devi sposarlo , figliola! Non abbiamo altra scelta!!”le urlò suo padre.
“Non voglio!E poi io sono la minore, perché non sposa mia sorella?!Ne è così innamorata, lei!”
“Oh ve ne prego padre!!!In fondo io sono la vostra figlia maggiore, avrei la precedenza  rispetto a lei, non trovate?” rispose la  maggiore stizzita.
“ Mia cara, non credo di poter proporre un accordo del genere . Il Conte è stato molto chiaro. E’ disposto a sposare una di voi, nonostante non abbiate una dote considerevole, per la vostra grazia e virtù e per il nome che portate ,il vostro titolo, seppur decaduto. “
“E allora? Può sposare benissimo lei !Il sangue non cambia!”
“Che cos’ho io in meno di mia sorella?! Ho grazia e virtù da vendere, io!!!Non come lei…che non sa trattare con gli uomini. Lei non ha ricevuto l’educazione da nostra madre come me e Margherita. Non sarebbe adatta, ve ne rendete conto?!”
“Ti prego figliola ! Smettila! Esci di qui immediatamente e lasciami parlare con tua sorella.” Nonostante il suo disappunto ,Lidia fu costretta ad obbedire al volere del padre, poiché il pover’uomo non aveva più argomenti validi, almeno non davanti alla figlia maggiore. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle che il Conte prediligeva la più piccola, in quanto più avvenente.
Una volta rimasti soli, si rivolse a lei:”Figlia, ascoltami bene perché te lo dirò un’ultima volta: il conte desidera te in moglie e nessun altra. Quello che ho appena detto a Lidia non è niente se non una dolce bugia per non ferire il suo amor proprio. Le cure,purtroppo inutili, per cercare di salvare Margherita ci hanno mandato sul lastrico. La tisi non perdona, lo sai.”  Chi avrebbe mai immaginato che non appena  arrivata qui si sarebbe ammalata di colpo e in poco tempo li avrebbe lasciati: aveva la salute cagionevole di sua madre, poveretta; come se non bastasse, c’erano, come c’erano sempre stati, i conti da far quadrare, i debiti da rimettere. “Devi sposarlo, ci siamo spinti fin qui per lui, in nome di una vecchia amicizia che avevo stretto con suo padre, riposi in pace, tempo addietro, quando ero commerciante, uno vero,ricco in Italia. Fallo per noi. Così tua sorella potrà scegliersi un bravo giovane con cui sistemarsi e io potrò godermi la vecchiaia in tranquillità.”
Avrebbe voluto sputargli nel viso. Supplicava, squallidamente tra l’altro, proprio  lei, la figlia più piccola, affinché si sacrificasse?Non aveva conosciuto il calore materno, aveva perso l’unica sorella a cui fosse realmente affezionata e le veniva richiesto un ennesimo sacrificio, un’ulteriore privazione, in nome della pace del padre e della felicità della venale e patetica sorella maggiore. No, non lo avrebbe fatto. Detestava il comportamento della sorella, mal sopportava l’atteggiamento utilitaristico del padre, per quanto, solo nel profondo, fosse legata ad entrambi. Nonostante questa tacita consapevolezza in fondo al cuore, decise che era giunto il momento di andare via, verso il proprio destino, poiché era sicura che per lei la vita doveva avere in serbo molto di più di quello che le veniva proposto . Guardò con gli occhi pieni di rammarico quel vecchio ed uscì da quella stanza satura di rancore. Ancora una volta, il padre, così come aveva inventato una dolce frottola alla maggiore delle sue figlie per non guastare il suo orgoglio di donna, così  aveva raccontato una mezza verità all’altra figlia rimasta. Non si erano spinti fin lassù, in quelle terre così fredde,in un mondo diametralmente opposto a quello che lasciavano, in nome di una vecchia amicizia,o perché quell’uomo l’aveva notata, oh no. Erano fuggiti da un mare di debiti per crearne poi altri anche lì .Il povero vecchio aveva perso il suo fiuto infallibile per gli affari e ,trovatosi al perso,quella figlia, così giovane e bella, divenne la sua merce di scambio, il suo oro più puro, la sua moneta sonante. Il Conte avrebbe provveduto ad estinguere tutti i conti , i denari dovuti sia in Italia che in Scozia. Quel vecchio era deciso più che mai a cedere la sua bambina in cambio della pace economica.
Il figlio del suo trapassato amico era disposto a risanare le loro beghe, a comprarla, come si comprano le greggi di pecore, a fornirle anche una cospicua dote pur di portarsela a letto.
Il poveraccio non aspirava a niente di meno.
 La sposa promessa, dunque, si ritirò nella sua camera.
 Non volle proferir parola con alcuno, né si presentò a tavola per la cena, tanto era il suo risentimento. Non era però la prima volta che succedeva:infatti, quando si adirava, suo padre sapeva che doveva soltanto aspettare che l’irritazione scemasse, sarebbe poi scesa a più miti consigli. Andava sempre in questo modo: consisteva solo in una mera questione di tempo.
Come si sbagliava.
 
Era fuggita, ce l’aveva fatta.
Con la scusa della collera era riuscita a preparare il necessario per andarsene. Fuori imperversava la tormenta, ma per lei non era un peso sopportare la neve a fiocchi e il freddo pungente: avrebbe attraversato la foresta vergine e innevata con gioia, pur di sfuggire alle grinfie di quell’uomo viscido, tremendamente seducente ma con un animo  depravato. Ne ebbe paura la prima volta che lo vide ,tre mesi erano appena trascorsi, quando venne a salutare il padre, ripresosi dall’ennesimo attacco di gotta;aveva un non so che nello sguardo e nel modo di sorridere che faceva intendere perfettamente che non era oro tutto quello che luccicava.
Educato, dai modi gentili, pronto ad infilarti la mano sotto la gonna e a sussurrarti parole di fuoco, una volta lontano da occhi indiscreti.
La prima volta si limitò solo a sussurrarle all’orecchio quanto avrebbe voluto possederla lì, davanti agli occhi del padre.
Quando si recò presso di loro la seconda volta, abbandonò di netto la volgarità delle parole, per lui un’inutile suppellettile. Il padre, nella sua dabbenaggine ad un tempo e nella sua furia di sistemare, a vantaggio proprio, la figlia più piccola ad un altro, li aveva lasciati soli nel salotto buono perché si conoscessero meglio.
 Eccome se si conobbero.
La camicia le fu strappata con una foga inusuale, poi fu il turno del  corsetto, che volò via con la rapidità con cui il vento può sollevare un cappello di paglia a larghe falde.
Era come se volesse nutrirsi di lei. Voleva tutto e subito. Che famelico.
Lei nel frattempo era lì immobile, a subire, inorridita.
 Stava riflettendo sul come agire per liberarsi di lui.
Da una parte la paura la bloccava, dall’altra l’orgoglio ferito la spingeva a fargli del male. Aveva intrapreso ad insinuare la sua lingua fra i seni,vorace come un bambino alla prima poppata, ma privo della stessa tenerezza,tenendone stretto uno in una mano, come per non farsi sfuggire niente di tutta quell’abbondanza, come un lupo che per tutto l’inverno ha patito la fame.
Allo stesso tempo, la sua mano sicura ed esperta si cacciò in mezzo alle gambe della promessa sposa,proprio lì,dimenando le dita frequentemente. Il ricco signore credeva di donarle un piacere mai avvertito prima, qualcosa di inusitato, un’esperienza da ricordare.
Lei percepì tutto, tranne il piacere. Proprio perché non lo avvertiva, tutti i movimenti di lui,tutti i suoi versi le sembravano amplificati.
Stava respirando sempre più veloce, non avrebbe pianto, a nessun costo si sarebbe concessa tanto. Si irrigidì terribilmente, sperando di dargli un fastidio, ma lui era troppo concentrato nel suo meschino appagamento,  arrivato ad un punto tale che stava esprimendosi con una serie di rantoli o comunque un verso quanto mai grottesco, che per lei , paradossalmente, furono motivo di risate sommesse, seppur conscia della rapina e del sopruso a cui la stava costringendo. Doveva aver quasi finito, pensò, sperandolo vivamente mentre chiudeva gli occhi, per non vederlo. Un ultimo rantolo e riuscì a spingerlo via da dentro e da fuori se stessa. Lui la guardava con aria soddisfatta mentre si asciugava la mano sui pantaloni che non nascosero una notevole erezione.
” Che c’è, non ti è piaciuto?”le chiese sogghignando.
”Tutto qui?”il coraggio fece capolino spontaneo.
” Tu non mi inganni!Era la prima volta! Le riconosco  le vergini, ho l’occhio dell’esperto!! E tu, come le altre, tremavi come una pecora vicina all’ammazzatoio . La prossima volta che tornerò non sarò così breve né gentile. Mi prenderò tutto di te. Preparami il letto, intesi?”
No che non eravamo d’accordo.
 Dentro stava ruggendo, spalancava le fauci e mostrava le zanne feroci, ma di fuori mostrò un dignitoso contegno: dall’altra parte della casa, d’altronde, c’era la sua famiglia, non avrebbe mai potuto mettere in atto il suo proposito.
”Se dite che è necessario signore, vorrà dire che sarà fatto. Addio.”
Il conte ravvide una strana decisione nei suoi grandi occhi un tempo cerulei che all’improvviso si erano fatti color cobalto. La considerò una logica presa di coscienza dell’ ovvio : brava bambina.
Questo era solo l’antipasto, al prossimo incontro il lupo ti mangerà.
 
 Si era sentita derubata in un certo senso,per quanto potesse rappresentare poca cosa per qualcun altro, quando accadde. Un atto che magari avrebbe dovuto essere intimo, dolce e che avrebbe dovuto prevedere un qualche consenso da entrambe le parti, si era invece imposto prepotentemente come qualcosa di sporco e sbagliato. Le aveva sottratto tutta quell’ansia di scoprire, quel desiderio, quella curiosità di avvicinarsi ad un uomo. Non aveva avuto modo di difendersi, tanto era stata colta di sorpresa e tanto lui era stato rapido, come un felino. Voleva andarsene per dimenticarlo, ma sapeva in cuor suo che prima o poi il passato sarebbe venuto a cercarla.
 Al momento opportuno, sarebbe stata pronta ad accoglierlo.
 
Era sul limitare della foresta vergine, un altro passo e si sarebbe confusa con la vegetazione. Guardò un’ultima volta il villaggio, costellato da comignoli fumanti . Riusciva ancora a riconoscere il suo,un po’ più storto e traballante di altri. Si aggiustò il cappuccio sulla testa e svanì,inghiottita dalle  braccia imbiancate della selva.
I vecchi del posto le avevano raccontato che chi si inoltrava nella foresta era perduto. Nessuno vi aveva mai fatto ritorno e se qualcuno vi era riuscito ,lo aveva fatto a caro prezzo. Tra quei pochi ci fu chi riportò gravi mutilazioni ,chi invece fu privato della ragione. Ma lei sapeva che per quanto oscura e pericolosa potesse apparire quella boscaglia,o meglio i suoi padroni , quelli con gli occhi di brace e il manto scuro come notte, si sarebbero piegati al suo volere come teneri amanti:  sarebbe bastato loro annusare l’aria. Difatti la selva e i suoi inquilini mostrarono clemenza : la lasciarono  attraversare per tre notti e tre giorni,sana e salva. Ad un altro che aveva intrapreso il suo stesso cammino, forse per seguirla, andò peggio: i guardiani della selva non tolleravano gli intrusi,tantomeno le spie. Lei si arrampicò su un albero , quando sentì le grida di aiuto dello sciagurato mentre subiva la sua punizione. Fu sbranato, di lui non rimase che il sangue rappresosi su alcuni tronchi e qualche brandello dei suoi indumenti, impigliati fra rami e cespugli. Il freddo intenso accresceva il loro appetito, cosicché di ogni vittima non rimanevano che poche ,insignificanti tracce. Una volta sazi, aspettarono che scendesse dal suo nascondiglio per dimostrarsi suoi sodali. Come aveva sempre sostenuto, non aveva nulla da temere da quel luogo sinistro, sì, ma sicuro.
 
I lupi ululavano insistenti anche quella volta. C ’era la luna piena alta nel cielo ad illuminare quella metà del volto intatta.. Furono proprio i lupi a farlo sobbalzare nella poltrona dal sonno in cui era immerso. Da anni non li sentiva ululare: fu il primo inverno, dopo molti , che i lupi  fecero echeggiare i loro cori  tra le montagne di Scozia. Gli parve di sentir smuovere il cancello, per un attimo, ma  ricominciò di nuovo ad abbandonarsi ad un altro lungo sonno, se non che  si rese conto che qualcuno stava bussando giù al portone. Sogno o realtà?
”Chi può essere nel cuore della notte, con un freddo così temibile? Chi ? Di sicuro avrà attraversato la foresta per venire fin qui… affrontato i lupi…potrebbe essere un brigante o un curioso… lo accoglierò come merita…”pensò tra sé.
Il suo castello si trovava su una collina dominante il paese, nascosto dalla natura circostante , posto proprio al limitare della foresta, opposto al villaggio .
Scese la scala a chiocciola che conduceva al suo rifugio e da lì, dopo il lungo corridoio,che dava sull’ampia sala d’ingresso, scese lo scalone,e dopo aver afferrato una spada appesa ad una  parete, non distante dal portone,aprì.
Era una donna infreddolita, notò dalle mani piccole e affusolate.
Decise comunque di sguainargli contro la spada, era risoluto a non fidarsi mai più di alcuno. In fondo, aveva comunque penetrato la foresta e ne era uscita indenne: perché accoglierla?
“Chi siete? Chi vi ha mandato qui?”la sua voce era più cavernosa di sempre.
“Nessuno. Potrei entrare solo per scaldarmi? All’alba ripartirò, non voglio certo turbare la vostra quiete, signore.”teneva il capo basso, non pensava ad un’accoglienza così poco cordiale in un luogo tanto lussuoso.
Da quanto tempo non lo chiamavano signore. Rimase meravigliato dalla compostezza di lei. Ritirò la spada, senza fretta,la prudenza non era mai troppa di fronte a chi era stato risparmiato dalla selva vergine e oscura.
“Ulisse?”aveva voglia di fare un po’ di umorismo quella notte.
“Come dite prego?”
“Avete detto di chiamarvi Nessuno. E nessuno vi ha mandato qui. Devo forse pensare che vi chiamiate come il re di Itaca, colui che ingannò Polifemo?”
Lei non aveva la minima idea di chi fosse quell’Ulisse né dove si trovasse Itaca,tantomeno conosceva quel tale, Polifemo, ma non voleva certo palesare la sua ignoranza.
“Non deve importarvi chi sono. Ho solo bisogno di scaldarmi un poco e riposarmi fino all’alba, ve lo ripeto, se me lo permettete . Però non vi vedo incline all’ospitalità, signore, intuisco un vostro rifiuto, perciò me ne vado.”
Pensò di averla offesa, ma non capì in quale modo potesse esserci riuscito.
 Pensò bene di allargare la fossa che aveva cominciato a scavarsi.
“ Perdonatemi,ma se io non sono disposto all’ospitalità è perché  non mi lasciate valutare che genere di persona siate.”
Si tolse il cappuccio.
“Adesso lo sapete.”
Ora i suoi occhi fissavano dritto verso il buio, dove lui cercava ancora di rifugiarsi.
Era giovane, con una cascata di riccioli color del rame, dotata di una bellezza non comune. Era sfrontata e decisa; tenera e crudele. Non si aspettava che sotto quel cappuccio si nascondesse una creatura tanto attraente.
Girò i tacchi e fece per andarsene. Lui fino a quel momento era rimasto nell’ombra, affinché quella misteriosa pellegrina non si spaventasse.
Si tirò su il mantello e l’afferrò per il braccio.
“Un momento”-perché lasciarsela scappare?Dopotutto era una donna.
Non appena l’afferrò, lei si sentì come in trappola. Cercò di liberarsi da quella presa così energica e al tempo stesso non poi così minacciosa.
“Lasciatemi! Trattate sempre così i vostri ospiti?!”
Nello strattonarsi lui riuscì a riportarla a sé, così vicino, troppo vicino - ancora una volta aveva calcolato maldestramente la sua forza- che lei poté intravedere da sotto il mantello un intricato groviglio di cicatrici e pezzi di pelle rabberciati come meglio si era potuto, su quella porzione di volto . Cercò di restare calma. Di certo non si trattava del conte, di peggio non le sarebbe potuto capitare. Lui mollò la presa. Lei cominciò a massaggiarsi il polso.
“Che avete da guardare?” le chiese, per sapere quanto fosse riuscita a vedere.
“Proprio niente. Perché mi avete afferrata in quel modo? Avete cambiato idea per caso? Se è così, avete uno strano modo di manifestarlo, milord.”
“Se è per questo non l’ho mai espressa. Avanti, entrate.”le fece cenno con una mano.
Era un castello di proporzioni a dir poco ciclopiche. Con dei soffitti altissimi su cui alloggiavano ritratti di antichi avi, e quadri con dei paesaggi minuscoli dove la cornice faceva da padrone. Anche la mobilia era sontuosa, un po’ passata, ma di grande effetto.
“Avete un accento strano,mia signora, da che parte della Scozia provenite?”
“Non sono di queste parti”rispose seccamente.
“Irlanda, forse, me lo suggeriscono i vostri capelli.”
“No” Ancora un’altra risposta laconica.
“E di quali, di grazia?” Con una venatura sarcastica.
“Volete la storia della mia vita,milord?Non mi piacciono gli impiccioni. Io non vi conosco. Avete biasimato me perché non mi mostravo a viso scoperto, ma pare che ora le parti si siano capovolte, non trovate? “
“Meglio così , forse.” Sapeva di avere torto.
La sua foga nel fare domande era dovuta alla mancanza di interazione sociale, ma lei non poteva saperlo.
“Come preferite, signore”
Si avvicinò al fuoco e si sedette su di un tappeto persiano con una strana fantasia di animali. Doveva rappresentare la caccia al leone, pensò.
Lui, nel frattempo, si era ritirato in un angolo della sala per versarsi un bicchiere di whisky che sorseggiò davanti alla finestra. Solo allora lei si rese conto di essere stata sgarbata .
“L’Italia è il mio paese d’origine, è da lì che vengo.”si sforzò di essere gentile. D’altronde se voleva riuscire nel suo intento doveva cercare in ogni modo di ingraziarselo.
“Ecco spiegato l’accento bizzarro. Se non fosse per quello, potreste ingannare chiunque facendogli credere di essere del posto ”fu ancora una volta sprezzante : la sua maleducazione lo irritava maledettamente.
“Già. Voi Scozzesi  avete quel dialetto incomprensibile..” lo ripagò subito.
“E’ Gaelico. Comunque rallegratevene,voi Italiani ne avete molti di più… Siete qui da molto?”
Le parole le morirono in bocca. Non riusciva a dirlo. Non trovava la forza necessaria .
“ Sono stato forse troppo invadente?”si era appena reso conto di aver fatto troppe domande.
“ Tutt’altro. E’ complicato.”non se la sentiva proprio di parlare dei suoi problemi ad un perfetto sconosciuto.
Lui si voltò dubbioso.“Mi pare una domanda semplice.”
“Circa sei mesi .” si risolse tutta insieme.
“Per tutto questo tempo vi siete aggirata per la foresta, da sola, in pieno inverno?”cominciava ad essere curioso e meravigliato .
“Sono arrivata qui con mio padre e le mie sorelle. Abbiamo una casa giù al villaggio. Loro abitano lì.”
“Voi non più?”  ”una fuggitiva, mi è capitata…”pensò.
“Non più.”abbassò di nuovo lo sguardo.
“Non c’è che dire, avete avuto del fegato ad addentrarvi nella foresta vergine e ad arrivare fino a qui. Nessuno vi riesce mai, a meno che non sia io a portarcelo e come avete potuto constatare voi stessa  non sono un gran conoscitore del galateo.”
Riuscì a strapparle un sorriso, non credeva di esserne capace.
“Siete ancora più bella quando ridete”non sapeva da dove gli fosse uscito un complimento del genere.
“Darei qualunque cosa per essere brutta. O zoppa. No, no, per essere brutta.”guardò il fuoco con un certo interesse.
Si sentì colpito nel vivo. Non capiva perché una creatura così incredibilmente incantevole dovesse aspirare ad una tale punizione, quella che lui tollerava sempre più a fatica ormai.
“Perché mai? Se è lecito.” Adesso era la curiosità a spingerlo.
“ Avrete intuito che sono fuggita, credo. Mio padre voleva che sposassi un conte delle vostre parti. E’ per lui che siamo venuti fin qui. Dal caldo sud fino al nord estremo , solo per un matrimonio. Se fossi stata brutta non mi avrebbe nemmeno sfiorata. E invece… eccomi qua, in un paese straniero, dove la tormenta non si placa né di giorno né di notte,costretta a fuggire. Egoista, vero?”aveva gli occhi lucidi ma non avrebbe lasciato scorrere una lacrima neanche stavolta.    
“Ci sono egoisti peggiori.” Era rivolto a se stesso.
Tacquero entrambi. Poi pensò a quella mezza frase che lei aveva pronunciato.
“Ha tentato di farvi del male?”
E con un filo di voce:“No, lo ha proprio fatto” l’orgoglio le trattenne il pianto.
“Non siete poi così egoista, allora.”  
Aveva cercato di sdrammatizzare. Comprese solo allora il perché di tanta aggressività: la miglior difesa era l’attacco.
“La mia famiglia sprofonderà ancor più nella miseria per causa mia. Non posso perdonarmelo, ma non mi hanno lasciato altra scelta, se non dileguarmi.”
Lui  si zittì e cominciò a riflettere. Dalla penombra in cui si trovava continuò a osservarla, mentre si rigirava nervosamente l’orlo del vestito tra le mani e altrettanto nervosamente scrutava il pavimento in legno massello, per non sostenere lo sguardo giudice del suo misterioso interlocutore.
Avrebbe voluto chiedergli di poter restare, nessuno l’avrebbe trovata lì,-anche solo una notte o due, per riposarsi e poi riprendere il cammino- ma non sapeva implorare,e in più, al contempo, l’attanagliava la paura di restare sola a tu per tu con un uomo.
 Alla fine, dopo aver scolato giù come acqua l’ennesimo whisky, si risolse in tal modo:
“Non succederà se resterete qui.”
Fu una decisione che prese all’improvviso.
Il cuore di lei era colmo di gratitudine.
Era salva.
Non aveva parole per poterlo ringraziare come si conveniva.
“Ma”- lei si sentì gelare il sangue-” ad un patto: non uscirete mai da qui. Non rivedrete mai più i vostri cari. Posso garantirvi sin d’ora che staranno bene ma non potrete riabbracciarli.”
“Che cosa?”non credeva alle sue orecchie. Non sapeva se un accordo del genere fosse meglio o peggio di andare in sposa a quel perverso del conte.
“Ogni beneficio ha il suo prezzo. Restate al mio fianco e la vostra famiglia non cadrà in disgrazia.”
“In che modo, se posso sapere?”le sembrava di stare in una di quelle favole che le raccontavano da bambina ma non riusciva ad intuire il lieto fine. Niente vissero felici e contenti all’orizzonte.
“Avranno il denaro che serve loro.”le rispose sbrigativamente.
“A questo punto non ho molta scelta, milord” -dalla padella nella brace- osservò mestamente.
“In realtà una ci sarebbe. Alzarvi  e fuggire via da qui,scappare ancora una volta . Ma non avreste la garanzia che vi offro.”continuava ad essere freddo e imperterrito, non voleva concedersi alcuna speranza.
“Perché mai dovrei fuggire?”qualcosa non le quadrava, doveva esserci un altro inganno.
“ Si dà il caso che come sono in grado di farvi restare, posso anche farvi fuggire. Volete davvero scoprirlo?”
“Avanti, ditemi.” Peggio di così, poteva solo morire.
“Avvicinatevi”sarebbe stata la prova decisiva: o se ne sarebbe andata o sarebbe miracolosamente rimasta.
Titubante, la giovane obbedì e non appena si accostò, lui accese una candela e si tolse il mantello.
Lei lo scorse per come appariva. Orrendo. Orribile. Non fu in grado di trattenere un urlo di sorpresa, ma si mise subito una mano sulla bocca come per cercare di trattenerlo o smorzarlo. Per lui fu come una sentenza, era consapevole del proprio sembiante, certo che ormai il suo fato era stato scritto.
Si stava avviando verso la porta che dava sulla grande sala d’ingresso quando lei tutto d’un fiato replicò:“Accetto la vostra proposta, signore”- l ’inaspettato -”Per un  volto sfregiato non mi darò certo alla fuga. Avete la mia parola che resterò qui”
Incredibile.
Rimase incerto sulla maniglia. Era la prima volta che qualcuno entrava nel suo castello senza esservi costretto. La prima volta che qualcuno decideva di rimanere lì, con lui, volontariamente, senza bisogno di partite a carte o altro.
“Venite dunque, vi mostrerò la vostra stanza.”non sapeva se essere felice per se o provare pena per lei.
“La mia stanza?”non pensava che i prigionieri ne avessero diritto.
“ Volete dormire sul tappeto, per caso?”
“…no…”
“Allora seguitemi”
Avrebbe voluto fare ancora della conversazione con la sua giovane ospite ma non aveva più argomenti .In tutti quegli anni, rinchiuso nella sua fortezza di solitudine, aveva dimenticato in cosa consistesse una normale chiacchierata.
Inoltre si era appena rivelato a lei. Non sarebbe più riuscito a guardarla senza accorgersi della sua pietà.
La condusse al piano superiore, oltre l’immenso scalone d’ingresso,alla terza porta.                       Era ancora disorientata da quello che era appena successo.
Aveva privato  la sua vita della  libertà per sempre?La sua famiglia non sarebbe caduta in disgrazia se lei si fosse nascosta al mondo così come aveva fatto quella strana creatura: era l’unica garanzia a cui aggrapparsi fermamente.
Il lato positivo era che non l’aveva costretta a sposarlo. Doveva solo “restargli accanto” , come lui aveva richiesto. Non doveva considerarla un’impresa  così difficile, doveva trattarsi di un uomo come gli altri, con pregi e difetti, con vizi e virtù.
Il fatto che mezza faccia fosse tumefatta non rappresentava per lei una grave notizia, dopo il primo impatto. In fondo, nessun uomo poteva essere peggio di quello da cui  era per ora riuscita a sfuggire. “Un uomo brutto non è necessariamente malvagio.” ebbe modo di riflettere.
“La vostra stanza, Miss…?”
“Il mio nome non è traducibile nella vostra lingua. Chiamatemi come volete, non credo abbia molta importanza.” Era affaticata e  certe domande, quando era in quello stato, la infastidivano.
“ Come preferite. Voglio che sia chiaro questo però: voi non siete qui in qualità di mia serva o di mia prigioniera, per quanto vi sembri di esserlo. Siete padrona di fare ciò che volete nel perimetro del castello, potrete disporre di ciò che mi appartiene come più vi piace. ”
“Sì” anche se le sembrava una precisazione inutile. Non avrebbe saputo cosa fare con tutta quella roba.
“Allora buonanotte, mia signora”
“Buonanotte, milord”
Lui si ritirò nel suo studio.
Lei adesso si trovava così poco distante, che le speranze si riaccesero di colpo.
Forse era davvero possibile amare e lasciarsi amare a propria volta,anche se non esisteva niente di più arduo, di più emozionante e spaventoso al tempo stesso.
Ripensò a come sarebbe stato di gran lunga più facile riuscire a corteggiarla, a farsi  ben volere e a sposarla, se solo lui avesse avuto un’ immagine più gradevole. Ma era solo utopia ormai.
 Su di lui non gravava una maledizione da sciogliere come in certe fiabe d’oltre Manica. Non era un mostro dal cuore tenero -oh no- poiché lui, mostro, lo era sempre stato.
Certo, non era nato così. Era un uomo come tanti se ne vedono, fino a qualche anno prima .
Dieci anni erano già trascorsi, nel completo isolamento, immerso nello sconforto e nel pentimento. Era stato punito .
Tutto scaturì da una diatriba tra la sua famiglia e quella vicina per una questione di confini. La famiglia rivale voleva estendersi nei suoi terreni e così fece, lasciando pascolare lì le proprie greggi.
In mancanza di una figlia femmina da poter sistemare con lui,preferirono usare la prepotenza. Questa fu subito ricompensata .Uccisero tutte le pecore intruse, le macellarono, ne mangiarono la carne e fecero lavorare la lana grezza per mandare il risultato alla famiglia avversaria: voleva essere un avvertimento. Ecco cosa succede a chi si infiltra abusivamente nelle nostre terre: gli facciamo la pelle. Fu una sua idea, rammentò e la pagò salatamente.
Di ritorno da una serata di gozzoviglie con i suoi compagni d’armi, ubriaco fradicio, fu assalito e condotto nelle segrete del castello nemico. Fu seviziato e torturato finché non subì lo stesso trattamento: mancò poco che non lo scuoiassero veramente. Gli provocarono delle ferite tali che non era più riconoscibile, eccezion fatta per la parte sinistra del volto: doveva ricordarsi tutti i giorni com’era e com’è, per sapere cos’aveva perduto e per far ciò doveva vivere: per questo non lo scorticarono, non fu compassione o debolezza, ma disumanità. Lo avvolsero in un lenzuolo e poi nella lana che poco tempo prima era stata loro consegnata come avvertimento: “Ecco la vostra pecora: la vecchia lana sarà la sua nuova pelle,poiché la propria adesso ci apparterrà per sempre.”
Lo avevano trattato da pecora, nient’altro. Era un animale di cui sfruttare solo la carne ormai, perché del manto era già stato barbaramente privato.
Era l’unico figlio maschio. Per fortuna le sue sorelle non lo videro in quello stato, perché già maritate.
Ci volle tutta la forza di volontà di sua madre per rimetterlo in sesto. Fu il suo ultimo gesto, ricordò, poi se ne andò con Dio.
Il padre invece non volle più rivolgergli la parola, ne avere alcun che in comune, specie dopo la morte di sua moglie. Ma c’era un motivo ,per questo astio apparentemente incomprensibile.
 Quando le ferite cominciarono a rimarginarsi e vide lo scempio che avevano fatto di lui, la furia lo colse. Non sosteneva il suo stesso sguardo davanti allo specchio, non che fosse vanitoso, ma aveva sempre fatto del suo fisico un’arma di seduzione in più con le donne che fino ad allora erano cadute ai suoi piedi, che bramavano anche solo una notte con lui . Sapeva attirarle con i suoi racconti sulle guerre fronteggiate,sapeva affamarle di sé al punto, talvolta, da farle apparire quasi ridicole. Era crudele con loro perché erano tutte tristemente identiche, l’annoiavano alla lunga. Non più di una notte, si ripeteva sempre. Ogni tanto desiderava avere accanto qualcuno che corresse veloce quanto lui, non solo una bella bambola da ammirare,ma testa, cuore e sangue pulsante. Voleva passione nella sua vita,qualcuno altrettanto brutale, altro da sé, ma dolce e brutale. Da allora niente di tutto questo sarebbe più successo, nient’altro poteva ormai desiderare.  
L’orso inferocito aveva tolto di dosso il vello lanoso che lo nascondeva.
 Entrò furtivo nel loro castello e li uccise selvaggiamente tutti: padre, madre e tre figli.
 Li riteneva colpevoli e lo erano in effetti. Adesso anche lui. Ma non lo capì subito: quando comprese ciò che aveva commesso, ben al di là delle torture subite, era troppo tardi. Nessun pentimento avrebbe potuto portarlo indietro. Nessuna redenzione sarebbe stata praticabile. Ebbe il tempo di nascondere le prove del suo passaggio, dando fuoco a tutto. Fu un incendio di dimensioni considerevoli poiché  furono necessari tre giorni  per sedarlo e uno dei cadaveri dovette incenerirsi all’istante , addirittura, tanta fu la potenza della fiamma, perché non fu mai rinvenuto. Nessuno in paese osò mai ipotizzare chi fosse il colpevole di quella strage: solo la sua famiglia sapeva,il villaggio taceva seppur consapevole .
La madre, che si era affettuosamente presa cura di quel figlio tanto amato , ora ridotto ad uno scherzo della natura, non resse l’onta di cui si era macchiato e si suicidò.
Il padre non fu certo incline al perdono. Gli piangeva il cuore nel vederlo ridotto in quelle condizioni ma non tollerava di avere tra le mani un assassino . Non perché avesse ucciso cinque persone a sangue freddo, in preda alla furia cieca, no. Era disposto a comprendere quel suo folle gesto: l’orgoglio ferito di un uomo ha modi diversi e particolari di risolversi. Non tollerava che avesse ucciso sua moglie, seppur indirettamente. Nemmeno in punto di morte lo assolse, non volle vederlo. Morì da solo ,poco dopo la sua consorte, mentre il figlio sommessamente piangeva al di là della porta della sua camera. Nonostante questo, suo padre lasciò scritto nel testamento che , come spetta ad ogni figlio maschio, avrebbe ereditato tutto. Il povero vecchio non ebbe molte opzioni: lasciò il patrimonio di famiglia nelle mani di un carnefice, di un essere ributtante e spietato al quale aveva voluto più bene che alla sua stessa vita, fino alla fine, poiché fino ad allora lo aveva protetto dal mondo .
Erano passati dieci anni. Era diventato un essere deforme all’esterno. Ma il mostro dentro? Quel gemello perverso che vive in ognuno di noi ed è affetto da svariate manie?Dov’era finito? In quiescenza , pensò, come quel vulcano, in Italia, il Vesuvio.In effetti si assomigliavano, gli capitò di notare. L’Italia, lei. Avrebbe mai potuto amarlo? Certamente no, come avrebbe potuto?   
Si era presentata così sprezzante e scortese, come anche lui sapeva essere, da rendersi adorabilmente fastidiosa. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi, a qualcuno, per liberarsi da quel fardello opprimente. Ma chi avrebbe amato un mostro, un folle omicida?
Ebbe paura di sé per un attimo e della collera cieca che lo invase quella notte fatidica e che non si era più manifestata: evidentemente era stata saziata, ma sarebbe sempre potuta tornare alla ribalta con delle nuove pretese.
 Era certo in quel momento di un unico fatto : se lei fosse rimasta lì con lui,  con la sua sola presenza, niente del genere sarebbe più accaduto.
 
La mattina giunse in  un baleno.
Lei si svegliò , incredula di essere riuscita ad addormentarsi. Il pensiero volto alla perdita della propria libertà aveva lasciato il posto alla stanchezza. La sua camera si era rivelata  più confortevole di quanto avesse osato immaginare, anche per questo non le fu difficile prendere sonno.
Aveva deciso istintivamente di restargli accanto perché non vedeva in lui una minaccia,- iniziò a pensare- nonostante il suo aspetto poco rassicurante. Era lì per fare la moglie?La dama di compagnia? Non le era chiaro, questo. Osservò che se avesse desiderato qualcosa del genere , probabilmente non avrebbe esitato ad obbligarla a giacere con lui. Ma non era successo. Forse avrebbe dovuto chiedere, forse ancora era meglio che stesse zitta ed evitasse la figura dell’idiota. Si era già distinta nel non sapere chi fosse quel dannatissimo Ulisse.
”Ci sarà una biblioteca, qui da qualche parte, accidenti.”
Non sopportava l’ignoranza né tantomeno l’essere inferiore agli altri. Prediligeva i trattamenti da pari a pari. In effetti, lui da pari l’aveva trattata, nonostante , era ben evidente, fosse di rango superiore. I suoi vestiti erano ancora umidi. Non poteva certo aggirarsi nei meandri del castello con la sola sottoveste, perciò si avvolse nella coperta sopra il letto,una specie di pelliccia maculata, ed uscì dalla sua camera senza prendere in considerazione il fatto che era anche dotata di un vistoso armadio.
 Iniziò la sua avventura osservando attentamente ogni dettaglio, ogni ritratto, finché non percepì un respiro pesante dietro di sé: “ State andando nella direzione sbagliata, mia signora.” Quegli occhi verdi e penetranti la guardavano dritto negli occhi, adesso.
“Avete una biblioteca qui?O dei libri comunque?”chiese, sorvolando il fatto che sembrava notevolmente alterato.
“ Da quella parte .”cominciò a squadrarla da capo a piedi. Doveva essersi appena svegliata, notò fra sé. Quei capelli scarmigliati, i piedi nudi e quella pelliccia addosso le conferivano un certo fascino selvaggio, forse un po’ ferino che di sicuro non le apparteneva, ma che sapeva recitare con convinzione, seppur inconsciamente.
“Beh?Che avete da guardare?”si strinse ancor più nella seconda pelle che portava addosso.
“No, niente..”notevolmente imbarazzato, cominciava ad abituarsi a quel fare di lei un po’ insolente, trovandolo quasi grazioso.
“State per ridere,milord, lo vedo. Fate ridere anche me.”
La trovò attraente con quel  modo di fare così schietto e naturale. Non un’ombra di compassione o trasalimento nel vederlo. Lo rasserenò questo, lo distese, nonostante il disappunto nel vedere che lei stava prendendo la direzione del suo rifugio.
“Non vi siete vestita,milady.”
“ Non sono nemmeno nuda. ”
Si stupiva di sé stessa ogni volta che apriva bocca davanti a lui. Le sembrava di essere sempre più sgarbata, volgare e troppo in confidenza con un uomo che era pressoché un estraneo.
Le veniva naturale e questo la spaventava. Non era da lei l’ arroganza.
“Siete sempre così schietti voi italiani?”il tono ironico si era dissolto.
“Perché vi infastidisce?” avrebbe dovuto riflettere, arrossire e scusarsi. Invece no.
“Beh… ecco..”
“Vi tolgo da un imbarazzo: non sono una lady inglese, questo credo l’abbiate appurato da solo. Dunque non c’è da pretendere che mi comporti come tale, mi auguro. Sono di un ceto inferiore al vostro, è ben evidente anche questo. Abbiamo costumi diversi perché proveniamo da mondi diversi. Ho ragione?”
Pessima, assolutamente pessima, avrebbe dovuto non parlare, ne era certa.
“In realtà  non mi dispiace se siete così diretta. A volte l’etichetta complica maledettamente i rapporti. In ogni caso, nella vostra camera è presente un guardaroba, apritelo pure e troverete ciò di cui avete bisogno. Sempre meglio del copriletto che avete addosso.”cercava di rendersi affabile, ma non si rendeva conto di averla appena derisa.
Lei lo fissò odiandolo. Ancora una volta si era sentita da meno. Passò oltre e tornò nella sua stanza. Scaraventò via quella pelliccia e spalancò le ante dell’armadio. Avrebbe dovuto guardare la stanza con più attenzione: c’erano vestiti d’ogni tipo, foggia, colore o fantasia. Ne scelse uno a caso, blu rifinito con un nastro oro sul fondo e sul petto. Si raccolse rapidamente i capelli ,ricci  indisciplinati anch’essi. A quel punto si affacciò fuori dalla camera: via libera. Si recò in direzione della biblioteca ma non aveva idea di quale porta potesse essere. Le aprì tutte ma si trattava di stanze da letto. Salì una rampa di scale e si trovò di fronte ad una porta maestosa. O si trattava della biblioteca o si trattava della stanza del padrone del castello. Per fortuna si rivelò esatta la prima opzione. Con fatica tirò le tende di velluto, quanto mai pesanti, per far entrare la luce. Era una collezione davvero ben fornita e divisa ingegnosamente in settori. Pensò che Polifemo potesse essere una creatura fantastica e cercò il settore mitologico. Un libro sulle creature della mitologia la informò su chi fosse il Ciclope e come fosse stato accecato da Nessuno, in realtà Ulisse, nell’Odissea di Omero. Si mise a cercare  anche quella. Si accomodò ad una scrivania e cominciò a leggere.
Così passarono i giorni,poi le settimane. Lei girovagava per il castello,scoprendo così la cucina, le cantine, la sala da musica, con ogni genere di strumenti provenienti da ogni paese, incappando di quando in quando nell’altro inquilino,se non si assentava . Si ritrovavano alle ore dei pasti , scambiando, solo talvolta, qualche parola .
Tanto lei era loquace, tanto lui rasentava il mutismo.
 
Una notte lo sentì gridare a squarciagola. Si precipitò immediatamente fuori dalla sua stanza per andare ad aiutarlo, ma non sapeva da che parte andare. Nella fretta, pensò bene di salire quei gradini che settimane prima lui  non le aveva fatto varcare. Dopo una rampa, cominciò una scala a chiocciola, proprio quando lui gettò un altro terrificante urlo che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Andò su più velocemente che poteva: pareva quasi che lo stessero uccidendo.
Entrò in punta di piedi, per non farsi sentire dal possibile intruso che lo stava assalendo così furiosamente. Il letto era un baldacchino, ne scostò le tende con cautela:  lo trovò da solo, seduto in mezzo al letto, con gli occhi spalancati, le mani tra i capelli e il respiro affannato, madido di sudore.
“Che ci fate qui?! Sparite. Non dovete mai entrare qui!”grugnì, alzando gli occhi spiritati verso di lei.
Non si lasciò intimorire e fece l’unica cosa che le venne in mente, un rimedio di sua madre. Si mise in ginocchio davanti a lui che la allontanò, spingendola bruscamente sul fondo del letto, intimandole ancora una volta di andarsene. L’aveva fatta intestardire e adesso sarebbe andata fino in fondo.
Dall’ estremità dove si trovava si mosse carponi e gli urlò contro di stare fermo, mentre lui le rispondeva per l’ennesima volta di lasciarlo solo.
Gli urlò contro di nuovo.
 Doveva essere riuscita a farsi intendere perché ad un certo punto  gli tolse le mani dalla testa con una certa decisione, e ci mise le sue. Si avvicinò al suo orecchio, con  voce flebile :
“E’ un rimedio vecchio come il mondo, ha sempre funzionato. Calmatevi e state in silenzio. Apostrofatemi ancora così e vi lascerò solo, di nuovo.”
Le difese di lui in quel momento crollarono. Non gradiva che se ne andasse.
“Voi non sapete, non volete proprio capire…”stava quasi ringhiando.
 Era sconvolto, era come se tutto il suo corpo traviato raccontasse la sua disgrazia.
“E non voglio sapere, sono fatti vostri.”era inspiegabilmente pacata ” L’importante è che stiate bene. Ho pensato che vi stessero scannando.”aveva il suo viso tra le mani e lo inclinò guardandolo negli occhi” Ho temuto per voi, invece avete solo avuto un incubo.”le riusciva sempre più semplice guardarlo negli occhi dopo le prime volte.
Lui cominciò a stringerla a sé. Non capiva troppo bene quello che stavano facendo, si rendeva solo conto che il calore di quelle mani lo stavano tranquillizzando; la vicinanza del suo corpo lo rendeva più sicuro. Il respiro si faceva via via più regolare, lo sentiva, aveva il volto di lui premuto sul petto. In quel momento, istintivamente lo abbracciò. Non sapeva né perché né fin dove si sarebbero spinti: quando si trovava sotto pressione agiva d’istinto, faceva la cosa che le sembrava più giusta, senza pensarci due volte.
Lui si tirò su , le sembrava che si fosse ripreso.
“E’ passata adesso?...”glielo chiese con degli occhi  così gentili che si stupì lei stessa di come quell’uomo così mal ridotto riuscisse a farla diventare migliore.”…allora buonanotte”
L’afferrò per un braccio,ancora una volta: era il suo modo di chiamarla” Vi dispiacerebbe restare qui stanotte, solo stanotte? Non farò niente di sconveniente, ma dormite con me.”
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata quella richiesta , ma non pensava che l’avrebbe  manifestata in quelle condizioni. Lo guardò bene, grazie al  chiarore della luna,senza il disprezzo che lui pensava nutrisse,e con il pollice sottolineò quella cicatrice in tralice ,più marcata delle altre, in mezzo al volto , linea di confine tra il mostro e l’uomo. Lui chiuse gli occhi con rassegnazione.
“D’accordo , se vi aiuterà a riposare.”
Ancora una volta era riuscita a sbalordirlo. Il  linguaggio dei segni e del corpo di lei era completamente diverso, esulava dalle sue conoscenze. Se aveva intuito qualcosa, poteva star sicuro che lei intendeva l’esatto contrario.
Lui era solito  dormire a torso nudo, perciò non poté non vedere lo scempio che qualcuno aveva eseguito di quell’uomo , chissà quando, chissà perché.
 Intese che non era nato così.
Gli accarezzò il petto, lo baciò su una guancia e gli diede di nuovo la buonanotte.
Aveva visto affiorare l’uomo sepolto tra quei rammendi di carne e aveva udito il grido della bestia. Non aveva paura, non provava pietà. Era ciò di cui aveva bisogno. Si rendeva conto intimamente che non poteva fare a meno del contatto con lui.
 
Era profondamente scosso.
Ancora una volta  quelle notti erano tornate a tormentarlo.
 I cadaveri, l’incendio, la madre morta, le sue torture. Stavolta però non era solo, non aveva gridato straziato dal dolore senza ottenere aiuto.  Aveva ricevuto un abbraccio, un bacio, della comprensione forse, da una perfetta sconosciuta. Una forestiera, per giunta.
Passionale, gli era sembrata. Istintiva,senz’ ombra di dubbio. Una donna britannica non  gli avrebbe asciugato il volto,non l’avrebbe tenuto fra le mani, non avrebbe lasciato che un estraneo la stringesse, la toccasse,almeno non se in preda a chissà cosa e disfatto come lui era . Ma lei aveva lasciato correre. Sapeva di cosa aveva bisogno e glielo aveva dato,senza tante cerimonie, senza dover mendicare, nonostante lui le avesse grugnito contro più di una volta. Lei aveva risposto altrettanto, non si era arresa con lui, aveva utilizzato le sue stesse armi. Era stata brutale. Finalmente qualcuno, pensò fugacemente. Alla fine si addormentò cingendole il fianco con un braccio.
Il calore della sua mano sul suo ventre la svegliò l’indomani. Che presenza stranamente gradevole.
 Lei cercò lentamente di rigirarsi , per non disturbare il suo sonno ritrovato,ma di scatto aprì gli occhi.
 Aveva paura di lei.
 Le aveva chiesto di restare solo perché  era riuscita a calmarlo inspiegabilmente, ma adesso, da sveglio, non reggeva il confronto del corpo  morbido e voluttuoso di lei con il suo, martoriato e ricostruito quasi al rovescio .
Temeva di essere sbeffeggiato, aspettava con rassegnazione da un momento all’altro una sua sonora risata o qualcosa del genere. La desiderava ma la temeva. Voleva allontanarla perché non conoscesse meglio la bestia che si celava dietro quel fantoccio d’uomo. In quel momento lo stava scrutando con quei suoi occhi celesti, due finestre aperte per conoscere lui soltanto. Un brivido gli attraversò la schiena, immaginando i suoi pensieri.
Lei si tirò indietro ma lui la riavvicinò senza pensarci. Aveva sbagliato, era troppo vicina, la luce del giorno sarebbe stata impietosa. 
“Buongiorno” gli sussurrò.
“Buongiorno a voi.”balbettò.
 Nessuna risata fragorosa.
“Vi sentite meglio?” chiese accarezzandogli il volto.
“Grazie per essere rimasta. Nessuno si sarebbe prestato a tanto per un mostro, perché è quello che sono.”
“Se parlate del vostro aspetto,beh, è sciocco chi vi giudica dalle apparenze” si era alzata sulla schiena. I capelli le ricadevano dolcemente sulle spalle e sui fianchi.
“Allora  il mondo è pieno di idioti?”La guardava disteso, poteva ammirarla meglio così, lei nemmeno se ne era accorta.
“Chi vi ha fatto tutto questo lo è.”
“Come lo avete scoperto ?”
“Non sarò colta come voi, ma non sono nemmeno stupida. E’ovvio che non siete nato così . Dubito che siano ferite di guerra. Siete stato prigioniero,forse, certo è che vi hanno torturato.”
“Nessuna guerra.”
“mh…Allora anche voi potete capire cosa vuol dire quando si viene violentati e depredati di qualche cosa di prezioso , cui fino ad allora non si era data la giusta importanza. Dovete aver sofferto . E… soffrite ancora, non è vero?”
Lui rimase in silenzio. Stava abbattendo con una delicatezza disarmante tutti i suoi segreti, le sue maschere ,senza farne una tragedia.
“Sono stato punito per un errore che ho commesso. Solo che poi ho perso il controllo …”
“Avete punito il vostro carnefice? Avete avuto più coraggio di me. Io sono scappata.”
“Non era  coraggio ma orgoglio ferito . Quanto a voi, la vostra famiglia è salva, non rammentate più il nostro patto?”
“Come posso averne la certezza?”
“Sono stato due settimane lontano da qui per sistemare alcuni miei affari, tra cui il nostro accordo. Se volete , vi mostrerò un documento della banca che vi confermerà il mio versamento miss Mackinny?”
“Sì , siamo noi. Sarebbe Maccini, in italiano. Ma voi britannici preferite storpiarli i nomi stranieri. Così abbiamo preferito  una traduzione . Allora me lo mostrerete il documento?  ”
“Certamente.” Ci fu un breve silenzio. Lei cominciò a inclinare gli occhi verso sinistra, riflettendo.
“E’ come se mi aveste comprata in fondo…”non affiorava sarcasmo dalla sua voce.
Aveva ragione, di fatto si era trattato di quello.
Ogni penny era ben speso per una donna come lei. Di fronte alla sua consapevolezza non sapeva controbattere. Avrebbe voluto solo essere migliore per averla tutta per sé , senza ricatti o contratti.
Aveva intuito di aver colpito il punto debole, laddove non c’erano scuse.
“Sapete, ho sempre avuto una domanda che mi circolava per la testa..” continuò.
“Dite, allora…”
“Perché avete voluto comprarmi? Perché avete voluto me? Perché prestare aiuto ad una sconosciuta? “
“  Una donna non mi sposerà mai consensualmente, lo capite?Se vi avessi aiutato, sareste rimasta e ,in un certo senso, avrei compiuto pure una buona azione. A volte le persone ridotte come me non sono animali dentro, altri invece lo mostrano fuori e tengono il peggio nascosto nell’anima.”
Lei rimase un attimo a pensare e poi:
“ Devo considerarmi una sorta di sposa?”
Non sapeva che cosa risponderle,anche se le avrebbe detto volentieri di sì:“Se vi piace…”
Lo guardò con una dolcezza con cui per un attimo non si riconobbe proprio.
“Volete condividere il tormento che vi schiaccia?”aveva cominciato ad accarezzargli il petto,involontariamente, non sapeva come smettere, era come senza freni.
“ Non mi lascerete?”il suo era un accorato appello.
“E’ così agghiacciante quello che avete commesso?”cominciava a commuoversi.
Smise di accarezzarlo e la sua mano si fermò alla base del collo , dirigendo il pollice su è giù per il pomo.
“Oh sì. Ma promettete…”al contempo le mani di lei sul suo collo avevano cominciato ad eccitarlo.
Quella amabile creatura aveva cominciato uno strano gioco tattile che lo stava sempre più intrigando.
“ Non mi muoverò da qui” voleva incoraggiarlo a sfogarsi.
Lo rassicurò il suo piglio deciso.
Era pronta ad addentrarsi nella tana dell’orso ,oramai si era spinta troppo nel profondo per tornare indietro; il padrone di casa si era rivelato un essere umano profondamente complesso, estraneo dagli uomini che fino ad allora aveva conosciuto.
“Sappiate che sono pentito. Sono passati dieci anni… Sono un assassino,un omicida, un ripugnante criminale. Chiamatemi con l’appellativo che più vi aggrada. Allora? Siete  ancora disposta a restare ?”
“Ditemi perché avete ucciso.”
“Per vendetta. Mi avevano fatto questo.”indicando se stesso” Ho distrutto tutto. Ho perso la ragione. Ero come impazzito.”
“ Quanti?”
“Tutta la famiglia. Cinque in tutto.”
Lei avvertì la vergogna e il rimorso sul suo volto.
“Mia madre si suicidò per questo. Mio padre non riuscì a perdonarmelo. Ho ucciso anche loro..”
Si adagiò accanto a lui e gli strinse le mani, intrecciandole con le sue.
“No che non li avete uccisi. Certe persone sono più fragili di altre. Inoltre, il perdono è difficile da concedere, specie per atti di questo tipo.”
“Non cercate di giustificarmi…”il suo tono fu durissimo .
“Oh ma io non vi giustifico affatto.”non aveva mai smesso di guardarlo dritto negli occhi.
“Che cosa?”
“ Vedete, avete fatto il giustiziere di voi stesso quando era già pronta la punizione eterna per un errore che non avevate ancora commesso. Avete pagato in questi dieci anni. E pagherete fino alla fine dei vostri giorni. Siete come morto al mondo. Non vi pare una pena sufficiente?Anche gli uomini come voi hanno bisogno di ritagliarsi uno scampolo di vita felice. Pagherete per sempre,certo, ma non sprecherei la vita a piangermi addosso, cercherei di compiere delle buone azioni, per un minimo di riscatto e a godermela almeno un po’ l’esistenza. Ciò non significa dimenticarsi degli errori commessi. Vivere è più difficile che morire, ricordatevelo.”
Nel frattempo , mentre gli parlava, così vicina, aveva avuto modo di osservare il suo corpo,di nuovo. Reso più visibile adesso perché indossava la sola veste da notte. Alcuni bottoni erano saltati in corrispondenza dei seni , tanto che a seconda di come si piegava un capezzolo o l’altro facevano capolino. Non appena lei se ne rese conto, arrossì di colpo. Paradossalmente,provava pudore nel vedere il suo corpo nudo, così come lui del suo. Si coprì con le mani, come meglio poteva.
Lui si rese conto che la conversazione era giunta al  termine, non poteva andare oltre, per quanto gli sarebbe piaciuto fare l’uomo, una volta ogni tanto.
Le sue parole gli avevano infuso una forza del tutto nuova. Si alzò dal letto e infilò la porta del bagno.
Sebbene fosse ancora preda dell’imbarazzo , in specie dell’insicurezza creata dalla sua seminudità, dalla mancanza di indumenti atti a coprire la pelle, avrebbe voluto ancora  il suo braccio intorno alla vita.
Che sensazione strana, anzi, che voglia strana, perché lo richiedeva ancora?
Lei non doveva mica: lui era il suo carceriere .
Era già scivolata via dal letto , quando se lo ritrovò di fronte,di nuovo.
Le sembrava ancora più alto del solito, imponente come un orso su due zampe.
In un attimo, tutto le fu così chiaro e confuso insieme, si sollevò sulle punte dei piedi, gli afferrò la nuca, infilò le dita tra i suoi capelli e lo baciò con un’intensità fino ad allora sconosciuta, per entrambi.
Non appena le loro labbra si staccarono, lei si lasciò solo il tempo di dirgli:” E’ colpa mia.” E corse via dalla sua stanza.
Era rimasto lì in piedi, completamente frastornato. Non aveva avuto il tempo di rendersi conto di cosa era appena accaduto alle sue labbra, nemmeno di rispondere al bacio.
Era stata lei a prendere l’iniziativa, non l’aveva immaginato. Cominciò a chiedersi perché l’avesse fatto: la solita compassione? Un gentilezza al condannato?
Probabilmente  doveva vederlo come un essere patetico e malvagio.
Si era anche pentita di quel bacio .
Però, tutto quel trasporto…l’espressione nei suoi occhi,  forse si era trattato solamente di un impulso fisico che si era scontrato con la sua deformità .
Una reazione inconsulta,ma sì certo.
 O forse no. Doveva scoprirlo.
Lei si era diretta svelta in camera. Aveva chiuso la porta dietro di sé e si era lasciata cadere giù per terra. Stava ridendo, tra le lacrime che le incorniciavano il viso.
Le aveva confessato il peggio. Le aveva mostrato il suo lato oscuro e lei lo aveva accettato. In seguito,era stata in grado di provocare ciò che nemmeno lei si aspettava di fare: era come accecata , in quel momento, aveva bisogno di un contatto ravvicinato, così come gli occhi di lui, velatamente, la pregavano.
Un bisogno, una necessità, un istinto da soddisfare. Tutto qui.
Lei lo aveva attirato a sé. “Chissà cosa starà pensando di me”si lamentò.
Si decise a rivestirsi in fretta e a pettinarsi a dovere, quando lui spalancò la porta e la richiuse violentemente.
Sembrava fuori di sé .
Quei suoi occhi verdi, come le colline della sua terra,erano ancora più spalancati,tutta la pelle del viso subiva una strana tensione. Lei incominciò ad indietreggiare verso il letto , nel tentativo di arrivare vicino alla finestra, ma lui fu più veloce e riuscì come a catturarla.
 Ora aveva seriamente paura:anche lui le avrebbe inflitto lo stesso trattamento del conte?
Era un uomo, in ogni caso.
La teneva in una morsa potente,tanto che non riusciva nemmeno a divincolarsi. Proprio mentre lei era convinta che di lì a poco sarebbe cominciata una nuova tortura, lui cominciò a portare le mani di lei dietro la sua schiena :“Ancora…”le sussurrò ad un orecchio. Lei sorrise, ma continuava ad essere spaventata intimamente. Non era ancora finita.
Aveva intrapreso ad accarezzarle il braccio e poi giunse su fino al volto: poteva toccarla finalmente. Si avvicinò con una timidezza tangibile, sorprendentemente tenera .
Aveva paura di essere rifiutato, di non esserne degno, di non averne più diritto. Lei non riusciva a riflettere: era come annebbiata, gli occhi di lui erano penetranti a tal punto da ipnotizzarla.
La baciò con meno fretta della prima volta, sebbene l’impeto si fosse ugualmente conservato. La premette contro di sé con forza finché non  la sentì abbandonarsi interamente tra le sue braccia.
 Le  mani di lei intorno al suo collo furono subito una presenza piacevole.
“ Vi sentite ancora colpevole?” voleva delle risposte.
“Perché lo avete fatto?”con un filo di voce. Era come stordita.
“Potrei farvi la stessa domanda.”
“Non lo so. In quel momento non ho ragionato molto.”
Il che era la verità. Qualcun altro aveva riflettuto per lei in quell’istante fatale.
La stava stringendo sempre più forte, aveva cominciato ad accarezzargli il collo, con una certa foga , fino a scendere all’altezza del seno. Le mani di un uomo sul suo corpo, di nuovo.
In quel momento fu lei a volersi fermare.
“Aspettate…io.. io non posso…io sono..” di nuovo nella mente era
riemerso quel ricordo assordante.
Capì subito cosa voleva dire.
Era solo una fanciulla.
 Avrà avuto almeno vent’anni meno di lui. E aveva subito quel torto gratuito , peraltro.  Allentò la presa su di lei, ma non se la sentiva proprio di lasciarla.
Non sapeva come dirglielo: non si tirava indietro perché non lo volesse, anzi, ne era uscita stupendamente eccitata; né per il suo aspetto, nemmeno lo contava più,o forse non aveva mai preso in considerazione la sua storpiatura, ma perché era una vergine, una donna che non aveva mai assaporato il calore di un uomo, se non quella volta, malamente, quando aveva subito quella violenza, quella rapina triviale.
Lui era un uomo fatto, chissà quante donne avrà avuto tra le mani prima di lei .Non doveva essere spiacente prima dello sfregio, osservò, quindi le donne su di lui dovevano cadere come la pioggia da quelle parti. Non avrebbe potuto dargli il piacere che cercava, soddisfare le sue esigenze di uomo maturo, sapeva di non essere all’altezza.
Inoltre, c’era un’altra ragione per frenarsi, un motivo che non voleva né sentire né vedere, ma che era riuscito a farsi strada nella sua mente: il cuore.
Cosa provava per quell’uomo?
Perché,se aveva deciso di baciarlo e lasciarsi baciare, qualcosa voleva pur dire.
Per quale motivo lasciarsi toccare, accarezzare, stringere e fare a lui altrettanto, quando con una parola l’avrebbe subito respinto?
Non bramava la sua lontananza. Le mani di lui addosso, che la esploravano, le avevano fatto dimenticare l’orrore di quell’episodio cui non sapeva dare un nome preciso. Non voleva dargli un nome. Non doveva essere un peso da sobbarcarsi, ma una macchia da pulire soltanto. Si sarebbe dissolto, giorno per giorno.
 Si stupiva di sé stessa nel parlare con lui, la rendeva migliore in qualche modo e forse lei era riuscita a fargli lo stesso effetto. Poteva amarlo?
Amore…amore…nessuno glielo aveva raccontato. Sua madre era morta troppo presto. Non c’è una ricetta, non ci sono istruzioni, a volte nemmeno indizi. Succede, come un ciclone passa, prende e porta via. L’importante è stare dentro al suo turbine e lasciarsi trasportare via con esso. Forse se ne era innamorata sul serio. Il panico l’avvolse. E ora, che fare?
Lui sperava che dicesse qualcosa, ma lei era pensierosa. Ad un certo punto gli parve di vedere ancora della paura aleggiare sul suo volto. Per l’ennesima volta pensò che fosse colpa del suo aspetto. Poi che fosse colpa della sua confessione,troppo repentina, forse, si lambiccò tra sé . Eppure…sembrava desiderosa quanto lui…Era confuso.
 Lei si era fermata . Certo, se fosse stato per la sua bruttezza lo avrebbe fatto anche prima. Forse il modo: troppo brusco, troppo in fretta, troppo ingordo. Lui aveva fame.
Di lei, solo e soltanto. Questo lo fece riflettere.
Se la fame fosse degenerata in qualcosa di altro?
Se l’inumano fosse stato in agguato?
Se il volere lei sola fosse una predilezione della Bestia nascosta?No, non poteva essere. Non doveva. Lei era stata la sua cura quella notte. Che potesse essere anche il contagio?
 “ Andate adesso, ve ne prego, signore. Tra poco sarà l’ora del pranzo , ci vedremo giù di sotto. E’ meglio così. Perdonatemi. Non è colpa vostra. Sono io ad essere sbagliata. Ho sbagliato.”
Pensava che avrebbe visto il disprezzo palesarsi sul suo volto, la vergogna di essersi abbassata a lasciarsi prendere da un uomo così repellente e invece no. Stava implorando, a suo modo, anche se lui non immaginava il perché.
Tolse le mani che fino ad allora erano rimaste sui suoi fianchi con notevole reticenza- faceva fatica a controllarsi con lei così vicina,tra le braccia-  e si avvicinò al suo viso:
“Io non lo credo” e se ne andò.
Avrebbe dovuto dirgli la verità. In ogni caso sarebbe stato liberatorio.
 Lui ambiva solo il suo corpo,l ’aveva compreso, aveva bisogno di sfogarsi e quel che è peggio era stata lei a provocarlo fino a  quel punto, a desiderarla violentemente, a scoperchiare quel vaso come una novella Pandora.
 Aveva sbagliato, ne era certa.
Volevano appagare istinti diversi, secondo lei.
Lui bramava il suo possesso, anche solo per una notte. Ne era convinta.
E lei? Cosa pretendeva da lui?Per quanto avesse chiarito il suo cuore, rimaneva sempre qualcosa di non detto,c’era sempre qualcosa che mancava.
Non avrebbe dovuto pretendere niente da lui, si disse, lei lo aveva stuzzicato stupidamente e lei sola avrebbe rimediato al danno.
 Ma era davvero un danno poi?Aveva scoperto quanto fosse pericoloso farsi desiderare da qualcuno. Ma anche quanto fosse eccitante per il corpo e per l’anima: infatti il suo ego non ne aveva risentito, tutt’altro. Non lo avrebbe mai ammesso di fronte ad anima viva, perché la terrorizzava e  non capiva come un atto che solo poco tempo fa la ripugnava a morte, adesso si fosse trasformato in qualcosa di incommensurabilmente più piacevole, che le faceva completamente smarrire la percezione di una parte di se stessa.
Era desiderio brutale anche il suo, come quello di lui, ma non aveva intenzione di riconoscerlo. Perdere se stessa in quei momenti, con un altro essere umano così prossimo, era un rischio che non poteva né doveva correre.
Se gli avesse detto quello che provava , probabilmente l’avrebbe derisa, trattandola come una bambina che crede ancora  nel vero amore che non esiste e lui poteva provarlo. Si immaginava già quello che le avrebbe risposto:”L’amore non esiste, ragazzina. Io ne sono la prova. Se ci fosse stato amore , non sarei ridotto così. Ho conosciuto il disgusto, il disprezzo, la derisione sulle facce della gente, mai l’amore o la compassione. ” Doveva rischiare e dirglielo. Doveva buttarsi, senza pensare, come aveva fatto fino a quel momento, del resto. Non aveva niente da perdere.
Scese dabbasso. Aveva indossato un vestito rosso,ma  si pentì subito della scelta, fatta anch’essa sull’onda dell’emozione e non del raziocinio. Lo aspettò a lungo nella sala da pranzo ma non arrivò. Erano appena suonate le tre. Se ne era andato? All’ingresso trovò un biglietto:
“ Tornerò, stanotte.”
Una promessa o una minaccia?
Solo tra due o tre ore al massimo sarebbe calato il buio. Per quanto aveva intenzione di restare là fuori? Si accorse che si stava preoccupando per lui come un’ amante, una moglie, una fidanzata. Se fosse uscita a cercarlo e lui nel frattempo non l’avesse trovata al castello ? Se fosse successo il peggio e l’avessero ucciso? Non voleva nemmeno sfiorare l’idea.
 In mezzo a questo affollarsi di ipotesi, il sole era  tramontato e di lui nemmeno l’ombra.  Gli lasciò anche lei un biglietto e si decise a scendere nelle scuderie, montare sul primo cavallo e partire al galoppo. Attraversò in lungo e in largo la foresta senza risultati:nessuna traccia di lui né della sua cavalcatura, almeno i lupi non l’avevano aggredito, poteva tirare un sospiro di sollievo.
Tornò indietro, verso il castello per esplorare i terreni circostanti. Fu il cavallo a guidarla: doveva essere abituato a quell’itinerario.
 La portò fino ad un tempietto rotondo. Era la tomba di famiglia,scoprì in seguito,lì altre impronte equine erano ancora fresche. Era vivo, era salvo e stava tornando al castello. Dall’ ombra spuntò fuori un altro cavallo: “Dov’è il tuo cavaliere?” bisbigliò.
“Proprio qui. Chi siete?” Aveva una spada puntata alla gola, di nuovo.
Riconobbe subito la sua voce, avvertì subito il suo odore.
 Si tirò giù il cappuccio e sciolse i capelli. Adesso capirà immediatamente,pensò speranzosa.
“Ah, voi… Siete uscita!Volevate forse fuggire?!”si sentì come tradito.
“ Ero solo preoccupata per voi, stupido idiota.”scoppiò a piangere. Era esausta, aveva freddo, lo amava ma non era amata a sua volta. Si accasciò per terra.
Rimise la spada al suo posto. Che stupido. La prese in braccio , la issò sul cavallo e trainò l’altro appresso. Che stupido. Stava cominciando a piovere , così come lei non smetteva di piangere.
Era andata a cercarlo.
 Non aveva pensato di fuggire. No, non lo aveva fatto.
Si era preoccupata della sua sorte. Era la seconda volta che temeva per la sua vita. Forse si era affezionata a lui, in un certo senso.
Non sapeva come comportarsi di fronte ad una donna in lacrime, preferì tacere.
Era uscito per riflettere, per far sbollire l’eccitazione. Avrebbe voluto fare diversamente ma non conosceva altri modi.
Aveva cavalcato senza meta fino a giungere al solito punto: laddove riposavano i suoi genitori. Quel luogo lo rilassava. Era rotondo, completo, perfetto. Tutto lì assumeva un senso.  Cominciò a mettere insieme i tasselli della storia.
Non riusciva a fare a meno di lei. Se ci fosse stata un’altra donna al suo posto, avrebbe cercato lei comunque.  Il suono della sua voce, la  comprensione dimostrata, il suo piglio nelle situazioni drammatiche, il suo spirito , il suo corpo- non poteva fare a meno di ripensarci,dopo così tanto tempo- quel modo che aveva di calmarlo e di eccitarlo, di tirar fuori il lato umano e quello bestiale.
Bestiale.
Bestiale?
Perché aveva pensato un aggettivo del genere?
Lei aveva visto la bestia che era, sia fuori che dentro.
Si era spinta volontariamente nell’anima nera custodita dentro quell’involucro terrificante, aveva accettato , aveva compreso. Ma se le bestie devono stare con le bestie…? Sciocchezze. Lei non lo era. Era riuscita a trasformare la sua furia, la sua bestia, in  desiderio sano e insaziabile .Aveva fatto uscire l’uomo  lasciando che convivesse con la sua anima indomita e selvaggia .
 Le aveva esibito l’uomo e la bestia e per tutta risposta lei non batté ciglio; non lo biasimò; non inorridì; non  fuggì. Accadde l’imprevisto.
Doveva rimanergli accanto, come una donna ad un uomo.  Non poteva trattarla come una delle tante prostitute che aveva frequentato nei primi anni della sua emarginazione e che aveva ricoperto d’oro purché gli regalassero anche solo un paio d’ore di godimento. Ma non era lo stesso. Pagare quel genere di piacere non era nella sua indole. In breve tempo cominciò ad odiare quelle mercenarie.
Non poteva ripagarla così della sua comprensione, del suo… amore?
No, no di sicuro…solo affetto.
Perché voleva tenerla con sé?
Era felice quando la vedeva, ma al tempo stesso lo terrorizzava a morte. Lei era così diversa, così umana che non avrebbe potuto lasciare che vivesse confinata tra le tenebre con lui. Che sorta di vita avrebbe potuto regalarle?
 L’altra ragazza non gli aveva fatto lo stesso effetto, probabilmente perché non si era spinta così lontano nel suo cuore ed inoltre  era una prigioniera. Ma lei…non  riusciva a vederla così, non più.
Nel frattempo lei aveva cominciato ad asciugarsi le lacrime,  appoggiando le testa sulla sua spalla e  si strinse a braccia conserte. Aveva freddo perciò l ’avvolse nel suo mantello: non doveva patire il gelo .
Quanto era stato sciocco ad aggredirla  in quel modo, in fondo lei non lo meritava. La sua solita mancanza di fiducia, la sua eccessiva circospezione avevano preso il sopravvento. Non sapeva come scusarsi. Avrebbe  trovato un modo.
 Frattanto erano arrivati al castello. Una volta smontato dal suo destriero, aiutò pure lei a far lo stesso . L’afferrò per i fianchi e solo in quell’istante si accorse di quanto fosse leggera. Sentì le mani di lei sulle spalle scorrere giù subito. Capì.
Lei era svenuta, intanto, doveva essere sfinita,pensò. La prese in braccio e la portò all’interno. Lui aveva capito finalmente.
Erano rientrati dalle scuderie ma al portone d’ingresso qualcuno stava insistentemente bussando.
 Che continuasse pure a bussare, non gli importava.
Lui aveva finalmente compreso.
Si avviò verso le stanze da letto affinché lei si stendesse.
 Una volta uscito, sentì ancora l’intruso battere alla porta. Non se ne sarebbe andato finché non avesse ottenuto ciò che andava cercando.
 Aprì stancamente il portone, restando in penombra come al solito.
“Chi siete?”con la solita aggressività che lo distingueva.
“Come, nessun prego entrate?”aveva un tono serpentino.
“Chi siete?!” Fu meno gentile di sempre.
“Viaggiavo da queste parti, ho visto una luce e pensavo che avreste potuto darmi ospitalità per stanotte.”
“Mi dispiace, non posso.”Non aveva intenzione di fargli varcare la soglia, aveva altro a cui pensare , che morisse pure.
“Allora posso solo aspettare che spiova, milord?”insisteva.
“Dubito che smetterà presto, milord” dov’erano finite quelle buone azioni e quegli innumerevoli buoni propositi?
“Il mio cavallo è esausto, ho davvero bisogno del vostro aiuto.” Cercava di essere commovente.
Lo trovava insistente ed insopportabile,ma non poteva essere scortese.
“Portatelo nelle scuderie ed  entrate.”si risolse così, solo per lei e per quei buoni intenti.
Non appena fece entrare lo sconosciuto ,questi si tolse il mantello gocciolante di dosso e si avvicinò al fuoco. Gli sembrava una faccia familiare, ma fu un pensiero che sparì in fretta.
Non aveva voglia di fare conversazione, non con lui almeno. Voleva che se ne andasse, alla svelta.
“Avete molte visite, milord, di questi tempi?”lo apostrofò lo strano ospite.
“No”rispose seccato.”anche la conversazione da salotto mi toccherà?”si stizzì tra se.
“Sapete, sto cercando una persona. So per certo che ha attraversato questa foresta, ma non ha lasciato di sé alcuna traccia. I lupi devono misteriosamente averla graziata. Qualche  pellegrino è venuto a bussare alla vostra porta in cerca di ospitalità? Una donna magari?”
Solo allora identificò il nuovo arrivato. Decise di servirsi con calma.
“E’ passata una donna, in effetti. Ma se ne è andata due o tre settimane fa.”
Lei si era risvegliata nel suo letto, proprio in quegli attimi .
 Era arrabbiata con lui, stava scendendo le scale, quando sentì la sua voce. La stava cercando. Era braccata. Avrebbe dovuto affrontarlo.
Il passato era tornato. Finalmente, era giunta l ’ora.
Si inumidì le labbra con la punta della lingua e continuò a scendere i gradini senza far rumore, strisciando poi nell’ombra verso la stanza principale.
“Perché mentite, milord?”con un sorrisetto serafico sulla faccia.
“Perché insinuate che menta?”
“Ma voi state mentendo, milord. Avete pagato lautamente la famiglia di quella donna, proprio immediatamente dopo la sua scomparsa. Lei deve essere qui.”
“Chi vi ha dato quelle informazioni…”
“ Chi me le ha date ? Voi stesso milord!Io ero l’impiegato della banca, milord…”
“Che bisogno c’era di camuffarvi?” Stava cominciando a scaldarsi.
“Mi avreste riconosciuto comunque, presto o tardi. Non vi ricordate di un ragazzetto sui sedici anni, tutto lentiggini?”
“Sono spiacente, non ricordo. Chi diavolo siete?!”era pronto ad aggredirlo.
“ Brutta pecora, davvero non ti ricordi?!Mi rattrista sapere che proprio non ti siamo rimasti impressi!!” Mostrò una vistosa cicatrice alla base del collo.
“Tu…il più piccolo, sei ancora vivo?! Sei qui per tormentarmi? Pensi che non mi ricordi?Ogni singolo giorno sconto la pena per quello che ho fatto. Sparisci prima che uccida anche te, per la seconda volta .”
La sua rabbia era sul punto di rompere gli argini, se non avesse avvertito una mano intorno al collo a stringerlo delicatamente e una intorno al polso con energia a bloccarlo.
“Lascialo a me.”Gli bisbigliò.”Hai già fatto abbastanza.”
Il suo odore così penetrante era del tutto estraneo.
“Eccomi , signore, mi cercavate?”sbucò fuori dall’ombra accanto a lui.
La sua voce aveva un suono strano,del tutto nuovo, metallico.
“ Milady… Vi ho cercato per mesi…” abbozzando un inchino fasullo.
“Non siete molto intelligente allora,oppure non sapete cercare…giacché ero più vicina di quanto pensavate.” Insolente e sarcastica.
“Ma ora vi ho trovato.” Sorrise beffardo.
“ E con ciò? Che pensate di fare?”continuava stranamente a sorridere,inclinando la testa.
“ Devo saldare un vecchio conto col padrone di casa e poi riprendermi ciò che mi spetta.”guardando verso di lei.
Il lupo  era pronto per arraffare la sua preda, stava affilando lentamente le zanne, per il puro piacere di gustarsi meglio la cena, di vedere affiorare l’inconsapevolezza e infine l’ orrore negli occhi della vittima prescelta. Che fame.
Lei si mise a ridere. Rise così forte che rimbombò in tutto il castello.
Rise così di gusto che entrambi gli uomini nutrirono un filo di sgomento; solo le bestie che si celavano in loro  ne erano come attratte, risvegliate, chiamate a gran voce.
“Voi credete?” Si stava avvicinando ondeggiando, con fare di sfida.
 Lui la vedeva bellissima, aggressiva, provocatoria.
 Il suo corpo sembrava ancora più rigoglioso del normale, ogni curva appariva accentuata, in quel vestito che era diventato quasi una guaina.
Anche il conte era eccitato, ma non capiva dove volesse arrivare.
“ Per i conti tratterete con me, stasera. Sarò io stessa a saldarli.”cominciò a massaggiarlo nel luogo della cicatrice, una volta squarcio fatto da lui, dal suo amato, con una energia sempre più costante, fino quasi a strattonarlo e si voltò verso il padrone del castello .
Chiedeva la sua approvazione, il suo permesso.
Non aveva intenzione di  scavalcarlo, non desiderava privarlo della sua virilità tantomeno del diritto di difendersi da un nemico e di proteggerla,era libero di farlo ma non adesso.
Anche lei pretendeva la sua vendetta.
Ci fu un incrocio rapido di assensi.
 Si voltò verso il conte, invogliato da questa novità.
“Sapete, non è stata una grande idea venire fin qui, così tardi,nel cuore della notte, sfidando il maltempo...Non ho preparato il letto,… milord!…”
Gli occhi di lei si dilatarono eccezionalmente così come le labbra, ormai fauci. L’azzannò con tutta la ferocia che aveva in corpo. Gli strappò di netto la carotide e al conte non fu lasciato nemmeno il tempo di cacciare un urlo, perché morì con lui.
Gli squarciò il petto, ne estrasse il cuore e lo buttò nel fuoco. In ultimo, gli lacerò  i pantaloni,e con una spada trovata sulla parete, gli staccò via il pene che finì tra le fiamme, anch’esso.
”Bravo bambino” concluse”in compenso ti scaverò una fossa, il tuo letto eterno.”.
Giustizia era fatta.
Il giusto castigo era stato servito. Freddo e sanguinolento.
 Era stata rabbia cieca, anche la sua.  Aveva regolato i conti finalmente.
 Aveva dato vita al suo oscuro proposito.
Il lupo se l ’era mangiato, come promesso.
Grondava  sangue ovunque, rosso purpureo come il suo vestito. Rimase in piedi di fronte al cadavere scempiato. Respirava pesantemente. Stava con lentezza tornando alla normalità. Adesso ci voleva la forza di raccontargli  anche il suo lato oscuro.
Lui era sconcertato, però  fiero di lei poiché aveva combattuto il suo demone.
Aveva ucciso per entrambi, la sua valchiria.
La sua leonessa li aveva difesi e aveva vendicato se stessa.
O avrebbe dovuto dire la sua lupa?
Lei.. che cos’era lei?
Così bella e così crudele?
Così dolce e così spietata?
Anche in lei si celava una bestia?
Aveva scatenato la bestia che era in lui perché bestia era anche lei?
Qualcuno con cui correre, pensò, è davvero lei.
Si tolse alla meglio il sangue che aveva intorno alla bocca e che le era colato lungo il collo, a quel punto  gli venne incontro, tirandosi su una manica.
“Vedi?” gli indicò un punto del braccio dove teneva una benda.
Le belve non danno del voi.
Interrogativamente la guardò mentre la scioglieva.
Nascondeva una grossa ferita ormai rimarginata, un morso,suppose.
“Beh?” non trovava il nesso. Se ne stava a braccia conserte, in attesa di chiarimenti.
“ Un lupo mi ha morsa quando avevo undici anni. Non un lupo dei vostri. Non un comune lupo grigio.”
Si mise a ridere” Non mi direte che siete un lupo mannaro!”
“ Non fare il simpatico, non c’è molto da divertirsi.. Mannari diventano gli uomini che sono predisposti o se vengono morsi con la luna piena. Io sono stata morsa con la luna nuova, del lupo ho assunto solo la voracità, la ferocia, la violenza. Scatenare queste componenti dipende dalla luna e in parte è dipeso da lui. Bisogna essere particolarmente crudeli  per scatenare il lupo che vive in me. Non di continuo riesco a tenerlo quieto, ma quasi sempre riesco a farlo coesistere con me stessa.”
Lui rimase in silenzio. Era felice di avere in comune con lei quel lato incivile ed incontrollabile, un po’ pazzo.
Di avere in comune una bestia.
 Stava tornando in sé. Non aveva dimenticato come si erano lasciati ore prima.
“ Adesso sapete anche questo. Non avete niente da dire? Non volete puntarmi ancora la spada contro o punirmi perché secondo voi sono fuggita?”
Si avvicinò di un passo. Erano così simili. Avrebbero potuto uccidersi a vicenda, per la tensione che c’era nell’aria.
“Non sono abituato a fidarmi delle persone.”
“Vi ho dato prova in svariate occasioni di potervi fidare di me, mi pare.”
Era contrariata, il suo disappunto era percepibile. Lui lo trovava di una dolcezza impressionante.
“ Già, è così. Avevo solo bisogno di riflettere su quello che era successo, su quello che avevo fatto e che mi avevate detto.  Ero confuso.”
“Beh, avete fatto chiarezza?!”in tono di sfida, un po’ spazientita. Il lupo non se ne era mai andato in fin dei conti, era sempre stato lì, in attesa, conviveva brillantemente con lei, vergine e peccatrice,donna e animale.
“Certo.” Rispose serafico.
Non si aspettava una risposta così diretta, così rapida.
“Molto bene”cercando di nascondere il suo intimo timore”allora vi ascolto.”
“ Ho sbagliato a trattarvi in quel modo, poco fa. Non  lo meritavate. Mi avete offerto la vostra indulgenza e non vi ho ripagato nel modo giusto. Mi avete dato molto di più di ciò che mi aspettavo. Vi siete rivelata estremamente diversa dalla norma, per fortuna, oserei dire.”
Stava cominciando a stancarsi di questo suo girare intorno alla faccenda principale.
Aveva capito perfettamente che era un tentativo di trovare le parole giuste, ma non resisteva più: aveva bisogno di sapere poiché anche lei  era avida e ingorda. Era quella la sua fame.
“ Io vi amo, signore. Uomo e bestia, nel bene e nel male. Senza condizioni”
 Nessun preambolo, nessun preavviso:si era liberata e aveva rischiato.
 Lui aveva sentito benissimo quelle quattro sillabe, di gran lunga più chiare del suo borbottare inconcludente.
Era amato,al di sopra di ogni cosa, anche del lato oscuro, anche di quello. Non avrebbe mai creduto che lei provasse tutto questo.
 Scoppiava dalla gioia, ma doveva rispondergli qualcosa, qualunque cosa.
Lei lo stava guardando trepidante, sperava in una riposta positiva anche se non più di tanto. La sua mancata reazione alla rivelazione della sua natura lupesca l’aveva insospettita.
Era zuppa di un sangue che si stava lentamente raggrumando, non era la veste migliore per una dichiarazione, ma fino a quel momento tutta la loro vicenda era stata un susseguirsi di momenti sbagliati, inattesi o impensati,ma sempre inadeguati.
Forse sarebbe stato meglio scomparire nella propria stanza e lasciar trascorrere la notte.
 Tirò un sospiro,arresa.“Con permesso, milord.”
Avrebbe voluto dirle qualcosa ma gli sembravano tutte parole banali e vuote.
La notte nel frattempo era scesa.
 La pioggia non aveva cessato di cadere, incalzante.
Il diluvio, nel cuore della notte, si tramutò in tempesta, cosicché tuoni e lampi cominciarono a comparire nel cielo e a turbarle il sonno.
 Era terrorizzata dai tuoni, atterrita dai lampi.
Di solito andava a dormire nel letto dei suoi genitori, da piccola, solo ultimante con le sue sorelle. Non ebbe molta scelta: o rimanere paralizzata dalla paura o chiedere aiuto.
Ma lei non urlava: il panico era tale da toglierle la parola.
Si avviò tentoni verso la scala a chiocciola,inciampando un paio di volte in corrispondenza di un paio di tuoni, strisciò fin davanti al baldacchino e si infilò sotto le coperte avvinghiandosi a lui più forte che poteva. 
Non appena prese coscienza dell’inaspettato visitatore, si stupì di averla accanto nel suo letto.  Comprese quasi subito che era terrorizzata dalla tempesta:stava facendo del torso di lui il suo scudo, rendendosi sempre più piccola,quasi, ad ogni boato.
Le mise un braccio attorno alle spalle e cominciò ad accarezzarle leggermente i capelli, cercando di calmarla, di infonderle un minimo di sicurezza.
Era ben felice di proteggere la sua lupa, che fosse lì con lui, così stretta, così vicina. Tutta per sé.
Mia vita,pensò, mio cuore.
Gli si era avvicinata così, senza dire niente, senza domande, senza richieste.
Stiamo insieme stanotte, ho paura del tuono, stringimi forte.
Non l’aveva detto ma glielo aveva fatto capire. Dormirono stretti l’uno all’altra.
Quando si risvegliò l’indomani,  lei era riuscita a sgattaiolare, via dalla sua presa. Non voleva svegliarsi  con lui accanto, con lui addosso, combattere con l’istinto di desiderarlo . Se ne era andata silenziosa così come era arrivata lì quella notte, che era stata solo una ricerca d’aiuto disperata, non un bisogno d’amore, non doveva esserlo, per forza.
 Lui, rispettando il suo silenzio, non aveva rifiutato quella presenza notturna accanto a sé.
Se  il più delle volte lui non sentiva il bisogno di parole ,ora anche lei stava imparando a farne a meno e cercare di parlare la sua stessa lingua.
Pensò di averla delusa. Il suo silenzio di fronte all’aprirsi del cuore di lei l’aveva amareggiata. Era deciso fermamente a riparare. Scese nella sua stanza.
“Andatevene”gli intimò, quasi ringhiando, con una certa impazienza.
“No! Dovete ascoltarmi che vi piaccia o meno!”voleva riuscire a parlare , a fare un discorso senza interruzioni. Lei si meravigliò e si impaurì della sua decisione.
Si fermò a braccia conserte, curiosa di sapere quello che aveva da dire.
“beh? Sono qui ferma, sto aspettando.”
Cominciò a bofonchiare qualcosa,mentre lei continuava a non capire, così gli si avvicinò e gli chiese:”Potete farfugliare più chiaramente?”
“Dio!!!Siete così…così..” alzò le mani verso l’alto, pensò che volesse quasi picchiarla.
“Così come?!” teneva  i pugni stretti verso il basso e tutto il busto proteso verso di lui, contrapposto a lui.
“Sto  cercando di dirvi che mi sono innamorato di voi e  mi punzecchiate di continuo come uno spiedo! Non lasciate il tempo  di esprimermi come si conviene, dannazione! Siete impossibile!” Vide il volto di lei sconcertato, non si era reso conto del fiume di parole uscite dalla sua bocca.”Ora che c’è?”grugnì stavolta.
“ Quando vi impegnate sapete essere molto maleducato. E così vi siete innamorato? “ era ironicamente serena.
“ Chi l’ha detto ?” Era spaesato.
“Proprio voi, adesso. Non vi ricordate? Oppure era una bugia?”volle aspettare che si difendesse ma non ottenne commenti”Credete che la confessione di ieri fosse solo un gioco? Pensate che non sia atterrita dal fatto che avete visto il mio lato peggiore e ve ne siete stato lì, muto come un pesce?Immaginate vagamente quanto ci abbia messo per rendermi conto di amarvi e quanto mi sia arrovellata per trovare le parole giuste, per non apparire una patetica sciocca ragazzina , per trovare il coraggio?!.”
“Certo che lo immagino! Solo quando vi ho scesa dal mio cavallo ieri sera, ho capito quanto mi foste cara e preziosa. Quanto mi sono affranto per le parole che vi ho rivolto. Non avete  idea dello sconvolgimento che mi avete provocato!”L’afferrò per le braccia”Voi siete tale e quale a me. Nel bene e nel male. L’ho capito questo, non credevo di dovere aggiungere molto altro. Per la cronaca, i lupi non mi spaventano, contenta? Abbiamo smosso l’uno il  lato selvaggio e umano dell’altra . Non sono da me le dichiarazioni d’amore, non sono un fine dicitore come altri, non vi canterò un sonetto perché non sarei in grado di comporlo. Ma posso dirvi che vi amo, con grande ardore. A questo punto, anche io dovrei essere un patetico sciocco? E poi solo perché il più delle volte taccio non significa che non provi niente . Non esibisco  i miei sentimenti con naturalità,non l’ho mai fatto, prima per carattere,ma ora ,con tutto questo…”indicava il suo scempio,non sapeva come continuare e poi”il mondo non è stato umano con me!”si calmò subito, premendosi una mano contro la grossa cicatrice in mezzo al volto, mentre con l’altra continuava a tenerla molto stretta” Ho preferito essere prudente fino in fondo e non farmi delle illusioni su di voi. Non avrei mai sperato che vi poteste innamorare di me.”
Era sull’orlo del pianto,  impressionata che avesse toccato le corde più delicate del suo cuore. Lui l’amava, aveva solo avuto paura fino ad allora.
 Che sciocchezza pensare che  fosse indifferente!
“Molto bene, allora. Credo dunque che dovremo rivedere il nostro patto .”stava tremando dalla felicità, mentre lo diceva.
“Volete rivedere la vostra famiglia?” era ben disposto a concederglielo.
“Volete uscire alla luce del sole?”sapeva di chiedergli molto, ma decise comunque di provare.
Non fu drastico: “Vedremo, magari in futuro.”
Quella creatura della notte, solo apparentemente figlia della luce, l’avrebbe condotto all’esterno un giorno o l’altro, a far parte di quel mondo che in tutti quegli anni l’aveva rifiutato, a cui lui stesso aveva rinunciato . Da padroni dell’oscurità  come erano entrambi, lei sola , cui restava semplice confondersi con il giorno, gli avrebbe insegnato a fare altrettanto. L ’ Uomo avrebbe camminato tra gli uomini, con la luce del sole .Col calar del tramonto, la bestia avrebbe giaciuto con la sua degna sposa, dai grandi occhi color cobalto.
“Allora abbiamo un futuro?”sorridente. Insieme, pensò, non chiedo nient’altro se non poterti restare accanto, come è sempre stato.
“Sì che c’è. Ma ditemi piuttosto: i vostri cari?Non siete ansiosa di poterli riabbracciare?” chiese ancora, insistendo. Credeva che la privazione dei suoi parenti, per tutto questo tempo fosse stato un assillo incessante per la sua amata.
“ Ce li ho davanti, eccola qui la mia famiglia. Ho tutto quello di cui ho bisogno”gli prese il viso tra le mani e avviò a baciarlo, sempre più forte,con sempre più fame. Desiderarlo era un istinto naturale,ci era arrivata alla fine. Non più qualcosa da reprimere e di cui vergognarsi.
Qualcuno con cui correre, pensò di nuovo, dolce e brutale come la volevo.
Mia cura, mia malattia,mormorò tra sé.
 Era lei la sua piccola libertà, adesso lo sapeva.
Ad un certo punto, l ’appetito di lui la travolse e cominciarono a fare l’amore con una delicatezza che lasciò in breve tempo il passo al desiderio sfrenato.
Eccola lì la Bella aggrappata alla sua Bestia, in un atto d’amore.
Quella Bella che, Bestia a sua volta ,aveva riconosciuto l’ Uomo celato dietro la veste mostruosa, amando entrambe le due nature e lasciando che anch’egli amasse le sue.
Guardateli adesso, stretti l’uno all’altra, frementi per la passione e tremanti per l’eccitazione di un amore insperato, trovato per caso. Così differenti, così uguali. Perdutamente imperfetti, come ognuno.
La Bestiaaveva scatenato la Bella e la Bella aveva provocato altrettanto.
 
 
                                           Fine
 
 

      
 
 
 
 
 
  
    Bella come una bestia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si apprestava ad essere una delle notti più fredde di quel rigido e lungo inverno.                            La neve cadeva a larghe falde: aveva smesso di cadere a fiocchi incessanti, per aumentare la sua intensità,dunque non avrebbe smesso molto presto.
Lei se ne era andata.
“ Le bestie devono stare con le bestie” aveva concluso risentita, prima di sbattere il portone del  maniero la sua reclusa. La sua speranza se ne era volata via.
L ’aveva lasciata andare ,già, non perché ne fosse intimamente innamorato, - sapeva bene che giunti a quel punto non avrebbe mai imparato ad amare e ad essere ricambiato- ma perché detestava la compassione di lei. Non era stata confinata in quella gabbia dorata per impietosirsi ogni volta che vedeva la sua deformità.
Avrebbe dovuto innamorarsi, lei. Avrebbe dovuto.
 D’ altro canto , non si può amare una donna così, scelta a caso,come se una valesse l’altra . Ma questo purtroppo era il suo caso , la sua forzata condizione: non poteva godere del privilegio di fare l’ incontentabile, non più ormai.
Era solo adesso, di nuovo carceriere di se stesso soltanto, circondato da secondini inesistenti, imprigionato di nuovo nella sua solitudine. Che fare?
L’ultima volta che scese nel villaggio  fu per conquistare  la sua preda, quella che proprio ora gli era sfuggita.
 L’aveva vinta con una partita a carte, il padre di lei morì  dalla vergogna e dal rimorso. Aveva trascorso mesi tutt’altro che rosei  in compagnia di quella giovane donna attraente ma piena di pregiudizi e priva di spirito critico. Si rivelò ben presto una noia ,per quanto più allettante della solita routine, era una donna priva di una qualche scintilla intellettuale.
Sarebbe potuto di nuovo scendere al villaggio, magari con un’altra partita a carte… ma se non ci fosse stata nessuna donna?Nessuna vittima disposta a sacrificare la propria esistenza per stare accanto ad un uomo divenuto la caricatura di se stesso?
Era un’incognita piuttosto rilevante.
Sprofondò nella grossa poltrona di fronte al caminetto e, con questo ultimo pensiero martellante nella testa, cominciò a sonnecchiare.
 
“Devi sposarlo , figliola! Non abbiamo altra scelta!!”le urlò suo padre.
“Non voglio!E poi io sono la minore, perché non sposa mia sorella?!Ne è così innamorata, lei!”
“Oh ve ne prego padre!!!In fondo io sono la vostra figlia maggiore, avrei la precedenza  rispetto a lei, non trovate?” rispose la  maggiore stizzita.
“ Mia cara, non credo di poter proporre un accordo del genere . Il Conte è stato molto chiaro. E’ disposto a sposare una di voi, nonostante non abbiate una dote considerevole, per la vostra grazia e virtù e per il nome che portate ,il vostro titolo, seppur decaduto. “
“E allora? Può sposare benissimo lei !Il sangue non cambia!”
“Che cos’ho io in meno di mia sorella?! Ho grazia e virtù da vendere, io!!!Non come lei…che non sa trattare con gli uomini. Lei non ha ricevuto l’educazione da nostra madre come me e Margherita. Non sarebbe adatta, ve ne rendete conto?!”
“Ti prego figliola ! Smettila! Esci di qui immediatamente e lasciami parlare con tua sorella.” Nonostante il suo disappunto ,Lidia fu costretta ad obbedire al volere del padre, poiché il pover’uomo non aveva più argomenti validi, almeno non davanti alla figlia maggiore. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle che il Conte prediligeva la più piccola, in quanto più avvenente.
Una volta rimasti soli, si rivolse a lei:”Figlia, ascoltami bene perché te lo dirò un’ultima volta: il conte desidera te in moglie e nessun altra. Quello che ho appena detto a Lidia non è niente se non una dolce bugia per non ferire il suo amor proprio. Le cure,purtroppo inutili, per cercare di salvare Margherita ci hanno mandato sul lastrico. La tisi non perdona, lo sai.”  Chi avrebbe mai immaginato che non appena  arrivata qui si sarebbe ammalata di colpo e in poco tempo li avrebbe lasciati: aveva la salute cagionevole di sua madre, poveretta; come se non bastasse, c’erano, come c’erano sempre stati, i conti da far quadrare, i debiti da rimettere. “Devi sposarlo, ci siamo spinti fin qui per lui, in nome di una vecchia amicizia che avevo stretto con suo padre, riposi in pace, tempo addietro, quando ero commerciante, uno vero,ricco in Italia. Fallo per noi. Così tua sorella potrà scegliersi un bravo giovane con cui sistemarsi e io potrò godermi la vecchiaia in tranquillità.”
Avrebbe voluto sputargli nel viso. Supplicava, squallidamente tra l’altro, proprio  lei, la figlia più piccola, affinché si sacrificasse?Non aveva conosciuto il calore materno, aveva perso l’unica sorella a cui fosse realmente affezionata e le veniva richiesto un ennesimo sacrificio, un’ulteriore privazione, in nome della pace del padre e della felicità della venale e patetica sorella maggiore. No, non lo avrebbe fatto. Detestava il comportamento della sorella, mal sopportava l’atteggiamento utilitaristico del padre, per quanto, solo nel profondo, fosse legata ad entrambi. Nonostante questa tacita consapevolezza in fondo al cuore, decise che era giunto il momento di andare via, verso il proprio destino, poiché era sicura che per lei la vita doveva avere in serbo molto di più di quello che le veniva proposto . Guardò con gli occhi pieni di rammarico quel vecchio ed uscì da quella stanza satura di rancore. Ancora una volta, il padre, così come aveva inventato una dolce frottola alla maggiore delle sue figlie per non guastare il suo orgoglio di donna, così  aveva raccontato una mezza verità all’altra figlia rimasta. Non si erano spinti fin lassù, in quelle terre così fredde,in un mondo diametralmente opposto a quello che lasciavano, in nome di una vecchia amicizia,o perché quell’uomo l’aveva notata, oh no. Erano fuggiti da un mare di debiti per crearne poi altri anche lì .Il povero vecchio aveva perso il suo fiuto infallibile per gli affari e ,trovatosi al perso,quella figlia, così giovane e bella, divenne la sua merce di scambio, il suo oro più puro, la sua moneta sonante. Il Conte avrebbe provveduto ad estinguere tutti i conti , i denari dovuti sia in Italia che in Scozia. Quel vecchio era deciso più che mai a cedere la sua bambina in cambio della pace economica.
Il figlio del suo trapassato amico era disposto a risanare le loro beghe, a comprarla, come si comprano le greggi di pecore, a fornirle anche una cospicua dote pur di portarsela a letto.
Il poveraccio non aspirava a niente di meno.
 La sposa promessa, dunque, si ritirò nella sua camera.
 Non volle proferir parola con alcuno, né si presentò a tavola per la cena, tanto era il suo risentimento. Non era però la prima volta che succedeva:infatti, quando si adirava, suo padre sapeva che doveva soltanto aspettare che l’irritazione scemasse, sarebbe poi scesa a più miti consigli. Andava sempre in questo modo: consisteva solo in una mera questione di tempo.
Come si sbagliava.
 
Era fuggita, ce l’aveva fatta.
Con la scusa della collera era riuscita a preparare il necessario per andarsene. Fuori imperversava la tormenta, ma per lei non era un peso sopportare la neve a fiocchi e il freddo pungente: avrebbe attraversato la foresta vergine e innevata con gioia, pur di sfuggire alle grinfie di quell’uomo viscido, tremendamente seducente ma con un animo  depravato. Ne ebbe paura la prima volta che lo vide ,tre mesi erano appena trascorsi, quando venne a salutare il padre, ripresosi dall’ennesimo attacco di gotta;aveva un non so che nello sguardo e nel modo di sorridere che faceva intendere perfettamente che non era oro tutto quello che luccicava.
Educato, dai modi gentili, pronto ad infilarti la mano sotto la gonna e a sussurrarti parole di fuoco, una volta lontano da occhi indiscreti.
La prima volta si limitò solo a sussurrarle all’orecchio quanto avrebbe voluto possederla lì, davanti agli occhi del padre.
Quando si recò presso di loro la seconda volta, abbandonò di netto la volgarità delle parole, per lui un’inutile suppellettile. Il padre, nella sua dabbenaggine ad un tempo e nella sua furia di sistemare, a vantaggio proprio, la figlia più piccola ad un altro, li aveva lasciati soli nel salotto buono perché si conoscessero meglio.
 Eccome se si conobbero.
La camicia le fu strappata con una foga inusuale, poi fu il turno del  corsetto, che volò via con la rapidità con cui il vento può sollevare un cappello di paglia a larghe falde.
Era come se volesse nutrirsi di lei. Voleva tutto e subito. Che famelico.
Lei nel frattempo era lì immobile, a subire, inorridita.
 Stava riflettendo sul come agire per liberarsi di lui.
Da una parte la paura la bloccava, dall’altra l’orgoglio ferito la spingeva a fargli del male. Aveva intrapreso ad insinuare la sua lingua fra i seni,vorace come un bambino alla prima poppata, ma privo della stessa tenerezza,tenendone stretto uno in una mano, come per non farsi sfuggire niente di tutta quell’abbondanza, come un lupo che per tutto l’inverno ha patito la fame.
Allo stesso tempo, la sua mano sicura ed esperta si cacciò in mezzo alle gambe della promessa sposa,proprio lì,dimenando le dita frequentemente. Il ricco signore credeva di donarle un piacere mai avvertito prima, qualcosa di inusitato, un’esperienza da ricordare.
Lei percepì tutto, tranne il piacere. Proprio perché non lo avvertiva, tutti i movimenti di lui,tutti i suoi versi le sembravano amplificati.
Stava respirando sempre più veloce, non avrebbe pianto, a nessun costo si sarebbe concessa tanto. Si irrigidì terribilmente, sperando di dargli un fastidio, ma lui era troppo concentrato nel suo meschino appagamento,  arrivato ad un punto tale che stava esprimendosi con una serie di rantoli o comunque un verso quanto mai grottesco, che per lei , paradossalmente, furono motivo di risate sommesse, seppur conscia della rapina e del sopruso a cui la stava costringendo. Doveva aver quasi finito, pensò, sperandolo vivamente mentre chiudeva gli occhi, per non vederlo. Un ultimo rantolo e riuscì a spingerlo via da dentro e da fuori se stessa. Lui la guardava con aria soddisfatta mentre si asciugava la mano sui pantaloni che non nascosero una notevole erezione.
” Che c’è, non ti è piaciuto?”le chiese sogghignando.
”Tutto qui?”il coraggio fece capolino spontaneo.
” Tu non mi inganni!Era la prima volta! Le riconosco  le vergini, ho l’occhio dell’esperto!! E tu, come le altre, tremavi come una pecora vicina all’ammazzatoio . La prossima volta che tornerò non sarò così breve né gentile. Mi prenderò tutto di te. Preparami il letto, intesi?”
No che non eravamo d’accordo.
 Dentro stava ruggendo, spalancava le fauci e mostrava le zanne feroci, ma di fuori mostrò un dignitoso contegno: dall’altra parte della casa, d’altronde, c’era la sua famiglia, non avrebbe mai potuto mettere in atto il suo proposito.
”Se dite che è necessario signore, vorrà dire che sarà fatto. Addio.”
Il conte ravvide una strana decisione nei suoi grandi occhi un tempo cerulei che all’improvviso si erano fatti color cobalto. La considerò una logica presa di coscienza dell’ ovvio : brava bambina.
Questo era solo l’antipasto, al prossimo incontro il lupo ti mangerà.
 
 Si era sentita derubata in un certo senso,per quanto potesse rappresentare poca cosa per qualcun altro, quando accadde. Un atto che magari avrebbe dovuto essere intimo, dolce e che avrebbe dovuto prevedere un qualche consenso da entrambe le parti, si era invece imposto prepotentemente come qualcosa di sporco e sbagliato. Le aveva sottratto tutta quell’ansia di scoprire, quel desiderio, quella curiosità di avvicinarsi ad un uomo. Non aveva avuto modo di difendersi, tanto era stata colta di sorpresa e tanto lui era stato rapido, come un felino. Voleva andarsene per dimenticarlo, ma sapeva in cuor suo che prima o poi il passato sarebbe venuto a cercarla.
 Al momento opportuno, sarebbe stata pronta ad accoglierlo.
 
Era sul limitare della foresta vergine, un altro passo e si sarebbe confusa con la vegetazione. Guardò un’ultima volta il villaggio, costellato da comignoli fumanti . Riusciva ancora a riconoscere il suo,un po’ più storto e traballante di altri. Si aggiustò il cappuccio sulla testa e svanì,inghiottita dalle  braccia imbiancate della selva.
I vecchi del posto le avevano raccontato che chi si inoltrava nella foresta era perduto. Nessuno vi aveva mai fatto ritorno e se qualcuno vi era riuscito ,lo aveva fatto a caro prezzo. Tra quei pochi ci fu chi riportò gravi mutilazioni ,chi invece fu privato della ragione. Ma lei sapeva che per quanto oscura e pericolosa potesse apparire quella boscaglia,o meglio i suoi padroni , quelli con gli occhi di brace e il manto scuro come notte, si sarebbero piegati al suo volere come teneri amanti:  sarebbe bastato loro annusare l’aria. Difatti la selva e i suoi inquilini mostrarono clemenza : la lasciarono  attraversare per tre notti e tre giorni,sana e salva. Ad un altro che aveva intrapreso il suo stesso cammino, forse per seguirla, andò peggio: i guardiani della selva non tolleravano gli intrusi,tantomeno le spie. Lei si arrampicò su un albero , quando sentì le grida di aiuto dello sciagurato mentre subiva la sua punizione. Fu sbranato, di lui non rimase che il sangue rappresosi su alcuni tronchi e qualche brandello dei suoi indumenti, impigliati fra rami e cespugli. Il freddo intenso accresceva il loro appetito, cosicché di ogni vittima non rimanevano che poche ,insignificanti tracce. Una volta sazi, aspettarono che scendesse dal suo nascondiglio per dimostrarsi suoi sodali. Come aveva sempre sostenuto, non aveva nulla da temere da quel luogo sinistro, sì, ma sicuro.
 
I lupi ululavano insistenti anche quella volta. C ’era la luna piena alta nel cielo ad illuminare quella metà del volto intatta.. Furono proprio i lupi a farlo sobbalzare nella poltrona dal sonno in cui era immerso. Da anni non li sentiva ululare: fu il primo inverno, dopo molti , che i lupi  fecero echeggiare i loro cori  tra le montagne di Scozia. Gli parve di sentir smuovere il cancello, per un attimo, ma  ricominciò di nuovo ad abbandonarsi ad un altro lungo sonno, se non che  si rese conto che qualcuno stava bussando giù al portone. Sogno o realtà?
”Chi può essere nel cuore della notte, con un freddo così temibile? Chi ? Di sicuro avrà attraversato la foresta per venire fin qui… affrontato i lupi…potrebbe essere un brigante o un curioso… lo accoglierò come merita…”pensò tra sé.
Il suo castello si trovava su una collina dominante il paese, nascosto dalla natura circostante , posto proprio al limitare della foresta, opposto al villaggio .
Scese la scala a chiocciola che conduceva al suo rifugio e da lì, dopo il lungo corridoio,che dava sull’ampia sala d’ingresso, scese lo scalone,e dopo aver afferrato una spada appesa ad una  parete, non distante dal portone,aprì.
Era una donna infreddolita, notò dalle mani piccole e affusolate.
Decise comunque di sguainargli contro la spada, era risoluto a non fidarsi mai più di alcuno. In fondo, aveva comunque penetrato la foresta e ne era uscita indenne: perché accoglierla?
“Chi siete? Chi vi ha mandato qui?”la sua voce era più cavernosa di sempre.
“Nessuno. Potrei entrare solo per scaldarmi? All’alba ripartirò, non voglio certo turbare la vostra quiete, signore.”teneva il capo basso, non pensava ad un’accoglienza così poco cordiale in un luogo tanto lussuoso.
Da quanto tempo non lo chiamavano signore. Rimase meravigliato dalla compostezza di lei. Ritirò la spada, senza fretta,la prudenza non era mai troppa di fronte a chi era stato risparmiato dalla selva vergine e oscura.
“Ulisse?”aveva voglia di fare un po’ di umorismo quella notte.
“Come dite prego?”
“Avete detto di chiamarvi Nessuno. E nessuno vi ha mandato qui. Devo forse pensare che vi chiamiate come il re di Itaca, colui che ingannò Polifemo?”
Lei non aveva la minima idea di chi fosse quell’Ulisse né dove si trovasse Itaca,tantomeno conosceva quel tale, Polifemo, ma non voleva certo palesare la sua ignoranza.
“Non deve importarvi chi sono. Ho solo bisogno di scaldarmi un poco e riposarmi fino all’alba, ve lo ripeto, se me lo permettete . Però non vi vedo incline all’ospitalità, signore, intuisco un vostro rifiuto, perciò me ne vado.”
Pensò di averla offesa, ma non capì in quale modo potesse esserci riuscito.
 Pensò bene di allargare la fossa che aveva cominciato a scavarsi.
“ Perdonatemi,ma se io non sono disposto all’ospitalità è perché  non mi lasciate valutare che genere di persona siate.”
Si tolse il cappuccio.
“Adesso lo sapete.”
Ora i suoi occhi fissavano dritto verso il buio, dove lui cercava ancora di rifugiarsi.
Era giovane, con una cascata di riccioli color del rame, dotata di una bellezza non comune. Era sfrontata e decisa; tenera e crudele. Non si aspettava che sotto quel cappuccio si nascondesse una creatura tanto attraente.
Girò i tacchi e fece per andarsene. Lui fino a quel momento era rimasto nell’ombra, affinché quella misteriosa pellegrina non si spaventasse.
Si tirò su il mantello e l’afferrò per il braccio.
“Un momento”-perché lasciarsela scappare?Dopotutto era una donna.
Non appena l’afferrò, lei si sentì come in trappola. Cercò di liberarsi da quella presa così energica e al tempo stesso non poi così minacciosa.
“Lasciatemi! Trattate sempre così i vostri ospiti?!”
Nello strattonarsi lui riuscì a riportarla a sé, così vicino, troppo vicino - ancora una volta aveva calcolato maldestramente la sua forza- che lei poté intravedere da sotto il mantello un intricato groviglio di cicatrici e pezzi di pelle rabberciati come meglio si era potuto, su quella porzione di volto . Cercò di restare calma. Di certo non si trattava del conte, di peggio non le sarebbe potuto capitare. Lui mollò la presa. Lei cominciò a massaggiarsi il polso.
“Che avete da guardare?” le chiese, per sapere quanto fosse riuscita a vedere.
“Proprio niente. Perché mi avete afferrata in quel modo? Avete cambiato idea per caso? Se è così, avete uno strano modo di manifestarlo, milord.”
“Se è per questo non l’ho mai espressa. Avanti, entrate.”le fece cenno con una mano.
Era un castello di proporzioni a dir poco ciclopiche. Con dei soffitti altissimi su cui alloggiavano ritratti di antichi avi, e quadri con dei paesaggi minuscoli dove la cornice faceva da padrone. Anche la mobilia era sontuosa, un po’ passata, ma di grande effetto.
“Avete un accento strano,mia signora, da che parte della Scozia provenite?”
“Non sono di queste parti”rispose seccamente.
“Irlanda, forse, me lo suggeriscono i vostri capelli.”
“No” Ancora un’altra risposta laconica.
“E di quali, di grazia?” Con una venatura sarcastica.
“Volete la storia della mia vita,milord?Non mi piacciono gli impiccioni. Io non vi conosco. Avete biasimato me perché non mi mostravo a viso scoperto, ma pare che ora le parti si siano capovolte, non trovate? “
“Meglio così , forse.” Sapeva di avere torto.
La sua foga nel fare domande era dovuta alla mancanza di interazione sociale, ma lei non poteva saperlo.
“Come preferite, signore”
Si avvicinò al fuoco e si sedette su di un tappeto persiano con una strana fantasia di animali. Doveva rappresentare la caccia al leone, pensò.
Lui, nel frattempo, si era ritirato in un angolo della sala per versarsi un bicchiere di whisky che sorseggiò davanti alla finestra. Solo allora lei si rese conto di essere stata sgarbata .
“L’Italia è il mio paese d’origine, è da lì che vengo.”si sforzò di essere gentile. D’altronde se voleva riuscire nel suo intento doveva cercare in ogni modo di ingraziarselo.
“Ecco spiegato l’accento bizzarro. Se non fosse per quello, potreste ingannare chiunque facendogli credere di essere del posto ”fu ancora una volta sprezzante : la sua maleducazione lo irritava maledettamente.
“Già. Voi Scozzesi  avete quel dialetto incomprensibile..” lo ripagò subito.
“E’ Gaelico. Comunque rallegratevene,voi Italiani ne avete molti di più… Siete qui da molto?”
Le parole le morirono in bocca. Non riusciva a dirlo. Non trovava la forza necessaria .
“ Sono stato forse troppo invadente?”si era appena reso conto di aver fatto troppe domande.
“ Tutt’altro. E’ complicato.”non se la sentiva proprio di parlare dei suoi problemi ad un perfetto sconosciuto.
Lui si voltò dubbioso.“Mi pare una domanda semplice.”
“Circa sei mesi .” si risolse tutta insieme.
“Per tutto questo tempo vi siete aggirata per la foresta, da sola, in pieno inverno?”cominciava ad essere curioso e meravigliato .
“Sono arrivata qui con mio padre e le mie sorelle. Abbiamo una casa giù al villaggio. Loro abitano lì.”
“Voi non più?”  ”una fuggitiva, mi è capitata…”pensò.
“Non più.”abbassò di nuovo lo sguardo.
“Non c’è che dire, avete avuto del fegato ad addentrarvi nella foresta vergine e ad arrivare fino a qui. Nessuno vi riesce mai, a meno che non sia io a portarcelo e come avete potuto constatare voi stessa  non sono un gran conoscitore del galateo.”
Riuscì a strapparle un sorriso, non credeva di esserne capace.
“Siete ancora più bella quando ridete”non sapeva da dove gli fosse uscito un complimento del genere.
“Darei qualunque cosa per essere brutta. O zoppa. No, no, per essere brutta.”guardò il fuoco con un certo interesse.
Si sentì colpito nel vivo. Non capiva perché una creatura così incredibilmente incantevole dovesse aspirare ad una tale punizione, quella che lui tollerava sempre più a fatica ormai.
“Perché mai? Se è lecito.” Adesso era la curiosità a spingerlo.
“ Avrete intuito che sono fuggita, credo. Mio padre voleva che sposassi un conte delle vostre parti. E’ per lui che siamo venuti fin qui. Dal caldo sud fino al nord estremo , solo per un matrimonio. Se fossi stata brutta non mi avrebbe nemmeno sfiorata. E invece… eccomi qua, in un paese straniero, dove la tormenta non si placa né di giorno né di notte,costretta a fuggire. Egoista, vero?”aveva gli occhi lucidi ma non avrebbe lasciato scorrere una lacrima neanche stavolta.    
“Ci sono egoisti peggiori.” Era rivolto a se stesso.
Tacquero entrambi. Poi pensò a quella mezza frase che lei aveva pronunciato.
“Ha tentato di farvi del male?”
E con un filo di voce:“No, lo ha proprio fatto” l’orgoglio le trattenne il pianto.
“Non siete poi così egoista, allora.”  
Aveva cercato di sdrammatizzare. Comprese solo allora il perché di tanta aggressività: la miglior difesa era l’attacco.
“La mia famiglia sprofonderà ancor più nella miseria per causa mia. Non posso perdonarmelo, ma non mi hanno lasciato altra scelta, se non dileguarmi.”
Lui  si zittì e cominciò a riflettere. Dalla penombra in cui si trovava continuò a osservarla, mentre si rigirava nervosamente l’orlo del vestito tra le mani e altrettanto nervosamente scrutava il pavimento in legno massello, per non sostenere lo sguardo giudice del suo misterioso interlocutore.
Avrebbe voluto chiedergli di poter restare, nessuno l’avrebbe trovata lì,-anche solo una notte o due, per riposarsi e poi riprendere il cammino- ma non sapeva implorare,e in più, al contempo, l’attanagliava la paura di restare sola a tu per tu con un uomo.
 Alla fine, dopo aver scolato giù come acqua l’ennesimo whisky, si risolse in tal modo:
“Non succederà se resterete qui.”
Fu una decisione che prese all’improvviso.
Il cuore di lei era colmo di gratitudine.
Era salva.
Non aveva parole per poterlo ringraziare come si conveniva.
“Ma”- lei si sentì gelare il sangue-” ad un patto: non uscirete mai da qui. Non rivedrete mai più i vostri cari. Posso garantirvi sin d’ora che staranno bene ma non potrete riabbracciarli.”
“Che cosa?”non credeva alle sue orecchie. Non sapeva se un accordo del genere fosse meglio o peggio di andare in sposa a quel perverso del conte.
“Ogni beneficio ha il suo prezzo. Restate al mio fianco e la vostra famiglia non cadrà in disgrazia.”
“In che modo, se posso sapere?”le sembrava di stare in una di quelle favole che le raccontavano da bambina ma non riusciva ad intuire il lieto fine. Niente vissero felici e contenti all’orizzonte.
“Avranno il denaro che serve loro.”le rispose sbrigativamente.
“A questo punto non ho molta scelta, milord” -dalla padella nella brace- osservò mestamente.
“In realtà una ci sarebbe. Alzarvi  e fuggire via da qui,scappare ancora una volta . Ma non avreste la garanzia che vi offro.”continuava ad essere freddo e imperterrito, non voleva concedersi alcuna speranza.
“Perché mai dovrei fuggire?”qualcosa non le quadrava, doveva esserci un altro inganno.
“ Si dà il caso che come sono in grado di farvi restare, posso anche farvi fuggire. Volete davvero scoprirlo?”
“Avanti, ditemi.” Peggio di così, poteva solo morire.
“Avvicinatevi”sarebbe stata la prova decisiva: o se ne sarebbe andata o sarebbe miracolosamente rimasta.
Titubante, la giovane obbedì e non appena si accostò, lui accese una candela e si tolse il mantello.
Lei lo scorse per come appariva. Orrendo. Orribile. Non fu in grado di trattenere un urlo di sorpresa, ma si mise subito una mano sulla bocca come per cercare di trattenerlo o smorzarlo. Per lui fu come una sentenza, era consapevole del proprio sembiante, certo che ormai il suo fato era stato scritto.
Si stava avviando verso la porta che dava sulla grande sala d’ingresso quando lei tutto d’un fiato replicò:“Accetto la vostra proposta, signore”- l ’inaspettato -”Per un  volto sfregiato non mi darò certo alla fuga. Avete la mia parola che resterò qui”
Incredibile.
Rimase incerto sulla maniglia. Era la prima volta che qualcuno entrava nel suo castello senza esservi costretto. La prima volta che qualcuno decideva di rimanere lì, con lui, volontariamente, senza bisogno di partite a carte o altro.
“Venite dunque, vi mostrerò la vostra stanza.”non sapeva se essere felice per se o provare pena per lei.
“La mia stanza?”non pensava che i prigionieri ne avessero diritto.
“ Volete dormire sul tappeto, per caso?”
“…no…”
“Allora seguitemi”
Avrebbe voluto fare ancora della conversazione con la sua giovane ospite ma non aveva più argomenti .In tutti quegli anni, rinchiuso nella sua fortezza di solitudine, aveva dimenticato in cosa consistesse una normale chiacchierata.
Inoltre si era appena rivelato a lei. Non sarebbe più riuscito a guardarla senza accorgersi della sua pietà.
La condusse al piano superiore, oltre l’immenso scalone d’ingresso,alla terza porta.                       Era ancora disorientata da quello che era appena successo.
Aveva privato  la sua vita della  libertà per sempre?La sua famiglia non sarebbe caduta in disgrazia se lei si fosse nascosta al mondo così come aveva fatto quella strana creatura: era l’unica garanzia a cui aggrapparsi fermamente.
Il lato positivo era che non l’aveva costretta a sposarlo. Doveva solo “restargli accanto” , come lui aveva richiesto. Non doveva considerarla un’impresa  così difficile, doveva trattarsi di un uomo come gli altri, con pregi e difetti, con vizi e virtù.
Il fatto che mezza faccia fosse tumefatta non rappresentava per lei una grave notizia, dopo il primo impatto. In fondo, nessun uomo poteva essere peggio di quello da cui  era per ora riuscita a sfuggire. “Un uomo brutto non è necessariamente malvagio.” ebbe modo di riflettere.
“La vostra stanza, Miss…?”
“Il mio nome non è traducibile nella vostra lingua. Chiamatemi come volete, non credo abbia molta importanza.” Era affaticata e  certe domande, quando era in quello stato, la infastidivano.
“ Come preferite. Voglio che sia chiaro questo però: voi non siete qui in qualità di mia serva o di mia prigioniera, per quanto vi sembri di esserlo. Siete padrona di fare ciò che volete nel perimetro del castello, potrete disporre di ciò che mi appartiene come più vi piace. ”
“Sì” anche se le sembrava una precisazione inutile. Non avrebbe saputo cosa fare con tutta quella roba.
“Allora buonanotte, mia signora”
“Buonanotte, milord”
Lui si ritirò nel suo studio.
Lei adesso si trovava così poco distante, che le speranze si riaccesero di colpo.
Forse era davvero possibile amare e lasciarsi amare a propria volta,anche se non esisteva niente di più arduo, di più emozionante e spaventoso al tempo stesso.
Ripensò a come sarebbe stato di gran lunga più facile riuscire a corteggiarla, a farsi  ben volere e a sposarla, se solo lui avesse avuto un’ immagine più gradevole. Ma era solo utopia ormai.
 Su di lui non gravava una maledizione da sciogliere come in certe fiabe d’oltre Manica. Non era un mostro dal cuore tenero -oh no- poiché lui, mostro, lo era sempre stato.
Certo, non era nato così. Era un uomo come tanti se ne vedono, fino a qualche anno prima .
Dieci anni erano già trascorsi, nel completo isolamento, immerso nello sconforto e nel pentimento. Era stato punito .
Tutto scaturì da una diatriba tra la sua famiglia e quella vicina per una questione di confini. La famiglia rivale voleva estendersi nei suoi terreni e così fece, lasciando pascolare lì le proprie greggi.
In mancanza di una figlia femmina da poter sistemare con lui,preferirono usare la prepotenza. Questa fu subito ricompensata .Uccisero tutte le pecore intruse, le macellarono, ne mangiarono la carne e fecero lavorare la lana grezza per mandare il risultato alla famiglia avversaria: voleva essere un avvertimento. Ecco cosa succede a chi si infiltra abusivamente nelle nostre terre: gli facciamo la pelle. Fu una sua idea, rammentò e la pagò salatamente.
Di ritorno da una serata di gozzoviglie con i suoi compagni d’armi, ubriaco fradicio, fu assalito e condotto nelle segrete del castello nemico. Fu seviziato e torturato finché non subì lo stesso trattamento: mancò poco che non lo scuoiassero veramente. Gli provocarono delle ferite tali che non era più riconoscibile, eccezion fatta per la parte sinistra del volto: doveva ricordarsi tutti i giorni com’era e com’è, per sapere cos’aveva perduto e per far ciò doveva vivere: per questo non lo scorticarono, non fu compassione o debolezza, ma disumanità. Lo avvolsero in un lenzuolo e poi nella lana che poco tempo prima era stata loro consegnata come avvertimento: “Ecco la vostra pecora: la vecchia lana sarà la sua nuova pelle,poiché la propria adesso ci apparterrà per sempre.”
Lo avevano trattato da pecora, nient’altro. Era un animale di cui sfruttare solo la carne ormai, perché del manto era già stato barbaramente privato.
Era l’unico figlio maschio. Per fortuna le sue sorelle non lo videro in quello stato, perché già maritate.
Ci volle tutta la forza di volontà di sua madre per rimetterlo in sesto. Fu il suo ultimo gesto, ricordò, poi se ne andò con Dio.
Il padre invece non volle più rivolgergli la parola, ne avere alcun che in comune, specie dopo la morte di sua moglie. Ma c’era un motivo ,per questo astio apparentemente incomprensibile.
 Quando le ferite cominciarono a rimarginarsi e vide lo scempio che avevano fatto di lui, la furia lo colse. Non sosteneva il suo stesso sguardo davanti allo specchio, non che fosse vanitoso, ma aveva sempre fatto del suo fisico un’arma di seduzione in più con le donne che fino ad allora erano cadute ai suoi piedi, che bramavano anche solo una notte con lui . Sapeva attirarle con i suoi racconti sulle guerre fronteggiate,sapeva affamarle di sé al punto, talvolta, da farle apparire quasi ridicole. Era crudele con loro perché erano tutte tristemente identiche, l’annoiavano alla lunga. Non più di una notte, si ripeteva sempre. Ogni tanto desiderava avere accanto qualcuno che corresse veloce quanto lui, non solo una bella bambola da ammirare,ma testa, cuore e sangue pulsante. Voleva passione nella sua vita,qualcuno altrettanto brutale, altro da sé, ma dolce e brutale. Da allora niente di tutto questo sarebbe più successo, nient’altro poteva ormai desiderare.  
L’orso inferocito aveva tolto di dosso il vello lanoso che lo nascondeva.
 Entrò furtivo nel loro castello e li uccise selvaggiamente tutti: padre, madre e tre figli.
 Li riteneva colpevoli e lo erano in effetti. Adesso anche lui. Ma non lo capì subito: quando comprese ciò che aveva commesso, ben al di là delle torture subite, era troppo tardi. Nessun pentimento avrebbe potuto portarlo indietro. Nessuna redenzione sarebbe stata praticabile. Ebbe il tempo di nascondere le prove del suo passaggio, dando fuoco a tutto. Fu un incendio di dimensioni considerevoli poiché  furono necessari tre giorni  per sedarlo e uno dei cadaveri dovette incenerirsi all’istante , addirittura, tanta fu la potenza della fiamma, perché non fu mai rinvenuto. Nessuno in paese osò mai ipotizzare chi fosse il colpevole di quella strage: solo la sua famiglia sapeva,il villaggio taceva seppur consapevole .
La madre, che si era affettuosamente presa cura di quel figlio tanto amato , ora ridotto ad uno scherzo della natura, non resse l’onta di cui si era macchiato e si suicidò.
Il padre non fu certo incline al perdono. Gli piangeva il cuore nel vederlo ridotto in quelle condizioni ma non tollerava di avere tra le mani un assassino . Non perché avesse ucciso cinque persone a sangue freddo, in preda alla furia cieca, no. Era disposto a comprendere quel suo folle gesto: l’orgoglio ferito di un uomo ha modi diversi e particolari di risolversi. Non tollerava che avesse ucciso sua moglie, seppur indirettamente. Nemmeno in punto di morte lo assolse, non volle vederlo. Morì da solo ,poco dopo la sua consorte, mentre il figlio sommessamente piangeva al di là della porta della sua camera. Nonostante questo, suo padre lasciò scritto nel testamento che , come spetta ad ogni figlio maschio, avrebbe ereditato tutto. Il povero vecchio non ebbe molte opzioni: lasciò il patrimonio di famiglia nelle mani di un carnefice, di un essere ributtante e spietato al quale aveva voluto più bene che alla sua stessa vita, fino alla fine, poiché fino ad allora lo aveva protetto dal mondo .
Erano passati dieci anni. Era diventato un essere deforme all’esterno. Ma il mostro dentro? Quel gemello perverso che vive in ognuno di noi ed è affetto da svariate manie?Dov’era finito? In quiescenza , pensò, come quel vulcano, in Italia, il Vesuvio.In effetti si assomigliavano, gli capitò di notare. L’Italia, lei. Avrebbe mai potuto amarlo? Certamente no, come avrebbe potuto?   
Si era presentata così sprezzante e scortese, come anche lui sapeva essere, da rendersi adorabilmente fastidiosa. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi, a qualcuno, per liberarsi da quel fardello opprimente. Ma chi avrebbe amato un mostro, un folle omicida?
Ebbe paura di sé per un attimo e della collera cieca che lo invase quella notte fatidica e che non si era più manifestata: evidentemente era stata saziata, ma sarebbe sempre potuta tornare alla ribalta con delle nuove pretese.
 Era certo in quel momento di un unico fatto : se lei fosse rimasta lì con lui,  con la sua sola presenza, niente del genere sarebbe più accaduto.
 
La mattina giunse in  un baleno.
Lei si svegliò , incredula di essere riuscita ad addormentarsi. Il pensiero volto alla perdita della propria libertà aveva lasciato il posto alla stanchezza. La sua camera si era rivelata  più confortevole di quanto avesse osato immaginare, anche per questo non le fu difficile prendere sonno.
Aveva deciso istintivamente di restargli accanto perché non vedeva in lui una minaccia,- iniziò a pensare- nonostante il suo aspetto poco rassicurante. Era lì per fare la moglie?La dama di compagnia? Non le era chiaro, questo. Osservò che se avesse desiderato qualcosa del genere , probabilmente non avrebbe esitato ad obbligarla a giacere con lui. Ma non era successo. Forse avrebbe dovuto chiedere, forse ancora era meglio che stesse zitta ed evitasse la figura dell’idiota. Si era già distinta nel non sapere chi fosse quel dannatissimo Ulisse.
”Ci sarà una biblioteca, qui da qualche parte, accidenti.”
Non sopportava l’ignoranza né tantomeno l’essere inferiore agli altri. Prediligeva i trattamenti da pari a pari. In effetti, lui da pari l’aveva trattata, nonostante , era ben evidente, fosse di rango superiore. I suoi vestiti erano ancora umidi. Non poteva certo aggirarsi nei meandri del castello con la sola sottoveste, perciò si avvolse nella coperta sopra il letto,una specie di pelliccia maculata, ed uscì dalla sua camera senza prendere in considerazione il fatto che era anche dotata di un vistoso armadio.
 Iniziò la sua avventura osservando attentamente ogni dettaglio, ogni ritratto, finché non percepì un respiro pesante dietro di sé: “ State andando nella direzione sbagliata, mia signora.” Quegli occhi verdi e penetranti la guardavano dritto negli occhi, adesso.
“Avete una biblioteca qui?O dei libri comunque?”chiese, sorvolando il fatto che sembrava notevolmente alterato.
“ Da quella parte .”cominciò a squadrarla da capo a piedi. Doveva essersi appena svegliata, notò fra sé. Quei capelli scarmigliati, i piedi nudi e quella pelliccia addosso le conferivano un certo fascino selvaggio, forse un po’ ferino che di sicuro non le apparteneva, ma che sapeva recitare con convinzione, seppur inconsciamente.
“Beh?Che avete da guardare?”si strinse ancor più nella seconda pelle che portava addosso.
“No, niente..”notevolmente imbarazzato, cominciava ad abituarsi a quel fare di lei un po’ insolente, trovandolo quasi grazioso.
“State per ridere,milord, lo vedo. Fate ridere anche me.”
La trovò attraente con quel  modo di fare così schietto e naturale. Non un’ombra di compassione o trasalimento nel vederlo. Lo rasserenò questo, lo distese, nonostante il disappunto nel vedere che lei stava prendendo la direzione del suo rifugio.
“Non vi siete vestita,milady.”
“ Non sono nemmeno nuda. ”
Si stupiva di sé stessa ogni volta che apriva bocca davanti a lui. Le sembrava di essere sempre più sgarbata, volgare e troppo in confidenza con un uomo che era pressoché un estraneo.
Le veniva naturale e questo la spaventava. Non era da lei l’ arroganza.
“Siete sempre così schietti voi italiani?”il tono ironico si era dissolto.
“Perché vi infastidisce?” avrebbe dovuto riflettere, arrossire e scusarsi. Invece no.
“Beh… ecco..”
“Vi tolgo da un imbarazzo: non sono una lady inglese, questo credo l’abbiate appurato da solo. Dunque non c’è da pretendere che mi comporti come tale, mi auguro. Sono di un ceto inferiore al vostro, è ben evidente anche questo. Abbiamo costumi diversi perché proveniamo da mondi diversi. Ho ragione?”
Pessima, assolutamente pessima, avrebbe dovuto non parlare, ne era certa.
“In realtà  non mi dispiace se siete così diretta. A volte l’etichetta complica maledettamente i rapporti. In ogni caso, nella vostra camera è presente un guardaroba, apritelo pure e troverete ciò di cui avete bisogno. Sempre meglio del copriletto che avete addosso.”cercava di rendersi affabile, ma non si rendeva conto di averla appena derisa.
Lei lo fissò odiandolo. Ancora una volta si era sentita da meno. Passò oltre e tornò nella sua stanza. Scaraventò via quella pelliccia e spalancò le ante dell’armadio. Avrebbe dovuto guardare la stanza con più attenzione: c’erano vestiti d’ogni tipo, foggia, colore o fantasia. Ne scelse uno a caso, blu rifinito con un nastro oro sul fondo e sul petto. Si raccolse rapidamente i capelli ,ricci  indisciplinati anch’essi. A quel punto si affacciò fuori dalla camera: via libera. Si recò in direzione della biblioteca ma non aveva idea di quale porta potesse essere. Le aprì tutte ma si trattava di stanze da letto. Salì una rampa di scale e si trovò di fronte ad una porta maestosa. O si trattava della biblioteca o si trattava della stanza del padrone del castello. Per fortuna si rivelò esatta la prima opzione. Con fatica tirò le tende di velluto, quanto mai pesanti, per far entrare la luce. Era una collezione davvero ben fornita e divisa ingegnosamente in settori. Pensò che Polifemo potesse essere una creatura fantastica e cercò il settore mitologico. Un libro sulle creature della mitologia la informò su chi fosse il Ciclope e come fosse stato accecato da Nessuno, in realtà Ulisse, nell’Odissea di Omero. Si mise a cercare  anche quella. Si accomodò ad una scrivania e cominciò a leggere.
Così passarono i giorni,poi le settimane. Lei girovagava per il castello,scoprendo così la cucina, le cantine, la sala da musica, con ogni genere di strumenti provenienti da ogni paese, incappando di quando in quando nell’altro inquilino,se non si assentava . Si ritrovavano alle ore dei pasti , scambiando, solo talvolta, qualche parola .
Tanto lei era loquace, tanto lui rasentava il mutismo.
 
Una notte lo sentì gridare a squarciagola. Si precipitò immediatamente fuori dalla sua stanza per andare ad aiutarlo, ma non sapeva da che parte andare. Nella fretta, pensò bene di salire quei gradini che settimane prima lui  non le aveva fatto varcare. Dopo una rampa, cominciò una scala a chiocciola, proprio quando lui gettò un altro terrificante urlo che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Andò su più velocemente che poteva: pareva quasi che lo stessero uccidendo.
Entrò in punta di piedi, per non farsi sentire dal possibile intruso che lo stava assalendo così furiosamente. Il letto era un baldacchino, ne scostò le tende con cautela:  lo trovò da solo, seduto in mezzo al letto, con gli occhi spalancati, le mani tra i capelli e il respiro affannato, madido di sudore.
“Che ci fate qui?! Sparite. Non dovete mai entrare qui!”grugnì, alzando gli occhi spiritati verso di lei.
Non si lasciò intimorire e fece l’unica cosa che le venne in mente, un rimedio di sua madre. Si mise in ginocchio davanti a lui che la allontanò, spingendola bruscamente sul fondo del letto, intimandole ancora una volta di andarsene. L’aveva fatta intestardire e adesso sarebbe andata fino in fondo.
Dall’ estremità dove si trovava si mosse carponi e gli urlò contro di stare fermo, mentre lui le rispondeva per l’ennesima volta di lasciarlo solo.
Gli urlò contro di nuovo.
 Doveva essere riuscita a farsi intendere perché ad un certo punto  gli tolse le mani dalla testa con una certa decisione, e ci mise le sue. Si avvicinò al suo orecchio, con  voce flebile :
“E’ un rimedio vecchio come il mondo, ha sempre funzionato. Calmatevi e state in silenzio. Apostrofatemi ancora così e vi lascerò solo, di nuovo.”
Le difese di lui in quel momento crollarono. Non gradiva che se ne andasse.
“Voi non sapete, non volete proprio capire…”stava quasi ringhiando.
 Era sconvolto, era come se tutto il suo corpo traviato raccontasse la sua disgrazia.
“E non voglio sapere, sono fatti vostri.”era inspiegabilmente pacata ” L’importante è che stiate bene. Ho pensato che vi stessero scannando.”aveva il suo viso tra le mani e lo inclinò guardandolo negli occhi” Ho temuto per voi, invece avete solo avuto un incubo.”le riusciva sempre più semplice guardarlo negli occhi dopo le prime volte.
Lui cominciò a stringerla a sé. Non capiva troppo bene quello che stavano facendo, si rendeva solo conto che il calore di quelle mani lo stavano tranquillizzando; la vicinanza del suo corpo lo rendeva più sicuro. Il respiro si faceva via via più regolare, lo sentiva, aveva il volto di lui premuto sul petto. In quel momento, istintivamente lo abbracciò. Non sapeva né perché né fin dove si sarebbero spinti: quando si trovava sotto pressione agiva d’istinto, faceva la cosa che le sembrava più giusta, senza pensarci due volte.
Lui si tirò su , le sembrava che si fosse ripreso.
“E’ passata adesso?...”glielo chiese con degli occhi  così gentili che si stupì lei stessa di come quell’uomo così mal ridotto riuscisse a farla diventare migliore.”…allora buonanotte”
L’afferrò per un braccio,ancora una volta: era il suo modo di chiamarla” Vi dispiacerebbe restare qui stanotte, solo stanotte? Non farò niente di sconveniente, ma dormite con me.”
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata quella richiesta , ma non pensava che l’avrebbe  manifestata in quelle condizioni. Lo guardò bene, grazie al  chiarore della luna,senza il disprezzo che lui pensava nutrisse,e con il pollice sottolineò quella cicatrice in tralice ,più marcata delle altre, in mezzo al volto , linea di confine tra il mostro e l’uomo. Lui chiuse gli occhi con rassegnazione.
“D’accordo , se vi aiuterà a riposare.”
Ancora una volta era riuscita a sbalordirlo. Il  linguaggio dei segni e del corpo di lei era completamente diverso, esulava dalle sue conoscenze. Se aveva intuito qualcosa, poteva star sicuro che lei intendeva l’esatto contrario.
Lui era solito  dormire a torso nudo, perciò non poté non vedere lo scempio che qualcuno aveva eseguito di quell’uomo , chissà quando, chissà perché.
 Intese che non era nato così.
Gli accarezzò il petto, lo baciò su una guancia e gli diede di nuovo la buonanotte.
Aveva visto affiorare l’uomo sepolto tra quei rammendi di carne e aveva udito il grido della bestia. Non aveva paura, non provava pietà. Era ciò di cui aveva bisogno. Si rendeva conto intimamente che non poteva fare a meno del contatto con lui.
 
Era profondamente scosso.
Ancora una volta  quelle notti erano tornate a tormentarlo.
 I cadaveri, l’incendio, la madre morta, le sue torture. Stavolta però non era solo, non aveva gridato straziato dal dolore senza ottenere aiuto.  Aveva ricevuto un abbraccio, un bacio, della comprensione forse, da una perfetta sconosciuta. Una forestiera, per giunta.
Passionale, gli era sembrata. Istintiva,senz’ ombra di dubbio. Una donna britannica non  gli avrebbe asciugato il volto,non l’avrebbe tenuto fra le mani, non avrebbe lasciato che un estraneo la stringesse, la toccasse,almeno non se in preda a chissà cosa e disfatto come lui era . Ma lei aveva lasciato correre. Sapeva di cosa aveva bisogno e glielo aveva dato,senza tante cerimonie, senza dover mendicare, nonostante lui le avesse grugnito contro più di una volta. Lei aveva risposto altrettanto, non si era arresa con lui, aveva utilizzato le sue stesse armi. Era stata brutale. Finalmente qualcuno, pensò fugacemente. Alla fine si addormentò cingendole il fianco con un braccio.
Il calore della sua mano sul suo ventre la svegliò l’indomani. Che presenza stranamente gradevole.
 Lei cercò lentamente di rigirarsi , per non disturbare il suo sonno ritrovato,ma di scatto aprì gli occhi.
 Aveva paura di lei.
 Le aveva chiesto di restare solo perché  era riuscita a calmarlo inspiegabilmente, ma adesso, da sveglio, non reggeva il confronto del corpo  morbido e voluttuoso di lei con il suo, martoriato e ricostruito quasi al rovescio .
Temeva di essere sbeffeggiato, aspettava con rassegnazione da un momento all’altro una sua sonora risata o qualcosa del genere. La desiderava ma la temeva. Voleva allontanarla perché non conoscesse meglio la bestia che si celava dietro quel fantoccio d’uomo. In quel momento lo stava scrutando con quei suoi occhi celesti, due finestre aperte per conoscere lui soltanto. Un brivido gli attraversò la schiena, immaginando i suoi pensieri.
Lei si tirò indietro ma lui la riavvicinò senza pensarci. Aveva sbagliato, era troppo vicina, la luce del giorno sarebbe stata impietosa. 
“Buongiorno” gli sussurrò.
“Buongiorno a voi.”balbettò.
 Nessuna risata fragorosa.
“Vi sentite meglio?” chiese accarezzandogli il volto.
“Grazie per essere rimasta. Nessuno si sarebbe prestato a tanto per un mostro, perché è quello che sono.”
“Se parlate del vostro aspetto,beh, è sciocco chi vi giudica dalle apparenze” si era alzata sulla schiena. I capelli le ricadevano dolcemente sulle spalle e sui fianchi.
“Allora  il mondo è pieno di idioti?”La guardava disteso, poteva ammirarla meglio così, lei nemmeno se ne era accorta.
“Chi vi ha fatto tutto questo lo è.”
“Come lo avete scoperto ?”
“Non sarò colta come voi, ma non sono nemmeno stupida. E’ovvio che non siete nato così . Dubito che siano ferite di guerra. Siete stato prigioniero,forse, certo è che vi hanno torturato.”
“Nessuna guerra.”
“mh…Allora anche voi potete capire cosa vuol dire quando si viene violentati e depredati di qualche cosa di prezioso , cui fino ad allora non si era data la giusta importanza. Dovete aver sofferto . E… soffrite ancora, non è vero?”
Lui rimase in silenzio. Stava abbattendo con una delicatezza disarmante tutti i suoi segreti, le sue maschere ,senza farne una tragedia.
“Sono stato punito per un errore che ho commesso. Solo che poi ho perso il controllo …”
“Avete punito il vostro carnefice? Avete avuto più coraggio di me. Io sono scappata.”
“Non era  coraggio ma orgoglio ferito . Quanto a voi, la vostra famiglia è salva, non rammentate più il nostro patto?”
“Come posso averne la certezza?”
“Sono stato due settimane lontano da qui per sistemare alcuni miei affari, tra cui il nostro accordo. Se volete , vi mostrerò un documento della banca che vi confermerà il mio versamento miss Mackinny?”
“Sì , siamo noi. Sarebbe Maccini, in italiano. Ma voi britannici preferite storpiarli i nomi stranieri. Così abbiamo preferito  una traduzione . Allora me lo mostrerete il documento?  ”
“Certamente.” Ci fu un breve silenzio. Lei cominciò a inclinare gli occhi verso sinistra, riflettendo.
“E’ come se mi aveste comprata in fondo…”non affiorava sarcasmo dalla sua voce.
Aveva ragione, di fatto si era trattato di quello.
Ogni penny era ben speso per una donna come lei. Di fronte alla sua consapevolezza non sapeva controbattere. Avrebbe voluto solo essere migliore per averla tutta per sé , senza ricatti o contratti.
Aveva intuito di aver colpito il punto debole, laddove non c’erano scuse.
“Sapete, ho sempre avuto una domanda che mi circolava per la testa..” continuò.
“Dite, allora…”
“Perché avete voluto comprarmi? Perché avete voluto me? Perché prestare aiuto ad una sconosciuta? “
“  Una donna non mi sposerà mai consensualmente, lo capite?Se vi avessi aiutato, sareste rimasta e ,in un certo senso, avrei compiuto pure una buona azione. A volte le persone ridotte come me non sono animali dentro, altri invece lo mostrano fuori e tengono il peggio nascosto nell’anima.”
Lei rimase un attimo a pensare e poi:
“ Devo considerarmi una sorta di sposa?”
Non sapeva che cosa risponderle,anche se le avrebbe detto volentieri di sì:“Se vi piace…”
Lo guardò con una dolcezza con cui per un attimo non si riconobbe proprio.
“Volete condividere il tormento che vi schiaccia?”aveva cominciato ad accarezzargli il petto,involontariamente, non sapeva come smettere, era come senza freni.
“ Non mi lascerete?”il suo era un accorato appello.
“E’ così agghiacciante quello che avete commesso?”cominciava a commuoversi.
Smise di accarezzarlo e la sua mano si fermò alla base del collo , dirigendo il pollice su è giù per il pomo.
“Oh sì. Ma promettete…”al contempo le mani di lei sul suo collo avevano cominciato ad eccitarlo.
Quella amabile creatura aveva cominciato uno strano gioco tattile che lo stava sempre più intrigando.
“ Non mi muoverò da qui” voleva incoraggiarlo a sfogarsi.
Lo rassicurò il suo piglio deciso.
Era pronta ad addentrarsi nella tana dell’orso ,oramai si era spinta troppo nel profondo per tornare indietro; il padrone di casa si era rivelato un essere umano profondamente complesso, estraneo dagli uomini che fino ad allora aveva conosciuto.
“Sappiate che sono pentito. Sono passati dieci anni… Sono un assassino,un omicida, un ripugnante criminale. Chiamatemi con l’appellativo che più vi aggrada. Allora? Siete  ancora disposta a restare ?”
“Ditemi perché avete ucciso.”
“Per vendetta. Mi avevano fatto questo.”indicando se stesso” Ho distrutto tutto. Ho perso la ragione. Ero come impazzito.”
“ Quanti?”
“Tutta la famiglia. Cinque in tutto.”
Lei avvertì la vergogna e il rimorso sul suo volto.
“Mia madre si suicidò per questo. Mio padre non riuscì a perdonarmelo. Ho ucciso anche loro..”
Si adagiò accanto a lui e gli strinse le mani, intrecciandole con le sue.
“No che non li avete uccisi. Certe persone sono più fragili di altre. Inoltre, il perdono è difficile da concedere, specie per atti di questo tipo.”
“Non cercate di giustificarmi…”il suo tono fu durissimo .
“Oh ma io non vi giustifico affatto.”non aveva mai smesso di guardarlo dritto negli occhi.
“Che cosa?”
“ Vedete, avete fatto il giustiziere di voi stesso quando era già pronta la punizione eterna per un errore che non avevate ancora commesso. Avete pagato in questi dieci anni. E pagherete fino alla fine dei vostri giorni. Siete come morto al mondo. Non vi pare una pena sufficiente?Anche gli uomini come voi hanno bisogno di ritagliarsi uno scampolo di vita felice. Pagherete per sempre,certo, ma non sprecherei la vita a piangermi addosso, cercherei di compiere delle buone azioni, per un minimo di riscatto e a godermela almeno un po’ l’esistenza. Ciò non significa dimenticarsi degli errori commessi. Vivere è più difficile che morire, ricordatevelo.”
Nel frattempo , mentre gli parlava, così vicina, aveva avuto modo di osservare il suo corpo,di nuovo. Reso più visibile adesso perché indossava la sola veste da notte. Alcuni bottoni erano saltati in corrispondenza dei seni , tanto che a seconda di come si piegava un capezzolo o l’altro facevano capolino. Non appena lei se ne rese conto, arrossì di colpo. Paradossalmente,provava pudore nel vedere il suo corpo nudo, così come lui del suo. Si coprì con le mani, come meglio poteva.
Lui si rese conto che la conversazione era giunta al  termine, non poteva andare oltre, per quanto gli sarebbe piaciuto fare l’uomo, una volta ogni tanto.
Le sue parole gli avevano infuso una forza del tutto nuova. Si alzò dal letto e infilò la porta del bagno.
Sebbene fosse ancora preda dell’imbarazzo , in specie dell’insicurezza creata dalla sua seminudità, dalla mancanza di indumenti atti a coprire la pelle, avrebbe voluto ancora  il suo braccio intorno alla vita.
Che sensazione strana, anzi, che voglia strana, perché lo richiedeva ancora?
Lei non doveva mica: lui era il suo carceriere .
Era già scivolata via dal letto , quando se lo ritrovò di fronte,di nuovo.
Le sembrava ancora più alto del solito, imponente come un orso su due zampe.
In un attimo, tutto le fu così chiaro e confuso insieme, si sollevò sulle punte dei piedi, gli afferrò la nuca, infilò le dita tra i suoi capelli e lo baciò con un’intensità fino ad allora sconosciuta, per entrambi.
Non appena le loro labbra si staccarono, lei si lasciò solo il tempo di dirgli:” E’ colpa mia.” E corse via dalla sua stanza.
Era rimasto lì in piedi, completamente frastornato. Non aveva avuto il tempo di rendersi conto di cosa era appena accaduto alle sue labbra, nemmeno di rispondere al bacio.
Era stata lei a prendere l’iniziativa, non l’aveva immaginato. Cominciò a chiedersi perché l’avesse fatto: la solita compassione? Un gentilezza al condannato?
Probabilmente  doveva vederlo come un essere patetico e malvagio.
Si era anche pentita di quel bacio .
Però, tutto quel trasporto…l’espressione nei suoi occhi,  forse si era trattato solamente di un impulso fisico che si era scontrato con la sua deformità .
Una reazione inconsulta,ma sì certo.
 O forse no. Doveva scoprirlo.
Lei si era diretta svelta in camera. Aveva chiuso la porta dietro di sé e si era lasciata cadere giù per terra. Stava ridendo, tra le lacrime che le incorniciavano il viso.
Le aveva confessato il peggio. Le aveva mostrato il suo lato oscuro e lei lo aveva accettato. In seguito,era stata in grado di provocare ciò che nemmeno lei si aspettava di fare: era come accecata , in quel momento, aveva bisogno di un contatto ravvicinato, così come gli occhi di lui, velatamente, la pregavano.
Un bisogno, una necessità, un istinto da soddisfare. Tutto qui.
Lei lo aveva attirato a sé. “Chissà cosa starà pensando di me”si lamentò.
Si decise a rivestirsi in fretta e a pettinarsi a dovere, quando lui spalancò la porta e la richiuse violentemente.
Sembrava fuori di sé .
Quei suoi occhi verdi, come le colline della sua terra,erano ancora più spalancati,tutta la pelle del viso subiva una strana tensione. Lei incominciò ad indietreggiare verso il letto , nel tentativo di arrivare vicino alla finestra, ma lui fu più veloce e riuscì come a catturarla.
 Ora aveva seriamente paura:anche lui le avrebbe inflitto lo stesso trattamento del conte?
Era un uomo, in ogni caso.
La teneva in una morsa potente,tanto che non riusciva nemmeno a divincolarsi. Proprio mentre lei era convinta che di lì a poco sarebbe cominciata una nuova tortura, lui cominciò a portare le mani di lei dietro la sua schiena :“Ancora…”le sussurrò ad un orecchio. Lei sorrise, ma continuava ad essere spaventata intimamente. Non era ancora finita.
Aveva intrapreso ad accarezzarle il braccio e poi giunse su fino al volto: poteva toccarla finalmente. Si avvicinò con una timidezza tangibile, sorprendentemente tenera .
Aveva paura di essere rifiutato, di non esserne degno, di non averne più diritto. Lei non riusciva a riflettere: era come annebbiata, gli occhi di lui erano penetranti a tal punto da ipnotizzarla.
La baciò con meno fretta della prima volta, sebbene l’impeto si fosse ugualmente conservato. La premette contro di sé con forza finché non  la sentì abbandonarsi interamente tra le sue braccia.
 Le  mani di lei intorno al suo collo furono subito una presenza piacevole.
“ Vi sentite ancora colpevole?” voleva delle risposte.
“Perché lo avete fatto?”con un filo di voce. Era come stordita.
“Potrei farvi la stessa domanda.”
“Non lo so. In quel momento non ho ragionato molto.”
Il che era la verità. Qualcun altro aveva riflettuto per lei in quell’istante fatale.
La stava stringendo sempre più forte, aveva cominciato ad accarezzargli il collo, con una certa foga , fino a scendere all’altezza del seno. Le mani di un uomo sul suo corpo, di nuovo.
In quel momento fu lei a volersi fermare.
“Aspettate…io.. io non posso…io sono..” di nuovo nella mente era
riemerso quel ricordo assordante.
Capì subito cosa voleva dire.
Era solo una fanciulla.
 Avrà avuto almeno vent’anni meno di lui. E aveva subito quel torto gratuito , peraltro.  Allentò la presa su di lei, ma non se la sentiva proprio di lasciarla.
Non sapeva come dirglielo: non si tirava indietro perché non lo volesse, anzi, ne era uscita stupendamente eccitata; né per il suo aspetto, nemmeno lo contava più,o forse non aveva mai preso in considerazione la sua storpiatura, ma perché era una vergine, una donna che non aveva mai assaporato il calore di un uomo, se non quella volta, malamente, quando aveva subito quella violenza, quella rapina triviale.
Lui era un uomo fatto, chissà quante donne avrà avuto tra le mani prima di lei .Non doveva essere spiacente prima dello sfregio, osservò, quindi le donne su di lui dovevano cadere come la pioggia da quelle parti. Non avrebbe potuto dargli il piacere che cercava, soddisfare le sue esigenze di uomo maturo, sapeva di non essere all’altezza.
Inoltre, c’era un’altra ragione per frenarsi, un motivo che non voleva né sentire né vedere, ma che era riuscito a farsi strada nella sua mente: il cuore.
Cosa provava per quell’uomo?
Perché,se aveva deciso di baciarlo e lasciarsi baciare, qualcosa voleva pur dire.
Per quale motivo lasciarsi toccare, accarezzare, stringere e fare a lui altrettanto, quando con una parola l’avrebbe subito respinto?
Non bramava la sua lontananza. Le mani di lui addosso, che la esploravano, le avevano fatto dimenticare l’orrore di quell’episodio cui non sapeva dare un nome preciso. Non voleva dargli un nome. Non doveva essere un peso da sobbarcarsi, ma una macchia da pulire soltanto. Si sarebbe dissolto, giorno per giorno.
 Si stupiva di sé stessa nel parlare con lui, la rendeva migliore in qualche modo e forse lei era riuscita a fargli lo stesso effetto. Poteva amarlo?
Amore…amore…nessuno glielo aveva raccontato. Sua madre era morta troppo presto. Non c’è una ricetta, non ci sono istruzioni, a volte nemmeno indizi. Succede, come un ciclone passa, prende e porta via. L’importante è stare dentro al suo turbine e lasciarsi trasportare via con esso. Forse se ne era innamorata sul serio. Il panico l’avvolse. E ora, che fare?
Lui sperava che dicesse qualcosa, ma lei era pensierosa. Ad un certo punto gli parve di vedere ancora della paura aleggiare sul suo volto. Per l’ennesima volta pensò che fosse colpa del suo aspetto. Poi che fosse colpa della sua confessione,troppo repentina, forse, si lambiccò tra sé . Eppure…sembrava desiderosa quanto lui…Era confuso.
 Lei si era fermata . Certo, se fosse stato per la sua bruttezza lo avrebbe fatto anche prima. Forse il modo: troppo brusco, troppo in fretta, troppo ingordo. Lui aveva fame.
Di lei, solo e soltanto. Questo lo fece riflettere.
Se la fame fosse degenerata in qualcosa di altro?
Se l’inumano fosse stato in agguato?
Se il volere lei sola fosse una predilezione della Bestia nascosta?No, non poteva essere. Non doveva. Lei era stata la sua cura quella notte. Che potesse essere anche il contagio?
 “ Andate adesso, ve ne prego, signore. Tra poco sarà l’ora del pranzo , ci vedremo giù di sotto. E’ meglio così. Perdonatemi. Non è colpa vostra. Sono io ad essere sbagliata. Ho sbagliato.”
Pensava che avrebbe visto il disprezzo palesarsi sul suo volto, la vergogna di essersi abbassata a lasciarsi prendere da un uomo così repellente e invece no. Stava implorando, a suo modo, anche se lui non immaginava il perché.
Tolse le mani che fino ad allora erano rimaste sui suoi fianchi con notevole reticenza- faceva fatica a controllarsi con lei così vicina,tra le braccia-  e si avvicinò al suo viso:
“Io non lo credo” e se ne andò.
Avrebbe dovuto dirgli la verità. In ogni caso sarebbe stato liberatorio.
 Lui ambiva solo il suo corpo,l ’aveva compreso, aveva bisogno di sfogarsi e quel che è peggio era stata lei a provocarlo fino a  quel punto, a desiderarla violentemente, a scoperchiare quel vaso come una novella Pandora.
 Aveva sbagliato, ne era certa.
Volevano appagare istinti diversi, secondo lei.
Lui bramava il suo possesso, anche solo per una notte. Ne era convinta.
E lei? Cosa pretendeva da lui?Per quanto avesse chiarito il suo cuore, rimaneva sempre qualcosa di non detto,c’era sempre qualcosa che mancava.
Non avrebbe dovuto pretendere niente da lui, si disse, lei lo aveva stuzzicato stupidamente e lei sola avrebbe rimediato al danno.
 Ma era davvero un danno poi?Aveva scoperto quanto fosse pericoloso farsi desiderare da qualcuno. Ma anche quanto fosse eccitante per il corpo e per l’anima: infatti il suo ego non ne aveva risentito, tutt’altro. Non lo avrebbe mai ammesso di fronte ad anima viva, perché la terrorizzava e  non capiva come un atto che solo poco tempo fa la ripugnava a morte, adesso si fosse trasformato in qualcosa di incommensurabilmente più piacevole, che le faceva completamente smarrire la percezione di una parte di se stessa.
Era desiderio brutale anche il suo, come quello di lui, ma non aveva intenzione di riconoscerlo. Perdere se stessa in quei momenti, con un altro essere umano così prossimo, era un rischio che non poteva né doveva correre.
Se gli avesse detto quello che provava , probabilmente l’avrebbe derisa, trattandola come una bambina che crede ancora  nel vero amore che non esiste e lui poteva provarlo. Si immaginava già quello che le avrebbe risposto:”L’amore non esiste, ragazzina. Io ne sono la prova. Se ci fosse stato amore , non sarei ridotto così. Ho conosciuto il disgusto, il disprezzo, la derisione sulle facce della gente, mai l’amore o la compassione. ” Doveva rischiare e dirglielo. Doveva buttarsi, senza pensare, come aveva fatto fino a quel momento, del resto. Non aveva niente da perdere.
Scese dabbasso. Aveva indossato un vestito rosso,ma  si pentì subito della scelta, fatta anch’essa sull’onda dell’emozione e non del raziocinio. Lo aspettò a lungo nella sala da pranzo ma non arrivò. Erano appena suonate le tre. Se ne era andato? All’ingresso trovò un biglietto:
“ Tornerò, stanotte.”
Una promessa o una minaccia?
Solo tra due o tre ore al massimo sarebbe calato il buio. Per quanto aveva intenzione di restare là fuori? Si accorse che si stava preoccupando per lui come un’ amante, una moglie, una fidanzata. Se fosse uscita a cercarlo e lui nel frattempo non l’avesse trovata al castello ? Se fosse successo il peggio e l’avessero ucciso? Non voleva nemmeno sfiorare l’idea.
 In mezzo a questo affollarsi di ipotesi, il sole era  tramontato e di lui nemmeno l’ombra.  Gli lasciò anche lei un biglietto e si decise a scendere nelle scuderie, montare sul primo cavallo e partire al galoppo. Attraversò in lungo e in largo la foresta senza risultati:nessuna traccia di lui né della sua cavalcatura, almeno i lupi non l’avevano aggredito, poteva tirare un sospiro di sollievo.
Tornò indietro, verso il castello per esplorare i terreni circostanti. Fu il cavallo a guidarla: doveva essere abituato a quell’itinerario.
 La portò fino ad un tempietto rotondo. Era la tomba di famiglia,scoprì in seguito,lì altre impronte equine erano ancora fresche. Era vivo, era salvo e stava tornando al castello. Dall’ ombra spuntò fuori un altro cavallo: “Dov’è il tuo cavaliere?” bisbigliò.
“Proprio qui. Chi siete?” Aveva una spada puntata alla gola, di nuovo.
Riconobbe subito la sua voce, avvertì subito il suo odore.
 Si tirò giù il cappuccio e sciolse i capelli. Adesso capirà immediatamente,pensò speranzosa.
“Ah, voi… Siete uscita!Volevate forse fuggire?!”si sentì come tradito.
“ Ero solo preoccupata per voi, stupido idiota.”scoppiò a piangere. Era esausta, aveva freddo, lo amava ma non era amata a sua volta. Si accasciò per terra.
Rimise la spada al suo posto. Che stupido. La prese in braccio , la issò sul cavallo e trainò l’altro appresso. Che stupido. Stava cominciando a piovere , così come lei non smetteva di piangere.
Era andata a cercarlo.
 Non aveva pensato di fuggire. No, non lo aveva fatto.
Si era preoccupata della sua sorte. Era la seconda volta che temeva per la sua vita. Forse si era affezionata a lui, in un certo senso.
Non sapeva come comportarsi di fronte ad una donna in lacrime, preferì tacere.
Era uscito per riflettere, per far sbollire l’eccitazione. Avrebbe voluto fare diversamente ma non conosceva altri modi.
Aveva cavalcato senza meta fino a giungere al solito punto: laddove riposavano i suoi genitori. Quel luogo lo rilassava. Era rotondo, completo, perfetto. Tutto lì assumeva un senso.  Cominciò a mettere insieme i tasselli della storia.
Non riusciva a fare a meno di lei. Se ci fosse stata un’altra donna al suo posto, avrebbe cercato lei comunque.  Il suono della sua voce, la  comprensione dimostrata, il suo piglio nelle situazioni drammatiche, il suo spirito , il suo corpo- non poteva fare a meno di ripensarci,dopo così tanto tempo- quel modo che aveva di calmarlo e di eccitarlo, di tirar fuori il lato umano e quello bestiale.
Bestiale.
Bestiale?
Perché aveva pensato un aggettivo del genere?
Lei aveva visto la bestia che era, sia fuori che dentro.
Si era spinta volontariamente nell’anima nera custodita dentro quell’involucro terrificante, aveva accettato , aveva compreso. Ma se le bestie devono stare con le bestie…? Sciocchezze. Lei non lo era. Era riuscita a trasformare la sua furia, la sua bestia, in  desiderio sano e insaziabile .Aveva fatto uscire l’uomo  lasciando che convivesse con la sua anima indomita e selvaggia .
 Le aveva esibito l’uomo e la bestia e per tutta risposta lei non batté ciglio; non lo biasimò; non inorridì; non  fuggì. Accadde l’imprevisto.
Doveva rimanergli accanto, come una donna ad un uomo.  Non poteva trattarla come una delle tante prostitute che aveva frequentato nei primi anni della sua emarginazione e che aveva ricoperto d’oro purché gli regalassero anche solo un paio d’ore di godimento. Ma non era lo stesso. Pagare quel genere di piacere non era nella sua indole. In breve tempo cominciò ad odiare quelle mercenarie.
Non poteva ripagarla così della sua comprensione, del suo… amore?
No, no di sicuro…solo affetto.
Perché voleva tenerla con sé?
Era felice quando la vedeva, ma al tempo stesso lo terrorizzava a morte. Lei era così diversa, così umana che non avrebbe potuto lasciare che vivesse confinata tra le tenebre con lui. Che sorta di vita avrebbe potuto regalarle?
 L’altra ragazza non gli aveva fatto lo stesso effetto, probabilmente perché non si era spinta così lontano nel suo cuore ed inoltre  era una prigioniera. Ma lei…non  riusciva a vederla così, non più.
Nel frattempo lei aveva cominciato ad asciugarsi le lacrime,  appoggiando le testa sulla sua spalla e  si strinse a braccia conserte. Aveva freddo perciò l ’avvolse nel suo mantello: non doveva patire il gelo .
Quanto era stato sciocco ad aggredirla  in quel modo, in fondo lei non lo meritava. La sua solita mancanza di fiducia, la sua eccessiva circospezione avevano preso il sopravvento. Non sapeva come scusarsi. Avrebbe  trovato un modo.
 Frattanto erano arrivati al castello. Una volta smontato dal suo destriero, aiutò pure lei a far lo stesso . L’afferrò per i fianchi e solo in quell’istante si accorse di quanto fosse leggera. Sentì le mani di lei sulle spalle scorrere giù subito. Capì.
Lei era svenuta, intanto, doveva essere sfinita,pensò. La prese in braccio e la portò all’interno. Lui aveva capito finalmente.
Erano rientrati dalle scuderie ma al portone d’ingresso qualcuno stava insistentemente bussando.
 Che continuasse pure a bussare, non gli importava.
Lui aveva finalmente compreso.
Si avviò verso le stanze da letto affinché lei si stendesse.
 Una volta uscito, sentì ancora l’intruso battere alla porta. Non se ne sarebbe andato finché non avesse ottenuto ciò che andava cercando.
 Aprì stancamente il portone, restando in penombra come al solito.
“Chi siete?”con la solita aggressività che lo distingueva.
“Come, nessun prego entrate?”aveva un tono serpentino.
“Chi siete?!” Fu meno gentile di sempre.
“Viaggiavo da queste parti, ho visto una luce e pensavo che avreste potuto darmi ospitalità per stanotte.”
“Mi dispiace, non posso.”Non aveva intenzione di fargli varcare la soglia, aveva altro a cui pensare , che morisse pure.
“Allora posso solo aspettare che spiova, milord?”insisteva.
“Dubito che smetterà presto, milord” dov’erano finite quelle buone azioni e quegli innumerevoli buoni propositi?
“Il mio cavallo è esausto, ho davvero bisogno del vostro aiuto.” Cercava di essere commovente.
Lo trovava insistente ed insopportabile,ma non poteva essere scortese.
“Portatelo nelle scuderie ed  entrate.”si risolse così, solo per lei e per quei buoni intenti.
Non appena fece entrare lo sconosciuto ,questi si tolse il mantello gocciolante di dosso e si avvicinò al fuoco. Gli sembrava una faccia familiare, ma fu un pensiero che sparì in fretta.
Non aveva voglia di fare conversazione, non con lui almeno. Voleva che se ne andasse, alla svelta.
“Avete molte visite, milord, di questi tempi?”lo apostrofò lo strano ospite.
“No”rispose seccato.”anche la conversazione da salotto mi toccherà?”si stizzì tra se.
“Sapete, sto cercando una persona. So per certo che ha attraversato questa foresta, ma non ha lasciato di sé alcuna traccia. I lupi devono misteriosamente averla graziata. Qualche  pellegrino è venuto a bussare alla vostra porta in cerca di ospitalità? Una donna magari?”
Solo allora identificò il nuovo arrivato. Decise di servirsi con calma.
“E’ passata una donna, in effetti. Ma se ne è andata due o tre settimane fa.”
Lei si era risvegliata nel suo letto, proprio in quegli attimi .
 Era arrabbiata con lui, stava scendendo le scale, quando sentì la sua voce. La stava cercando. Era braccata. Avrebbe dovuto affrontarlo.
Il passato era tornato. Finalmente, era giunta l ’ora.
Si inumidì le labbra con la punta della lingua e continuò a scendere i gradini senza far rumore, strisciando poi nell’ombra verso la stanza principale.
“Perché mentite, milord?”con un sorrisetto serafico sulla faccia.
“Perché insinuate che menta?”
“Ma voi state mentendo, milord. Avete pagato lautamente la famiglia di quella donna, proprio immediatamente dopo la sua scomparsa. Lei deve essere qui.”
“Chi vi ha dato quelle informazioni…”
“ Chi me le ha date ? Voi stesso milord!Io ero l’impiegato della banca, milord…”
“Che bisogno c’era di camuffarvi?” Stava cominciando a scaldarsi.
“Mi avreste riconosciuto comunque, presto o tardi. Non vi ricordate di un ragazzetto sui sedici anni, tutto lentiggini?”
“Sono spiacente, non ricordo. Chi diavolo siete?!”era pronto ad aggredirlo.
“ Brutta pecora, davvero non ti ricordi?!Mi rattrista sapere che proprio non ti siamo rimasti impressi!!” Mostrò una vistosa cicatrice alla base del collo.
“Tu…il più piccolo, sei ancora vivo?! Sei qui per tormentarmi? Pensi che non mi ricordi?Ogni singolo giorno sconto la pena per quello che ho fatto. Sparisci prima che uccida anche te, per la seconda volta .”
La sua rabbia era sul punto di rompere gli argini, se non avesse avvertito una mano intorno al collo a stringerlo delicatamente e una intorno al polso con energia a bloccarlo.
“Lascialo a me.”Gli bisbigliò.”Hai già fatto abbastanza.”
Il suo odore così penetrante era del tutto estraneo.
“Eccomi , signore, mi cercavate?”sbucò fuori dall’ombra accanto a lui.
La sua voce aveva un suono strano,del tutto nuovo, metallico.
“ Milady… Vi ho cercato per mesi…” abbozzando un inchino fasullo.
“Non siete molto intelligente allora,oppure non sapete cercare…giacché ero più vicina di quanto pensavate.” Insolente e sarcastica.
“Ma ora vi ho trovato.” Sorrise beffardo.
“ E con ciò? Che pensate di fare?”continuava stranamente a sorridere,inclinando la testa.
“ Devo saldare un vecchio conto col padrone di casa e poi riprendermi ciò che mi spetta.”guardando verso di lei.
Il lupo  era pronto per arraffare la sua preda, stava affilando lentamente le zanne, per il puro piacere di gustarsi meglio la cena, di vedere affiorare l’inconsapevolezza e infine l’ orrore negli occhi della vittima prescelta. Che fame.
Lei si mise a ridere. Rise così forte che rimbombò in tutto il castello.
Rise così di gusto che entrambi gli uomini nutrirono un filo di sgomento; solo le bestie che si celavano in loro  ne erano come attratte, risvegliate, chiamate a gran voce.
“Voi credete?” Si stava avvicinando ondeggiando, con fare di sfida.
 Lui la vedeva bellissima, aggressiva, provocatoria.
 Il suo corpo sembrava ancora più rigoglioso del normale, ogni curva appariva accentuata, in quel vestito che era diventato quasi una guaina.
Anche il conte era eccitato, ma non capiva dove volesse arrivare.
“ Per i conti tratterete con me, stasera. Sarò io stessa a saldarli.”cominciò a massaggiarlo nel luogo della cicatrice, una volta squarcio fatto da lui, dal suo amato, con una energia sempre più costante, fino quasi a strattonarlo e si voltò verso il padrone del castello .
Chiedeva la sua approvazione, il suo permesso.
Non aveva intenzione di  scavalcarlo, non desiderava privarlo della sua virilità tantomeno del diritto di difendersi da un nemico e di proteggerla,era libero di farlo ma non adesso.
Anche lei pretendeva la sua vendetta.
Ci fu un incrocio rapido di assensi.
 Si voltò verso il conte, invogliato da questa novità.
“Sapete, non è stata una grande idea venire fin qui, così tardi,nel cuore della notte, sfidando il maltempo...Non ho preparato il letto,… milord!…”
Gli occhi di lei si dilatarono eccezionalmente così come le labbra, ormai fauci. L’azzannò con tutta la ferocia che aveva in corpo. Gli strappò di netto la carotide e al conte non fu lasciato nemmeno il tempo di cacciare un urlo, perché morì con lui.
Gli squarciò il petto, ne estrasse il cuore e lo buttò nel fuoco. In ultimo, gli lacerò  i pantaloni,e con una spada trovata sulla parete, gli staccò via il pene che finì tra le fiamme, anch’esso.
”Bravo bambino” concluse”in compenso ti scaverò una fossa, il tuo letto eterno.”.
Giustizia era fatta.
Il giusto castigo era stato servito. Freddo e sanguinolento.
 Era stata rabbia cieca, anche la sua.  Aveva regolato i conti finalmente.
 Aveva dato vita al suo oscuro proposito.
Il lupo se l ’era mangiato, come promesso.
Grondava  sangue ovunque, rosso purpureo come il suo vestito. Rimase in piedi di fronte al cadavere scempiato. Respirava pesantemente. Stava con lentezza tornando alla normalità. Adesso ci voleva la forza di raccontargli  anche il suo lato oscuro.
Lui era sconcertato, però  fiero di lei poiché aveva combattuto il suo demone.
Aveva ucciso per entrambi, la sua valchiria.
La sua leonessa li aveva difesi e aveva vendicato se stessa.
O avrebbe dovuto dire la sua lupa?
Lei.. che cos’era lei?
Così bella e così crudele?
Così dolce e così spietata?
Anche in lei si celava una bestia?
Aveva scatenato la bestia che era in lui perché bestia era anche lei?
Qualcuno con cui correre, pensò, è davvero lei.
Si tolse alla meglio il sangue che aveva intorno alla bocca e che le era colato lungo il collo, a quel punto  gli venne incontro, tirandosi su una manica.
“Vedi?” gli indicò un punto del braccio dove teneva una benda.
Le belve non danno del voi.
Interrogativamente la guardò mentre la scioglieva.
Nascondeva una grossa ferita ormai rimarginata, un morso,suppose.
“Beh?” non trovava il nesso. Se ne stava a braccia conserte, in attesa di chiarimenti.
“ Un lupo mi ha morsa quando avevo undici anni. Non un lupo dei vostri. Non un comune lupo grigio.”
Si mise a ridere” Non mi direte che siete un lupo mannaro!”
“ Non fare il simpatico, non c’è molto da divertirsi.. Mannari diventano gli uomini che sono predisposti o se vengono morsi con la luna piena. Io sono stata morsa con la luna nuova, del lupo ho assunto solo la voracità, la ferocia, la violenza. Scatenare queste componenti dipende dalla luna e in parte è dipeso da lui. Bisogna essere particolarmente crudeli  per scatenare il lupo che vive in me. Non di continuo riesco a tenerlo quieto, ma quasi sempre riesco a farlo coesistere con me stessa.”
Lui rimase in silenzio. Era felice di avere in comune con lei quel lato incivile ed incontrollabile, un po’ pazzo.
Di avere in comune una bestia.
 Stava tornando in sé. Non aveva dimenticato come si erano lasciati ore prima.
“ Adesso sapete anche questo. Non avete niente da dire? Non volete puntarmi ancora la spada contro o punirmi perché secondo voi sono fuggita?”
Si avvicinò di un passo. Erano così simili. Avrebbero potuto uccidersi a vicenda, per la tensione che c’era nell’aria.
“Non sono abituato a fidarmi delle persone.”
“Vi ho dato prova in svariate occasioni di potervi fidare di me, mi pare.”
Era contrariata, il suo disappunto era percepibile. Lui lo trovava di una dolcezza impressionante.
“ Già, è così. Avevo solo bisogno di riflettere su quello che era successo, su quello che avevo fatto e che mi avevate detto.  Ero confuso.”
“Beh, avete fatto chiarezza?!”in tono di sfida, un po’ spazientita. Il lupo non se ne era mai andato in fin dei conti, era sempre stato lì, in attesa, conviveva brillantemente con lei, vergine e peccatrice,donna e animale.
“Certo.” Rispose serafico.
Non si aspettava una risposta così diretta, così rapida.
“Molto bene”cercando di nascondere il suo intimo timore”allora vi ascolto.”
“ Ho sbagliato a trattarvi in quel modo, poco fa. Non  lo meritavate. Mi avete offerto la vostra indulgenza e non vi ho ripagato nel modo giusto. Mi avete dato molto di più di ciò che mi aspettavo. Vi siete rivelata estremamente diversa dalla norma, per fortuna, oserei dire.”
Stava cominciando a stancarsi di questo suo girare intorno alla faccenda principale.
Aveva capito perfettamente che era un tentativo di trovare le parole giuste, ma non resisteva più: aveva bisogno di sapere poiché anche lei  era avida e ingorda. Era quella la sua fame.
“ Io vi amo, signore. Uomo e bestia, nel bene e nel male. Senza condizioni”
 Nessun preambolo, nessun preavviso:si era liberata e aveva rischiato.
 Lui aveva sentito benissimo quelle quattro sillabe, di gran lunga più chiare del suo borbottare inconcludente.
Era amato,al di sopra di ogni cosa, anche del lato oscuro, anche di quello. Non avrebbe mai creduto che lei provasse tutto questo.
 Scoppiava dalla gioia, ma doveva rispondergli qualcosa, qualunque cosa.
Lei lo stava guardando trepidante, sperava in una riposta positiva anche se non più di tanto. La sua mancata reazione alla rivelazione della sua natura lupesca l’aveva insospettita.
Era zuppa di un sangue che si stava lentamente raggrumando, non era la veste migliore per una dichiarazione, ma fino a quel momento tutta la loro vicenda era stata un susseguirsi di momenti sbagliati, inattesi o impensati,ma sempre inadeguati.
Forse sarebbe stato meglio scomparire nella propria stanza e lasciar trascorrere la notte.
 Tirò un sospiro,arresa.“Con permesso, milord.”
Avrebbe voluto dirle qualcosa ma gli sembravano tutte parole banali e vuote.
La notte nel frattempo era scesa.
 La pioggia non aveva cessato di cadere, incalzante.
Il diluvio, nel cuore della notte, si tramutò in tempesta, cosicché tuoni e lampi cominciarono a comparire nel cielo e a turbarle il sonno.
 Era terrorizzata dai tuoni, atterrita dai lampi.
Di solito andava a dormire nel letto dei suoi genitori, da piccola, solo ultimante con le sue sorelle. Non ebbe molta scelta: o rimanere paralizzata dalla paura o chiedere aiuto.
Ma lei non urlava: il panico era tale da toglierle la parola.
Si avviò tentoni verso la scala a chiocciola,inciampando un paio di volte in corrispondenza di un paio di tuoni, strisciò fin davanti al baldacchino e si infilò sotto le coperte avvinghiandosi a lui più forte che poteva. 
Non appena prese coscienza dell’inaspettato visitatore, si stupì di averla accanto nel suo letto.  Comprese quasi subito che era terrorizzata dalla tempesta:stava facendo del torso di lui il suo scudo, rendendosi sempre più piccola,quasi, ad ogni boato.
Le mise un braccio attorno alle spalle e cominciò ad accarezzarle leggermente i capelli, cercando di calmarla, di infonderle un minimo di sicurezza.
Era ben felice di proteggere la sua lupa, che fosse lì con lui, così stretta, così vicina. Tutta per sé.
Mia vita,pensò, mio cuore.
Gli si era avvicinata così, senza dire niente, senza domande, senza richieste.
Stiamo insieme stanotte, ho paura del tuono, stringimi forte.
Non l’aveva detto ma glielo aveva fatto capire. Dormirono stretti l’uno all’altra.
Quando si risvegliò l’indomani,  lei era riuscita a sgattaiolare, via dalla sua presa. Non voleva svegliarsi  con lui accanto, con lui addosso, combattere con l’istinto di desiderarlo . Se ne era andata silenziosa così come era arrivata lì quella notte, che era stata solo una ricerca d’aiuto disperata, non un bisogno d’amore, non doveva esserlo, per forza.
 Lui, rispettando il suo silenzio, non aveva rifiutato quella presenza notturna accanto a sé.
Se  il più delle volte lui non sentiva il bisogno di parole ,ora anche lei stava imparando a farne a meno e cercare di parlare la sua stessa lingua.
Pensò di averla delusa. Il suo silenzio di fronte all’aprirsi del cuore di lei l’aveva amareggiata. Era deciso fermamente a riparare. Scese nella sua stanza.
“Andatevene”gli intimò, quasi ringhiando, con una certa impazienza.
“No! Dovete ascoltarmi che vi piaccia o meno!”voleva riuscire a parlare , a fare un discorso senza interruzioni. Lei si meravigliò e si impaurì della sua decisione.
Si fermò a braccia conserte, curiosa di sapere quello che aveva da dire.
“beh? Sono qui ferma, sto aspettando.”
Cominciò a bofonchiare qualcosa,mentre lei continuava a non capire, così gli si avvicinò e gli chiese:”Potete farfugliare più chiaramente?”
“Dio!!!Siete così…così..” alzò le mani verso l’alto, pensò che volesse quasi picchiarla.
“Così come?!” teneva  i pugni stretti verso il basso e tutto il busto proteso verso di lui, contrapposto a lui.
“Sto  cercando di dirvi che mi sono innamorato di voi e  mi punzecchiate di continuo come uno spiedo! Non lasciate il tempo  di esprimermi come si conviene, dannazione! Siete impossibile!” Vide il volto di lei sconcertato, non si era reso conto del fiume di parole uscite dalla sua bocca.”Ora che c’è?”grugnì stavolta.
“ Quando vi impegnate sapete essere molto maleducato. E così vi siete innamorato? “ era ironicamente serena.
“ Chi l’ha detto ?” Era spaesato.
“Proprio voi, adesso. Non vi ricordate? Oppure era una bugia?”volle aspettare che si difendesse ma non ottenne commenti”Credete che la confessione di ieri fosse solo un gioco? Pensate che non sia atterrita dal fatto che avete visto il mio lato peggiore e ve ne siete stato lì, muto come un pesce?Immaginate vagamente quanto ci abbia messo per rendermi conto di amarvi e quanto mi sia arrovellata per trovare le parole giuste, per non apparire una patetica sciocca ragazzina , per trovare il coraggio?!.”
“Certo che lo immagino! Solo quando vi ho scesa dal mio cavallo ieri sera, ho capito quanto mi foste cara e preziosa. Quanto mi sono affranto per le parole che vi ho rivolto. Non avete  idea dello sconvolgimento che mi avete provocato!”L’afferrò per le braccia”Voi siete tale e quale a me. Nel bene e nel male. L’ho capito questo, non credevo di dovere aggiungere molto altro. Per la cronaca, i lupi non mi spaventano, contenta? Abbiamo smosso l’uno il  lato selvaggio e umano dell’altra . Non sono da me le dichiarazioni d’amore, non sono un fine dicitore come altri, non vi canterò un sonetto perché non sarei in grado di comporlo. Ma posso dirvi che vi amo, con grande ardore. A questo punto, anche io dovrei essere un patetico sciocco? E poi solo perché il più delle volte taccio non significa che non provi niente . Non esibisco  i miei sentimenti con naturalità,non l’ho mai fatto, prima per carattere,ma ora ,con tutto questo…”indicava il suo scempio,non sapeva come continuare e poi”il mondo non è stato umano con me!”si calmò subito, premendosi una mano contro la grossa cicatrice in mezzo al volto, mentre con l’altra continuava a tenerla molto stretta” Ho preferito essere prudente fino in fondo e non farmi delle illusioni su di voi. Non avrei mai sperato che vi poteste innamorare di me.”
Era sull’orlo del pianto,  impressionata che avesse toccato le corde più delicate del suo cuore. Lui l’amava, aveva solo avuto paura fino ad allora.
 Che sciocchezza pensare che  fosse indifferente!
“Molto bene, allora. Credo dunque che dovremo rivedere il nostro patto .”stava tremando dalla felicità, mentre lo diceva.
“Volete rivedere la vostra famiglia?” era ben disposto a concederglielo.
“Volete uscire alla luce del sole?”sapeva di chiedergli molto, ma decise comunque di provare.
Non fu drastico: “Vedremo, magari in futuro.”
Quella creatura della notte, solo apparentemente figlia della luce, l’avrebbe condotto all’esterno un giorno o l’altro, a far parte di quel mondo che in tutti quegli anni l’aveva rifiutato, a cui lui stesso aveva rinunciato . Da padroni dell’oscurità  come erano entrambi, lei sola , cui restava semplice confondersi con il giorno, gli avrebbe insegnato a fare altrettanto. L ’ Uomo avrebbe camminato tra gli uomini, con la luce del sole .Col calar del tramonto, la bestia avrebbe giaciuto con la sua degna sposa, dai grandi occhi color cobalto.
“Allora abbiamo un futuro?”sorridente. Insieme, pensò, non chiedo nient’altro se non poterti restare accanto, come è sempre stato.
“Sì che c’è. Ma ditemi piuttosto: i vostri cari?Non siete ansiosa di poterli riabbracciare?” chiese ancora, insistendo. Credeva che la privazione dei suoi parenti, per tutto questo tempo fosse stato un assillo incessante per la sua amata.
“ Ce li ho davanti, eccola qui la mia famiglia. Ho tutto quello di cui ho bisogno”gli prese il viso tra le mani e avviò a baciarlo, sempre più forte,con sempre più fame. Desiderarlo era un istinto naturale,ci era arrivata alla fine. Non più qualcosa da reprimere e di cui vergognarsi.
Qualcuno con cui correre, pensò di nuovo, dolce e brutale come la volevo.
Mia cura, mia malattia,mormorò tra sé.
 Era lei la sua piccola libertà, adesso lo sapeva.
Ad un certo punto, l ’appetito di lui la travolse e cominciarono a fare l’amore con una delicatezza che lasciò in breve tempo il passo al desiderio sfrenato.
Eccola lì la Bella aggrappata alla sua Bestia, in un atto d’amore.
Quella Bella che, Bestia a sua volta ,aveva riconosciuto l’ Uomo celato dietro la veste mostruosa, amando entrambe le due nature e lasciando che anch’egli amasse le sue.
Guardateli adesso, stretti l’uno all’altra, frementi per la passione e tremanti per l’eccitazione di un amore insperato, trovato per caso. Così differenti, così uguali. Perdutamente imperfetti, come ognuno.
La Bestiaaveva scatenato la Bella e la Bella aveva provocato altrettanto.
 
 
                                           Fine
 
 
 

      
 
 
 
 
 
  
    Bella come una bestia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si apprestava ad essere una delle notti più fredde di quel rigido e lungo inverno.                            La neve cadeva a larghe falde: aveva smesso di cadere a fiocchi incessanti, per aumentare la sua intensità,dunque non avrebbe smesso molto presto.
Lei se ne era andata.
“ Le bestie devono stare con le bestie” aveva concluso risentita, prima di sbattere il portone del  maniero la sua reclusa. La sua speranza se ne era volata via.
L ’aveva lasciata andare ,già, non perché ne fosse intimamente innamorato, - sapeva bene che giunti a quel punto non avrebbe mai imparato ad amare e ad essere ricambiato- ma perché detestava la compassione di lei. Non era stata confinata in quella gabbia dorata per impietosirsi ogni volta che vedeva la sua deformità.
Avrebbe dovuto innamorarsi, lei. Avrebbe dovuto.
 D’ altro canto , non si può amare una donna così, scelta a caso,come se una valesse l’altra . Ma questo purtroppo era il suo caso , la sua forzata condizione: non poteva godere del privilegio di fare l’ incontentabile, non più ormai.
Era solo adesso, di nuovo carceriere di se stesso soltanto, circondato da secondini inesistenti, imprigionato di nuovo nella sua solitudine. Che fare?
L’ultima volta che scese nel villaggio  fu per conquistare  la sua preda, quella che proprio ora gli era sfuggita.
 L’aveva vinta con una partita a carte, il padre di lei morì  dalla vergogna e dal rimorso. Aveva trascorso mesi tutt’altro che rosei  in compagnia di quella giovane donna attraente ma piena di pregiudizi e priva di spirito critico. Si rivelò ben presto una noia ,per quanto più allettante della solita routine, era una donna priva di una qualche scintilla intellettuale.
Sarebbe potuto di nuovo scendere al villaggio, magari con un’altra partita a carte… ma se non ci fosse stata nessuna donna?Nessuna vittima disposta a sacrificare la propria esistenza per stare accanto ad un uomo divenuto la caricatura di se stesso?
Era un’incognita piuttosto rilevante.
Sprofondò nella grossa poltrona di fronte al caminetto e, con questo ultimo pensiero martellante nella testa, cominciò a sonnecchiare.
 
“Devi sposarlo , figliola! Non abbiamo altra scelta!!”le urlò suo padre.
“Non voglio!E poi io sono la minore, perché non sposa mia sorella?!Ne è così innamorata, lei!”
“Oh ve ne prego padre!!!In fondo io sono la vostra figlia maggiore, avrei la precedenza  rispetto a lei, non trovate?” rispose la  maggiore stizzita.
“ Mia cara, non credo di poter proporre un accordo del genere . Il Conte è stato molto chiaro. E’ disposto a sposare una di voi, nonostante non abbiate una dote considerevole, per la vostra grazia e virtù e per il nome che portate ,il vostro titolo, seppur decaduto. “
“E allora? Può sposare benissimo lei !Il sangue non cambia!”
“Che cos’ho io in meno di mia sorella?! Ho grazia e virtù da vendere, io!!!Non come lei…che non sa trattare con gli uomini. Lei non ha ricevuto l’educazione da nostra madre come me e Margherita. Non sarebbe adatta, ve ne rendete conto?!”
“Ti prego figliola ! Smettila! Esci di qui immediatamente e lasciami parlare con tua sorella.” Nonostante il suo disappunto ,Lidia fu costretta ad obbedire al volere del padre, poiché il pover’uomo non aveva più argomenti validi, almeno non davanti alla figlia maggiore. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle che il Conte prediligeva la più piccola, in quanto più avvenente.
Una volta rimasti soli, si rivolse a lei:”Figlia, ascoltami bene perché te lo dirò un’ultima volta: il conte desidera te in moglie e nessun altra. Quello che ho appena detto a Lidia non è niente se non una dolce bugia per non ferire il suo amor proprio. Le cure,purtroppo inutili, per cercare di salvare Margherita ci hanno mandato sul lastrico. La tisi non perdona, lo sai.”  Chi avrebbe mai immaginato che non appena  arrivata qui si sarebbe ammalata di colpo e in poco tempo li avrebbe lasciati: aveva la salute cagionevole di sua madre, poveretta; come se non bastasse, c’erano, come c’erano sempre stati, i conti da far quadrare, i debiti da rimettere. “Devi sposarlo, ci siamo spinti fin qui per lui, in nome di una vecchia amicizia che avevo stretto con suo padre, riposi in pace, tempo addietro, quando ero commerciante, uno vero,ricco in Italia. Fallo per noi. Così tua sorella potrà scegliersi un bravo giovane con cui sistemarsi e io potrò godermi la vecchiaia in tranquillità.”
Avrebbe voluto sputargli nel viso. Supplicava, squallidamente tra l’altro, proprio  lei, la figlia più piccola, affinché si sacrificasse?Non aveva conosciuto il calore materno, aveva perso l’unica sorella a cui fosse realmente affezionata e le veniva richiesto un ennesimo sacrificio, un’ulteriore privazione, in nome della pace del padre e della felicità della venale e patetica sorella maggiore. No, non lo avrebbe fatto. Detestava il comportamento della sorella, mal sopportava l’atteggiamento utilitaristico del padre, per quanto, solo nel profondo, fosse legata ad entrambi. Nonostante questa tacita consapevolezza in fondo al cuore, decise che era giunto il momento di andare via, verso il proprio destino, poiché era sicura che per lei la vita doveva avere in serbo molto di più di quello che le veniva proposto . Guardò con gli occhi pieni di rammarico quel vecchio ed uscì da quella stanza satura di rancore. Ancora una volta, il padre, così come aveva inventato una dolce frottola alla maggiore delle sue figlie per non guastare il suo orgoglio di donna, così  aveva raccontato una mezza verità all’altra figlia rimasta. Non si erano spinti fin lassù, in quelle terre così fredde,in un mondo diametralmente opposto a quello che lasciavano, in nome di una vecchia amicizia,o perché quell’uomo l’aveva notata, oh no. Erano fuggiti da un mare di debiti per crearne poi altri anche lì .Il povero vecchio aveva perso il suo fiuto infallibile per gli affari e ,trovatosi al perso,quella figlia, così giovane e bella, divenne la sua merce di scambio, il suo oro più puro, la sua moneta sonante. Il Conte avrebbe provveduto ad estinguere tutti i conti , i denari dovuti sia in Italia che in Scozia. Quel vecchio era deciso più che mai a cedere la sua bambina in cambio della pace economica.
Il figlio del suo trapassato amico era disposto a risanare le loro beghe, a comprarla, come si comprano le greggi di pecore, a fornirle anche una cospicua dote pur di portarsela a letto.
Il poveraccio non aspirava a niente di meno.
 La sposa promessa, dunque, si ritirò nella sua camera.
 Non volle proferir parola con alcuno, né si presentò a tavola per la cena, tanto era il suo risentimento. Non era però la prima volta che succedeva:infatti, quando si adirava, suo padre sapeva che doveva soltanto aspettare che l’irritazione scemasse, sarebbe poi scesa a più miti consigli. Andava sempre in questo modo: consisteva solo in una mera questione di tempo.
Come si sbagliava.
 
Era fuggita, ce l’aveva fatta.
Con la scusa della collera era riuscita a preparare il necessario per andarsene. Fuori imperversava la tormenta, ma per lei non era un peso sopportare la neve a fiocchi e il freddo pungente: avrebbe attraversato la foresta vergine e innevata con gioia, pur di sfuggire alle grinfie di quell’uomo viscido, tremendamente seducente ma con un animo  depravato. Ne ebbe paura la prima volta che lo vide ,tre mesi erano appena trascorsi, quando venne a salutare il padre, ripresosi dall’ennesimo attacco di gotta;aveva un non so che nello sguardo e nel modo di sorridere che faceva intendere perfettamente che non era oro tutto quello che luccicava.
Educato, dai modi gentili, pronto ad infilarti la mano sotto la gonna e a sussurrarti parole di fuoco, una volta lontano da occhi indiscreti.
La prima volta si limitò solo a sussurrarle all’orecchio quanto avrebbe voluto possederla lì, davanti agli occhi del padre.
Quando si recò presso di loro la seconda volta, abbandonò di netto la volgarità delle parole, per lui un’inutile suppellettile. Il padre, nella sua dabbenaggine ad un tempo e nella sua furia di sistemare, a vantaggio proprio, la figlia più piccola ad un altro, li aveva lasciati soli nel salotto buono perché si conoscessero meglio.
 Eccome se si conobbero.
La camicia le fu strappata con una foga inusuale, poi fu il turno del  corsetto, che volò via con la rapidità con cui il vento può sollevare un cappello di paglia a larghe falde.
Era come se volesse nutrirsi di lei. Voleva tutto e subito. Che famelico.
Lei nel frattempo era lì immobile, a subire, inorridita.
 Stava riflettendo sul come agire per liberarsi di lui.
Da una parte la paura la bloccava, dall’altra l’orgoglio ferito la spingeva a fargli del male. Aveva intrapreso ad insinuare la sua lingua fra i seni,vorace come un bambino alla prima poppata, ma privo della stessa tenerezza,tenendone stretto uno in una mano, come per non farsi sfuggire niente di tutta quell’abbondanza, come un lupo che per tutto l’inverno ha patito la fame.
Allo stesso tempo, la sua mano sicura ed esperta si cacciò in mezzo alle gambe della promessa sposa,proprio lì,dimenando le dita frequentemente. Il ricco signore credeva di donarle un piacere mai avvertito prima, qualcosa di inusitato, un’esperienza da ricordare.
Lei percepì tutto, tranne il piacere. Proprio perché non lo avvertiva, tutti i movimenti di lui,tutti i suoi versi le sembravano amplificati.
Stava respirando sempre più veloce, non avrebbe pianto, a nessun costo si sarebbe concessa tanto. Si irrigidì terribilmente, sperando di dargli un fastidio, ma lui era troppo concentrato nel suo meschino appagamento,  arrivato ad un punto tale che stava esprimendosi con una serie di rantoli o comunque un verso quanto mai grottesco, che per lei , paradossalmente, furono motivo di risate sommesse, seppur conscia della rapina e del sopruso a cui la stava costringendo. Doveva aver quasi finito, pensò, sperandolo vivamente mentre chiudeva gli occhi, per non vederlo. Un ultimo rantolo e riuscì a spingerlo via da dentro e da fuori se stessa. Lui la guardava con aria soddisfatta mentre si asciugava la mano sui pantaloni che non nascosero una notevole erezione.
” Che c’è, non ti è piaciuto?”le chiese sogghignando.
”Tutto qui?”il coraggio fece capolino spontaneo.
” Tu non mi inganni!Era la prima volta! Le riconosco  le vergini, ho l’occhio dell’esperto!! E tu, come le altre, tremavi come una pecora vicina all’ammazzatoio . La prossima volta che tornerò non sarò così breve né gentile. Mi prenderò tutto di te. Preparami il letto, intesi?”
No che non eravamo d’accordo.
 Dentro stava ruggendo, spalancava le fauci e mostrava le zanne feroci, ma di fuori mostrò un dignitoso contegno: dall’altra parte della casa, d’altronde, c’era la sua famiglia, non avrebbe mai potuto mettere in atto il suo proposito.
”Se dite che è necessario signore, vorrà dire che sarà fatto. Addio.”
Il conte ravvide una strana decisione nei suoi grandi occhi un tempo cerulei che all’improvviso si erano fatti color cobalto. La considerò una logica presa di coscienza dell’ ovvio : brava bambina.
Questo era solo l’antipasto, al prossimo incontro il lupo ti mangerà.
 
 Si era sentita derubata in un certo senso,per quanto potesse rappresentare poca cosa per qualcun altro, quando accadde. Un atto che magari avrebbe dovuto essere intimo, dolce e che avrebbe dovuto prevedere un qualche consenso da entrambe le parti, si era invece imposto prepotentemente come qualcosa di sporco e sbagliato. Le aveva sottratto tutta quell’ansia di scoprire, quel desiderio, quella curiosità di avvicinarsi ad un uomo. Non aveva avuto modo di difendersi, tanto era stata colta di sorpresa e tanto lui era stato rapido, come un felino. Voleva andarsene per dimenticarlo, ma sapeva in cuor suo che prima o poi il passato sarebbe venuto a cercarla.
 Al momento opportuno, sarebbe stata pronta ad accoglierlo.
 
Era sul limitare della foresta vergine, un altro passo e si sarebbe confusa con la vegetazione. Guardò un’ultima volta il villaggio, costellato da comignoli fumanti . Riusciva ancora a riconoscere il suo,un po’ più storto e traballante di altri. Si aggiustò il cappuccio sulla testa e svanì,inghiottita dalle  braccia imbiancate della selva.
I vecchi del posto le avevano raccontato che chi si inoltrava nella foresta era perduto. Nessuno vi aveva mai fatto ritorno e se qualcuno vi era riuscito ,lo aveva fatto a caro prezzo. Tra quei pochi ci fu chi riportò gravi mutilazioni ,chi invece fu privato della ragione. Ma lei sapeva che per quanto oscura e pericolosa potesse apparire quella boscaglia,o meglio i suoi padroni , quelli con gli occhi di brace e il manto scuro come notte, si sarebbero piegati al suo volere come teneri amanti:  sarebbe bastato loro annusare l’aria. Difatti la selva e i suoi inquilini mostrarono clemenza : la lasciarono  attraversare per tre notti e tre giorni,sana e salva. Ad un altro che aveva intrapreso il suo stesso cammino, forse per seguirla, andò peggio: i guardiani della selva non tolleravano gli intrusi,tantomeno le spie. Lei si arrampicò su un albero , quando sentì le grida di aiuto dello sciagurato mentre subiva la sua punizione. Fu sbranato, di lui non rimase che il sangue rappresosi su alcuni tronchi e qualche brandello dei suoi indumenti, impigliati fra rami e cespugli. Il freddo intenso accresceva il loro appetito, cosicché di ogni vittima non rimanevano che poche ,insignificanti tracce. Una volta sazi, aspettarono che scendesse dal suo nascondiglio per dimostrarsi suoi sodali. Come aveva sempre sostenuto, non aveva nulla da temere da quel luogo sinistro, sì, ma sicuro.
 
I lupi ululavano insistenti anche quella volta. C ’era la luna piena alta nel cielo ad illuminare quella metà del volto intatta.. Furono proprio i lupi a farlo sobbalzare nella poltrona dal sonno in cui era immerso. Da anni non li sentiva ululare: fu il primo inverno, dopo molti , che i lupi  fecero echeggiare i loro cori  tra le montagne di Scozia. Gli parve di sentir smuovere il cancello, per un attimo, ma  ricominciò di nuovo ad abbandonarsi ad un altro lungo sonno, se non che  si rese conto che qualcuno stava bussando giù al portone. Sogno o realtà?
”Chi può essere nel cuore della notte, con un freddo così temibile? Chi ? Di sicuro avrà attraversato la foresta per venire fin qui… affrontato i lupi…potrebbe essere un brigante o un curioso… lo accoglierò come merita…”pensò tra sé.
Il suo castello si trovava su una collina dominante il paese, nascosto dalla natura circostante , posto proprio al limitare della foresta, opposto al villaggio .
Scese la scala a chiocciola che conduceva al suo rifugio e da lì, dopo il lungo corridoio,che dava sull’ampia sala d’ingresso, scese lo scalone,e dopo aver afferrato una spada appesa ad una  parete, non distante dal portone,aprì.
Era una donna infreddolita, notò dalle mani piccole e affusolate.
Decise comunque di sguainargli contro la spada, era risoluto a non fidarsi mai più di alcuno. In fondo, aveva comunque penetrato la foresta e ne era uscita indenne: perché accoglierla?
“Chi siete? Chi vi ha mandato qui?”la sua voce era più cavernosa di sempre.
“Nessuno. Potrei entrare solo per scaldarmi? All’alba ripartirò, non voglio certo turbare la vostra quiete, signore.”teneva il capo basso, non pensava ad un’accoglienza così poco cordiale in un luogo tanto lussuoso.
Da quanto tempo non lo chiamavano signore. Rimase meravigliato dalla compostezza di lei. Ritirò la spada, senza fretta,la prudenza non era mai troppa di fronte a chi era stato risparmiato dalla selva vergine e oscura.
“Ulisse?”aveva voglia di fare un po’ di umorismo quella notte.
“Come dite prego?”
“Avete detto di chiamarvi Nessuno. E nessuno vi ha mandato qui. Devo forse pensare che vi chiamiate come il re di Itaca, colui che ingannò Polifemo?”
Lei non aveva la minima idea di chi fosse quell’Ulisse né dove si trovasse Itaca,tantomeno conosceva quel tale, Polifemo, ma non voleva certo palesare la sua ignoranza.
“Non deve importarvi chi sono. Ho solo bisogno di scaldarmi un poco e riposarmi fino all’alba, ve lo ripeto, se me lo permettete . Però non vi vedo incline all’ospitalità, signore, intuisco un vostro rifiuto, perciò me ne vado.”
Pensò di averla offesa, ma non capì in quale modo potesse esserci riuscito.
 Pensò bene di allargare la fossa che aveva cominciato a scavarsi.
“ Perdonatemi,ma se io non sono disposto all’ospitalità è perché  non mi lasciate valutare che genere di persona siate.”
Si tolse il cappuccio.
“Adesso lo sapete.”
Ora i suoi occhi fissavano dritto verso il buio, dove lui cercava ancora di rifugiarsi.
Era giovane, con una cascata di riccioli color del rame, dotata di una bellezza non comune. Era sfrontata e decisa; tenera e crudele. Non si aspettava che sotto quel cappuccio si nascondesse una creatura tanto attraente.
Girò i tacchi e fece per andarsene. Lui fino a quel momento era rimasto nell’ombra, affinché quella misteriosa pellegrina non si spaventasse.
Si tirò su il mantello e l’afferrò per il braccio.
“Un momento”-perché lasciarsela scappare?Dopotutto era una donna.
Non appena l’afferrò, lei si sentì come in trappola. Cercò di liberarsi da quella presa così energica e al tempo stesso non poi così minacciosa.
“Lasciatemi! Trattate sempre così i vostri ospiti?!”
Nello strattonarsi lui riuscì a riportarla a sé, così vicino, troppo vicino - ancora una volta aveva calcolato maldestramente la sua forza- che lei poté intravedere da sotto il mantello un intricato groviglio di cicatrici e pezzi di pelle rabberciati come meglio si era potuto, su quella porzione di volto . Cercò di restare calma. Di certo non si trattava del conte, di peggio non le sarebbe potuto capitare. Lui mollò la presa. Lei cominciò a massaggiarsi il polso.
“Che avete da guardare?” le chiese, per sapere quanto fosse riuscita a vedere.
“Proprio niente. Perché mi avete afferrata in quel modo? Avete cambiato idea per caso? Se è così, avete uno strano modo di manifestarlo, milord.”
“Se è per questo non l’ho mai espressa. Avanti, entrate.”le fece cenno con una mano.
Era un castello di proporzioni a dir poco ciclopiche. Con dei soffitti altissimi su cui alloggiavano ritratti di antichi avi, e quadri con dei paesaggi minuscoli dove la cornice faceva da padrone. Anche la mobilia era sontuosa, un po’ passata, ma di grande effetto.
“Avete un accento strano,mia signora, da che parte della Scozia provenite?”
“Non sono di queste parti”rispose seccamente.
“Irlanda, forse, me lo suggeriscono i vostri capelli.”
“No” Ancora un’altra risposta laconica.
“E di quali, di grazia?” Con una venatura sarcastica.
“Volete la storia della mia vita,milord?Non mi piacciono gli impiccioni. Io non vi conosco. Avete biasimato me perché non mi mostravo a viso scoperto, ma pare che ora le parti si siano capovolte, non trovate? “
“Meglio così , forse.” Sapeva di avere torto.
La sua foga nel fare domande era dovuta alla mancanza di interazione sociale, ma lei non poteva saperlo.
“Come preferite, signore”
Si avvicinò al fuoco e si sedette su di un tappeto persiano con una strana fantasia di animali. Doveva rappresentare la caccia al leone, pensò.
Lui, nel frattempo, si era ritirato in un angolo della sala per versarsi un bicchiere di whisky che sorseggiò davanti alla finestra. Solo allora lei si rese conto di essere stata sgarbata .
“L’Italia è il mio paese d’origine, è da lì che vengo.”si sforzò di essere gentile. D’altronde se voleva riuscire nel suo intento doveva cercare in ogni modo di ingraziarselo.
“Ecco spiegato l’accento bizzarro. Se non fosse per quello, potreste ingannare chiunque facendogli credere di essere del posto ”fu ancora una volta sprezzante : la sua maleducazione lo irritava maledettamente.
“Già. Voi Scozzesi  avete quel dialetto incomprensibile..” lo ripagò subito.
“E’ Gaelico. Comunque rallegratevene,voi Italiani ne avete molti di più… Siete qui da molto?”
Le parole le morirono in bocca. Non riusciva a dirlo. Non trovava la forza necessaria .
“ Sono stato forse troppo invadente?”si era appena reso conto di aver fatto troppe domande.
“ Tutt’altro. E’ complicato.”non se la sentiva proprio di parlare dei suoi problemi ad un perfetto sconosciuto.
Lui si voltò dubbioso.“Mi pare una domanda semplice.”
“Circa sei mesi .” si risolse tutta insieme.
“Per tutto questo tempo vi siete aggirata per la foresta, da sola, in pieno inverno?”cominciava ad essere curioso e meravigliato .
“Sono arrivata qui con mio padre e le mie sorelle. Abbiamo una casa giù al villaggio. Loro abitano lì.”
“Voi non più?”  ”una fuggitiva, mi è capitata…”pensò.
“Non più.”abbassò di nuovo lo sguardo.
“Non c’è che dire, avete avuto del fegato ad addentrarvi nella foresta vergine e ad arrivare fino a qui. Nessuno vi riesce mai, a meno che non sia io a portarcelo e come avete potuto constatare voi stessa  non sono un gran conoscitore del galateo.”
Riuscì a strapparle un sorriso, non credeva di esserne capace.
“Siete ancora più bella quando ridete”non sapeva da dove gli fosse uscito un complimento del genere.
“Darei qualunque cosa per essere brutta. O zoppa. No, no, per essere brutta.”guardò il fuoco con un certo interesse.
Si sentì colpito nel vivo. Non capiva perché una creatura così incredibilmente incantevole dovesse aspirare ad una tale punizione, quella che lui tollerava sempre più a fatica ormai.
“Perché mai? Se è lecito.” Adesso era la curiosità a spingerlo.
“ Avrete intuito che sono fuggita, credo. Mio padre voleva che sposassi un conte delle vostre parti. E’ per lui che siamo venuti fin qui. Dal caldo sud fino al nord estremo , solo per un matrimonio. Se fossi stata brutta non mi avrebbe nemmeno sfiorata. E invece… eccomi qua, in un paese straniero, dove la tormenta non si placa né di giorno né di notte,costretta a fuggire. Egoista, vero?”aveva gli occhi lucidi ma non avrebbe lasciato scorrere una lacrima neanche stavolta.    
“Ci sono egoisti peggiori.” Era rivolto a se stesso.
Tacquero entrambi. Poi pensò a quella mezza frase che lei aveva pronunciato.
“Ha tentato di farvi del male?”
E con un filo di voce:“No, lo ha proprio fatto” l’orgoglio le trattenne il pianto.
“Non siete poi così egoista, allora.”  
Aveva cercato di sdrammatizzare. Comprese solo allora il perché di tanta aggressività: la miglior difesa era l’attacco.
“La mia famiglia sprofonderà ancor più nella miseria per causa mia. Non posso perdonarmelo, ma non mi hanno lasciato altra scelta, se non dileguarmi.”
Lui  si zittì e cominciò a riflettere. Dalla penombra in cui si trovava continuò a osservarla, mentre si rigirava nervosamente l’orlo del vestito tra le mani e altrettanto nervosamente scrutava il pavimento in legno massello, per non sostenere lo sguardo giudice del suo misterioso interlocutore.
Avrebbe voluto chiedergli di poter restare, nessuno l’avrebbe trovata lì,-anche solo una notte o due, per riposarsi e poi riprendere il cammino- ma non sapeva implorare,e in più, al contempo, l’attanagliava la paura di restare sola a tu per tu con un uomo.
 Alla fine, dopo aver scolato giù come acqua l’ennesimo whisky, si risolse in tal modo:
“Non succederà se resterete qui.”
Fu una decisione che prese all’improvviso.
Il cuore di lei era colmo di gratitudine.
Era salva.
Non aveva parole per poterlo ringraziare come si conveniva.
“Ma”- lei si sentì gelare il sangue-” ad un patto: non uscirete mai da qui. Non rivedrete mai più i vostri cari. Posso garantirvi sin d’ora che staranno bene ma non potrete riabbracciarli.”
“Che cosa?”non credeva alle sue orecchie. Non sapeva se un accordo del genere fosse meglio o peggio di andare in sposa a quel perverso del conte.
“Ogni beneficio ha il suo prezzo. Restate al mio fianco e la vostra famiglia non cadrà in disgrazia.”
“In che modo, se posso sapere?”le sembrava di stare in una di quelle favole che le raccontavano da bambina ma non riusciva ad intuire il lieto fine. Niente vissero felici e contenti all’orizzonte.
“Avranno il denaro che serve loro.”le rispose sbrigativamente.
“A questo punto non ho molta scelta, milord” -dalla padella nella brace- osservò mestamente.
“In realtà una ci sarebbe. Alzarvi  e fuggire via da qui,scappare ancora una volta . Ma non avreste la garanzia che vi offro.”continuava ad essere freddo e imperterrito, non voleva concedersi alcuna speranza.
“Perché mai dovrei fuggire?”qualcosa non le quadrava, doveva esserci un altro inganno.
“ Si dà il caso che come sono in grado di farvi restare, posso anche farvi fuggire. Volete davvero scoprirlo?”
“Avanti, ditemi.” Peggio di così, poteva solo morire.
“Avvicinatevi”sarebbe stata la prova decisiva: o se ne sarebbe andata o sarebbe miracolosamente rimasta.
Titubante, la giovane obbedì e non appena si accostò, lui accese una candela e si tolse il mantello.
Lei lo scorse per come appariva. Orrendo. Orribile. Non fu in grado di trattenere un urlo di sorpresa, ma si mise subito una mano sulla bocca come per cercare di trattenerlo o smorzarlo. Per lui fu come una sentenza, era consapevole del proprio sembiante, certo che ormai il suo fato era stato scritto.
Si stava avviando verso la porta che dava sulla grande sala d’ingresso quando lei tutto d’un fiato replicò:“Accetto la vostra proposta, signore”- l ’inaspettato -”Per un  volto sfregiato non mi darò certo alla fuga. Avete la mia parola che resterò qui”
Incredibile.
Rimase incerto sulla maniglia. Era la prima volta che qualcuno entrava nel suo castello senza esservi costretto. La prima volta che qualcuno decideva di rimanere lì, con lui, volontariamente, senza bisogno di partite a carte o altro.
“Venite dunque, vi mostrerò la vostra stanza.”non sapeva se essere felice per se o provare pena per lei.
“La mia stanza?”non pensava che i prigionieri ne avessero diritto.
“ Volete dormire sul tappeto, per caso?”
“…no…”
“Allora seguitemi”
Avrebbe voluto fare ancora della conversazione con la sua giovane ospite ma non aveva più argomenti .In tutti quegli anni, rinchiuso nella sua fortezza di solitudine, aveva dimenticato in cosa consistesse una normale chiacchierata.
Inoltre si era appena rivelato a lei. Non sarebbe più riuscito a guardarla senza accorgersi della sua pietà.
La condusse al piano superiore, oltre l’immenso scalone d’ingresso,alla terza porta.                       Era ancora disorientata da quello che era appena successo.
Aveva privato  la sua vita della  libertà per sempre?La sua famiglia non sarebbe caduta in disgrazia se lei si fosse nascosta al mondo così come aveva fatto quella strana creatura: era l’unica garanzia a cui aggrapparsi fermamente.
Il lato positivo era che non l’aveva costretta a sposarlo. Doveva solo “restargli accanto” , come lui aveva richiesto. Non doveva considerarla un’impresa  così difficile, doveva trattarsi di un uomo come gli altri, con pregi e difetti, con vizi e virtù.
Il fatto che mezza faccia fosse tumefatta non rappresentava per lei una grave notizia, dopo il primo impatto. In fondo, nessun uomo poteva essere peggio di quello da cui  era per ora riuscita a sfuggire. “Un uomo brutto non è necessariamente malvagio.” ebbe modo di riflettere.
“La vostra stanza, Miss…?”
“Il mio nome non è traducibile nella vostra lingua. Chiamatemi come volete, non credo abbia molta importanza.” Era affaticata e  certe domande, quando era in quello stato, la infastidivano.
“ Come preferite. Voglio che sia chiaro questo però: voi non siete qui in qualità di mia serva o di mia prigioniera, per quanto vi sembri di esserlo. Siete padrona di fare ciò che volete nel perimetro del castello, potrete disporre di ciò che mi appartiene come più vi piace. ”
“Sì” anche se le sembrava una precisazione inutile. Non avrebbe saputo cosa fare con tutta quella roba.
“Allora buonanotte, mia signora”
“Buonanotte, milord”
Lui si ritirò nel suo studio.
Lei adesso si trovava così poco distante, che le speranze si riaccesero di colpo.
Forse era davvero possibile amare e lasciarsi amare a propria volta,anche se non esisteva niente di più arduo, di più emozionante e spaventoso al tempo stesso.
Ripensò a come sarebbe stato di gran lunga più facile riuscire a corteggiarla, a farsi  ben volere e a sposarla, se solo lui avesse avuto un’ immagine più gradevole. Ma era solo utopia ormai.
 Su di lui non gravava una maledizione da sciogliere come in certe fiabe d’oltre Manica. Non era un mostro dal cuore tenero -oh no- poiché lui, mostro, lo era sempre stato.
Certo, non era nato così. Era un uomo come tanti se ne vedono, fino a qualche anno prima .
Dieci anni erano già trascorsi, nel completo isolamento, immerso nello sconforto e nel pentimento. Era stato punito .
Tutto scaturì da una diatriba tra la sua famiglia e quella vicina per una questione di confini. La famiglia rivale voleva estendersi nei suoi terreni e così fece, lasciando pascolare lì le proprie greggi.
In mancanza di una figlia femmina da poter sistemare con lui,preferirono usare la prepotenza. Questa fu subito ricompensata .Uccisero tutte le pecore intruse, le macellarono, ne mangiarono la carne e fecero lavorare la lana grezza per mandare il risultato alla famiglia avversaria: voleva essere un avvertimento. Ecco cosa succede a chi si infiltra abusivamente nelle nostre terre: gli facciamo la pelle. Fu una sua idea, rammentò e la pagò salatamente.
Di ritorno da una serata di gozzoviglie con i suoi compagni d’armi, ubriaco fradicio, fu assalito e condotto nelle segrete del castello nemico. Fu seviziato e torturato finché non subì lo stesso trattamento: mancò poco che non lo scuoiassero veramente. Gli provocarono delle ferite tali che non era più riconoscibile, eccezion fatta per la parte sinistra del volto: doveva ricordarsi tutti i giorni com’era e com’è, per sapere cos’aveva perduto e per far ciò doveva vivere: per questo non lo scorticarono, non fu compassione o debolezza, ma disumanità. Lo avvolsero in un lenzuolo e poi nella lana che poco tempo prima era stata loro consegnata come avvertimento: “Ecco la vostra pecora: la vecchia lana sarà la sua nuova pelle,poiché la propria adesso ci apparterrà per sempre.”
Lo avevano trattato da pecora, nient’altro. Era un animale di cui sfruttare solo la carne ormai, perché del manto era già stato barbaramente privato.
Era l’unico figlio maschio. Per fortuna le sue sorelle non lo videro in quello stato, perché già maritate.
Ci volle tutta la forza di volontà di sua madre per rimetterlo in sesto. Fu il suo ultimo gesto, ricordò, poi se ne andò con Dio.
Il padre invece non volle più rivolgergli la parola, ne avere alcun che in comune, specie dopo la morte di sua moglie. Ma c’era un motivo ,per questo astio apparentemente incomprensibile.
 Quando le ferite cominciarono a rimarginarsi e vide lo scempio che avevano fatto di lui, la furia lo colse. Non sosteneva il suo stesso sguardo davanti allo specchio, non che fosse vanitoso, ma aveva sempre fatto del suo fisico un’arma di seduzione in più con le donne che fino ad allora erano cadute ai suoi piedi, che bramavano anche solo una notte con lui . Sapeva attirarle con i suoi racconti sulle guerre fronteggiate,sapeva affamarle di sé al punto, talvolta, da farle apparire quasi ridicole. Era crudele con loro perché erano tutte tristemente identiche, l’annoiavano alla lunga. Non più di una notte, si ripeteva sempre. Ogni tanto desiderava avere accanto qualcuno che corresse veloce quanto lui, non solo una bella bambola da ammirare,ma testa, cuore e sangue pulsante. Voleva passione nella sua vita,qualcuno altrettanto brutale, altro da sé, ma dolce e brutale. Da allora niente di tutto questo sarebbe più successo, nient’altro poteva ormai desiderare.  
L’orso inferocito aveva tolto di dosso il vello lanoso che lo nascondeva.
 Entrò furtivo nel loro castello e li uccise selvaggiamente tutti: padre, madre e tre figli.
 Li riteneva colpevoli e lo erano in effetti. Adesso anche lui. Ma non lo capì subito: quando comprese ciò che aveva commesso, ben al di là delle torture subite, era troppo tardi. Nessun pentimento avrebbe potuto portarlo indietro. Nessuna redenzione sarebbe stata praticabile. Ebbe il tempo di nascondere le prove del suo passaggio, dando fuoco a tutto. Fu un incendio di dimensioni considerevoli poiché  furono necessari tre giorni  per sedarlo e uno dei cadaveri dovette incenerirsi all’istante , addirittura, tanta fu la potenza della fiamma, perché non fu mai rinvenuto. Nessuno in paese osò mai ipotizzare chi fosse il colpevole di quella strage: solo la sua famiglia sapeva,il villaggio taceva seppur consapevole .
La madre, che si era affettuosamente presa cura di quel figlio tanto amato , ora ridotto ad uno scherzo della natura, non resse l’onta di cui si era macchiato e si suicidò.
Il padre non fu certo incline al perdono. Gli piangeva il cuore nel vederlo ridotto in quelle condizioni ma non tollerava di avere tra le mani un assassino . Non perché avesse ucciso cinque persone a sangue freddo, in preda alla furia cieca, no. Era disposto a comprendere quel suo folle gesto: l’orgoglio ferito di un uomo ha modi diversi e particolari di risolversi. Non tollerava che avesse ucciso sua moglie, seppur indirettamente. Nemmeno in punto di morte lo assolse, non volle vederlo. Morì da solo ,poco dopo la sua consorte, mentre il figlio sommessamente piangeva al di là della porta della sua camera. Nonostante questo, suo padre lasciò scritto nel testamento che , come spetta ad ogni figlio maschio, avrebbe ereditato tutto. Il povero vecchio non ebbe molte opzioni: lasciò il patrimonio di famiglia nelle mani di un carnefice, di un essere ributtante e spietato al quale aveva voluto più bene che alla sua stessa vita, fino alla fine, poiché fino ad allora lo aveva protetto dal mondo .
Erano passati dieci anni. Era diventato un essere deforme all’esterno. Ma il mostro dentro? Quel gemello perverso che vive in ognuno di noi ed è affetto da svariate manie?Dov’era finito? In quiescenza , pensò, come quel vulcano, in Italia, il Vesuvio.In effetti si assomigliavano, gli capitò di notare. L’Italia, lei. Avrebbe mai potuto amarlo? Certamente no, come avrebbe potuto?   
Si era presentata così sprezzante e scortese, come anche lui sapeva essere, da rendersi adorabilmente fastidiosa. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi, a qualcuno, per liberarsi da quel fardello opprimente. Ma chi avrebbe amato un mostro, un folle omicida?
Ebbe paura di sé per un attimo e della collera cieca che lo invase quella notte fatidica e che non si era più manifestata: evidentemente era stata saziata, ma sarebbe sempre potuta tornare alla ribalta con delle nuove pretese.
 Era certo in quel momento di un unico fatto : se lei fosse rimasta lì con lui,  con la sua sola presenza, niente del genere sarebbe più accaduto.
 
La mattina giunse in  un baleno.
Lei si svegliò , incredula di essere riuscita ad addormentarsi. Il pensiero volto alla perdita della propria libertà aveva lasciato il posto alla stanchezza. La sua camera si era rivelata  più confortevole di quanto avesse osato immaginare, anche per questo non le fu difficile prendere sonno.
Aveva deciso istintivamente di restargli accanto perché non vedeva in lui una minaccia,- iniziò a pensare- nonostante il suo aspetto poco rassicurante. Era lì per fare la moglie?La dama di compagnia? Non le era chiaro, questo. Osservò che se avesse desiderato qualcosa del genere , probabilmente non avrebbe esitato ad obbligarla a giacere con lui. Ma non era successo. Forse avrebbe dovuto chiedere, forse ancora era meglio che stesse zitta ed evitasse la figura dell’idiota. Si era già distinta nel non sapere chi fosse quel dannatissimo Ulisse.
”Ci sarà una biblioteca, qui da qualche parte, accidenti.”
Non sopportava l’ignoranza né tantomeno l’essere inferiore agli altri. Prediligeva i trattamenti da pari a pari. In effetti, lui da pari l’aveva trattata, nonostante , era ben evidente, fosse di rango superiore. I suoi vestiti erano ancora umidi. Non poteva certo aggirarsi nei meandri del castello con la sola sottoveste, perciò si avvolse nella coperta sopra il letto,una specie di pelliccia maculata, ed uscì dalla sua camera senza prendere in considerazione il fatto che era anche dotata di un vistoso armadio.
 Iniziò la sua avventura osservando attentamente ogni dettaglio, ogni ritratto, finché non percepì un respiro pesante dietro di sé: “ State andando nella direzione sbagliata, mia signora.” Quegli occhi verdi e penetranti la guardavano dritto negli occhi, adesso.
“Avete una biblioteca qui?O dei libri comunque?”chiese, sorvolando il fatto che sembrava notevolmente alterato.
“ Da quella parte .”cominciò a squadrarla da capo a piedi. Doveva essersi appena svegliata, notò fra sé. Quei capelli scarmigliati, i piedi nudi e quella pelliccia addosso le conferivano un certo fascino selvaggio, forse un po’ ferino che di sicuro non le apparteneva, ma che sapeva recitare con convinzione, seppur inconsciamente.
“Beh?Che avete da guardare?”si strinse ancor più nella seconda pelle che portava addosso.
“No, niente..”notevolmente imbarazzato, cominciava ad abituarsi a quel fare di lei un po’ insolente, trovandolo quasi grazioso.
“State per ridere,milord, lo vedo. Fate ridere anche me.”
La trovò attraente con quel  modo di fare così schietto e naturale. Non un’ombra di compassione o trasalimento nel vederlo. Lo rasserenò questo, lo distese, nonostante il disappunto nel vedere che lei stava prendendo la direzione del suo rifugio.
“Non vi siete vestita,milady.”
“ Non sono nemmeno nuda. ”
Si stupiva di sé stessa ogni volta che apriva bocca davanti a lui. Le sembrava di essere sempre più sgarbata, volgare e troppo in confidenza con un uomo che era pressoché un estraneo.
Le veniva naturale e questo la spaventava. Non era da lei l’ arroganza.
“Siete sempre così schietti voi italiani?”il tono ironico si era dissolto.
“Perché vi infastidisce?” avrebbe dovuto riflettere, arrossire e scusarsi. Invece no.
“Beh… ecco..”
“Vi tolgo da un imbarazzo: non sono una lady inglese, questo credo l’abbiate appurato da solo. Dunque non c’è da pretendere che mi comporti come tale, mi auguro. Sono di un ceto inferiore al vostro, è ben evidente anche questo. Abbiamo costumi diversi perché proveniamo da mondi diversi. Ho ragione?”
Pessima, assolutamente pessima, avrebbe dovuto non parlare, ne era certa.
“In realtà  non mi dispiace se siete così diretta. A volte l’etichetta complica maledettamente i rapporti. In ogni caso, nella vostra camera è presente un guardaroba, apritelo pure e troverete ciò di cui avete bisogno. Sempre meglio del copriletto che avete addosso.”cercava di rendersi affabile, ma non si rendeva conto di averla appena derisa.
Lei lo fissò odiandolo. Ancora una volta si era sentita da meno. Passò oltre e tornò nella sua stanza. Scaraventò via quella pelliccia e spalancò le ante dell’armadio. Avrebbe dovuto guardare la stanza con più attenzione: c’erano vestiti d’ogni tipo, foggia, colore o fantasia. Ne scelse uno a caso, blu rifinito con un nastro oro sul fondo e sul petto. Si raccolse rapidamente i capelli ,ricci  indisciplinati anch’essi. A quel punto si affacciò fuori dalla camera: via libera. Si recò in direzione della biblioteca ma non aveva idea di quale porta potesse essere. Le aprì tutte ma si trattava di stanze da letto. Salì una rampa di scale e si trovò di fronte ad una porta maestosa. O si trattava della biblioteca o si trattava della stanza del padrone del castello. Per fortuna si rivelò esatta la prima opzione. Con fatica tirò le tende di velluto, quanto mai pesanti, per far entrare la luce. Era una collezione davvero ben fornita e divisa ingegnosamente in settori. Pensò che Polifemo potesse essere una creatura fantastica e cercò il settore mitologico. Un libro sulle creature della mitologia la informò su chi fosse il Ciclope e come fosse stato accecato da Nessuno, in realtà Ulisse, nell’Odissea di Omero. Si mise a cercare  anche quella. Si accomodò ad una scrivania e cominciò a leggere.
Così passarono i giorni,poi le settimane. Lei girovagava per il castello,scoprendo così la cucina, le cantine, la sala da musica, con ogni genere di strumenti provenienti da ogni paese, incappando di quando in quando nell’altro inquilino,se non si assentava . Si ritrovavano alle ore dei pasti , scambiando, solo talvolta, qualche parola .
Tanto lei era loquace, tanto lui rasentava il mutismo.
 
Una notte lo sentì gridare a squarciagola. Si precipitò immediatamente fuori dalla sua stanza per andare ad aiutarlo, ma non sapeva da che parte andare. Nella fretta, pensò bene di salire quei gradini che settimane prima lui  non le aveva fatto varcare. Dopo una rampa, cominciò una scala a chiocciola, proprio quando lui gettò un altro terrificante urlo che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Andò su più velocemente che poteva: pareva quasi che lo stessero uccidendo.
Entrò in punta di piedi, per non farsi sentire dal possibile intruso che lo stava assalendo così furiosamente. Il letto era un baldacchino, ne scostò le tende con cautela:  lo trovò da solo, seduto in mezzo al letto, con gli occhi spalancati, le mani tra i capelli e il respiro affannato, madido di sudore.
“Che ci fate qui?! Sparite. Non dovete mai entrare qui!”grugnì, alzando gli occhi spiritati verso di lei.
Non si lasciò intimorire e fece l’unica cosa che le venne in mente, un rimedio di sua madre. Si mise in ginocchio davanti a lui che la allontanò, spingendola bruscamente sul fondo del letto, intimandole ancora una volta di andarsene. L’aveva fatta intestardire e adesso sarebbe andata fino in fondo.
Dall’ estremità dove si trovava si mosse carponi e gli urlò contro di stare fermo, mentre lui le rispondeva per l’ennesima volta di lasciarlo solo.
Gli urlò contro di nuovo.
 Doveva essere riuscita a farsi intendere perché ad un certo punto  gli tolse le mani dalla testa con una certa decisione, e ci mise le sue. Si avvicinò al suo orecchio, con  voce flebile :
“E’ un rimedio vecchio come il mondo, ha sempre funzionato. Calmatevi e state in silenzio. Apostrofatemi ancora così e vi lascerò solo, di nuovo.”
Le difese di lui in quel momento crollarono. Non gradiva che se ne andasse.
“Voi non sapete, non volete proprio capire…”stava quasi ringhiando.
 Era sconvolto, era come se tutto il suo corpo traviato raccontasse la sua disgrazia.
“E non voglio sapere, sono fatti vostri.”era inspiegabilmente pacata ” L’importante è che stiate bene. Ho pensato che vi stessero scannando.”aveva il suo viso tra le mani e lo inclinò guardandolo negli occhi” Ho temuto per voi, invece avete solo avuto un incubo.”le riusciva sempre più semplice guardarlo negli occhi dopo le prime volte.
Lui cominciò a stringerla a sé. Non capiva troppo bene quello che stavano facendo, si rendeva solo conto che il calore di quelle mani lo stavano tranquillizzando; la vicinanza del suo corpo lo rendeva più sicuro. Il respiro si faceva via via più regolare, lo sentiva, aveva il volto di lui premuto sul petto. In quel momento, istintivamente lo abbracciò. Non sapeva né perché né fin dove si sarebbero spinti: quando si trovava sotto pressione agiva d’istinto, faceva la cosa che le sembrava più giusta, senza pensarci due volte.
Lui si tirò su , le sembrava che si fosse ripreso.
“E’ passata adesso?...”glielo chiese con degli occhi  così gentili che si stupì lei stessa di come quell’uomo così mal ridotto riuscisse a farla diventare migliore.”…allora buonanotte”
L’afferrò per un braccio,ancora una volta: era il suo modo di chiamarla” Vi dispiacerebbe restare qui stanotte, solo stanotte? Non farò niente di sconveniente, ma dormite con me.”
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata quella richiesta , ma non pensava che l’avrebbe  manifestata in quelle condizioni. Lo guardò bene, grazie al  chiarore della luna,senza il disprezzo che lui pensava nutrisse,e con il pollice sottolineò quella cicatrice in tralice ,più marcata delle altre, in mezzo al volto , linea di confine tra il mostro e l’uomo. Lui chiuse gli occhi con rassegnazione.
“D’accordo , se vi aiuterà a riposare.”
Ancora una volta era riuscita a sbalordirlo. Il  linguaggio dei segni e del corpo di lei era completamente diverso, esulava dalle sue conoscenze. Se aveva intuito qualcosa, poteva star sicuro che lei intendeva l’esatto contrario.
Lui era solito  dormire a torso nudo, perciò non poté non vedere lo scempio che qualcuno aveva eseguito di quell’uomo , chissà quando, chissà perché.
 Intese che non era nato così.
Gli accarezzò il petto, lo baciò su una guancia e gli diede di nuovo la buonanotte.
Aveva visto affiorare l’uomo sepolto tra quei rammendi di carne e aveva udito il grido della bestia. Non aveva paura, non provava pietà. Era ciò di cui aveva bisogno. Si rendeva conto intimamente che non poteva fare a meno del contatto con lui.
 
Era profondamente scosso.
Ancora una volta  quelle notti erano tornate a tormentarlo.
 I cadaveri, l’incendio, la madre morta, le sue torture. Stavolta però non era solo, non aveva gridato straziato dal dolore senza ottenere aiuto.  Aveva ricevuto un abbraccio, un bacio, della comprensione forse, da una perfetta sconosciuta. Una forestiera, per giunta.
Passionale, gli era sembrata. Istintiva,senz’ ombra di dubbio. Una donna britannica non  gli avrebbe asciugato il volto,non l’avrebbe tenuto fra le mani, non avrebbe lasciato che un estraneo la stringesse, la toccasse,almeno non se in preda a chissà cosa e disfatto come lui era . Ma lei aveva lasciato correre. Sapeva di cosa aveva bisogno e glielo aveva dato,senza tante cerimonie, senza dover mendicare, nonostante lui le avesse grugnito contro più di una volta. Lei aveva risposto altrettanto, non si era arresa con lui, aveva utilizzato le sue stesse armi. Era stata brutale. Finalmente qualcuno, pensò fugacemente. Alla fine si addormentò cingendole il fianco con un braccio.
Il calore della sua mano sul suo ventre la svegliò l’indomani. Che presenza stranamente gradevole.
 Lei cercò lentamente di rigirarsi , per non disturbare il suo sonno ritrovato,ma di scatto aprì gli occhi.
 Aveva paura di lei.
 Le aveva chiesto di restare solo perché  era riuscita a calmarlo inspiegabilmente, ma adesso, da sveglio, non reggeva il confronto del corpo  morbido e voluttuoso di lei con il suo, martoriato e ricostruito quasi al rovescio .
Temeva di essere sbeffeggiato, aspettava con rassegnazione da un momento all’altro una sua sonora risata o qualcosa del genere. La desiderava ma la temeva. Voleva allontanarla perché non conoscesse meglio la bestia che si celava dietro quel fantoccio d’uomo. In quel momento lo stava scrutando con quei suoi occhi celesti, due finestre aperte per conoscere lui soltanto. Un brivido gli attraversò la schiena, immaginando i suoi pensieri.
Lei si tirò indietro ma lui la riavvicinò senza pensarci. Aveva sbagliato, era troppo vicina, la luce del giorno sarebbe stata impietosa. 
“Buongiorno” gli sussurrò.
“Buongiorno a voi.”balbettò.
 Nessuna risata fragorosa.
“Vi sentite meglio?” chiese accarezzandogli il volto.
“Grazie per essere rimasta. Nessuno si sarebbe prestato a tanto per un mostro, perché è quello che sono.”
“Se parlate del vostro aspetto,beh, è sciocco chi vi giudica dalle apparenze” si era alzata sulla schiena. I capelli le ricadevano dolcemente sulle spalle e sui fianchi.
“Allora  il mondo è pieno di idioti?”La guardava disteso, poteva ammirarla meglio così, lei nemmeno se ne era accorta.
“Chi vi ha fatto tutto questo lo è.”
“Come lo avete scoperto ?”
“Non sarò colta come voi, ma non sono nemmeno stupida. E’ovvio che non siete nato così . Dubito che siano ferite di guerra. Siete stato prigioniero,forse, certo è che vi hanno torturato.”
“Nessuna guerra.”
“mh…Allora anche voi potete capire cosa vuol dire quando si viene violentati e depredati di qualche cosa di prezioso , cui fino ad allora non si era data la giusta importanza. Dovete aver sofferto . E… soffrite ancora, non è vero?”
Lui rimase in silenzio. Stava abbattendo con una delicatezza disarmante tutti i suoi segreti, le sue maschere ,senza farne una tragedia.
“Sono stato punito per un errore che ho commesso. Solo che poi ho perso il controllo …”
“Avete punito il vostro carnefice? Avete avuto più coraggio di me. Io sono scappata.”
“Non era  coraggio ma orgoglio ferito . Quanto a voi, la vostra famiglia è salva, non rammentate più il nostro patto?”
“Come posso averne la certezza?”
“Sono stato due settimane lontano da qui per sistemare alcuni miei affari, tra cui il nostro accordo. Se volete , vi mostrerò un documento della banca che vi confermerà il mio versamento miss Mackinny?”
“Sì , siamo noi. Sarebbe Maccini, in italiano. Ma voi britannici preferite storpiarli i nomi stranieri. Così abbiamo preferito  una traduzione . Allora me lo mostrerete il documento?  ”
“Certamente.” Ci fu un breve silenzio. Lei cominciò a inclinare gli occhi verso sinistra, riflettendo.
“E’ come se mi aveste comprata in fondo…”non affiorava sarcasmo dalla sua voce.
Aveva ragione, di fatto si era trattato di quello.
Ogni penny era ben speso per una donna come lei. Di fronte alla sua consapevolezza non sapeva controbattere. Avrebbe voluto solo essere migliore per averla tutta per sé , senza ricatti o contratti.
Aveva intuito di aver colpito il punto debole, laddove non c’erano scuse.
“Sapete, ho sempre avuto una domanda che mi circolava per la testa..” continuò.
“Dite, allora…”
“Perché avete voluto comprarmi? Perché avete voluto me? Perché prestare aiuto ad una sconosciuta? “
“  Una donna non mi sposerà mai consensualmente, lo capite?Se vi avessi aiutato, sareste rimasta e ,in un certo senso, avrei compiuto pure una buona azione. A volte le persone ridotte come me non sono animali dentro, altri invece lo mostrano fuori e tengono il peggio nascosto nell’anima.”
Lei rimase un attimo a pensare e poi:
“ Devo considerarmi una sorta di sposa?”
Non sapeva che cosa risponderle,anche se le avrebbe detto volentieri di sì:“Se vi piace…”
Lo guardò con una dolcezza con cui per un attimo non si riconobbe proprio.
“Volete condividere il tormento che vi schiaccia?”aveva cominciato ad accarezzargli il petto,involontariamente, non sapeva come smettere, era come senza freni.
“ Non mi lascerete?”il suo era un accorato appello.
“E’ così agghiacciante quello che avete commesso?”cominciava a commuoversi.
Smise di accarezzarlo e la sua mano si fermò alla base del collo , dirigendo il pollice su è giù per il pomo.
“Oh sì. Ma promettete…”al contempo le mani di lei sul suo collo avevano cominciato ad eccitarlo.
Quella amabile creatura aveva cominciato uno strano gioco tattile che lo stava sempre più intrigando.
“ Non mi muoverò da qui” voleva incoraggiarlo a sfogarsi.
Lo rassicurò il suo piglio deciso.
Era pronta ad addentrarsi nella tana dell’orso ,oramai si era spinta troppo nel profondo per tornare indietro; il padrone di casa si era rivelato un essere umano profondamente complesso, estraneo dagli uomini che fino ad allora aveva conosciuto.
“Sappiate che sono pentito. Sono passati dieci anni… Sono un assassino,un omicida, un ripugnante criminale. Chiamatemi con l’appellativo che più vi aggrada. Allora? Siete  ancora disposta a restare ?”
“Ditemi perché avete ucciso.”
“Per vendetta. Mi avevano fatto questo.”indicando se stesso” Ho distrutto tutto. Ho perso la ragione. Ero come impazzito.”
“ Quanti?”
“Tutta la famiglia. Cinque in tutto.”
Lei avvertì la vergogna e il rimorso sul suo volto.
“Mia madre si suicidò per questo. Mio padre non riuscì a perdonarmelo. Ho ucciso anche loro..”
Si adagiò accanto a lui e gli strinse le mani, intrecciandole con le sue.
“No che non li avete uccisi. Certe persone sono più fragili di altre. Inoltre, il perdono è difficile da concedere, specie per atti di questo tipo.”
“Non cercate di giustificarmi…”il suo tono fu durissimo .
“Oh ma io non vi giustifico affatto.”non aveva mai smesso di guardarlo dritto negli occhi.
“Che cosa?”
“ Vedete, avete fatto il giustiziere di voi stesso quando era già pronta la punizione eterna per un errore che non avevate ancora commesso. Avete pagato in questi dieci anni. E pagherete fino alla fine dei vostri giorni. Siete come morto al mondo. Non vi pare una pena sufficiente?Anche gli uomini come voi hanno bisogno di ritagliarsi uno scampolo di vita felice. Pagherete per sempre,certo, ma non sprecherei la vita a piangermi addosso, cercherei di compiere delle buone azioni, per un minimo di riscatto e a godermela almeno un po’ l’esistenza. Ciò non significa dimenticarsi degli errori commessi. Vivere è più difficile che morire, ricordatevelo.”
Nel frattempo , mentre gli parlava, così vicina, aveva avuto modo di osservare il suo corpo,di nuovo. Reso più visibile adesso perché indossava la sola veste da notte. Alcuni bottoni erano saltati in corrispondenza dei seni , tanto che a seconda di come si piegava un capezzolo o l’altro facevano capolino. Non appena lei se ne rese conto, arrossì di colpo. Paradossalmente,provava pudore nel vedere il suo corpo nudo, così come lui del suo. Si coprì con le mani, come meglio poteva.
Lui si rese conto che la conversazione era giunta al  termine, non poteva andare oltre, per quanto gli sarebbe piaciuto fare l’uomo, una volta ogni tanto.
Le sue parole gli avevano infuso una forza del tutto nuova. Si alzò dal letto e infilò la porta del bagno.
Sebbene fosse ancora preda dell’imbarazzo , in specie dell’insicurezza creata dalla sua seminudità, dalla mancanza di indumenti atti a coprire la pelle, avrebbe voluto ancora  il suo braccio intorno alla vita.
Che sensazione strana, anzi, che voglia strana, perché lo richiedeva ancora?
Lei non doveva mica: lui era il suo carceriere .
Era già scivolata via dal letto , quando se lo ritrovò di fronte,di nuovo.
Le sembrava ancora più alto del solito, imponente come un orso su due zampe.
In un attimo, tutto le fu così chiaro e confuso insieme, si sollevò sulle punte dei piedi, gli afferrò la nuca, infilò le dita tra i suoi capelli e lo baciò con un’intensità fino ad allora sconosciuta, per entrambi.
Non appena le loro labbra si staccarono, lei si lasciò solo il tempo di dirgli:” E’ colpa mia.” E corse via dalla sua stanza.
Era rimasto lì in piedi, completamente frastornato. Non aveva avuto il tempo di rendersi conto di cosa era appena accaduto alle sue labbra, nemmeno di rispondere al bacio.
Era stata lei a prendere l’iniziativa, non l’aveva immaginato. Cominciò a chiedersi perché l’avesse fatto: la solita compassione? Un gentilezza al condannato?
Probabilmente  doveva vederlo come un essere patetico e malvagio.
Si era anche pentita di quel bacio .
Però, tutto quel trasporto…l’espressione nei suoi occhi,  forse si era trattato solamente di un impulso fisico che si era scontrato con la sua deformità .
Una reazione inconsulta,ma sì certo.
 O forse no. Doveva scoprirlo.
Lei si era diretta svelta in camera. Aveva chiuso la porta dietro di sé e si era lasciata cadere giù per terra. Stava ridendo, tra le lacrime che le incorniciavano il viso.
Le aveva confessato il peggio. Le aveva mostrato il suo lato oscuro e lei lo aveva accettato. In seguito,era stata in grado di provocare ciò che nemmeno lei si aspettava di fare: era come accecata , in quel momento, aveva bisogno di un contatto ravvicinato, così come gli occhi di lui, velatamente, la pregavano.
Un bisogno, una necessità, un istinto da soddisfare. Tutto qui.
Lei lo aveva attirato a sé. “Chissà cosa starà pensando di me”si lamentò.
Si decise a rivestirsi in fretta e a pettinarsi a dovere, quando lui spalancò la porta e la richiuse violentemente.
Sembrava fuori di sé .
Quei suoi occhi verdi, come le colline della sua terra,erano ancora più spalancati,tutta la pelle del viso subiva una strana tensione. Lei incominciò ad indietreggiare verso il letto , nel tentativo di arrivare vicino alla finestra, ma lui fu più veloce e riuscì come a catturarla.
 Ora aveva seriamente paura:anche lui le avrebbe inflitto lo stesso trattamento del conte?
Era un uomo, in ogni caso.
La teneva in una morsa potente,tanto che non riusciva nemmeno a divincolarsi. Proprio mentre lei era convinta che di lì a poco sarebbe cominciata una nuova tortura, lui cominciò a portare le mani di lei dietro la sua schiena :“Ancora…”le sussurrò ad un orecchio. Lei sorrise, ma continuava ad essere spaventata intimamente. Non era ancora finita.
Aveva intrapreso ad accarezzarle il braccio e poi giunse su fino al volto: poteva toccarla finalmente. Si avvicinò con una timidezza tangibile, sorprendentemente tenera .
Aveva paura di essere rifiutato, di non esserne degno, di non averne più diritto. Lei non riusciva a riflettere: era come annebbiata, gli occhi di lui erano penetranti a tal punto da ipnotizzarla.
La baciò con meno fretta della prima volta, sebbene l’impeto si fosse ugualmente conservato. La premette contro di sé con forza finché non  la sentì abbandonarsi interamente tra le sue braccia.
 Le  mani di lei intorno al suo collo furono subito una presenza piacevole.
“ Vi sentite ancora colpevole?” voleva delle risposte.
“Perché lo avete fatto?”con un filo di voce. Era come stordita.
“Potrei farvi la stessa domanda.”
“Non lo so. In quel momento non ho ragionato molto.”
Il che era la verità. Qualcun altro aveva riflettuto per lei in quell’istante fatale.
La stava stringendo sempre più forte, aveva cominciato ad accarezzargli il collo, con una certa foga , fino a scendere all’altezza del seno. Le mani di un uomo sul suo corpo, di nuovo.
In quel momento fu lei a volersi fermare.
“Aspettate…io.. io non posso…io sono..” di nuovo nella mente era
riemerso quel ricordo assordante.
Capì subito cosa voleva dire.
Era solo una fanciulla.
 Avrà avuto almeno vent’anni meno di lui. E aveva subito quel torto gratuito , peraltro.  Allentò la presa su di lei, ma non se la sentiva proprio di lasciarla.
Non sapeva come dirglielo: non si tirava indietro perché non lo volesse, anzi, ne era uscita stupendamente eccitata; né per il suo aspetto, nemmeno lo contava più,o forse non aveva mai preso in considerazione la sua storpiatura, ma perché era una vergine, una donna che non aveva mai assaporato il calore di un uomo, se non quella volta, malamente, quando aveva subito quella violenza, quella rapina triviale.
Lui era un uomo fatto, chissà quante donne avrà avuto tra le mani prima di lei .Non doveva essere spiacente prima dello sfregio, osservò, quindi le donne su di lui dovevano cadere come la pioggia da quelle parti. Non avrebbe potuto dargli il piacere che cercava, soddisfare le sue esigenze di uomo maturo, sapeva di non essere all’altezza.
Inoltre, c’era un’altra ragione per frenarsi, un motivo che non voleva né sentire né vedere, ma che era riuscito a farsi strada nella sua mente: il cuore.
Cosa provava per quell’uomo?
Perché,se aveva deciso di baciarlo e lasciarsi baciare, qualcosa voleva pur dire.
Per quale motivo lasciarsi toccare, accarezzare, stringere e fare a lui altrettanto, quando con una parola l’avrebbe subito respinto?
Non bramava la sua lontananza. Le mani di lui addosso, che la esploravano, le avevano fatto dimenticare l’orrore di quell’episodio cui non sapeva dare un nome preciso. Non voleva dargli un nome. Non doveva essere un peso da sobbarcarsi, ma una macchia da pulire soltanto. Si sarebbe dissolto, giorno per giorno.
 Si stupiva di sé stessa nel parlare con lui, la rendeva migliore in qualche modo e forse lei era riuscita a fargli lo stesso effetto. Poteva amarlo?
Amore…amore…nessuno glielo aveva raccontato. Sua madre era morta troppo presto. Non c’è una ricetta, non ci sono istruzioni, a volte nemmeno indizi. Succede, come un ciclone passa, prende e porta via. L’importante è stare dentro al suo turbine e lasciarsi trasportare via con esso. Forse se ne era innamorata sul serio. Il panico l’avvolse. E ora, che fare?
Lui sperava che dicesse qualcosa, ma lei era pensierosa. Ad un certo punto gli parve di vedere ancora della paura aleggiare sul suo volto. Per l’ennesima volta pensò che fosse colpa del suo aspetto. Poi che fosse colpa della sua confessione,troppo repentina, forse, si lambiccò tra sé . Eppure…sembrava desiderosa quanto lui…Era confuso.
 Lei si era fermata . Certo, se fosse stato per la sua bruttezza lo avrebbe fatto anche prima. Forse il modo: troppo brusco, troppo in fretta, troppo ingordo. Lui aveva fame.
Di lei, solo e soltanto. Questo lo fece riflettere.
Se la fame fosse degenerata in qualcosa di altro?
Se l’inumano fosse stato in agguato?
Se il volere lei sola fosse una predilezione della Bestia nascosta?No, non poteva essere. Non doveva. Lei era stata la sua cura quella notte. Che potesse essere anche il contagio?
 “ Andate adesso, ve ne prego, signore. Tra poco sarà l’ora del pranzo , ci vedremo giù di sotto. E’ meglio così. Perdonatemi. Non è colpa vostra. Sono io ad essere sbagliata. Ho sbagliato.”
Pensava che avrebbe visto il disprezzo palesarsi sul suo volto, la vergogna di essersi abbassata a lasciarsi prendere da un uomo così repellente e invece no. Stava implorando, a suo modo, anche se lui non immaginava il perché.
Tolse le mani che fino ad allora erano rimaste sui suoi fianchi con notevole reticenza- faceva fatica a controllarsi con lei così vicina,tra le braccia-  e si avvicinò al suo viso:
“Io non lo credo” e se ne andò.
Avrebbe dovuto dirgli la verità. In ogni caso sarebbe stato liberatorio.
 Lui ambiva solo il suo corpo,l ’aveva compreso, aveva bisogno di sfogarsi e quel che è peggio era stata lei a provocarlo fino a  quel punto, a desiderarla violentemente, a scoperchiare quel vaso come una novella Pandora.
 Aveva sbagliato, ne era certa.
Volevano appagare istinti diversi, secondo lei.
Lui bramava il suo possesso, anche solo per una notte. Ne era convinta.
E lei? Cosa pretendeva da lui?Per quanto avesse chiarito il suo cuore, rimaneva sempre qualcosa di non detto,c’era sempre qualcosa che mancava.
Non avrebbe dovuto pretendere niente da lui, si disse, lei lo aveva stuzzicato stupidamente e lei sola avrebbe rimediato al danno.
 Ma era davvero un danno poi?Aveva scoperto quanto fosse pericoloso farsi desiderare da qualcuno. Ma anche quanto fosse eccitante per il corpo e per l’anima: infatti il suo ego non ne aveva risentito, tutt’altro. Non lo avrebbe mai ammesso di fronte ad anima viva, perché la terrorizzava e  non capiva come un atto che solo poco tempo fa la ripugnava a morte, adesso si fosse trasformato in qualcosa di incommensurabilmente più piacevole, che le faceva completamente smarrire la percezione di una parte di se stessa.
Era desiderio brutale anche il suo, come quello di lui, ma non aveva intenzione di riconoscerlo. Perdere se stessa in quei momenti, con un altro essere umano così prossimo, era un rischio che non poteva né doveva correre.
Se gli avesse detto quello che provava , probabilmente l’avrebbe derisa, trattandola come una bambina che crede ancora  nel vero amore che non esiste e lui poteva provarlo. Si immaginava già quello che le avrebbe risposto:”L’amore non esiste, ragazzina. Io ne sono la prova. Se ci fosse stato amore , non sarei ridotto così. Ho conosciuto il disgusto, il disprezzo, la derisione sulle facce della gente, mai l’amore o la compassione. ” Doveva rischiare e dirglielo. Doveva buttarsi, senza pensare, come aveva fatto fino a quel momento, del resto. Non aveva niente da perdere.
Scese dabbasso. Aveva indossato un vestito rosso,ma  si pentì subito della scelta, fatta anch’essa sull’onda dell’emozione e non del raziocinio. Lo aspettò a lungo nella sala da pranzo ma non arrivò. Erano appena suonate le tre. Se ne era andato? All’ingresso trovò un biglietto:
“ Tornerò, stanotte.”
Una promessa o una minaccia?
Solo tra due o tre ore al massimo sarebbe calato il buio. Per quanto aveva intenzione di restare là fuori? Si accorse che si stava preoccupando per lui come un’ amante, una moglie, una fidanzata. Se fosse uscita a cercarlo e lui nel frattempo non l’avesse trovata al castello ? Se fosse successo il peggio e l’avessero ucciso? Non voleva nemmeno sfiorare l’idea.
 In mezzo a questo affollarsi di ipotesi, il sole era  tramontato e di lui nemmeno l’ombra.  Gli lasciò anche lei un biglietto e si decise a scendere nelle scuderie, montare sul primo cavallo e partire al galoppo. Attraversò in lungo e in largo la foresta senza risultati:nessuna traccia di lui né della sua cavalcatura, almeno i lupi non l’avevano aggredito, poteva tirare un sospiro di sollievo.
Tornò indietro, verso il castello per esplorare i terreni circostanti. Fu il cavallo a guidarla: doveva essere abituato a quell’itinerario.
 La portò fino ad un tempietto rotondo. Era la tomba di famiglia,scoprì in seguito,lì altre impronte equine erano ancora fresche. Era vivo, era salvo e stava tornando al castello. Dall’ ombra spuntò fuori un altro cavallo: “Dov’è il tuo cavaliere?” bisbigliò.
“Proprio qui. Chi siete?” Aveva una spada puntata alla gola, di nuovo.
Riconobbe subito la sua voce, avvertì subito il suo odore.
 Si tirò giù il cappuccio e sciolse i capelli. Adesso capirà immediatamente,pensò speranzosa.
“Ah, voi… Siete uscita!Volevate forse fuggire?!”si sentì come tradito.
“ Ero solo preoccupata per voi, stupido idiota.”scoppiò a piangere. Era esausta, aveva freddo, lo amava ma non era amata a sua volta. Si accasciò per terra.
Rimise la spada al suo posto. Che stupido. La prese in braccio , la issò sul cavallo e trainò l’altro appresso. Che stupido. Stava cominciando a piovere , così come lei non smetteva di piangere.
Era andata a cercarlo.
 Non aveva pensato di fuggire. No, non lo aveva fatto.
Si era preoccupata della sua sorte. Era la seconda volta che temeva per la sua vita. Forse si era affezionata a lui, in un certo senso.
Non sapeva come comportarsi di fronte ad una donna in lacrime, preferì tacere.
Era uscito per riflettere, per far sbollire l’eccitazione. Avrebbe voluto fare diversamente ma non conosceva altri modi.
Aveva cavalcato senza meta fino a giungere al solito punto: laddove riposavano i suoi genitori. Quel luogo lo rilassava. Era rotondo, completo, perfetto. Tutto lì assumeva un senso.  Cominciò a mettere insieme i tasselli della storia.
Non riusciva a fare a meno di lei. Se ci fosse stata un’altra donna al suo posto, avrebbe cercato lei comunque.  Il suono della sua voce, la  comprensione dimostrata, il suo piglio nelle situazioni drammatiche, il suo spirito , il suo corpo- non poteva fare a meno di ripensarci,dopo così tanto tempo- quel modo che aveva di calmarlo e di eccitarlo, di tirar fuori il lato umano e quello bestiale.
Bestiale.
Bestiale?
Perché aveva pensato un aggettivo del genere?
Lei aveva visto la bestia che era, sia fuori che dentro.
Si era spinta volontariamente nell’anima nera custodita dentro quell’involucro terrificante, aveva accettato , aveva compreso. Ma se le bestie devono stare con le bestie…? Sciocchezze. Lei non lo era. Era riuscita a trasformare la sua furia, la sua bestia, in  desiderio sano e insaziabile .Aveva fatto uscire l’uomo  lasciando che convivesse con la sua anima indomita e selvaggia .
 Le aveva esibito l’uomo e la bestia e per tutta risposta lei non batté ciglio; non lo biasimò; non inorridì; non  fuggì. Accadde l’imprevisto.
Doveva rimanergli accanto, come una donna ad un uomo.  Non poteva trattarla come una delle tante prostitute che aveva frequentato nei primi anni della sua emarginazione e che aveva ricoperto d’oro purché gli regalassero anche solo un paio d’ore di godimento. Ma non era lo stesso. Pagare quel genere di piacere non era nella sua indole. In breve tempo cominciò ad odiare quelle mercenarie.
Non poteva ripagarla così della sua comprensione, del suo… amore?
No, no di sicuro…solo affetto.
Perché voleva tenerla con sé?
Era felice quando la vedeva, ma al tempo stesso lo terrorizzava a morte. Lei era così diversa, così umana che non avrebbe potuto lasciare che vivesse confinata tra le tenebre con lui. Che sorta di vita avrebbe potuto regalarle?
 L’altra ragazza non gli aveva fatto lo stesso effetto, probabilmente perché non si era spinta così lontano nel suo cuore ed inoltre  era una prigioniera. Ma lei…non  riusciva a vederla così, non più.
Nel frattempo lei aveva cominciato ad asciugarsi le lacrime,  appoggiando le testa sulla sua spalla e  si strinse a braccia conserte. Aveva freddo perciò l ’avvolse nel suo mantello: non doveva patire il gelo .
Quanto era stato sciocco ad aggredirla  in quel modo, in fondo lei non lo meritava. La sua solita mancanza di fiducia, la sua eccessiva circospezione avevano preso il sopravvento. Non sapeva come scusarsi. Avrebbe  trovato un modo.
 Frattanto erano arrivati al castello. Una volta smontato dal suo destriero, aiutò pure lei a far lo stesso . L’afferrò per i fianchi e solo in quell’istante si accorse di quanto fosse leggera. Sentì le mani di lei sulle spalle scorrere giù subito. Capì.
Lei era svenuta, intanto, doveva essere sfinita,pensò. La prese in braccio e la portò all’interno. Lui aveva capito finalmente.
Erano rientrati dalle scuderie ma al portone d’ingresso qualcuno stava insistentemente bussando.
 Che continuasse pure a bussare, non gli importava.
Lui aveva finalmente compreso.
Si avviò verso le stanze da letto affinché lei si stendesse.
 Una volta uscito, sentì ancora l’intruso battere alla porta. Non se ne sarebbe andato finché non avesse ottenuto ciò che andava cercando.
 Aprì stancamente il portone, restando in penombra come al solito.
“Chi siete?”con la solita aggressività che lo distingueva.
“Come, nessun prego entrate?”aveva un tono serpentino.
“Chi siete?!” Fu meno gentile di sempre.
“Viaggiavo da queste parti, ho visto una luce e pensavo che avreste potuto darmi ospitalità per stanotte.”
“Mi dispiace, non posso.”Non aveva intenzione di fargli varcare la soglia, aveva altro a cui pensare , che morisse pure.
“Allora posso solo aspettare che spiova, milord?”insisteva.
“Dubito che smetterà presto, milord” dov’erano finite quelle buone azioni e quegli innumerevoli buoni propositi?
“Il mio cavallo è esausto, ho davvero bisogno del vostro aiuto.” Cercava di essere commovente.
Lo trovava insistente ed insopportabile,ma non poteva essere scortese.
“Portatelo nelle scuderie ed  entrate.”si risolse così, solo per lei e per quei buoni intenti.
Non appena fece entrare lo sconosciuto ,questi si tolse il mantello gocciolante di dosso e si avvicinò al fuoco. Gli sembrava una faccia familiare, ma fu un pensiero che sparì in fretta.
Non aveva voglia di fare conversazione, non con lui almeno. Voleva che se ne andasse, alla svelta.
“Avete molte visite, milord, di questi tempi?”lo apostrofò lo strano ospite.
“No”rispose seccato.”anche la conversazione da salotto mi toccherà?”si stizzì tra se.
“Sapete, sto cercando una persona. So per certo che ha attraversato questa foresta, ma non ha lasciato di sé alcuna traccia. I lupi devono misteriosamente averla graziata. Qualche  pellegrino è venuto a bussare alla vostra porta in cerca di ospitalità? Una donna magari?”
Solo allora identificò il nuovo arrivato. Decise di servirsi con calma.
“E’ passata una donna, in effetti. Ma se ne è andata due o tre settimane fa.”
Lei si era risvegliata nel suo letto, proprio in quegli attimi .
 Era arrabbiata con lui, stava scendendo le scale, quando sentì la sua voce. La stava cercando. Era braccata. Avrebbe dovuto affrontarlo.
Il passato era tornato. Finalmente, era giunta l ’ora.
Si inumidì le labbra con la punta della lingua e continuò a scendere i gradini senza far rumore, strisciando poi nell’ombra verso la stanza principale.
“Perché mentite, milord?”con un sorrisetto serafico sulla faccia.
“Perché insinuate che menta?”
“Ma voi state mentendo, milord. Avete pagato lautamente la famiglia di quella donna, proprio immediatamente dopo la sua scomparsa. Lei deve essere qui.”
“Chi vi ha dato quelle informazioni…”
“ Chi me le ha date ? Voi stesso milord!Io ero l’impiegato della banca, milord…”
“Che bisogno c’era di camuffarvi?” Stava cominciando a scaldarsi.
“Mi avreste riconosciuto comunque, presto o tardi. Non vi ricordate di un ragazzetto sui sedici anni, tutto lentiggini?”
“Sono spiacente, non ricordo. Chi diavolo siete?!”era pronto ad aggredirlo.
“ Brutta pecora, davvero non ti ricordi?!Mi rattrista sapere che proprio non ti siamo rimasti impressi!!” Mostrò una vistosa cicatrice alla base del collo.
“Tu…il più piccolo, sei ancora vivo?! Sei qui per tormentarmi? Pensi che non mi ricordi?Ogni singolo giorno sconto la pena per quello che ho fatto. Sparisci prima che uccida anche te, per la seconda volta .”
La sua rabbia era sul punto di rompere gli argini, se non avesse avvertito una mano intorno al collo a stringerlo delicatamente e una intorno al polso con energia a bloccarlo.
“Lascialo a me.”Gli bisbigliò.”Hai già fatto abbastanza.”
Il suo odore così penetrante era del tutto estraneo.
“Eccomi , signore, mi cercavate?”sbucò fuori dall’ombra accanto a lui.
La sua voce aveva un suono strano,del tutto nuovo, metallico.
“ Milady… Vi ho cercato per mesi…” abbozzando un inchino fasullo.
“Non siete molto intelligente allora,oppure non sapete cercare…giacché ero più vicina di quanto pensavate.” Insolente e sarcastica.
“Ma ora vi ho trovato.” Sorrise beffardo.
“ E con ciò? Che pensate di fare?”continuava stranamente a sorridere,inclinando la testa.
“ Devo saldare un vecchio conto col padrone di casa e poi riprendermi ciò che mi spetta.”guardando verso di lei.
Il lupo  era pronto per arraffare la sua preda, stava affilando lentamente le zanne, per il puro piacere di gustarsi meglio la cena, di vedere affiorare l’inconsapevolezza e infine l’ orrore negli occhi della vittima prescelta. Che fame.
Lei si mise a ridere. Rise così forte che rimbombò in tutto il castello.
Rise così di gusto che entrambi gli uomini nutrirono un filo di sgomento; solo le bestie che si celavano in loro  ne erano come attratte, risvegliate, chiamate a gran voce.
“Voi credete?” Si stava avvicinando ondeggiando, con fare di sfida.
 Lui la vedeva bellissima, aggressiva, provocatoria.
 Il suo corpo sembrava ancora più rigoglioso del normale, ogni curva appariva accentuata, in quel vestito che era diventato quasi una guaina.
Anche il conte era eccitato, ma non capiva dove volesse arrivare.
“ Per i conti tratterete con me, stasera. Sarò io stessa a saldarli.”cominciò a massaggiarlo nel luogo della cicatrice, una volta squarcio fatto da lui, dal suo amato, con una energia sempre più costante, fino quasi a strattonarlo e si voltò verso il padrone del castello .
Chiedeva la sua approvazione, il suo permesso.
Non aveva intenzione di  scavalcarlo, non desiderava privarlo della sua virilità tantomeno del diritto di difendersi da un nemico e di proteggerla,era libero di farlo ma non adesso.
Anche lei pretendeva la sua vendetta.
Ci fu un incrocio rapido di assensi.
 Si voltò verso il conte, invogliato da questa novità.
“Sapete, non è stata una grande idea venire fin qui, così tardi,nel cuore della notte, sfidando il maltempo...Non ho preparato il letto,… milord!…”
Gli occhi di lei si dilatarono eccezionalmente così come le labbra, ormai fauci. L’azzannò con tutta la ferocia che aveva in corpo. Gli strappò di netto la carotide e al conte non fu lasciato nemmeno il tempo di cacciare un urlo, perché morì con lui.
Gli squarciò il petto, ne estrasse il cuore e lo buttò nel fuoco. In ultimo, gli lacerò  i pantaloni,e con una spada trovata sulla parete, gli staccò via il pene che finì tra le fiamme, anch’esso.
”Bravo bambino” concluse”in compenso ti scaverò una fossa, il tuo letto eterno.”.
Giustizia era fatta.
Il giusto castigo era stato servito. Freddo e sanguinolento.
 Era stata rabbia cieca, anche la sua.  Aveva regolato i conti finalmente.
 Aveva dato vita al suo oscuro proposito.
Il lupo se l ’era mangiato, come promesso.
Grondava  sangue ovunque, rosso purpureo come il suo vestito. Rimase in piedi di fronte al cadavere scempiato. Respirava pesantemente. Stava con lentezza tornando alla normalità. Adesso ci voleva la forza di raccontargli  anche il suo lato oscuro.
Lui era sconcertato, però  fiero di lei poiché aveva combattuto il suo demone.
Aveva ucciso per entrambi, la sua valchiria.
La sua leonessa li aveva difesi e aveva vendicato se stessa.
O avrebbe dovuto dire la sua lupa?
Lei.. che cos’era lei?
Così bella e così crudele?
Così dolce e così spietata?
Anche in lei si celava una bestia?
Aveva scatenato la bestia che era in lui perché bestia era anche lei?
Qualcuno con cui correre, pensò, è davvero lei.
Si tolse alla meglio il sangue che aveva intorno alla bocca e che le era colato lungo il collo, a quel punto  gli venne incontro, tirandosi su una manica.
“Vedi?” gli indicò un punto del braccio dove teneva una benda.
Le belve non danno del voi.
Interrogativamente la guardò mentre la scioglieva.
Nascondeva una grossa ferita ormai rimarginata, un morso,suppose.
“Beh?” non trovava il nesso. Se ne stava a braccia conserte, in attesa di chiarimenti.
“ Un lupo mi ha morsa quando avevo undici anni. Non un lupo dei vostri. Non un comune lupo grigio.”
Si mise a ridere” Non mi direte che siete un lupo mannaro!”
“ Non fare il simpatico, non c’è molto da divertirsi.. Mannari diventano gli uomini che sono predisposti o se vengono morsi con la luna piena. Io sono stata morsa con la luna nuova, del lupo ho assunto solo la voracità, la ferocia, la violenza. Scatenare queste componenti dipende dalla luna e in parte è dipeso da lui. Bisogna essere particolarmente crudeli  per scatenare il lupo che vive in me. Non di continuo riesco a tenerlo quieto, ma quasi sempre riesco a farlo coesistere con me stessa.”
Lui rimase in silenzio. Era felice di avere in comune con lei quel lato incivile ed incontrollabile, un po’ pazzo.
Di avere in comune una bestia.
 Stava tornando in sé. Non aveva dimenticato come si erano lasciati ore prima.
“ Adesso sapete anche questo. Non avete niente da dire? Non volete puntarmi ancora la spada contro o punirmi perché secondo voi sono fuggita?”
Si avvicinò di un passo. Erano così simili. Avrebbero potuto uccidersi a vicenda, per la tensione che c’era nell’aria.
“Non sono abituato a fidarmi delle persone.”
“Vi ho dato prova in svariate occasioni di potervi fidare di me, mi pare.”
Era contrariata, il suo disappunto era percepibile. Lui lo trovava di una dolcezza impressionante.
“ Già, è così. Avevo solo bisogno di riflettere su quello che era successo, su quello che avevo fatto e che mi avevate detto.  Ero confuso.”
“Beh, avete fatto chiarezza?!”in tono di sfida, un po’ spazientita. Il lupo non se ne era mai andato in fin dei conti, era sempre stato lì, in attesa, conviveva brillantemente con lei, vergine e peccatrice,donna e animale.
“Certo.” Rispose serafico.
Non si aspettava una risposta così diretta, così rapida.
“Molto bene”cercando di nascondere il suo intimo timore”allora vi ascolto.”
“ Ho sbagliato a trattarvi in quel modo, poco fa. Non  lo meritavate. Mi avete offerto la vostra indulgenza e non vi ho ripagato nel modo giusto. Mi avete dato molto di più di ciò che mi aspettavo. Vi siete rivelata estremamente diversa dalla norma, per fortuna, oserei dire.”
Stava cominciando a stancarsi di questo suo girare intorno alla faccenda principale.
Aveva capito perfettamente che era un tentativo di trovare le parole giuste, ma non resisteva più: aveva bisogno di sapere poiché anche lei  era avida e ingorda. Era quella la sua fame.
“ Io vi amo, signore. Uomo e bestia, nel bene e nel male. Senza condizioni”
 Nessun preambolo, nessun preavviso:si era liberata e aveva rischiato.
 Lui aveva sentito benissimo quelle quattro sillabe, di gran lunga più chiare del suo borbottare inconcludente.
Era amato,al di sopra di ogni cosa, anche del lato oscuro, anche di quello. Non avrebbe mai creduto che lei provasse tutto questo.
 Scoppiava dalla gioia, ma doveva rispondergli qualcosa, qualunque cosa.
Lei lo stava guardando trepidante, sperava in una riposta positiva anche se non più di tanto. La sua mancata reazione alla rivelazione della sua natura lupesca l’aveva insospettita.
Era zuppa di un sangue che si stava lentamente raggrumando, non era la veste migliore per una dichiarazione, ma fino a quel momento tutta la loro vicenda era stata un susseguirsi di momenti sbagliati, inattesi o impensati,ma sempre inadeguati.
Forse sarebbe stato meglio scomparire nella propria stanza e lasciar trascorrere la notte.
 Tirò un sospiro,arresa.“Con permesso, milord.”
Avrebbe voluto dirle qualcosa ma gli sembravano tutte parole banali e vuote.
La notte nel frattempo era scesa.
 La pioggia non aveva cessato di cadere, incalzante.
Il diluvio, nel cuore della notte, si tramutò in tempesta, cosicché tuoni e lampi cominciarono a comparire nel cielo e a turbarle il sonno.
 Era terrorizzata dai tuoni, atterrita dai lampi.
Di solito andava a dormire nel letto dei suoi genitori, da piccola, solo ultimante con le sue sorelle. Non ebbe molta scelta: o rimanere paralizzata dalla paura o chiedere aiuto.
Ma lei non urlava: il panico era tale da toglierle la parola.
Si avviò tentoni verso la scala a chiocciola,inciampando un paio di volte in corrispondenza di un paio di tuoni, strisciò fin davanti al baldacchino e si infilò sotto le coperte avvinghiandosi a lui più forte che poteva. 
Non appena prese coscienza dell’inaspettato visitatore, si stupì di averla accanto nel suo letto.  Comprese quasi subito che era terrorizzata dalla tempesta:stava facendo del torso di lui il suo scudo, rendendosi sempre più piccola,quasi, ad ogni boato.
Le mise un braccio attorno alle spalle e cominciò ad accarezzarle leggermente i capelli, cercando di calmarla, di infonderle un minimo di sicurezza.
Era ben felice di proteggere la sua lupa, che fosse lì con lui, così stretta, così vicina. Tutta per sé.
Mia vita,pensò, mio cuore.
Gli si era avvicinata così, senza dire niente, senza domande, senza richieste.
Stiamo insieme stanotte, ho paura del tuono, stringimi forte.
Non l’aveva detto ma glielo aveva fatto capire. Dormirono stretti l’uno all’altra.
Quando si risvegliò l’indomani,  lei era riuscita a sgattaiolare, via dalla sua presa. Non voleva svegliarsi  con lui accanto, con lui addosso, combattere con l’istinto di desiderarlo . Se ne era andata silenziosa così come era arrivata lì quella notte, che era stata solo una ricerca d’aiuto disperata, non un bisogno d’amore, non doveva esserlo, per forza.
 Lui, rispettando il suo silenzio, non aveva rifiutato quella presenza notturna accanto a sé.
Se  il più delle volte lui non sentiva il bisogno di parole ,ora anche lei stava imparando a farne a meno e cercare di parlare la sua stessa lingua.
Pensò di averla delusa. Il suo silenzio di fronte all’aprirsi del cuore di lei l’aveva amareggiata. Era deciso fermamente a riparare. Scese nella sua stanza.
“Andatevene”gli intimò, quasi ringhiando, con una certa impazienza.
“No! Dovete ascoltarmi che vi piaccia o meno!”voleva riuscire a parlare , a fare un discorso senza interruzioni. Lei si meravigliò e si impaurì della sua decisione.
Si fermò a braccia conserte, curiosa di sapere quello che aveva da dire.
“beh? Sono qui ferma, sto aspettando.”
Cominciò a bofonchiare qualcosa,mentre lei continuava a non capire, così gli si avvicinò e gli chiese:”Potete farfugliare più chiaramente?”
“Dio!!!Siete così…così..” alzò le mani verso l’alto, pensò che volesse quasi picchiarla.
“Così come?!” teneva  i pugni stretti verso il basso e tutto il busto proteso verso di lui, contrapposto a lui.
“Sto  cercando di dirvi che mi sono innamorato di voi e  mi punzecchiate di continuo come uno spiedo! Non lasciate il tempo  di esprimermi come si conviene, dannazione! Siete impossibile!” Vide il volto di lei sconcertato, non si era reso conto del fiume di parole uscite dalla sua bocca.”Ora che c’è?”grugnì stavolta.
“ Quando vi impegnate sapete essere molto maleducato. E così vi siete innamorato? “ era ironicamente serena.
“ Chi l’ha detto ?” Era spaesato.
“Proprio voi, adesso. Non vi ricordate? Oppure era una bugia?”volle aspettare che si difendesse ma non ottenne commenti”Credete che la confessione di ieri fosse solo un gioco? Pensate che non sia atterrita dal fatto che avete visto il mio lato peggiore e ve ne siete stato lì, muto come un pesce?Immaginate vagamente quanto ci abbia messo per rendermi conto di amarvi e quanto mi sia arrovellata per trovare le parole giuste, per non apparire una patetica sciocca ragazzina , per trovare il coraggio?!.”
“Certo che lo immagino! Solo quando vi ho scesa dal mio cavallo ieri sera, ho capito quanto mi foste cara e preziosa. Quanto mi sono affranto per le parole che vi ho rivolto. Non avete  idea dello sconvolgimento che mi avete provocato!”L’afferrò per le braccia”Voi siete tale e quale a me. Nel bene e nel male. L’ho capito questo, non credevo di dovere aggiungere molto altro. Per la cronaca, i lupi non mi spaventano, contenta? Abbiamo smosso l’uno il  lato selvaggio e umano dell’altra . Non sono da me le dichiarazioni d’amore, non sono un fine dicitore come altri, non vi canterò un sonetto perché non sarei in grado di comporlo. Ma posso dirvi che vi amo, con grande ardore. A questo punto, anche io dovrei essere un patetico sciocco? E poi solo perché il più delle volte taccio non significa che non provi niente . Non esibisco  i miei sentimenti con naturalità,non l’ho mai fatto, prima per carattere,ma ora ,con tutto questo…”indicava il suo scempio,non sapeva come continuare e poi”il mondo non è stato umano con me!”si calmò subito, premendosi una mano contro la grossa cicatrice in mezzo al volto, mentre con l’altra continuava a tenerla molto stretta” Ho preferito essere prudente fino in fondo e non farmi delle illusioni su di voi. Non avrei mai sperato che vi poteste innamorare di me.”
Era sull’orlo del pianto,  impressionata che avesse toccato le corde più delicate del suo cuore. Lui l’amava, aveva solo avuto paura fino ad allora.
 Che sciocchezza pensare che  fosse indifferente!
“Molto bene, allora. Credo dunque che dovremo rivedere il nostro patto .”stava tremando dalla felicità, mentre lo diceva.
“Volete rivedere la vostra famiglia?” era ben disposto a concederglielo.
“Volete uscire alla luce del sole?”sapeva di chiedergli molto, ma decise comunque di provare.
Non fu drastico: “Vedremo, magari in futuro.”
Quella creatura della notte, solo apparentemente figlia della luce, l’avrebbe condotto all’esterno un giorno o l’altro, a far parte di quel mondo che in tutti quegli anni l’aveva rifiutato, a cui lui stesso aveva rinunciato . Da padroni dell’oscurità  come erano entrambi, lei sola , cui restava semplice confondersi con il giorno, gli avrebbe insegnato a fare altrettanto. L ’ Uomo avrebbe camminato tra gli uomini, con la luce del sole .Col calar del tramonto, la bestia avrebbe giaciuto con la sua degna sposa, dai grandi occhi color cobalto.
“Allora abbiamo un futuro?”sorridente. Insieme, pensò, non chiedo nient’altro se non poterti restare accanto, come è sempre stato.
“Sì che c’è. Ma ditemi piuttosto: i vostri cari?Non siete ansiosa di poterli riabbracciare?” chiese ancora, insistendo. Credeva che la privazione dei suoi parenti, per tutto questo tempo fosse stato un assillo incessante per la sua amata.
“ Ce li ho davanti, eccola qui la mia famiglia. Ho tutto quello di cui ho bisogno”gli prese il viso tra le mani e avviò a baciarlo, sempre più forte,con sempre più fame. Desiderarlo era un istinto naturale,ci era arrivata alla fine. Non più qualcosa da reprimere e di cui vergognarsi.
Qualcuno con cui correre, pensò di nuovo, dolce e brutale come la volevo.
Mia cura, mia malattia,mormorò tra sé.
 Era lei la sua piccola libertà, adesso lo sapeva.
Ad un certo punto, l ’appetito di lui la travolse e cominciarono a fare l’amore con una delicatezza che lasciò in breve tempo il passo al desiderio sfrenato.
Eccola lì la Bella aggrappata alla sua Bestia, in un atto d’amore.
Quella Bella che, Bestia a sua volta ,aveva riconosciuto l’ Uomo celato dietro la veste mostruosa, amando entrambe le due nature e lasciando che anch’egli amasse le sue.
Guardateli adesso, stretti l’uno all’altra, frementi per la passione e tremanti per l’eccitazione di un amore insperato, trovato per caso. Così differenti, così uguali. Perdutamente imperfetti, come ognuno.
La Bestiaaveva scatenato la Bella e la Bella aveva provocato altrettanto.
 
 
                                           Fine
 
 
 

      
 
 
 
 
 
  
    Bella come una bestia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si apprestava ad essere una delle notti più fredde di quel rigido e lungo inverno.                            La neve cadeva a larghe falde: aveva smesso di cadere a fiocchi incessanti, per aumentare la sua intensità,dunque non avrebbe smesso molto presto.
Lei se ne era andata.
“ Le bestie devono stare con le bestie” aveva concluso risentita, prima di sbattere il portone del  maniero la sua reclusa. La sua speranza se ne era volata via.
L ’aveva lasciata andare ,già, non perché ne fosse intimamente innamorato, - sapeva bene che giunti a quel punto non avrebbe mai imparato ad amare e ad essere ricambiato- ma perché detestava la compassione di lei. Non era stata confinata in quella gabbia dorata per impietosirsi ogni volta che vedeva la sua deformità.
Avrebbe dovuto innamorarsi, lei. Avrebbe dovuto.
 D’ altro canto , non si può amare una donna così, scelta a caso,come se una valesse l’altra . Ma questo purtroppo era il suo caso , la sua forzata condizione: non poteva godere del privilegio di fare l’ incontentabile, non più ormai.
Era solo adesso, di nuovo carceriere di se stesso soltanto, circondato da secondini inesistenti, imprigionato di nuovo nella sua solitudine. Che fare?
L’ultima volta che scese nel villaggio  fu per conquistare  la sua preda, quella che proprio ora gli era sfuggita.
 L’aveva vinta con una partita a carte, il padre di lei morì  dalla vergogna e dal rimorso. Aveva trascorso mesi tutt’altro che rosei  in compagnia di quella giovane donna attraente ma piena di pregiudizi e priva di spirito critico. Si rivelò ben presto una noia ,per quanto più allettante della solita routine, era una donna priva di una qualche scintilla intellettuale.
Sarebbe potuto di nuovo scendere al villaggio, magari con un’altra partita a carte… ma se non ci fosse stata nessuna donna?Nessuna vittima disposta a sacrificare la propria esistenza per stare accanto ad un uomo divenuto la caricatura di se stesso?
Era un’incognita piuttosto rilevante.
Sprofondò nella grossa poltrona di fronte al caminetto e, con questo ultimo pensiero martellante nella testa, cominciò a sonnecchiare.
 
“Devi sposarlo , figliola! Non abbiamo altra scelta!!”le urlò suo padre.
“Non voglio!E poi io sono la minore, perché non sposa mia sorella?!Ne è così innamorata, lei!”
“Oh ve ne prego padre!!!In fondo io sono la vostra figlia maggiore, avrei la precedenza  rispetto a lei, non trovate?” rispose la  maggiore stizzita.
“ Mia cara, non credo di poter proporre un accordo del genere . Il Conte è stato molto chiaro. E’ disposto a sposare una di voi, nonostante non abbiate una dote considerevole, per la vostra grazia e virtù e per il nome che portate ,il vostro titolo, seppur decaduto. “
“E allora? Può sposare benissimo lei !Il sangue non cambia!”
“Che cos’ho io in meno di mia sorella?! Ho grazia e virtù da vendere, io!!!Non come lei…che non sa trattare con gli uomini. Lei non ha ricevuto l’educazione da nostra madre come me e Margherita. Non sarebbe adatta, ve ne rendete conto?!”
“Ti prego figliola ! Smettila! Esci di qui immediatamente e lasciami parlare con tua sorella.” Nonostante il suo disappunto ,Lidia fu costretta ad obbedire al volere del padre, poiché il pover’uomo non aveva più argomenti validi, almeno non davanti alla figlia maggiore. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle che il Conte prediligeva la più piccola, in quanto più avvenente.
Una volta rimasti soli, si rivolse a lei:”Figlia, ascoltami bene perché te lo dirò un’ultima volta: il conte desidera te in moglie e nessun altra. Quello che ho appena detto a Lidia non è niente se non una dolce bugia per non ferire il suo amor proprio. Le cure,purtroppo inutili, per cercare di salvare Margherita ci hanno mandato sul lastrico. La tisi non perdona, lo sai.”  Chi avrebbe mai immaginato che non appena  arrivata qui si sarebbe ammalata di colpo e in poco tempo li avrebbe lasciati: aveva la salute cagionevole di sua madre, poveretta; come se non bastasse, c’erano, come c’erano sempre stati, i conti da far quadrare, i debiti da rimettere. “Devi sposarlo, ci siamo spinti fin qui per lui, in nome di una vecchia amicizia che avevo stretto con suo padre, riposi in pace, tempo addietro, quando ero commerciante, uno vero,ricco in Italia. Fallo per noi. Così tua sorella potrà scegliersi un bravo giovane con cui sistemarsi e io potrò godermi la vecchiaia in tranquillità.”
Avrebbe voluto sputargli nel viso. Supplicava, squallidamente tra l’altro, proprio  lei, la figlia più piccola, affinché si sacrificasse?Non aveva conosciuto il calore materno, aveva perso l’unica sorella a cui fosse realmente affezionata e le veniva richiesto un ennesimo sacrificio, un’ulteriore privazione, in nome della pace del padre e della felicità della venale e patetica sorella maggiore. No, non lo avrebbe fatto. Detestava il comportamento della sorella, mal sopportava l’atteggiamento utilitaristico del padre, per quanto, solo nel profondo, fosse legata ad entrambi. Nonostante questa tacita consapevolezza in fondo al cuore, decise che era giunto il momento di andare via, verso il proprio destino, poiché era sicura che per lei la vita doveva avere in serbo molto di più di quello che le veniva proposto . Guardò con gli occhi pieni di rammarico quel vecchio ed uscì da quella stanza satura di rancore. Ancora una volta, il padre, così come aveva inventato una dolce frottola alla maggiore delle sue figlie per non guastare il suo orgoglio di donna, così  aveva raccontato una mezza verità all’altra figlia rimasta. Non si erano spinti fin lassù, in quelle terre così fredde,in un mondo diametralmente opposto a quello che lasciavano, in nome di una vecchia amicizia,o perché quell’uomo l’aveva notata, oh no. Erano fuggiti da un mare di debiti per crearne poi altri anche lì .Il povero vecchio aveva perso il suo fiuto infallibile per gli affari e ,trovatosi al perso,quella figlia, così giovane e bella, divenne la sua merce di scambio, il suo oro più puro, la sua moneta sonante. Il Conte avrebbe provveduto ad estinguere tutti i conti , i denari dovuti sia in Italia che in Scozia. Quel vecchio era deciso più che mai a cedere la sua bambina in cambio della pace economica.
Il figlio del suo trapassato amico era disposto a risanare le loro beghe, a comprarla, come si comprano le greggi di pecore, a fornirle anche una cospicua dote pur di portarsela a letto.
Il poveraccio non aspirava a niente di meno.
 La sposa promessa, dunque, si ritirò nella sua camera.
 Non volle proferir parola con alcuno, né si presentò a tavola per la cena, tanto era il suo risentimento. Non era però la prima volta che succedeva:infatti, quando si adirava, suo padre sapeva che doveva soltanto aspettare che l’irritazione scemasse, sarebbe poi scesa a più miti consigli. Andava sempre in questo modo: consisteva solo in una mera questione di tempo.
Come si sbagliava.
 
Era fuggita, ce l’aveva fatta.
Con la scusa della collera era riuscita a preparare il necessario per andarsene. Fuori imperversava la tormenta, ma per lei non era un peso sopportare la neve a fiocchi e il freddo pungente: avrebbe attraversato la foresta vergine e innevata con gioia, pur di sfuggire alle grinfie di quell’uomo viscido, tremendamente seducente ma con un animo  depravato. Ne ebbe paura la prima volta che lo vide ,tre mesi erano appena trascorsi, quando venne a salutare il padre, ripresosi dall’ennesimo attacco di gotta;aveva un non so che nello sguardo e nel modo di sorridere che faceva intendere perfettamente che non era oro tutto quello che luccicava.
Educato, dai modi gentili, pronto ad infilarti la mano sotto la gonna e a sussurrarti parole di fuoco, una volta lontano da occhi indiscreti.
La prima volta si limitò solo a sussurrarle all’orecchio quanto avrebbe voluto possederla lì, davanti agli occhi del padre.
Quando si recò presso di loro la seconda volta, abbandonò di netto la volgarità delle parole, per lui un’inutile suppellettile. Il padre, nella sua dabbenaggine ad un tempo e nella sua furia di sistemare, a vantaggio proprio, la figlia più piccola ad un altro, li aveva lasciati soli nel salotto buono perché si conoscessero meglio.
 Eccome se si conobbero.
La camicia le fu strappata con una foga inusuale, poi fu il turno del  corsetto, che volò via con la rapidità con cui il vento può sollevare un cappello di paglia a larghe falde.
Era come se volesse nutrirsi di lei. Voleva tutto e subito. Che famelico.
Lei nel frattempo era lì immobile, a subire, inorridita.
 Stava riflettendo sul come agire per liberarsi di lui.
Da una parte la paura la bloccava, dall’altra l’orgoglio ferito la spingeva a fargli del male. Aveva intrapreso ad insinuare la sua lingua fra i seni,vorace come un bambino alla prima poppata, ma privo della stessa tenerezza,tenendone stretto uno in una mano, come per non farsi sfuggire niente di tutta quell’abbondanza, come un lupo che per tutto l’inverno ha patito la fame.
Allo stesso tempo, la sua mano sicura ed esperta si cacciò in mezzo alle gambe della promessa sposa,proprio lì,dimenando le dita frequentemente. Il ricco signore credeva di donarle un piacere mai avvertito prima, qualcosa di inusitato, un’esperienza da ricordare.
Lei percepì tutto, tranne il piacere. Proprio perché non lo avvertiva, tutti i movimenti di lui,tutti i suoi versi le sembravano amplificati.
Stava respirando sempre più veloce, non avrebbe pianto, a nessun costo si sarebbe concessa tanto. Si irrigidì terribilmente, sperando di dargli un fastidio, ma lui era troppo concentrato nel suo meschino appagamento,  arrivato ad un punto tale che stava esprimendosi con una serie di rantoli o comunque un verso quanto mai grottesco, che per lei , paradossalmente, furono motivo di risate sommesse, seppur conscia della rapina e del sopruso a cui la stava costringendo. Doveva aver quasi finito, pensò, sperandolo vivamente mentre chiudeva gli occhi, per non vederlo. Un ultimo rantolo e riuscì a spingerlo via da dentro e da fuori se stessa. Lui la guardava con aria soddisfatta mentre si asciugava la mano sui pantaloni che non nascosero una notevole erezione.
” Che c’è, non ti è piaciuto?”le chiese sogghignando.
”Tutto qui?”il coraggio fece capolino spontaneo.
” Tu non mi inganni!Era la prima volta! Le riconosco  le vergini, ho l’occhio dell’esperto!! E tu, come le altre, tremavi come una pecora vicina all’ammazzatoio . La prossima volta che tornerò non sarò così breve né gentile. Mi prenderò tutto di te. Preparami il letto, intesi?”
No che non eravamo d’accordo.
 Dentro stava ruggendo, spalancava le fauci e mostrava le zanne feroci, ma di fuori mostrò un dignitoso contegno: dall’altra parte della casa, d’altronde, c’era la sua famiglia, non avrebbe mai potuto mettere in atto il suo proposito.
”Se dite che è necessario signore, vorrà dire che sarà fatto. Addio.”
Il conte ravvide una strana decisione nei suoi grandi occhi un tempo cerulei che all’improvviso si erano fatti color cobalto. La considerò una logica presa di coscienza dell’ ovvio : brava bambina.
Questo era solo l’antipasto, al prossimo incontro il lupo ti mangerà.
 
 Si era sentita derubata in un certo senso,per quanto potesse rappresentare poca cosa per qualcun altro, quando accadde. Un atto che magari avrebbe dovuto essere intimo, dolce e che avrebbe dovuto prevedere un qualche consenso da entrambe le parti, si era invece imposto prepotentemente come qualcosa di sporco e sbagliato. Le aveva sottratto tutta quell’ansia di scoprire, quel desiderio, quella curiosità di avvicinarsi ad un uomo. Non aveva avuto modo di difendersi, tanto era stata colta di sorpresa e tanto lui era stato rapido, come un felino. Voleva andarsene per dimenticarlo, ma sapeva in cuor suo che prima o poi il passato sarebbe venuto a cercarla.
 Al momento opportuno, sarebbe stata pronta ad accoglierlo.
 
Era sul limitare della foresta vergine, un altro passo e si sarebbe confusa con la vegetazione. Guardò un’ultima volta il villaggio, costellato da comignoli fumanti . Riusciva ancora a riconoscere il suo,un po’ più storto e traballante di altri. Si aggiustò il cappuccio sulla testa e svanì,inghiottita dalle  braccia imbiancate della selva.
I vecchi del posto le avevano raccontato che chi si inoltrava nella foresta era perduto. Nessuno vi aveva mai fatto ritorno e se qualcuno vi era riuscito ,lo aveva fatto a caro prezzo. Tra quei pochi ci fu chi riportò gravi mutilazioni ,chi invece fu privato della ragione. Ma lei sapeva che per quanto oscura e pericolosa potesse apparire quella boscaglia,o meglio i suoi padroni , quelli con gli occhi di brace e il manto scuro come notte, si sarebbero piegati al suo volere come teneri amanti:  sarebbe bastato loro annusare l’aria. Difatti la selva e i suoi inquilini mostrarono clemenza : la lasciarono  attraversare per tre notti e tre giorni,sana e salva. Ad un altro che aveva intrapreso il suo stesso cammino, forse per seguirla, andò peggio: i guardiani della selva non tolleravano gli intrusi,tantomeno le spie. Lei si arrampicò su un albero , quando sentì le grida di aiuto dello sciagurato mentre subiva la sua punizione. Fu sbranato, di lui non rimase che il sangue rappresosi su alcuni tronchi e qualche brandello dei suoi indumenti, impigliati fra rami e cespugli. Il freddo intenso accresceva il loro appetito, cosicché di ogni vittima non rimanevano che poche ,insignificanti tracce. Una volta sazi, aspettarono che scendesse dal suo nascondiglio per dimostrarsi suoi sodali. Come aveva sempre sostenuto, non aveva nulla da temere da quel luogo sinistro, sì, ma sicuro.
 
I lupi ululavano insistenti anche quella volta. C ’era la luna piena alta nel cielo ad illuminare quella metà del volto intatta.. Furono proprio i lupi a farlo sobbalzare nella poltrona dal sonno in cui era immerso. Da anni non li sentiva ululare: fu il primo inverno, dopo molti , che i lupi  fecero echeggiare i loro cori  tra le montagne di Scozia. Gli parve di sentir smuovere il cancello, per un attimo, ma  ricominciò di nuovo ad abbandonarsi ad un altro lungo sonno, se non che  si rese conto che qualcuno stava bussando giù al portone. Sogno o realtà?
”Chi può essere nel cuore della notte, con un freddo così temibile? Chi ? Di sicuro avrà attraversato la foresta per venire fin qui… affrontato i lupi…potrebbe essere un brigante o un curioso… lo accoglierò come merita…”pensò tra sé.
Il suo castello si trovava su una collina dominante il paese, nascosto dalla natura circostante , posto proprio al limitare della foresta, opposto al villaggio .
Scese la scala a chiocciola che conduceva al suo rifugio e da lì, dopo il lungo corridoio,che dava sull’ampia sala d’ingresso, scese lo scalone,e dopo aver afferrato una spada appesa ad una  parete, non distante dal portone,aprì.
Era una donna infreddolita, notò dalle mani piccole e affusolate.
Decise comunque di sguainargli contro la spada, era risoluto a non fidarsi mai più di alcuno. In fondo, aveva comunque penetrato la foresta e ne era uscita indenne: perché accoglierla?
“Chi siete? Chi vi ha mandato qui?”la sua voce era più cavernosa di sempre.
“Nessuno. Potrei entrare solo per scaldarmi? All’alba ripartirò, non voglio certo turbare la vostra quiete, signore.”teneva il capo basso, non pensava ad un’accoglienza così poco cordiale in un luogo tanto lussuoso.
Da quanto tempo non lo chiamavano signore. Rimase meravigliato dalla compostezza di lei. Ritirò la spada, senza fretta,la prudenza non era mai troppa di fronte a chi era stato risparmiato dalla selva vergine e oscura.
“Ulisse?”aveva voglia di fare un po’ di umorismo quella notte.
“Come dite prego?”
“Avete detto di chiamarvi Nessuno. E nessuno vi ha mandato qui. Devo forse pensare che vi chiamiate come il re di Itaca, colui che ingannò Polifemo?”
Lei non aveva la minima idea di chi fosse quell’Ulisse né dove si trovasse Itaca,tantomeno conosceva quel tale, Polifemo, ma non voleva certo palesare la sua ignoranza.
“Non deve importarvi chi sono. Ho solo bisogno di scaldarmi un poco e riposarmi fino all’alba, ve lo ripeto, se me lo permettete . Però non vi vedo incline all’ospitalità, signore, intuisco un vostro rifiuto, perciò me ne vado.”
Pensò di averla offesa, ma non capì in quale modo potesse esserci riuscito.
 Pensò bene di allargare la fossa che aveva cominciato a scavarsi.
“ Perdonatemi,ma se io non sono disposto all’ospitalità è perché  non mi lasciate valutare che genere di persona siate.”
Si tolse il cappuccio.
“Adesso lo sapete.”
Ora i suoi occhi fissavano dritto verso il buio, dove lui cercava ancora di rifugiarsi.
Era giovane, con una cascata di riccioli color del rame, dotata di una bellezza non comune. Era sfrontata e decisa; tenera e crudele. Non si aspettava che sotto quel cappuccio si nascondesse una creatura tanto attraente.
Girò i tacchi e fece per andarsene. Lui fino a quel momento era rimasto nell’ombra, affinché quella misteriosa pellegrina non si spaventasse.
Si tirò su il mantello e l’afferrò per il braccio.
“Un momento”-perché lasciarsela scappare?Dopotutto era una donna.
Non appena l’afferrò, lei si sentì come in trappola. Cercò di liberarsi da quella presa così energica e al tempo stesso non poi così minacciosa.
“Lasciatemi! Trattate sempre così i vostri ospiti?!”
Nello strattonarsi lui riuscì a riportarla a sé, così vicino, troppo vicino - ancora una volta aveva calcolato maldestramente la sua forza- che lei poté intravedere da sotto il mantello un intricato groviglio di cicatrici e pezzi di pelle rabberciati come meglio si era potuto, su quella porzione di volto . Cercò di restare calma. Di certo non si trattava del conte, di peggio non le sarebbe potuto capitare. Lui mollò la presa. Lei cominciò a massaggiarsi il polso.
“Che avete da guardare?” le chiese, per sapere quanto fosse riuscita a vedere.
“Proprio niente. Perché mi avete afferrata in quel modo? Avete cambiato idea per caso? Se è così, avete uno strano modo di manifestarlo, milord.”
“Se è per questo non l’ho mai espressa. Avanti, entrate.”le fece cenno con una mano.
Era un castello di proporzioni a dir poco ciclopiche. Con dei soffitti altissimi su cui alloggiavano ritratti di antichi avi, e quadri con dei paesaggi minuscoli dove la cornice faceva da padrone. Anche la mobilia era sontuosa, un po’ passata, ma di grande effetto.
“Avete un accento strano,mia signora, da che parte della Scozia provenite?”
“Non sono di queste parti”rispose seccamente.
“Irlanda, forse, me lo suggeriscono i vostri capelli.”
“No” Ancora un’altra risposta laconica.
“E di quali, di grazia?” Con una venatura sarcastica.
“Volete la storia della mia vita,milord?Non mi piacciono gli impiccioni. Io non vi conosco. Avete biasimato me perché non mi mostravo a viso scoperto, ma pare che ora le parti si siano capovolte, non trovate? “
“Meglio così , forse.” Sapeva di avere torto.
La sua foga nel fare domande era dovuta alla mancanza di interazione sociale, ma lei non poteva saperlo.
“Come preferite, signore”
Si avvicinò al fuoco e si sedette su di un tappeto persiano con una strana fantasia di animali. Doveva rappresentare la caccia al leone, pensò.
Lui, nel frattempo, si era ritirato in un angolo della sala per versarsi un bicchiere di whisky che sorseggiò davanti alla finestra. Solo allora lei si rese conto di essere stata sgarbata .
“L’Italia è il mio paese d’origine, è da lì che vengo.”si sforzò di essere gentile. D’altronde se voleva riuscire nel suo intento doveva cercare in ogni modo di ingraziarselo.
“Ecco spiegato l’accento bizzarro. Se non fosse per quello, potreste ingannare chiunque facendogli credere di essere del posto ”fu ancora una volta sprezzante : la sua maleducazione lo irritava maledettamente.
“Già. Voi Scozzesi  avete quel dialetto incomprensibile..” lo ripagò subito.
“E’ Gaelico. Comunque rallegratevene,voi Italiani ne avete molti di più… Siete qui da molto?”
Le parole le morirono in bocca. Non riusciva a dirlo. Non trovava la forza necessaria .
“ Sono stato forse troppo invadente?”si era appena reso conto di aver fatto troppe domande.
“ Tutt’altro. E’ complicato.”non se la sentiva proprio di parlare dei suoi problemi ad un perfetto sconosciuto.
Lui si voltò dubbioso.“Mi pare una domanda semplice.”
“Circa sei mesi .” si risolse tutta insieme.
“Per tutto questo tempo vi siete aggirata per la foresta, da sola, in pieno inverno?”cominciava ad essere curioso e meravigliato .
“Sono arrivata qui con mio padre e le mie sorelle. Abbiamo una casa giù al villaggio. Loro abitano lì.”
“Voi non più?”  ”una fuggitiva, mi è capitata…”pensò.
“Non più.”abbassò di nuovo lo sguardo.
“Non c’è che dire, avete avuto del fegato ad addentrarvi nella foresta vergine e ad arrivare fino a qui. Nessuno vi riesce mai, a meno che non sia io a portarcelo e come avete potuto constatare voi stessa  non sono un gran conoscitore del galateo.”
Riuscì a strapparle un sorriso, non credeva di esserne capace.
“Siete ancora più bella quando ridete”non sapeva da dove gli fosse uscito un complimento del genere.
“Darei qualunque cosa per essere brutta. O zoppa. No, no, per essere brutta.”guardò il fuoco con un certo interesse.
Si sentì colpito nel vivo. Non capiva perché una creatura così incredibilmente incantevole dovesse aspirare ad una tale punizione, quella che lui tollerava sempre più a fatica ormai.
“Perché mai? Se è lecito.” Adesso era la curiosità a spingerlo.
“ Avrete intuito che sono fuggita, credo. Mio padre voleva che sposassi un conte delle vostre parti. E’ per lui che siamo venuti fin qui. Dal caldo sud fino al nord estremo , solo per un matrimonio. Se fossi stata brutta non mi avrebbe nemmeno sfiorata. E invece… eccomi qua, in un paese straniero, dove la tormenta non si placa né di giorno né di notte,costretta a fuggire. Egoista, vero?”aveva gli occhi lucidi ma non avrebbe lasciato scorrere una lacrima neanche stavolta.    
“Ci sono egoisti peggiori.” Era rivolto a se stesso.
Tacquero entrambi. Poi pensò a quella mezza frase che lei aveva pronunciato.
“Ha tentato di farvi del male?”
E con un filo di voce:“No, lo ha proprio fatto” l’orgoglio le trattenne il pianto.
“Non siete poi così egoista, allora.”  
Aveva cercato di sdrammatizzare. Comprese solo allora il perché di tanta aggressività: la miglior difesa era l’attacco.
“La mia famiglia sprofonderà ancor più nella miseria per causa mia. Non posso perdonarmelo, ma non mi hanno lasciato altra scelta, se non dileguarmi.”
Lui  si zittì e cominciò a riflettere. Dalla penombra in cui si trovava continuò a osservarla, mentre si rigirava nervosamente l’orlo del vestito tra le mani e altrettanto nervosamente scrutava il pavimento in legno massello, per non sostenere lo sguardo giudice del suo misterioso interlocutore.
Avrebbe voluto chiedergli di poter restare, nessuno l’avrebbe trovata lì,-anche solo una notte o due, per riposarsi e poi riprendere il cammino- ma non sapeva implorare,e in più, al contempo, l’attanagliava la paura di restare sola a tu per tu con un uomo.
 Alla fine, dopo aver scolato giù come acqua l’ennesimo whisky, si risolse in tal modo:
“Non succederà se resterete qui.”
Fu una decisione che prese all’improvviso.
Il cuore di lei era colmo di gratitudine.
Era salva.
Non aveva parole per poterlo ringraziare come si conveniva.
“Ma”- lei si sentì gelare il sangue-” ad un patto: non uscirete mai da qui. Non rivedrete mai più i vostri cari. Posso garantirvi sin d’ora che staranno bene ma non potrete riabbracciarli.”
“Che cosa?”non credeva alle sue orecchie. Non sapeva se un accordo del genere fosse meglio o peggio di andare in sposa a quel perverso del conte.
“Ogni beneficio ha il suo prezzo. Restate al mio fianco e la vostra famiglia non cadrà in disgrazia.”
“In che modo, se posso sapere?”le sembrava di stare in una di quelle favole che le raccontavano da bambina ma non riusciva ad intuire il lieto fine. Niente vissero felici e contenti all’orizzonte.
“Avranno il denaro che serve loro.”le rispose sbrigativamente.
“A questo punto non ho molta scelta, milord” -dalla padella nella brace- osservò mestamente.
“In realtà una ci sarebbe. Alzarvi  e fuggire via da qui,scappare ancora una volta . Ma non avreste la garanzia che vi offro.”continuava ad essere freddo e imperterrito, non voleva concedersi alcuna speranza.
“Perché mai dovrei fuggire?”qualcosa non le quadrava, doveva esserci un altro inganno.
“ Si dà il caso che come sono in grado di farvi restare, posso anche farvi fuggire. Volete davvero scoprirlo?”
“Avanti, ditemi.” Peggio di così, poteva solo morire.
“Avvicinatevi”sarebbe stata la prova decisiva: o se ne sarebbe andata o sarebbe miracolosamente rimasta.
Titubante, la giovane obbedì e non appena si accostò, lui accese una candela e si tolse il mantello.
Lei lo scorse per come appariva. Orrendo. Orribile. Non fu in grado di trattenere un urlo di sorpresa, ma si mise subito una mano sulla bocca come per cercare di trattenerlo o smorzarlo. Per lui fu come una sentenza, era consapevole del proprio sembiante, certo che ormai il suo fato era stato scritto.
Si stava avviando verso la porta che dava sulla grande sala d’ingresso quando lei tutto d’un fiato replicò:“Accetto la vostra proposta, signore”- l ’inaspettato -”Per un  volto sfregiato non mi darò certo alla fuga. Avete la mia parola che resterò qui”
Incredibile.
Rimase incerto sulla maniglia. Era la prima volta che qualcuno entrava nel suo castello senza esservi costretto. La prima volta che qualcuno decideva di rimanere lì, con lui, volontariamente, senza bisogno di partite a carte o altro.
“Venite dunque, vi mostrerò la vostra stanza.”non sapeva se essere felice per se o provare pena per lei.
“La mia stanza?”non pensava che i prigionieri ne avessero diritto.
“ Volete dormire sul tappeto, per caso?”
“…no…”
“Allora seguitemi”
Avrebbe voluto fare ancora della conversazione con la sua giovane ospite ma non aveva più argomenti .In tutti quegli anni, rinchiuso nella sua fortezza di solitudine, aveva dimenticato in cosa consistesse una normale chiacchierata.
Inoltre si era appena rivelato a lei. Non sarebbe più riuscito a guardarla senza accorgersi della sua pietà.
La condusse al piano superiore, oltre l’immenso scalone d’ingresso,alla terza porta.                       Era ancora disorientata da quello che era appena successo.
Aveva privato  la sua vita della  libertà per sempre?La sua famiglia non sarebbe caduta in disgrazia se lei si fosse nascosta al mondo così come aveva fatto quella strana creatura: era l’unica garanzia a cui aggrapparsi fermamente.
Il lato positivo era che non l’aveva costretta a sposarlo. Doveva solo “restargli accanto” , come lui aveva richiesto. Non doveva considerarla un’impresa  così difficile, doveva trattarsi di un uomo come gli altri, con pregi e difetti, con vizi e virtù.
Il fatto che mezza faccia fosse tumefatta non rappresentava per lei una grave notizia, dopo il primo impatto. In fondo, nessun uomo poteva essere peggio di quello da cui  era per ora riuscita a sfuggire. “Un uomo brutto non è necessariamente malvagio.” ebbe modo di riflettere.
“La vostra stanza, Miss…?”
“Il mio nome non è traducibile nella vostra lingua. Chiamatemi come volete, non credo abbia molta importanza.” Era affaticata e  certe domande, quando era in quello stato, la infastidivano.
“ Come preferite. Voglio che sia chiaro questo però: voi non siete qui in qualità di mia serva o di mia prigioniera, per quanto vi sembri di esserlo. Siete padrona di fare ciò che volete nel perimetro del castello, potrete disporre di ciò che mi appartiene come più vi piace. ”
“Sì” anche se le sembrava una precisazione inutile. Non avrebbe saputo cosa fare con tutta quella roba.
“Allora buonanotte, mia signora”
“Buonanotte, milord”
Lui si ritirò nel suo studio.
Lei adesso si trovava così poco distante, che le speranze si riaccesero di colpo.
Forse era davvero possibile amare e lasciarsi amare a propria volta,anche se non esisteva niente di più arduo, di più emozionante e spaventoso al tempo stesso.
Ripensò a come sarebbe stato di gran lunga più facile riuscire a corteggiarla, a farsi  ben volere e a sposarla, se solo lui avesse avuto un’ immagine più gradevole. Ma era solo utopia ormai.
 Su di lui non gravava una maledizione da sciogliere come in certe fiabe d’oltre Manica. Non era un mostro dal cuore tenero -oh no- poiché lui, mostro, lo era sempre stato.
Certo, non era nato così. Era un uomo come tanti se ne vedono, fino a qualche anno prima .
Dieci anni erano già trascorsi, nel completo isolamento, immerso nello sconforto e nel pentimento. Era stato punito .
Tutto scaturì da una diatriba tra la sua famiglia e quella vicina per una questione di confini. La famiglia rivale voleva estendersi nei suoi terreni e così fece, lasciando pascolare lì le proprie greggi.
In mancanza di una figlia femmina da poter sistemare con lui,preferirono usare la prepotenza. Questa fu subito ricompensata .Uccisero tutte le pecore intruse, le macellarono, ne mangiarono la carne e fecero lavorare la lana grezza per mandare il risultato alla famiglia avversaria: voleva essere un avvertimento. Ecco cosa succede a chi si infiltra abusivamente nelle nostre terre: gli facciamo la pelle. Fu una sua idea, rammentò e la pagò salatamente.
Di ritorno da una serata di gozzoviglie con i suoi compagni d’armi, ubriaco fradicio, fu assalito e condotto nelle segrete del castello nemico. Fu seviziato e torturato finché non subì lo stesso trattamento: mancò poco che non lo scuoiassero veramente. Gli provocarono delle ferite tali che non era più riconoscibile, eccezion fatta per la parte sinistra del volto: doveva ricordarsi tutti i giorni com’era e com’è, per sapere cos’aveva perduto e per far ciò doveva vivere: per questo non lo scorticarono, non fu compassione o debolezza, ma disumanità. Lo avvolsero in un lenzuolo e poi nella lana che poco tempo prima era stata loro consegnata come avvertimento: “Ecco la vostra pecora: la vecchia lana sarà la sua nuova pelle,poiché la propria adesso ci apparterrà per sempre.”
Lo avevano trattato da pecora, nient’altro. Era un animale di cui sfruttare solo la carne ormai, perché del manto era già stato barbaramente privato.
Era l’unico figlio maschio. Per fortuna le sue sorelle non lo videro in quello stato, perché già maritate.
Ci volle tutta la forza di volontà di sua madre per rimetterlo in sesto. Fu il suo ultimo gesto, ricordò, poi se ne andò con Dio.
Il padre invece non volle più rivolgergli la parola, ne avere alcun che in comune, specie dopo la morte di sua moglie. Ma c’era un motivo ,per questo astio apparentemente incomprensibile.
 Quando le ferite cominciarono a rimarginarsi e vide lo scempio che avevano fatto di lui, la furia lo colse. Non sosteneva il suo stesso sguardo davanti allo specchio, non che fosse vanitoso, ma aveva sempre fatto del suo fisico un’arma di seduzione in più con le donne che fino ad allora erano cadute ai suoi piedi, che bramavano anche solo una notte con lui . Sapeva attirarle con i suoi racconti sulle guerre fronteggiate,sapeva affamarle di sé al punto, talvolta, da farle apparire quasi ridicole. Era crudele con loro perché erano tutte tristemente identiche, l’annoiavano alla lunga. Non più di una notte, si ripeteva sempre. Ogni tanto desiderava avere accanto qualcuno che corresse veloce quanto lui, non solo una bella bambola da ammirare,ma testa, cuore e sangue pulsante. Voleva passione nella sua vita,qualcuno altrettanto brutale, altro da sé, ma dolce e brutale. Da allora niente di tutto questo sarebbe più successo, nient’altro poteva ormai desiderare.  
L’orso inferocito aveva tolto di dosso il vello lanoso che lo nascondeva.
 Entrò furtivo nel loro castello e li uccise selvaggiamente tutti: padre, madre e tre figli.
 Li riteneva colpevoli e lo erano in effetti. Adesso anche lui. Ma non lo capì subito: quando comprese ciò che aveva commesso, ben al di là delle torture subite, era troppo tardi. Nessun pentimento avrebbe potuto portarlo indietro. Nessuna redenzione sarebbe stata praticabile. Ebbe il tempo di nascondere le prove del suo passaggio, dando fuoco a tutto. Fu un incendio di dimensioni considerevoli poiché  furono necessari tre giorni  per sedarlo e uno dei cadaveri dovette incenerirsi all’istante , addirittura, tanta fu la potenza della fiamma, perché non fu mai rinvenuto. Nessuno in paese osò mai ipotizzare chi fosse il colpevole di quella strage: solo la sua famiglia sapeva,il villaggio taceva seppur consapevole .
La madre, che si era affettuosamente presa cura di quel figlio tanto amato , ora ridotto ad uno scherzo della natura, non resse l’onta di cui si era macchiato e si suicidò.
Il padre non fu certo incline al perdono. Gli piangeva il cuore nel vederlo ridotto in quelle condizioni ma non tollerava di avere tra le mani un assassino . Non perché avesse ucciso cinque persone a sangue freddo, in preda alla furia cieca, no. Era disposto a comprendere quel suo folle gesto: l’orgoglio ferito di un uomo ha modi diversi e particolari di risolversi. Non tollerava che avesse ucciso sua moglie, seppur indirettamente. Nemmeno in punto di morte lo assolse, non volle vederlo. Morì da solo ,poco dopo la sua consorte, mentre il figlio sommessamente piangeva al di là della porta della sua camera. Nonostante questo, suo padre lasciò scritto nel testamento che , come spetta ad ogni figlio maschio, avrebbe ereditato tutto. Il povero vecchio non ebbe molte opzioni: lasciò il patrimonio di famiglia nelle mani di un carnefice, di un essere ributtante e spietato al quale aveva voluto più bene che alla sua stessa vita, fino alla fine, poiché fino ad allora lo aveva protetto dal mondo .
Erano passati dieci anni. Era diventato un essere deforme all’esterno. Ma il mostro dentro? Quel gemello perverso che vive in ognuno di noi ed è affetto da svariate manie?Dov’era finito? In quiescenza , pensò, come quel vulcano, in Italia, il Vesuvio.In effetti si assomigliavano, gli capitò di notare. L’Italia, lei. Avrebbe mai potuto amarlo? Certamente no, come avrebbe potuto?   
Si era presentata così sprezzante e scortese, come anche lui sapeva essere, da rendersi adorabilmente fastidiosa. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi, a qualcuno, per liberarsi da quel fardello opprimente. Ma chi avrebbe amato un mostro, un folle omicida?
Ebbe paura di sé per un attimo e della collera cieca che lo invase quella notte fatidica e che non si era più manifestata: evidentemente era stata saziata, ma sarebbe sempre potuta tornare alla ribalta con delle nuove pretese.
 Era certo in quel momento di un unico fatto : se lei fosse rimasta lì con lui,  con la sua sola presenza, niente del genere sarebbe più accaduto.
 
La mattina giunse in  un baleno.
Lei si svegliò , incredula di essere riuscita ad addormentarsi. Il pensiero volto alla perdita della propria libertà aveva lasciato il posto alla stanchezza. La sua camera si era rivelata  più confortevole di quanto avesse osato immaginare, anche per questo non le fu difficile prendere sonno.
Aveva deciso istintivamente di restargli accanto perché non vedeva in lui una minaccia,- iniziò a pensare- nonostante il suo aspetto poco rassicurante. Era lì per fare la moglie?La dama di compagnia? Non le era chiaro, questo. Osservò che se avesse desiderato qualcosa del genere , probabilmente non avrebbe esitato ad obbligarla a giacere con lui. Ma non era successo. Forse avrebbe dovuto chiedere, forse ancora era meglio che stesse zitta ed evitasse la figura dell’idiota. Si era già distinta nel non sapere chi fosse quel dannatissimo Ulisse.
”Ci sarà una biblioteca, qui da qualche parte, accidenti.”
Non sopportava l’ignoranza né tantomeno l’essere inferiore agli altri. Prediligeva i trattamenti da pari a pari. In effetti, lui da pari l’aveva trattata, nonostante , era ben evidente, fosse di rango superiore. I suoi vestiti erano ancora umidi. Non poteva certo aggirarsi nei meandri del castello con la sola sottoveste, perciò si avvolse nella coperta sopra il letto,una specie di pelliccia maculata, ed uscì dalla sua camera senza prendere in considerazione il fatto che era anche dotata di un vistoso armadio.
 Iniziò la sua avventura osservando attentamente ogni dettaglio, ogni ritratto, finché non percepì un respiro pesante dietro di sé: “ State andando nella direzione sbagliata, mia signora.” Quegli occhi verdi e penetranti la guardavano dritto negli occhi, adesso.
“Avete una biblioteca qui?O dei libri comunque?”chiese, sorvolando il fatto che sembrava notevolmente alterato.
“ Da quella parte .”cominciò a squadrarla da capo a piedi. Doveva essersi appena svegliata, notò fra sé. Quei capelli scarmigliati, i piedi nudi e quella pelliccia addosso le conferivano un certo fascino selvaggio, forse un po’ ferino che di sicuro non le apparteneva, ma che sapeva recitare con convinzione, seppur inconsciamente.
“Beh?Che avete da guardare?”si strinse ancor più nella seconda pelle che portava addosso.
“No, niente..”notevolmente imbarazzato, cominciava ad abituarsi a quel fare di lei un po’ insolente, trovandolo quasi grazioso.
“State per ridere,milord, lo vedo. Fate ridere anche me.”
La trovò attraente con quel  modo di fare così schietto e naturale. Non un’ombra di compassione o trasalimento nel vederlo. Lo rasserenò questo, lo distese, nonostante il disappunto nel vedere che lei stava prendendo la direzione del suo rifugio.
“Non vi siete vestita,milady.”
“ Non sono nemmeno nuda. ”
Si stupiva di sé stessa ogni volta che apriva bocca davanti a lui. Le sembrava di essere sempre più sgarbata, volgare e troppo in confidenza con un uomo che era pressoché un estraneo.
Le veniva naturale e questo la spaventava. Non era da lei l’ arroganza.
“Siete sempre così schietti voi italiani?”il tono ironico si era dissolto.
“Perché vi infastidisce?” avrebbe dovuto riflettere, arrossire e scusarsi. Invece no.
“Beh… ecco..”
“Vi tolgo da un imbarazzo: non sono una lady inglese, questo credo l’abbiate appurato da solo. Dunque non c’è da pretendere che mi comporti come tale, mi auguro. Sono di un ceto inferiore al vostro, è ben evidente anche questo. Abbiamo costumi diversi perché proveniamo da mondi diversi. Ho ragione?”
Pessima, assolutamente pessima, avrebbe dovuto non parlare, ne era certa.
“In realtà  non mi dispiace se siete così diretta. A volte l’etichetta complica maledettamente i rapporti. In ogni caso, nella vostra camera è presente un guardaroba, apritelo pure e troverete ciò di cui avete bisogno. Sempre meglio del copriletto che avete addosso.”cercava di rendersi affabile, ma non si rendeva conto di averla appena derisa.
Lei lo fissò odiandolo. Ancora una volta si era sentita da meno. Passò oltre e tornò nella sua stanza. Scaraventò via quella pelliccia e spalancò le ante dell’armadio. Avrebbe dovuto guardare la stanza con più attenzione: c’erano vestiti d’ogni tipo, foggia, colore o fantasia. Ne scelse uno a caso, blu rifinito con un nastro oro sul fondo e sul petto. Si raccolse rapidamente i capelli ,ricci  indisciplinati anch’essi. A quel punto si affacciò fuori dalla camera: via libera. Si recò in direzione della biblioteca ma non aveva idea di quale porta potesse essere. Le aprì tutte ma si trattava di stanze da letto. Salì una rampa di scale e si trovò di fronte ad una porta maestosa. O si trattava della biblioteca o si trattava della stanza del padrone del castello. Per fortuna si rivelò esatta la prima opzione. Con fatica tirò le tende di velluto, quanto mai pesanti, per far entrare la luce. Era una collezione davvero ben fornita e divisa ingegnosamente in settori. Pensò che Polifemo potesse essere una creatura fantastica e cercò il settore mitologico. Un libro sulle creature della mitologia la informò su chi fosse il Ciclope e come fosse stato accecato da Nessuno, in realtà Ulisse, nell’Odissea di Omero. Si mise a cercare  anche quella. Si accomodò ad una scrivania e cominciò a leggere.
Così passarono i giorni,poi le settimane. Lei girovagava per il castello,scoprendo così la cucina, le cantine, la sala da musica, con ogni genere di strumenti provenienti da ogni paese, incappando di quando in quando nell’altro inquilino,se non si assentava . Si ritrovavano alle ore dei pasti , scambiando, solo talvolta, qualche parola .
Tanto lei era loquace, tanto lui rasentava il mutismo.
 
Una notte lo sentì gridare a squarciagola. Si precipitò immediatamente fuori dalla sua stanza per andare ad aiutarlo, ma non sapeva da che parte andare. Nella fretta, pensò bene di salire quei gradini che settimane prima lui  non le aveva fatto varcare. Dopo una rampa, cominciò una scala a chiocciola, proprio quando lui gettò un altro terrificante urlo che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Andò su più velocemente che poteva: pareva quasi che lo stessero uccidendo.
Entrò in punta di piedi, per non farsi sentire dal possibile intruso che lo stava assalendo così furiosamente. Il letto era un baldacchino, ne scostò le tende con cautela:  lo trovò da solo, seduto in mezzo al letto, con gli occhi spalancati, le mani tra i capelli e il respiro affannato, madido di sudore.
“Che ci fate qui?! Sparite. Non dovete mai entrare qui!”grugnì, alzando gli occhi spiritati verso di lei.
Non si lasciò intimorire e fece l’unica cosa che le venne in mente, un rimedio di sua madre. Si mise in ginocchio davanti a lui che la allontanò, spingendola bruscamente sul fondo del letto, intimandole ancora una volta di andarsene. L’aveva fatta intestardire e adesso sarebbe andata fino in fondo.
Dall’ estremità dove si trovava si mosse carponi e gli urlò contro di stare fermo, mentre lui le rispondeva per l’ennesima volta di lasciarlo solo.
Gli urlò contro di nuovo.
 Doveva essere riuscita a farsi intendere perché ad un certo punto  gli tolse le mani dalla testa con una certa decisione, e ci mise le sue. Si avvicinò al suo orecchio, con  voce flebile :
“E’ un rimedio vecchio come il mondo, ha sempre funzionato. Calmatevi e state in silenzio. Apostrofatemi ancora così e vi lascerò solo, di nuovo.”
Le difese di lui in quel momento crollarono. Non gradiva che se ne andasse.
“Voi non sapete, non volete proprio capire…”stava quasi ringhiando.
 Era sconvolto, era come se tutto il suo corpo traviato raccontasse la sua disgrazia.
“E non voglio sapere, sono fatti vostri.”era inspiegabilmente pacata ” L’importante è che stiate bene. Ho pensato che vi stessero scannando.”aveva il suo viso tra le mani e lo inclinò guardandolo negli occhi” Ho temuto per voi, invece avete solo avuto un incubo.”le riusciva sempre più semplice guardarlo negli occhi dopo le prime volte.
Lui cominciò a stringerla a sé. Non capiva troppo bene quello che stavano facendo, si rendeva solo conto che il calore di quelle mani lo stavano tranquillizzando; la vicinanza del suo corpo lo rendeva più sicuro. Il respiro si faceva via via più regolare, lo sentiva, aveva il volto di lui premuto sul petto. In quel momento, istintivamente lo abbracciò. Non sapeva né perché né fin dove si sarebbero spinti: quando si trovava sotto pressione agiva d’istinto, faceva la cosa che le sembrava più giusta, senza pensarci due volte.
Lui si tirò su , le sembrava che si fosse ripreso.
“E’ passata adesso?...”glielo chiese con degli occhi  così gentili che si stupì lei stessa di come quell’uomo così mal ridotto riuscisse a farla diventare migliore.”…allora buonanotte”
L’afferrò per un braccio,ancora una volta: era il suo modo di chiamarla” Vi dispiacerebbe restare qui stanotte, solo stanotte? Non farò niente di sconveniente, ma dormite con me.”
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata quella richiesta , ma non pensava che l’avrebbe  manifestata in quelle condizioni. Lo guardò bene, grazie al  chiarore della luna,senza il disprezzo che lui pensava nutrisse,e con il pollice sottolineò quella cicatrice in tralice ,più marcata delle altre, in mezzo al volto , linea di confine tra il mostro e l’uomo. Lui chiuse gli occhi con rassegnazione.
“D’accordo , se vi aiuterà a riposare.”
Ancora una volta era riuscita a sbalordirlo. Il  linguaggio dei segni e del corpo di lei era completamente diverso, esulava dalle sue conoscenze. Se aveva intuito qualcosa, poteva star sicuro che lei intendeva l’esatto contrario.
Lui era solito  dormire a torso nudo, perciò non poté non vedere lo scempio che qualcuno aveva eseguito di quell’uomo , chissà quando, chissà perché.
 Intese che non era nato così.
Gli accarezzò il petto, lo baciò su una guancia e gli diede di nuovo la buonanotte.
Aveva visto affiorare l’uomo sepolto tra quei rammendi di carne e aveva udito il grido della bestia. Non aveva paura, non provava pietà. Era ciò di cui aveva bisogno. Si rendeva conto intimamente che non poteva fare a meno del contatto con lui.
 
Era profondamente scosso.
Ancora una volta  quelle notti erano tornate a tormentarlo.
 I cadaveri, l’incendio, la madre morta, le sue torture. Stavolta però non era solo, non aveva gridato straziato dal dolore senza ottenere aiuto.  Aveva ricevuto un abbraccio, un bacio, della comprensione forse, da una perfetta sconosciuta. Una forestiera, per giunta.
Passionale, gli era sembrata. Istintiva,senz’ ombra di dubbio. Una donna britannica non  gli avrebbe asciugato il volto,non l’avrebbe tenuto fra le mani, non avrebbe lasciato che un estraneo la stringesse, la toccasse,almeno non se in preda a chissà cosa e disfatto come lui era . Ma lei aveva lasciato correre. Sapeva di cosa aveva bisogno e glielo aveva dato,senza tante cerimonie, senza dover mendicare, nonostante lui le avesse grugnito contro più di una volta. Lei aveva risposto altrettanto, non si era arresa con lui, aveva utilizzato le sue stesse armi. Era stata brutale. Finalmente qualcuno, pensò fugacemente. Alla fine si addormentò cingendole il fianco con un braccio.
Il calore della sua mano sul suo ventre la svegliò l’indomani. Che presenza stranamente gradevole.
 Lei cercò lentamente di rigirarsi , per non disturbare il suo sonno ritrovato,ma di scatto aprì gli occhi.
 Aveva paura di lei.
 Le aveva chiesto di restare solo perché  era riuscita a calmarlo inspiegabilmente, ma adesso, da sveglio, non reggeva il confronto del corpo  morbido e voluttuoso di lei con il suo, martoriato e ricostruito quasi al rovescio .
Temeva di essere sbeffeggiato, aspettava con rassegnazione da un momento all’altro una sua sonora risata o qualcosa del genere. La desiderava ma la temeva. Voleva allontanarla perché non conoscesse meglio la bestia che si celava dietro quel fantoccio d’uomo. In quel momento lo stava scrutando con quei suoi occhi celesti, due finestre aperte per conoscere lui soltanto. Un brivido gli attraversò la schiena, immaginando i suoi pensieri.
Lei si tirò indietro ma lui la riavvicinò senza pensarci. Aveva sbagliato, era troppo vicina, la luce del giorno sarebbe stata impietosa. 
“Buongiorno” gli sussurrò.
“Buongiorno a voi.”balbettò.
 Nessuna risata fragorosa.
“Vi sentite meglio?” chiese accarezzandogli il volto.
“Grazie per essere rimasta. Nessuno si sarebbe prestato a tanto per un mostro, perché è quello che sono.”
“Se parlate del vostro aspetto,beh, è sciocco chi vi giudica dalle apparenze” si era alzata sulla schiena. I capelli le ricadevano dolcemente sulle spalle e sui fianchi.
“Allora  il mondo è pieno di idioti?”La guardava disteso, poteva ammirarla meglio così, lei nemmeno se ne era accorta.
“Chi vi ha fatto tutto questo lo è.”
“Come lo avete scoperto ?”
“Non sarò colta come voi, ma non sono nemmeno stupida. E’ovvio che non siete nato così . Dubito che siano ferite di guerra. Siete stato prigioniero,forse, certo è che vi hanno torturato.”
“Nessuna guerra.”
“mh…Allora anche voi potete capire cosa vuol dire quando si viene violentati e depredati di qualche cosa di prezioso , cui fino ad allora non si era data la giusta importanza. Dovete aver sofferto . E… soffrite ancora, non è vero?”
Lui rimase in silenzio. Stava abbattendo con una delicatezza disarmante tutti i suoi segreti, le sue maschere ,senza farne una tragedia.
“Sono stato punito per un errore che ho commesso. Solo che poi ho perso il controllo …”
“Avete punito il vostro carnefice? Avete avuto più coraggio di me. Io sono scappata.”
“Non era  coraggio ma orgoglio ferito . Quanto a voi, la vostra famiglia è salva, non rammentate più il nostro patto?”
“Come posso averne la certezza?”
“Sono stato due settimane lontano da qui per sistemare alcuni miei affari, tra cui il nostro accordo. Se volete , vi mostrerò un documento della banca che vi confermerà il mio versamento miss Mackinny?”
“Sì , siamo noi. Sarebbe Maccini, in italiano. Ma voi britannici preferite storpiarli i nomi stranieri. Così abbiamo preferito  una traduzione . Allora me lo mostrerete il documento?  ”
“Certamente.” Ci fu un breve silenzio. Lei cominciò a inclinare gli occhi verso sinistra, riflettendo.
“E’ come se mi aveste comprata in fondo…”non affiorava sarcasmo dalla sua voce.
Aveva ragione, di fatto si era trattato di quello.
Ogni penny era ben speso per una donna come lei. Di fronte alla sua consapevolezza non sapeva controbattere. Avrebbe voluto solo essere migliore per averla tutta per sé , senza ricatti o contratti.
Aveva intuito di aver colpito il punto debole, laddove non c’erano scuse.
“Sapete, ho sempre avuto una domanda che mi circolava per la testa..” continuò.
“Dite, allora…”
“Perché avete voluto comprarmi? Perché avete voluto me? Perché prestare aiuto ad una sconosciuta? “
“  Una donna non mi sposerà mai consensualmente, lo capite?Se vi avessi aiutato, sareste rimasta e ,in un certo senso, avrei compiuto pure una buona azione. A volte le persone ridotte come me non sono animali dentro, altri invece lo mostrano fuori e tengono il peggio nascosto nell’anima.”
Lei rimase un attimo a pensare e poi:
“ Devo considerarmi una sorta di sposa?”
Non sapeva che cosa risponderle,anche se le avrebbe detto volentieri di sì:“Se vi piace…”
Lo guardò con una dolcezza con cui per un attimo non si riconobbe proprio.
“Volete condividere il tormento che vi schiaccia?”aveva cominciato ad accarezzargli il petto,involontariamente, non sapeva come smettere, era come senza freni.
“ Non mi lascerete?”il suo era un accorato appello.
“E’ così agghiacciante quello che avete commesso?”cominciava a commuoversi.
Smise di accarezzarlo e la sua mano si fermò alla base del collo , dirigendo il pollice su è giù per il pomo.
“Oh sì. Ma promettete…”al contempo le mani di lei sul suo collo avevano cominciato ad eccitarlo.
Quella amabile creatura aveva cominciato uno strano gioco tattile che lo stava sempre più intrigando.
“ Non mi muoverò da qui” voleva incoraggiarlo a sfogarsi.
Lo rassicurò il suo piglio deciso.
Era pronta ad addentrarsi nella tana dell’orso ,oramai si era spinta troppo nel profondo per tornare indietro; il padrone di casa si era rivelato un essere umano profondamente complesso, estraneo dagli uomini che fino ad allora aveva conosciuto.
“Sappiate che sono pentito. Sono passati dieci anni… Sono un assassino,un omicida, un ripugnante criminale. Chiamatemi con l’appellativo che più vi aggrada. Allora? Siete  ancora disposta a restare ?”
“Ditemi perché avete ucciso.”
“Per vendetta. Mi avevano fatto questo.”indicando se stesso” Ho distrutto tutto. Ho perso la ragione. Ero come impazzito.”
“ Quanti?”
“Tutta la famiglia. Cinque in tutto.”
Lei avvertì la vergogna e il rimorso sul suo volto.
“Mia madre si suicidò per questo. Mio padre non riuscì a perdonarmelo. Ho ucciso anche loro..”
Si adagiò accanto a lui e gli strinse le mani, intrecciandole con le sue.
“No che non li avete uccisi. Certe persone sono più fragili di altre. Inoltre, il perdono è difficile da concedere, specie per atti di questo tipo.”
“Non cercate di giustificarmi…”il suo tono fu durissimo .
“Oh ma io non vi giustifico affatto.”non aveva mai smesso di guardarlo dritto negli occhi.
“Che cosa?”
“ Vedete, avete fatto il giustiziere di voi stesso quando era già pronta la punizione eterna per un errore che non avevate ancora commesso. Avete pagato in questi dieci anni. E pagherete fino alla fine dei vostri giorni. Siete come morto al mondo. Non vi pare una pena sufficiente?Anche gli uomini come voi hanno bisogno di ritagliarsi uno scampolo di vita felice. Pagherete per sempre,certo, ma non sprecherei la vita a piangermi addosso, cercherei di compiere delle buone azioni, per un minimo di riscatto e a godermela almeno un po’ l’esistenza. Ciò non significa dimenticarsi degli errori commessi. Vivere è più difficile che morire, ricordatevelo.”
Nel frattempo , mentre gli parlava, così vicina, aveva avuto modo di osservare il suo corpo,di nuovo. Reso più visibile adesso perché indossava la sola veste da notte. Alcuni bottoni erano saltati in corrispondenza dei seni , tanto che a seconda di come si piegava un capezzolo o l’altro facevano capolino. Non appena lei se ne rese conto, arrossì di colpo. Paradossalmente,provava pudore nel vedere il suo corpo nudo, così come lui del suo. Si coprì con le mani, come meglio poteva.
Lui si rese conto che la conversazione era giunta al  termine, non poteva andare oltre, per quanto gli sarebbe piaciuto fare l’uomo, una volta ogni tanto.
Le sue parole gli avevano infuso una forza del tutto nuova. Si alzò dal letto e infilò la porta del bagno.
Sebbene fosse ancora preda dell’imbarazzo , in specie dell’insicurezza creata dalla sua seminudità, dalla mancanza di indumenti atti a coprire la pelle, avrebbe voluto ancora  il suo braccio intorno alla vita.
Che sensazione strana, anzi, che voglia strana, perché lo richiedeva ancora?
Lei non doveva mica: lui era il suo carceriere .
Era già scivolata via dal letto , quando se lo ritrovò di fronte,di nuovo.
Le sembrava ancora più alto del solito, imponente come un orso su due zampe.
In un attimo, tutto le fu così chiaro e confuso insieme, si sollevò sulle punte dei piedi, gli afferrò la nuca, infilò le dita tra i suoi capelli e lo baciò con un’intensità fino ad allora sconosciuta, per entrambi.
Non appena le loro labbra si staccarono, lei si lasciò solo il tempo di dirgli:” E’ colpa mia.” E corse via dalla sua stanza.
Era rimasto lì in piedi, completamente frastornato. Non aveva avuto il tempo di rendersi conto di cosa era appena accaduto alle sue labbra, nemmeno di rispondere al bacio.
Era stata lei a prendere l’iniziativa, non l’aveva immaginato. Cominciò a chiedersi perché l’avesse fatto: la solita compassione? Un gentilezza al condannato?
Probabilmente  doveva vederlo come un essere patetico e malvagio.
Si era anche pentita di quel bacio .
Però, tutto quel trasporto…l’espressione nei suoi occhi,  forse si era trattato solamente di un impulso fisico che si era scontrato con la sua deformità .
Una reazione inconsulta,ma sì certo.
 O forse no. Doveva scoprirlo.
Lei si era diretta svelta in camera. Aveva chiuso la porta dietro di sé e si era lasciata cadere giù per terra. Stava ridendo, tra le lacrime che le incorniciavano il viso.
Le aveva confessato il peggio. Le aveva mostrato il suo lato oscuro e lei lo aveva accettato. In seguito,era stata in grado di provocare ciò che nemmeno lei si aspettava di fare: era come accecata , in quel momento, aveva bisogno di un contatto ravvicinato, così come gli occhi di lui, velatamente, la pregavano.
Un bisogno, una necessità, un istinto da soddisfare. Tutto qui.
Lei lo aveva attirato a sé. “Chissà cosa starà pensando di me”si lamentò.
Si decise a rivestirsi in fretta e a pettinarsi a dovere, quando lui spalancò la porta e la richiuse violentemente.
Sembrava fuori di sé .
Quei suoi occhi verdi, come le colline della sua terra,erano ancora più spalancati,tutta la pelle del viso subiva una strana tensione. Lei incominciò ad indietreggiare verso il letto , nel tentativo di arrivare vicino alla finestra, ma lui fu più veloce e riuscì come a catturarla.
 Ora aveva seriamente paura:anche lui le avrebbe inflitto lo stesso trattamento del conte?
Era un uomo, in ogni caso.
La teneva in una morsa potente,tanto che non riusciva nemmeno a divincolarsi. Proprio mentre lei era convinta che di lì a poco sarebbe cominciata una nuova tortura, lui cominciò a portare le mani di lei dietro la sua schiena :“Ancora…”le sussurrò ad un orecchio. Lei sorrise, ma continuava ad essere spaventata intimamente. Non era ancora finita.
Aveva intrapreso ad accarezzarle il braccio e poi giunse su fino al volto: poteva toccarla finalmente. Si avvicinò con una timidezza tangibile, sorprendentemente tenera .
Aveva paura di essere rifiutato, di non esserne degno, di non averne più diritto. Lei non riusciva a riflettere: era come annebbiata, gli occhi di lui erano penetranti a tal punto da ipnotizzarla.
La baciò con meno fretta della prima volta, sebbene l’impeto si fosse ugualmente conservato. La premette contro di sé con forza finché non  la sentì abbandonarsi interamente tra le sue braccia.
 Le  mani di lei intorno al suo collo furono subito una presenza piacevole.
“ Vi sentite ancora colpevole?” voleva delle risposte.
“Perché lo avete fatto?”con un filo di voce. Era come stordita.
“Potrei farvi la stessa domanda.”
“Non lo so. In quel momento non ho ragionato molto.”
Il che era la verità. Qualcun altro aveva riflettuto per lei in quell’istante fatale.
La stava stringendo sempre più forte, aveva cominciato ad accarezzargli il collo, con una certa foga , fino a scendere all’altezza del seno. Le mani di un uomo sul suo corpo, di nuovo.
In quel momento fu lei a volersi fermare.
“Aspettate…io.. io non posso…io sono..” di nuovo nella mente era
riemerso quel ricordo assordante.
Capì subito cosa voleva dire.
Era solo una fanciulla.
 Avrà avuto almeno vent’anni meno di lui. E aveva subito quel torto gratuito , peraltro.  Allentò la presa su di lei, ma non se la sentiva proprio di lasciarla.
Non sapeva come dirglielo: non si tirava indietro perché non lo volesse, anzi, ne era uscita stupendamente eccitata; né per il suo aspetto, nemmeno lo contava più,o forse non aveva mai preso in considerazione la sua storpiatura, ma perché era una vergine, una donna che non aveva mai assaporato il calore di un uomo, se non quella volta, malamente, quando aveva subito quella violenza, quella rapina triviale.
Lui era un uomo fatto, chissà quante donne avrà avuto tra le mani prima di lei .Non doveva essere spiacente prima dello sfregio, osservò, quindi le donne su di lui dovevano cadere come la pioggia da quelle parti. Non avrebbe potuto dargli il piacere che cercava, soddisfare le sue esigenze di uomo maturo, sapeva di non essere all’altezza.
Inoltre, c’era un’altra ragione per frenarsi, un motivo che non voleva né sentire né vedere, ma che era riuscito a farsi strada nella sua mente: il cuore.
Cosa provava per quell’uomo?
Perché,se aveva deciso di baciarlo e lasciarsi baciare, qualcosa voleva pur dire.
Per quale motivo lasciarsi toccare, accarezzare, stringere e fare a lui altrettanto, quando con una parola l’avrebbe subito respinto?
Non bramava la sua lontananza. Le mani di lui addosso, che la esploravano, le avevano fatto dimenticare l’orrore di quell’episodio cui non sapeva dare un nome preciso. Non voleva dargli un nome. Non doveva essere un peso da sobbarcarsi, ma una macchia da pulire soltanto. Si sarebbe dissolto, giorno per giorno.
 Si stupiva di sé stessa nel parlare con lui, la rendeva migliore in qualche modo e forse lei era riuscita a fargli lo stesso effetto. Poteva amarlo?
Amore…amore…nessuno glielo aveva raccontato. Sua madre era morta troppo presto. Non c’è una ricetta, non ci sono istruzioni, a volte nemmeno indizi. Succede, come un ciclone passa, prende e porta via. L’importante è stare dentro al suo turbine e lasciarsi trasportare via con esso. Forse se ne era innamorata sul serio. Il panico l’avvolse. E ora, che fare?
Lui sperava che dicesse qualcosa, ma lei era pensierosa. Ad un certo punto gli parve di vedere ancora della paura aleggiare sul suo volto. Per l’ennesima volta pensò che fosse colpa del suo aspetto. Poi che fosse colpa della sua confessione,troppo repentina, forse, si lambiccò tra sé . Eppure…sembrava desiderosa quanto lui…Era confuso.
 Lei si era fermata . Certo, se fosse stato per la sua bruttezza lo avrebbe fatto anche prima. Forse il modo: troppo brusco, troppo in fretta, troppo ingordo. Lui aveva fame.
Di lei, solo e soltanto. Questo lo fece riflettere.
Se la fame fosse degenerata in qualcosa di altro?
Se l’inumano fosse stato in agguato?
Se il volere lei sola fosse una predilezione della Bestia nascosta?No, non poteva essere. Non doveva. Lei era stata la sua cura quella notte. Che potesse essere anche il contagio?
 “ Andate adesso, ve ne prego, signore. Tra poco sarà l’ora del pranzo , ci vedremo giù di sotto. E’ meglio così. Perdonatemi. Non è colpa vostra. Sono io ad essere sbagliata. Ho sbagliato.”
Pensava che avrebbe visto il disprezzo palesarsi sul suo volto, la vergogna di essersi abbassata a lasciarsi prendere da un uomo così repellente e invece no. Stava implorando, a suo modo, anche se lui non immaginava il perché.
Tolse le mani che fino ad allora erano rimaste sui suoi fianchi con notevole reticenza- faceva fatica a controllarsi con lei così vicina,tra le braccia-  e si avvicinò al suo viso:
“Io non lo credo” e se ne andò.
Avrebbe dovuto dirgli la verità. In ogni caso sarebbe stato liberatorio.
 Lui ambiva solo il suo corpo,l ’aveva compreso, aveva bisogno di sfogarsi e quel che è peggio era stata lei a provocarlo fino a  quel punto, a desiderarla violentemente, a scoperchiare quel vaso come una novella Pandora.
 Aveva sbagliato, ne era certa.
Volevano appagare istinti diversi, secondo lei.
Lui bramava il suo possesso, anche solo per una notte. Ne era convinta.
E lei? Cosa pretendeva da lui?Per quanto avesse chiarito il suo cuore, rimaneva sempre qualcosa di non detto,c’era sempre qualcosa che mancava.
Non avrebbe dovuto pretendere niente da lui, si disse, lei lo aveva stuzzicato stupidamente e lei sola avrebbe rimediato al danno.
 Ma era davvero un danno poi?Aveva scoperto quanto fosse pericoloso farsi desiderare da qualcuno. Ma anche quanto fosse eccitante per il corpo e per l’anima: infatti il suo ego non ne aveva risentito, tutt’altro. Non lo avrebbe mai ammesso di fronte ad anima viva, perché la terrorizzava e  non capiva come un atto che solo poco tempo fa la ripugnava a morte, adesso si fosse trasformato in qualcosa di incommensurabilmente più piacevole, che le faceva completamente smarrire la percezione di una parte di se stessa.
Era desiderio brutale anche il suo, come quello di lui, ma non aveva intenzione di riconoscerlo. Perdere se stessa in quei momenti, con un altro essere umano così prossimo, era un rischio che non poteva né doveva correre.
Se gli avesse detto quello che provava , probabilmente l’avrebbe derisa, trattandola come una bambina che crede ancora  nel vero amore che non esiste e lui poteva provarlo. Si immaginava già quello che le avrebbe risposto:”L’amore non esiste, ragazzina. Io ne sono la prova. Se ci fosse stato amore , non sarei ridotto così. Ho conosciuto il disgusto, il disprezzo, la derisione sulle facce della gente, mai l’amore o la compassione. ” Doveva rischiare e dirglielo. Doveva buttarsi, senza pensare, come aveva fatto fino a quel momento, del resto. Non aveva niente da perdere.
Scese dabbasso. Aveva indossato un vestito rosso,ma  si pentì subito della scelta, fatta anch’essa sull’onda dell’emozione e non del raziocinio. Lo aspettò a lungo nella sala da pranzo ma non arrivò. Erano appena suonate le tre. Se ne era andato? All’ingresso trovò un biglietto:
“ Tornerò, stanotte.”
Una promessa o una minaccia?
Solo tra due o tre ore al massimo sarebbe calato il buio. Per quanto aveva intenzione di restare là fuori? Si accorse che si stava preoccupando per lui come un’ amante, una moglie, una fidanzata. Se fosse uscita a cercarlo e lui nel frattempo non l’avesse trovata al castello ? Se fosse successo il peggio e l’avessero ucciso? Non voleva nemmeno sfiorare l’idea.
 In mezzo a questo affollarsi di ipotesi, il sole era  tramontato e di lui nemmeno l’ombra.  Gli lasciò anche lei un biglietto e si decise a scendere nelle scuderie, montare sul primo cavallo e partire al galoppo. Attraversò in lungo e in largo la foresta senza risultati:nessuna traccia di lui né della sua cavalcatura, almeno i lupi non l’avevano aggredito, poteva tirare un sospiro di sollievo.
Tornò indietro, verso il castello per esplorare i terreni circostanti. Fu il cavallo a guidarla: doveva essere abituato a quell’itinerario.
 La portò fino ad un tempietto rotondo. Era la tomba di famiglia,scoprì in seguito,lì altre impronte equine erano ancora fresche. Era vivo, era salvo e stava tornando al castello. Dall’ ombra spuntò fuori un altro cavallo: “Dov’è il tuo cavaliere?” bisbigliò.
“Proprio qui. Chi siete?” Aveva una spada puntata alla gola, di nuovo.
Riconobbe subito la sua voce, avvertì subito il suo odore.
 Si tirò giù il cappuccio e sciolse i capelli. Adesso capirà immediatamente,pensò speranzosa.
“Ah, voi… Siete uscita!Volevate forse fuggire?!”si sentì come tradito.
“ Ero solo preoccupata per voi, stupido idiota.”scoppiò a piangere. Era esausta, aveva freddo, lo amava ma non era amata a sua volta. Si accasciò per terra.
Rimise la spada al suo posto. Che stupido. La prese in braccio , la issò sul cavallo e trainò l’altro appresso. Che stupido. Stava cominciando a piovere , così come lei non smetteva di piangere.
Era andata a cercarlo.
 Non aveva pensato di fuggire. No, non lo aveva fatto.
Si era preoccupata della sua sorte. Era la seconda volta che temeva per la sua vita. Forse si era affezionata a lui, in un certo senso.
Non sapeva come comportarsi di fronte ad una donna in lacrime, preferì tacere.
Era uscito per riflettere, per far sbollire l’eccitazione. Avrebbe voluto fare diversamente ma non conosceva altri modi.
Aveva cavalcato senza meta fino a giungere al solito punto: laddove riposavano i suoi genitori. Quel luogo lo rilassava. Era rotondo, completo, perfetto. Tutto lì assumeva un senso.  Cominciò a mettere insieme i tasselli della storia.
Non riusciva a fare a meno di lei. Se ci fosse stata un’altra donna al suo posto, avrebbe cercato lei comunque.  Il suono della sua voce, la  comprensione dimostrata, il suo piglio nelle situazioni drammatiche, il suo spirito , il suo corpo- non poteva fare a meno di ripensarci,dopo così tanto tempo- quel modo che aveva di calmarlo e di eccitarlo, di tirar fuori il lato umano e quello bestiale.
Bestiale.
Bestiale?
Perché aveva pensato un aggettivo del genere?
Lei aveva visto la bestia che era, sia fuori che dentro.
Si era spinta volontariamente nell’anima nera custodita dentro quell’involucro terrificante, aveva accettato , aveva compreso. Ma se le bestie devono stare con le bestie…? Sciocchezze. Lei non lo era. Era riuscita a trasformare la sua furia, la sua bestia, in  desiderio sano e insaziabile .Aveva fatto uscire l’uomo  lasciando che convivesse con la sua anima indomita e selvaggia .
 Le aveva esibito l’uomo e la bestia e per tutta risposta lei non batté ciglio; non lo biasimò; non inorridì; non  fuggì. Accadde l’imprevisto.
Doveva rimanergli accanto, come una donna ad un uomo.  Non poteva trattarla come una delle tante prostitute che aveva frequentato nei primi anni della sua emarginazione e che aveva ricoperto d’oro purché gli regalassero anche solo un paio d’ore di godimento. Ma non era lo stesso. Pagare quel genere di piacere non era nella sua indole. In breve tempo cominciò ad odiare quelle mercenarie.
Non poteva ripagarla così della sua comprensione, del suo… amore?
No, no di sicuro…solo affetto.
Perché voleva tenerla con sé?
Era felice quando la vedeva, ma al tempo stesso lo terrorizzava a morte. Lei era così diversa, così umana che non avrebbe potuto lasciare che vivesse confinata tra le tenebre con lui. Che sorta di vita avrebbe potuto regalarle?
 L’altra ragazza non gli aveva fatto lo stesso effetto, probabilmente perché non si era spinta così lontano nel suo cuore ed inoltre  era una prigioniera. Ma lei…non  riusciva a vederla così, non più.
Nel frattempo lei aveva cominciato ad asciugarsi le lacrime,  appoggiando le testa sulla sua spalla e  si strinse a braccia conserte. Aveva freddo perciò l ’avvolse nel suo mantello: non doveva patire il gelo .
Quanto era stato sciocco ad aggredirla  in quel modo, in fondo lei non lo meritava. La sua solita mancanza di fiducia, la sua eccessiva circospezione avevano preso il sopravvento. Non sapeva come scusarsi. Avrebbe  trovato un modo.
 Frattanto erano arrivati al castello. Una volta smontato dal suo destriero, aiutò pure lei a far lo stesso . L’afferrò per i fianchi e solo in quell’istante si accorse di quanto fosse leggera. Sentì le mani di lei sulle spalle scorrere giù subito. Capì.
Lei era svenuta, intanto, doveva essere sfinita,pensò. La prese in braccio e la portò all’interno. Lui aveva capito finalmente.
Erano rientrati dalle scuderie ma al portone d’ingresso qualcuno stava insistentemente bussando.
 Che continuasse pure a bussare, non gli importava.
Lui aveva finalmente compreso.
Si avviò verso le stanze da letto affinché lei si stendesse.
 Una volta uscito, sentì ancora l’intruso battere alla porta. Non se ne sarebbe andato finché non avesse ottenuto ciò che andava cercando.
 Aprì stancamente il portone, restando in penombra come al solito.
“Chi siete?”con la solita aggressività che lo distingueva.
“Come, nessun prego entrate?”aveva un tono serpentino.
“Chi siete?!” Fu meno gentile di sempre.
“Viaggiavo da queste parti, ho visto una luce e pensavo che avreste potuto darmi ospitalità per stanotte.”
“Mi dispiace, non posso.”Non aveva intenzione di fargli varcare la soglia, aveva altro a cui pensare , che morisse pure.
“Allora posso solo aspettare che spiova, milord?”insisteva.
“Dubito che smetterà presto, milord” dov’erano finite quelle buone azioni e quegli innumerevoli buoni propositi?
“Il mio cavallo è esausto, ho davvero bisogno del vostro aiuto.” Cercava di essere commovente.
Lo trovava insistente ed insopportabile,ma non poteva essere scortese.
“Portatelo nelle scuderie ed  entrate.”si risolse così, solo per lei e per quei buoni intenti.
Non appena fece entrare lo sconosciuto ,questi si tolse il mantello gocciolante di dosso e si avvicinò al fuoco. Gli sembrava una faccia familiare, ma fu un pensiero che sparì in fretta.
Non aveva voglia di fare conversazione, non con lui almeno. Voleva che se ne andasse, alla svelta.
“Avete molte visite, milord, di questi tempi?”lo apostrofò lo strano ospite.
“No”rispose seccato.”anche la conversazione da salotto mi toccherà?”si stizzì tra se.
“Sapete, sto cercando una persona. So per certo che ha attraversato questa foresta, ma non ha lasciato di sé alcuna traccia. I lupi devono misteriosamente averla graziata. Qualche  pellegrino è venuto a bussare alla vostra porta in cerca di ospitalità? Una donna magari?”
Solo allora identificò il nuovo arrivato. Decise di servirsi con calma.
“E’ passata una donna, in effetti. Ma se ne è andata due o tre settimane fa.”
Lei si era risvegliata nel suo letto, proprio in quegli attimi .
 Era arrabbiata con lui, stava scendendo le scale, quando sentì la sua voce. La stava cercando. Era braccata. Avrebbe dovuto affrontarlo.
Il passato era tornato. Finalmente, era giunta l ’ora.
Si inumidì le labbra con la punta della lingua e continuò a scendere i gradini senza far rumore, strisciando poi nell’ombra verso la stanza principale.
“Perché mentite, milord?”con un sorrisetto serafico sulla faccia.
“Perché insinuate che menta?”
“Ma voi state mentendo, milord. Avete pagato lautamente la famiglia di quella donna, proprio immediatamente dopo la sua scomparsa. Lei deve essere qui.”
“Chi vi ha dato quelle informazioni…”
“ Chi me le ha date ? Voi stesso milord!Io ero l’impiegato della banca, milord…”
“Che bisogno c’era di camuffarvi?” Stava cominciando a scaldarsi.
“Mi avreste riconosciuto comunque, presto o tardi. Non vi ricordate di un ragazzetto sui sedici anni, tutto lentiggini?”
“Sono spiacente, non ricordo. Chi diavolo siete?!”era pronto ad aggredirlo.
“ Brutta pecora, davvero non ti ricordi?!Mi rattrista sapere che proprio non ti siamo rimasti impressi!!” Mostrò una vistosa cicatrice alla base del collo.
“Tu…il più piccolo, sei ancora vivo?! Sei qui per tormentarmi? Pensi che non mi ricordi?Ogni singolo giorno sconto la pena per quello che ho fatto. Sparisci prima che uccida anche te, per la seconda volta .”
La sua rabbia era sul punto di rompere gli argini, se non avesse avvertito una mano intorno al collo a stringerlo delicatamente e una intorno al polso con energia a bloccarlo.
“Lascialo a me.”Gli bisbigliò.”Hai già fatto abbastanza.”
Il suo odore così penetrante era del tutto estraneo.
“Eccomi , signore, mi cercavate?”sbucò fuori dall’ombra accanto a lui.
La sua voce aveva un suono strano,del tutto nuovo, metallico.
“ Milady… Vi ho cercato per mesi…” abbozzando un inchino fasullo.
“Non siete molto intelligente allora,oppure non sapete cercare…giacché ero più vicina di quanto pensavate.” Insolente e sarcastica.
“Ma ora vi ho trovato.” Sorrise beffardo.
“ E con ciò? Che pensate di fare?”continuava stranamente a sorridere,inclinando la testa.
“ Devo saldare un vecchio conto col padrone di casa e poi riprendermi ciò che mi spetta.”guardando verso di lei.
Il lupo  era pronto per arraffare la sua preda, stava affilando lentamente le zanne, per il puro piacere di gustarsi meglio la cena, di vedere affiorare l’inconsapevolezza e infine l’ orrore negli occhi della vittima prescelta. Che fame.
Lei si mise a ridere. Rise così forte che rimbombò in tutto il castello.
Rise così di gusto che entrambi gli uomini nutrirono un filo di sgomento; solo le bestie che si celavano in loro  ne erano come attratte, risvegliate, chiamate a gran voce.
“Voi credete?” Si stava avvicinando ondeggiando, con fare di sfida.
 Lui la vedeva bellissima, aggressiva, provocatoria.
 Il suo corpo sembrava ancora più rigoglioso del normale, ogni curva appariva accentuata, in quel vestito che era diventato quasi una guaina.
Anche il conte era eccitato, ma non capiva dove volesse arrivare.
“ Per i conti tratterete con me, stasera. Sarò io stessa a saldarli.”cominciò a massaggiarlo nel luogo della cicatrice, una volta squarcio fatto da lui, dal suo amato, con una energia sempre più costante, fino quasi a strattonarlo e si voltò verso il padrone del castello .
Chiedeva la sua approvazione, il suo permesso.
Non aveva intenzione di  scavalcarlo, non desiderava privarlo della sua virilità tantomeno del diritto di difendersi da un nemico e di proteggerla,era libero di farlo ma non adesso.
Anche lei pretendeva la sua vendetta.
Ci fu un incrocio rapido di assensi.
 Si voltò verso il conte, invogliato da questa novità.
“Sapete, non è stata una grande idea venire fin qui, così tardi,nel cuore della notte, sfidando il maltempo...Non ho preparato il letto,… milord!…”
Gli occhi di lei si dilatarono eccezionalmente così come le labbra, ormai fauci. L’azzannò con tutta la ferocia che aveva in corpo. Gli strappò di netto la carotide e al conte non fu lasciato nemmeno il tempo di cacciare un urlo, perché morì con lui.
Gli squarciò il petto, ne estrasse il cuore e lo buttò nel fuoco. In ultimo, gli lacerò  i pantaloni,e con una spada trovata sulla parete, gli staccò via il pene che finì tra le fiamme, anch’esso.
”Bravo bambino” concluse”in compenso ti scaverò una fossa, il tuo letto eterno.”.
Giustizia era fatta.
Il giusto castigo era stato servito. Freddo e sanguinolento.
 Era stata rabbia cieca, anche la sua.  Aveva regolato i conti finalmente.
 Aveva dato vita al suo oscuro proposito.
Il lupo se l ’era mangiato, come promesso.
Grondava  sangue ovunque, rosso purpureo come il suo vestito. Rimase in piedi di fronte al cadavere scempiato. Respirava pesantemente. Stava con lentezza tornando alla normalità. Adesso ci voleva la forza di raccontargli  anche il suo lato oscuro.
Lui era sconcertato, però  fiero di lei poiché aveva combattuto il suo demone.
Aveva ucciso per entrambi, la sua valchiria.
La sua leonessa li aveva difesi e aveva vendicato se stessa.
O avrebbe dovuto dire la sua lupa?
Lei.. che cos’era lei?
Così bella e così crudele?
Così dolce e così spietata?
Anche in lei si celava una bestia?
Aveva scatenato la bestia che era in lui perché bestia era anche lei?
Qualcuno con cui correre, pensò, è davvero lei.
Si tolse alla meglio il sangue che aveva intorno alla bocca e che le era colato lungo il collo, a quel punto  gli venne incontro, tirandosi su una manica.
“Vedi?” gli indicò un punto del braccio dove teneva una benda.
Le belve non danno del voi.
Interrogativamente la guardò mentre la scioglieva.
Nascondeva una grossa ferita ormai rimarginata, un morso,suppose.
“Beh?” non trovava il nesso. Se ne stava a braccia conserte, in attesa di chiarimenti.
“ Un lupo mi ha morsa quando avevo undici anni. Non un lupo dei vostri. Non un comune lupo grigio.”
Si mise a ridere” Non mi direte che siete un lupo mannaro!”
“ Non fare il simpatico, non c’è molto da divertirsi.. Mannari diventano gli uomini che sono predisposti o se vengono morsi con la luna piena. Io sono stata morsa con la luna nuova, del lupo ho assunto solo la voracità, la ferocia, la violenza. Scatenare queste componenti dipende dalla luna e in parte è dipeso da lui. Bisogna essere particolarmente crudeli  per scatenare il lupo che vive in me. Non di continuo riesco a tenerlo quieto, ma quasi sempre riesco a farlo coesistere con me stessa.”
Lui rimase in silenzio. Era felice di avere in comune con lei quel lato incivile ed incontrollabile, un po’ pazzo.
Di avere in comune una bestia.
 Stava tornando in sé. Non aveva dimenticato come si erano lasciati ore prima.
“ Adesso sapete anche questo. Non avete niente da dire? Non volete puntarmi ancora la spada contro o punirmi perché secondo voi sono fuggita?”
Si avvicinò di un passo. Erano così simili. Avrebbero potuto uccidersi a vicenda, per la tensione che c’era nell’aria.
“Non sono abituato a fidarmi delle persone.”
“Vi ho dato prova in svariate occasioni di potervi fidare di me, mi pare.”
Era contrariata, il suo disappunto era percepibile. Lui lo trovava di una dolcezza impressionante.
“ Già, è così. Avevo solo bisogno di riflettere su quello che era successo, su quello che avevo fatto e che mi avevate detto.  Ero confuso.”
“Beh, avete fatto chiarezza?!”in tono di sfida, un po’ spazientita. Il lupo non se ne era mai andato in fin dei conti, era sempre stato lì, in attesa, conviveva brillantemente con lei, vergine e peccatrice,donna e animale.
“Certo.” Rispose serafico.
Non si aspettava una risposta così diretta, così rapida.
“Molto bene”cercando di nascondere il suo intimo timore”allora vi ascolto.”
“ Ho sbagliato a trattarvi in quel modo, poco fa. Non  lo meritavate. Mi avete offerto la vostra indulgenza e non vi ho ripagato nel modo giusto. Mi avete dato molto di più di ciò che mi aspettavo. Vi siete rivelata estremamente diversa dalla norma, per fortuna, oserei dire.”
Stava cominciando a stancarsi di questo suo girare intorno alla faccenda principale.
Aveva capito perfettamente che era un tentativo di trovare le parole giuste, ma non resisteva più: aveva bisogno di sapere poiché anche lei  era avida e ingorda. Era quella la sua fame.
“ Io vi amo, signore. Uomo e bestia, nel bene e nel male. Senza condizioni”
 Nessun preambolo, nessun preavviso:si era liberata e aveva rischiato.
 Lui aveva sentito benissimo quelle quattro sillabe, di gran lunga più chiare del suo borbottare inconcludente.
Era amato,al di sopra di ogni cosa, anche del lato oscuro, anche di quello. Non avrebbe mai creduto che lei provasse tutto questo.
 Scoppiava dalla gioia, ma doveva rispondergli qualcosa, qualunque cosa.
Lei lo stava guardando trepidante, sperava in una riposta positiva anche se non più di tanto. La sua mancata reazione alla rivelazione della sua natura lupesca l’aveva insospettita.
Era zuppa di un sangue che si stava lentamente raggrumando, non era la veste migliore per una dichiarazione, ma fino a quel momento tutta la loro vicenda era stata un susseguirsi di momenti sbagliati, inattesi o impensati,ma sempre inadeguati.
Forse sarebbe stato meglio scomparire nella propria stanza e lasciar trascorrere la notte.
 Tirò un sospiro,arresa.“Con permesso, milord.”
Avrebbe voluto dirle qualcosa ma gli sembravano tutte parole banali e vuote.
La notte nel frattempo era scesa.
 La pioggia non aveva cessato di cadere, incalzante.
Il diluvio, nel cuore della notte, si tramutò in tempesta, cosicché tuoni e lampi cominciarono a comparire nel cielo e a turbarle il sonno.
 Era terrorizzata dai tuoni, atterrita dai lampi.
Di solito andava a dormire nel letto dei suoi genitori, da piccola, solo ultimante con le sue sorelle. Non ebbe molta scelta: o rimanere paralizzata dalla paura o chiedere aiuto.
Ma lei non urlava: il panico era tale da toglierle la parola.
Si avviò tentoni verso la scala a chiocciola,inciampando un paio di volte in corrispondenza di un paio di tuoni, strisciò fin davanti al baldacchino e si infilò sotto le coperte avvinghiandosi a lui più forte che poteva. 
Non appena prese coscienza dell’inaspettato visitatore, si stupì di averla accanto nel suo letto.  Comprese quasi subito che era terrorizzata dalla tempesta:stava facendo del torso di lui il suo scudo, rendendosi sempre più piccola,quasi, ad ogni boato.
Le mise un braccio attorno alle spalle e cominciò ad accarezzarle leggermente i capelli, cercando di calmarla, di infonderle un minimo di sicurezza.
Era ben felice di proteggere la sua lupa, che fosse lì con lui, così stretta, così vicina. Tutta per sé.
Mia vita,pensò, mio cuore.
Gli si era avvicinata così, senza dire niente, senza domande, senza richieste.
Stiamo insieme stanotte, ho paura del tuono, stringimi forte.
Non l’aveva detto ma glielo aveva fatto capire. Dormirono stretti l’uno all’altra.
Quando si risvegliò l’indomani,  lei era riuscita a sgattaiolare, via dalla sua presa. Non voleva svegliarsi  con lui accanto, con lui addosso, combattere con l’istinto di desiderarlo . Se ne era andata silenziosa così come era arrivata lì quella notte, che era stata solo una ricerca d’aiuto disperata, non un bisogno d’amore, non doveva esserlo, per forza.
 Lui, rispettando il suo silenzio, non aveva rifiutato quella presenza notturna accanto a sé.
Se  il più delle volte lui non sentiva il bisogno di parole ,ora anche lei stava imparando a farne a meno e cercare di parlare la sua stessa lingua.
Pensò di averla delusa. Il suo silenzio di fronte all’aprirsi del cuore di lei l’aveva amareggiata. Era deciso fermamente a riparare. Scese nella sua stanza.
“Andatevene”gli intimò, quasi ringhiando, con una certa impazienza.
“No! Dovete ascoltarmi che vi piaccia o meno!”voleva riuscire a parlare , a fare un discorso senza interruzioni. Lei si meravigliò e si impaurì della sua decisione.
Si fermò a braccia conserte, curiosa di sapere quello che aveva da dire.
“beh? Sono qui ferma, sto aspettando.”
Cominciò a bofonchiare qualcosa,mentre lei continuava a non capire, così gli si avvicinò e gli chiese:”Potete farfugliare più chiaramente?”
“Dio!!!Siete così…così..” alzò le mani verso l’alto, pensò che volesse quasi picchiarla.
“Così come?!” teneva  i pugni stretti verso il basso e tutto il busto proteso verso di lui, contrapposto a lui.
“Sto  cercando di dirvi che mi sono innamorato di voi e  mi punzecchiate di continuo come uno spiedo! Non lasciate il tempo  di esprimermi come si conviene, dannazione! Siete impossibile!” Vide il volto di lei sconcertato, non si era reso conto del fiume di parole uscite dalla sua bocca.”Ora che c’è?”grugnì stavolta.
“ Quando vi impegnate sapete essere molto maleducato. E così vi siete innamorato? “ era ironicamente serena.
“ Chi l’ha detto ?” Era spaesato.
“Proprio voi, adesso. Non vi ricordate? Oppure era una bugia?”volle aspettare che si difendesse ma non ottenne commenti”Credete che la confessione di ieri fosse solo un gioco? Pensate che non sia atterrita dal fatto che avete visto il mio lato peggiore e ve ne siete stato lì, muto come un pesce?Immaginate vagamente quanto ci abbia messo per rendermi conto di amarvi e quanto mi sia arrovellata per trovare le parole giuste, per non apparire una patetica sciocca ragazzina , per trovare il coraggio?!.”
“Certo che lo immagino! Solo quando vi ho scesa dal mio cavallo ieri sera, ho capito quanto mi foste cara e preziosa. Quanto mi sono affranto per le parole che vi ho rivolto. Non avete  idea dello sconvolgimento che mi avete provocato!”L’afferrò per le braccia”Voi siete tale e quale a me. Nel bene e nel male. L’ho capito questo, non credevo di dovere aggiungere molto altro. Per la cronaca, i lupi non mi spaventano, contenta? Abbiamo smosso l’uno il  lato selvaggio e umano dell’altra . Non sono da me le dichiarazioni d’amore, non sono un fine dicitore come altri, non vi canterò un sonetto perché non sarei in grado di comporlo. Ma posso dirvi che vi amo, con grande ardore. A questo punto, anche io dovrei essere un patetico sciocco? E poi solo perché il più delle volte taccio non significa che non provi niente . Non esibisco  i miei sentimenti con naturalità,non l’ho mai fatto, prima per carattere,ma ora ,con tutto questo…”indicava il suo scempio,non sapeva come continuare e poi”il mondo non è stato umano con me!”si calmò subito, premendosi una mano contro la grossa cicatrice in mezzo al volto, mentre con l’altra continuava a tenerla molto stretta” Ho preferito essere prudente fino in fondo e non farmi delle illusioni su di voi. Non avrei mai sperato che vi poteste innamorare di me.”
Era sull’orlo del pianto,  impressionata che avesse toccato le corde più delicate del suo cuore. Lui l’amava, aveva solo avuto paura fino ad allora.
 Che sciocchezza pensare che  fosse indifferente!
“Molto bene, allora. Credo dunque che dovremo rivedere il nostro patto .”stava tremando dalla felicità, mentre lo diceva.
“Volete rivedere la vostra famiglia?” era ben disposto a concederglielo.
“Volete uscire alla luce del sole?”sapeva di chiedergli molto, ma decise comunque di provare.
Non fu drastico: “Vedremo, magari in futuro.”
Quella creatura della notte, solo apparentemente figlia della luce, l’avrebbe condotto all’esterno un giorno o l’altro, a far parte di quel mondo che in tutti quegli anni l’aveva rifiutato, a cui lui stesso aveva rinunciato . Da padroni dell’oscurità  come erano entrambi, lei sola , cui restava semplice confondersi con il giorno, gli avrebbe insegnato a fare altrettanto. L ’ Uomo avrebbe camminato tra gli uomini, con la luce del sole .Col calar del tramonto, la bestia avrebbe giaciuto con la sua degna sposa, dai grandi occhi color cobalto.
“Allora abbiamo un futuro?”sorridente. Insieme, pensò, non chiedo nient’altro se non poterti restare accanto, come è sempre stato.
“Sì che c’è. Ma ditemi piuttosto: i vostri cari?Non siete ansiosa di poterli riabbracciare?” chiese ancora, insistendo. Credeva che la privazione dei suoi parenti, per tutto questo tempo fosse stato un assillo incessante per la sua amata.
“ Ce li ho davanti, eccola qui la mia famiglia. Ho tutto quello di cui ho bisogno”gli prese il viso tra le mani e avviò a baciarlo, sempre più forte,con sempre più fame. Desiderarlo era un istinto naturale,ci era arrivata alla fine. Non più qualcosa da reprimere e di cui vergognarsi.
Qualcuno con cui correre, pensò di nuovo, dolce e brutale come la volevo.
Mia cura, mia malattia,mormorò tra sé.
 Era lei la sua piccola libertà, adesso lo sapeva.
Ad un certo punto, l ’appetito di lui la travolse e cominciarono a fare l’amore con una delicatezza che lasciò in breve tempo il passo al desiderio sfrenato.
Eccola lì la Bella aggrappata alla sua Bestia, in un atto d’amore.
Quella Bella che, Bestia a sua volta ,aveva riconosciuto l’ Uomo celato dietro la veste mostruosa, amando entrambe le due nature e lasciando che anch’egli amasse le sue.
Guardateli adesso, stretti l’uno all’altra, frementi per la passione e tremanti per l’eccitazione di un amore insperato, trovato per caso. Così differenti, così uguali. Perdutamente imperfetti, come ognuno.
La Bestiaaveva scatenato la Bella e la Bella aveva provocato altrettanto.
 
 
                                           Fine
 
 
 

      
 
 
 
 
 
  
    Bella come una bestia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si apprestava ad essere una delle notti più fredde di quel rigido e lungo inverno.                            La neve cadeva a larghe falde: aveva smesso di cadere a fiocchi incessanti, per aumentare la sua intensità,dunque non avrebbe smesso molto presto.
Lei se ne era andata.
“ Le bestie devono stare con le bestie” aveva concluso risentita, prima di sbattere il portone del  maniero la sua reclusa. La sua speranza se ne era volata via.
L ’aveva lasciata andare ,già, non perché ne fosse intimamente innamorato, - sapeva bene che giunti a quel punto non avrebbe mai imparato ad amare e ad essere ricambiato- ma perché detestava la compassione di lei. Non era stata confinata in quella gabbia dorata per impietosirsi ogni volta che vedeva la sua deformità.
Avrebbe dovuto innamorarsi, lei. Avrebbe dovuto.
 D’ altro canto , non si può amare una donna così, scelta a caso,come se una valesse l’altra . Ma questo purtroppo era il suo caso , la sua forzata condizione: non poteva godere del privilegio di fare l’ incontentabile, non più ormai.
Era solo adesso, di nuovo carceriere di se stesso soltanto, circondato da secondini inesistenti, imprigionato di nuovo nella sua solitudine. Che fare?
L’ultima volta che scese nel villaggio  fu per conquistare  la sua preda, quella che proprio ora gli era sfuggita.
 L’aveva vinta con una partita a carte, il padre di lei morì  dalla vergogna e dal rimorso. Aveva trascorso mesi tutt’altro che rosei  in compagnia di quella giovane donna attraente ma piena di pregiudizi e priva di spirito critico. Si rivelò ben presto una noia ,per quanto più allettante della solita routine, era una donna priva di una qualche scintilla intellettuale.
Sarebbe potuto di nuovo scendere al villaggio, magari con un’altra partita a carte… ma se non ci fosse stata nessuna donna?Nessuna vittima disposta a sacrificare la propria esistenza per stare accanto ad un uomo divenuto la caricatura di se stesso?
Era un’incognita piuttosto rilevante.
Sprofondò nella grossa poltrona di fronte al caminetto e, con questo ultimo pensiero martellante nella testa, cominciò a sonnecchiare.
 
“Devi sposarlo , figliola! Non abbiamo altra scelta!!”le urlò suo padre.
“Non voglio!E poi io sono la minore, perché non sposa mia sorella?!Ne è così innamorata, lei!”
“Oh ve ne prego padre!!!In fondo io sono la vostra figlia maggiore, avrei la precedenza  rispetto a lei, non trovate?” rispose la  maggiore stizzita.
“ Mia cara, non credo di poter proporre un accordo del genere . Il Conte è stato molto chiaro. E’ disposto a sposare una di voi, nonostante non abbiate una dote considerevole, per la vostra grazia e virtù e per il nome che portate ,il vostro titolo, seppur decaduto. “
“E allora? Può sposare benissimo lei !Il sangue non cambia!”
“Che cos’ho io in meno di mia sorella?! Ho grazia e virtù da vendere, io!!!Non come lei…che non sa trattare con gli uomini. Lei non ha ricevuto l’educazione da nostra madre come me e Margherita. Non sarebbe adatta, ve ne rendete conto?!”
“Ti prego figliola ! Smettila! Esci di qui immediatamente e lasciami parlare con tua sorella.” Nonostante il suo disappunto ,Lidia fu costretta ad obbedire al volere del padre, poiché il pover’uomo non aveva più argomenti validi, almeno non davanti alla figlia maggiore. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle che il Conte prediligeva la più piccola, in quanto più avvenente.
Una volta rimasti soli, si rivolse a lei:”Figlia, ascoltami bene perché te lo dirò un’ultima volta: il conte desidera te in moglie e nessun altra. Quello che ho appena detto a Lidia non è niente se non una dolce bugia per non ferire il suo amor proprio. Le cure,purtroppo inutili, per cercare di salvare Margherita ci hanno mandato sul lastrico. La tisi non perdona, lo sai.”  Chi avrebbe mai immaginato che non appena  arrivata qui si sarebbe ammalata di colpo e in poco tempo li avrebbe lasciati: aveva la salute cagionevole di sua madre, poveretta; come se non bastasse, c’erano, come c’erano sempre stati, i conti da far quadrare, i debiti da rimettere. “Devi sposarlo, ci siamo spinti fin qui per lui, in nome di una vecchia amicizia che avevo stretto con suo padre, riposi in pace, tempo addietro, quando ero commerciante, uno vero,ricco in Italia. Fallo per noi. Così tua sorella potrà scegliersi un bravo giovane con cui sistemarsi e io potrò godermi la vecchiaia in tranquillità.”
Avrebbe voluto sputargli nel viso. Supplicava, squallidamente tra l’altro, proprio  lei, la figlia più piccola, affinché si sacrificasse?Non aveva conosciuto il calore materno, aveva perso l’unica sorella a cui fosse realmente affezionata e le veniva richiesto un ennesimo sacrificio, un’ulteriore privazione, in nome della pace del padre e della felicità della venale e patetica sorella maggiore. No, non lo avrebbe fatto. Detestava il comportamento della sorella, mal sopportava l’atteggiamento utilitaristico del padre, per quanto, solo nel profondo, fosse legata ad entrambi. Nonostante questa tacita consapevolezza in fondo al cuore, decise che era giunto il momento di andare via, verso il proprio destino, poiché era sicura che per lei la vita doveva avere in serbo molto di più di quello che le veniva proposto . Guardò con gli occhi pieni di rammarico quel vecchio ed uscì da quella stanza satura di rancore. Ancora una volta, il padre, così come aveva inventato una dolce frottola alla maggiore delle sue figlie per non guastare il suo orgoglio di donna, così  aveva raccontato una mezza verità all’altra figlia rimasta. Non si erano spinti fin lassù, in quelle terre così fredde,in un mondo diametralmente opposto a quello che lasciavano, in nome di una vecchia amicizia,o perché quell’uomo l’aveva notata, oh no. Erano fuggiti da un mare di debiti per crearne poi altri anche lì .Il povero vecchio aveva perso il suo fiuto infallibile per gli affari e ,trovatosi al perso,quella figlia, così giovane e bella, divenne la sua merce di scambio, il suo oro più puro, la sua moneta sonante. Il Conte avrebbe provveduto ad estinguere tutti i conti , i denari dovuti sia in Italia che in Scozia. Quel vecchio era deciso più che mai a cedere la sua bambina in cambio della pace economica.
Il figlio del suo trapassato amico era disposto a risanare le loro beghe, a comprarla, come si comprano le greggi di pecore, a fornirle anche una cospicua dote pur di portarsela a letto.
Il poveraccio non aspirava a niente di meno.
 La sposa promessa, dunque, si ritirò nella sua camera.
 Non volle proferir parola con alcuno, né si presentò a tavola per la cena, tanto era il suo risentimento. Non era però la prima volta che succedeva:infatti, quando si adirava, suo padre sapeva che doveva soltanto aspettare che l’irritazione scemasse, sarebbe poi scesa a più miti consigli. Andava sempre in questo modo: consisteva solo in una mera questione di tempo.
Come si sbagliava.
 
Era fuggita, ce l’aveva fatta.
Con la scusa della collera era riuscita a preparare il necessario per andarsene. Fuori imperversava la tormenta, ma per lei non era un peso sopportare la neve a fiocchi e il freddo pungente: avrebbe attraversato la foresta vergine e innevata con gioia, pur di sfuggire alle grinfie di quell’uomo viscido, tremendamente seducente ma con un animo  depravato. Ne ebbe paura la prima volta che lo vide ,tre mesi erano appena trascorsi, quando venne a salutare il padre, ripresosi dall’ennesimo attacco di gotta;aveva un non so che nello sguardo e nel modo di sorridere che faceva intendere perfettamente che non era oro tutto quello che luccicava.
Educato, dai modi gentili, pronto ad infilarti la mano sotto la gonna e a sussurrarti parole di fuoco, una volta lontano da occhi indiscreti.
La prima volta si limitò solo a sussurrarle all’orecchio quanto avrebbe voluto possederla lì, davanti agli occhi del padre.
Quando si recò presso di loro la seconda volta, abbandonò di netto la volgarità delle parole, per lui un’inutile suppellettile. Il padre, nella sua dabbenaggine ad un tempo e nella sua furia di sistemare, a vantaggio proprio, la figlia più piccola ad un altro, li aveva lasciati soli nel salotto buono perché si conoscessero meglio.
 Eccome se si conobbero.
La camicia le fu strappata con una foga inusuale, poi fu il turno del  corsetto, che volò via con la rapidità con cui il vento può sollevare un cappello di paglia a larghe falde.
Era come se volesse nutrirsi di lei. Voleva tutto e subito. Che famelico.
Lei nel frattempo era lì immobile, a subire, inorridita.
 Stava riflettendo sul come agire per liberarsi di lui.
Da una parte la paura la bloccava, dall’altra l’orgoglio ferito la spingeva a fargli del male. Aveva intrapreso ad insinuare la sua lingua fra i seni,vorace come un bambino alla prima poppata, ma privo della stessa tenerezza,tenendone stretto uno in una mano, come per non farsi sfuggire niente di tutta quell’abbondanza, come un lupo che per tutto l’inverno ha patito la fame.
Allo stesso tempo, la sua mano sicura ed esperta si cacciò in mezzo alle gambe della promessa sposa,proprio lì,dimenando le dita frequentemente. Il ricco signore credeva di donarle un piacere mai avvertito prima, qualcosa di inusitato, un’esperienza da ricordare.
Lei percepì tutto, tranne il piacere. Proprio perché non lo avvertiva, tutti i movimenti di lui,tutti i suoi versi le sembravano amplificati.
Stava respirando sempre più veloce, non avrebbe pianto, a nessun costo si sarebbe concessa tanto. Si irrigidì terribilmente, sperando di dargli un fastidio, ma lui era troppo concentrato nel suo meschino appagamento,  arrivato ad un punto tale che stava esprimendosi con una serie di rantoli o comunque un verso quanto mai grottesco, che per lei , paradossalmente, furono motivo di risate sommesse, seppur conscia della rapina e del sopruso a cui la stava costringendo. Doveva aver quasi finito, pensò, sperandolo vivamente mentre chiudeva gli occhi, per non vederlo. Un ultimo rantolo e riuscì a spingerlo via da dentro e da fuori se stessa. Lui la guardava con aria soddisfatta mentre si asciugava la mano sui pantaloni che non nascosero una notevole erezione.
” Che c’è, non ti è piaciuto?”le chiese sogghignando.
”Tutto qui?”il coraggio fece capolino spontaneo.
” Tu non mi inganni!Era la prima volta! Le riconosco  le vergini, ho l’occhio dell’esperto!! E tu, come le altre, tremavi come una pecora vicina all’ammazzatoio . La prossima volta che tornerò non sarò così breve né gentile. Mi prenderò tutto di te. Preparami il letto, intesi?”
No che non eravamo d’accordo.
 Dentro stava ruggendo, spalancava le fauci e mostrava le zanne feroci, ma di fuori mostrò un dignitoso contegno: dall’altra parte della casa, d’altronde, c’era la sua famiglia, non avrebbe mai potuto mettere in atto il suo proposito.
”Se dite che è necessario signore, vorrà dire che sarà fatto. Addio.”
Il conte ravvide una strana decisione nei suoi grandi occhi un tempo cerulei che all’improvviso si erano fatti color cobalto. La considerò una logica presa di coscienza dell’ ovvio : brava bambina.
Questo era solo l’antipasto, al prossimo incontro il lupo ti mangerà.
 
 Si era sentita derubata in un certo senso,per quanto potesse rappresentare poca cosa per qualcun altro, quando accadde. Un atto che magari avrebbe dovuto essere intimo, dolce e che avrebbe dovuto prevedere un qualche consenso da entrambe le parti, si era invece imposto prepotentemente come qualcosa di sporco e sbagliato. Le aveva sottratto tutta quell’ansia di scoprire, quel desiderio, quella curiosità di avvicinarsi ad un uomo. Non aveva avuto modo di difendersi, tanto era stata colta di sorpresa e tanto lui era stato rapido, come un felino. Voleva andarsene per dimenticarlo, ma sapeva in cuor suo che prima o poi il passato sarebbe venuto a cercarla.
 Al momento opportuno, sarebbe stata pronta ad accoglierlo.
 
Era sul limitare della foresta vergine, un altro passo e si sarebbe confusa con la vegetazione. Guardò un’ultima volta il villaggio, costellato da comignoli fumanti . Riusciva ancora a riconoscere il suo,un po’ più storto e traballante di altri. Si aggiustò il cappuccio sulla testa e svanì,inghiottita dalle  braccia imbiancate della selva.
I vecchi del posto le avevano raccontato che chi si inoltrava nella foresta era perduto. Nessuno vi aveva mai fatto ritorno e se qualcuno vi era riuscito ,lo aveva fatto a caro prezzo. Tra quei pochi ci fu chi riportò gravi mutilazioni ,chi invece fu privato della ragione. Ma lei sapeva che per quanto oscura e pericolosa potesse apparire quella boscaglia,o meglio i suoi padroni , quelli con gli occhi di brace e il manto scuro come notte, si sarebbero piegati al suo volere come teneri amanti:  sarebbe bastato loro annusare l’aria. Difatti la selva e i suoi inquilini mostrarono clemenza : la lasciarono  attraversare per tre notti e tre giorni,sana e salva. Ad un altro che aveva intrapreso il suo stesso cammino, forse per seguirla, andò peggio: i guardiani della selva non tolleravano gli intrusi,tantomeno le spie. Lei si arrampicò su un albero , quando sentì le grida di aiuto dello sciagurato mentre subiva la sua punizione. Fu sbranato, di lui non rimase che il sangue rappresosi su alcuni tronchi e qualche brandello dei suoi indumenti, impigliati fra rami e cespugli. Il freddo intenso accresceva il loro appetito, cosicché di ogni vittima non rimanevano che poche ,insignificanti tracce. Una volta sazi, aspettarono che scendesse dal suo nascondiglio per dimostrarsi suoi sodali. Come aveva sempre sostenuto, non aveva nulla da temere da quel luogo sinistro, sì, ma sicuro.
 
I lupi ululavano insistenti anche quella volta. C ’era la luna piena alta nel cielo ad illuminare quella metà del volto intatta.. Furono proprio i lupi a farlo sobbalzare nella poltrona dal sonno in cui era immerso. Da anni non li sentiva ululare: fu il primo inverno, dopo molti , che i lupi  fecero echeggiare i loro cori  tra le montagne di Scozia. Gli parve di sentir smuovere il cancello, per un attimo, ma  ricominciò di nuovo ad abbandonarsi ad un altro lungo sonno, se non che  si rese conto che qualcuno stava bussando giù al portone. Sogno o realtà?
”Chi può essere nel cuore della notte, con un freddo così temibile? Chi ? Di sicuro avrà attraversato la foresta per venire fin qui… affrontato i lupi…potrebbe essere un brigante o un curioso… lo accoglierò come merita…”pensò tra sé.
Il suo castello si trovava su una collina dominante il paese, nascosto dalla natura circostante , posto proprio al limitare della foresta, opposto al villaggio .
Scese la scala a chiocciola che conduceva al suo rifugio e da lì, dopo il lungo corridoio,che dava sull’ampia sala d’ingresso, scese lo scalone,e dopo aver afferrato una spada appesa ad una  parete, non distante dal portone,aprì.
Era una donna infreddolita, notò dalle mani piccole e affusolate.
Decise comunque di sguainargli contro la spada, era risoluto a non fidarsi mai più di alcuno. In fondo, aveva comunque penetrato la foresta e ne era uscita indenne: perché accoglierla?
“Chi siete? Chi vi ha mandato qui?”la sua voce era più cavernosa di sempre.
“Nessuno. Potrei entrare solo per scaldarmi? All’alba ripartirò, non voglio certo turbare la vostra quiete, signore.”teneva il capo basso, non pensava ad un’accoglienza così poco cordiale in un luogo tanto lussuoso.
Da quanto tempo non lo chiamavano signore. Rimase meravigliato dalla compostezza di lei. Ritirò la spada, senza fretta,la prudenza non era mai troppa di fronte a chi era stato risparmiato dalla selva vergine e oscura.
“Ulisse?”aveva voglia di fare un po’ di umorismo quella notte.
“Come dite prego?”
“Avete detto di chiamarvi Nessuno. E nessuno vi ha mandato qui. Devo forse pensare che vi chiamiate come il re di Itaca, colui che ingannò Polifemo?”
Lei non aveva la minima idea di chi fosse quell’Ulisse né dove si trovasse Itaca,tantomeno conosceva quel tale, Polifemo, ma non voleva certo palesare la sua ignoranza.
“Non deve importarvi chi sono. Ho solo bisogno di scaldarmi un poco e riposarmi fino all’alba, ve lo ripeto, se me lo permettete . Però non vi vedo incline all’ospitalità, signore, intuisco un vostro rifiuto, perciò me ne vado.”
Pensò di averla offesa, ma non capì in quale modo potesse esserci riuscito.
 Pensò bene di allargare la fossa che aveva cominciato a scavarsi.
“ Perdonatemi,ma se io non sono disposto all’ospitalità è perché  non mi lasciate valutare che genere di persona siate.”
Si tolse il cappuccio.
“Adesso lo sapete.”
Ora i suoi occhi fissavano dritto verso il buio, dove lui cercava ancora di rifugiarsi.
Era giovane, con una cascata di riccioli color del rame, dotata di una bellezza non comune. Era sfrontata e decisa; tenera e crudele. Non si aspettava che sotto quel cappuccio si nascondesse una creatura tanto attraente.
Girò i tacchi e fece per andarsene. Lui fino a quel momento era rimasto nell’ombra, affinché quella misteriosa pellegrina non si spaventasse.
Si tirò su il mantello e l’afferrò per il braccio.
“Un momento”-perché lasciarsela scappare?Dopotutto era una donna.
Non appena l’afferrò, lei si sentì come in trappola. Cercò di liberarsi da quella presa così energica e al tempo stesso non poi così minacciosa.
“Lasciatemi! Trattate sempre così i vostri ospiti?!”
Nello strattonarsi lui riuscì a riportarla a sé, così vicino, troppo vicino - ancora una volta aveva calcolato maldestramente la sua forza- che lei poté intravedere da sotto il mantello un intricato groviglio di cicatrici e pezzi di pelle rabberciati come meglio si era potuto, su quella porzione di volto . Cercò di restare calma. Di certo non si trattava del conte, di peggio non le sarebbe potuto capitare. Lui mollò la presa. Lei cominciò a massaggiarsi il polso.
“Che avete da guardare?” le chiese, per sapere quanto fosse riuscita a vedere.
“Proprio niente. Perché mi avete afferrata in quel modo? Avete cambiato idea per caso? Se è così, avete uno strano modo di manifestarlo, milord.”
“Se è per questo non l’ho mai espressa. Avanti, entrate.”le fece cenno con una mano.
Era un castello di proporzioni a dir poco ciclopiche. Con dei soffitti altissimi su cui alloggiavano ritratti di antichi avi, e quadri con dei paesaggi minuscoli dove la cornice faceva da padrone. Anche la mobilia era sontuosa, un po’ passata, ma di grande effetto.
“Avete un accento strano,mia signora, da che parte della Scozia provenite?”
“Non sono di queste parti”rispose seccamente.
“Irlanda, forse, me lo suggeriscono i vostri capelli.”
“No” Ancora un’altra risposta laconica.
“E di quali, di grazia?” Con una venatura sarcastica.
“Volete la storia della mia vita,milord?Non mi piacciono gli impiccioni. Io non vi conosco. Avete biasimato me perché non mi mostravo a viso scoperto, ma pare che ora le parti si siano capovolte, non trovate? “
“Meglio così , forse.” Sapeva di avere torto.
La sua foga nel fare domande era dovuta alla mancanza di interazione sociale, ma lei non poteva saperlo.
“Come preferite, signore”
Si avvicinò al fuoco e si sedette su di un tappeto persiano con una strana fantasia di animali. Doveva rappresentare la caccia al leone, pensò.
Lui, nel frattempo, si era ritirato in un angolo della sala per versarsi un bicchiere di whisky che sorseggiò davanti alla finestra. Solo allora lei si rese conto di essere stata sgarbata .
“L’Italia è il mio paese d’origine, è da lì che vengo.”si sforzò di essere gentile. D’altronde se voleva riuscire nel suo intento doveva cercare in ogni modo di ingraziarselo.
“Ecco spiegato l’accento bizzarro. Se non fosse per quello, potreste ingannare chiunque facendogli credere di essere del posto ”fu ancora una volta sprezzante : la sua maleducazione lo irritava maledettamente.
“Già. Voi Scozzesi  avete quel dialetto incomprensibile..” lo ripagò subito.
“E’ Gaelico. Comunque rallegratevene,voi Italiani ne avete molti di più… Siete qui da molto?”
Le parole le morirono in bocca. Non riusciva a dirlo. Non trovava la forza necessaria .
“ Sono stato forse troppo invadente?”si era appena reso conto di aver fatto troppe domande.
“ Tutt’altro. E’ complicato.”non se la sentiva proprio di parlare dei suoi problemi ad un perfetto sconosciuto.
Lui si voltò dubbioso.“Mi pare una domanda semplice.”
“Circa sei mesi .” si risolse tutta insieme.
“Per tutto questo tempo vi siete aggirata per la foresta, da sola, in pieno inverno?”cominciava ad essere curioso e meravigliato .
“Sono arrivata qui con mio padre e le mie sorelle. Abbiamo una casa giù al villaggio. Loro abitano lì.”
“Voi non più?”  ”una fuggitiva, mi è capitata…”pensò.
“Non più.”abbassò di nuovo lo sguardo.
“Non c’è che dire, avete avuto del fegato ad addentrarvi nella foresta vergine e ad arrivare fino a qui. Nessuno vi riesce mai, a meno che non sia io a portarcelo e come avete potuto constatare voi stessa  non sono un gran conoscitore del galateo.”
Riuscì a strapparle un sorriso, non credeva di esserne capace.
“Siete ancora più bella quando ridete”non sapeva da dove gli fosse uscito un complimento del genere.
“Darei qualunque cosa per essere brutta. O zoppa. No, no, per essere brutta.”guardò il fuoco con un certo interesse.
Si sentì colpito nel vivo. Non capiva perché una creatura così incredibilmente incantevole dovesse aspirare ad una tale punizione, quella che lui tollerava sempre più a fatica ormai.
“Perché mai? Se è lecito.” Adesso era la curiosità a spingerlo.
“ Avrete intuito che sono fuggita, credo. Mio padre voleva che sposassi un conte delle vostre parti. E’ per lui che siamo venuti fin qui. Dal caldo sud fino al nord estremo , solo per un matrimonio. Se fossi stata brutta non mi avrebbe nemmeno sfiorata. E invece… eccomi qua, in un paese straniero, dove la tormenta non si placa né di giorno né di notte,costretta a fuggire. Egoista, vero?”aveva gli occhi lucidi ma non avrebbe lasciato scorrere una lacrima neanche stavolta.    
“Ci sono egoisti peggiori.” Era rivolto a se stesso.
Tacquero entrambi. Poi pensò a quella mezza frase che lei aveva pronunciato.
“Ha tentato di farvi del male?”
E con un filo di voce:“No, lo ha proprio fatto” l’orgoglio le trattenne il pianto.
“Non siete poi così egoista, allora.”  
Aveva cercato di sdrammatizzare. Comprese solo allora il perché di tanta aggressività: la miglior difesa era l’attacco.
“La mia famiglia sprofonderà ancor più nella miseria per causa mia. Non posso perdonarmelo, ma non mi hanno lasciato altra scelta, se non dileguarmi.”
Lui  si zittì e cominciò a riflettere. Dalla penombra in cui si trovava continuò a osservarla, mentre si rigirava nervosamente l’orlo del vestito tra le mani e altrettanto nervosamente scrutava il pavimento in legno massello, per non sostenere lo sguardo giudice del suo misterioso interlocutore.
Avrebbe voluto chiedergli di poter restare, nessuno l’avrebbe trovata lì,-anche solo una notte o due, per riposarsi e poi riprendere il cammino- ma non sapeva implorare,e in più, al contempo, l’attanagliava la paura di restare sola a tu per tu con un uomo.
 Alla fine, dopo aver scolato giù come acqua l’ennesimo whisky, si risolse in tal modo:
“Non succederà se resterete qui.”
Fu una decisione che prese all’improvviso.
Il cuore di lei era colmo di gratitudine.
Era salva.
Non aveva parole per poterlo ringraziare come si conveniva.
“Ma”- lei si sentì gelare il sangue-” ad un patto: non uscirete mai da qui. Non rivedrete mai più i vostri cari. Posso garantirvi sin d’ora che staranno bene ma non potrete riabbracciarli.”
“Che cosa?”non credeva alle sue orecchie. Non sapeva se un accordo del genere fosse meglio o peggio di andare in sposa a quel perverso del conte.
“Ogni beneficio ha il suo prezzo. Restate al mio fianco e la vostra famiglia non cadrà in disgrazia.”
“In che modo, se posso sapere?”le sembrava di stare in una di quelle favole che le raccontavano da bambina ma non riusciva ad intuire il lieto fine. Niente vissero felici e contenti all’orizzonte.
“Avranno il denaro che serve loro.”le rispose sbrigativamente.
“A questo punto non ho molta scelta, milord” -dalla padella nella brace- osservò mestamente.
“In realtà una ci sarebbe. Alzarvi  e fuggire via da qui,scappare ancora una volta . Ma non avreste la garanzia che vi offro.”continuava ad essere freddo e imperterrito, non voleva concedersi alcuna speranza.
“Perché mai dovrei fuggire?”qualcosa non le quadrava, doveva esserci un altro inganno.
“ Si dà il caso che come sono in grado di farvi restare, posso anche farvi fuggire. Volete davvero scoprirlo?”
“Avanti, ditemi.” Peggio di così, poteva solo morire.
“Avvicinatevi”sarebbe stata la prova decisiva: o se ne sarebbe andata o sarebbe miracolosamente rimasta.
Titubante, la giovane obbedì e non appena si accostò, lui accese una candela e si tolse il mantello.
Lei lo scorse per come appariva. Orrendo. Orribile. Non fu in grado di trattenere un urlo di sorpresa, ma si mise subito una mano sulla bocca come per cercare di trattenerlo o smorzarlo. Per lui fu come una sentenza, era consapevole del proprio sembiante, certo che ormai il suo fato era stato scritto.
Si stava avviando verso la porta che dava sulla grande sala d’ingresso quando lei tutto d’un fiato replicò:“Accetto la vostra proposta, signore”- l ’inaspettato -”Per un  volto sfregiato non mi darò certo alla fuga. Avete la mia parola che resterò qui”
Incredibile.
Rimase incerto sulla maniglia. Era la prima volta che qualcuno entrava nel suo castello senza esservi costretto. La prima volta che qualcuno decideva di rimanere lì, con lui, volontariamente, senza bisogno di partite a carte o altro.
“Venite dunque, vi mostrerò la vostra stanza.”non sapeva se essere felice per se o provare pena per lei.
“La mia stanza?”non pensava che i prigionieri ne avessero diritto.
“ Volete dormire sul tappeto, per caso?”
“…no…”
“Allora seguitemi”
Avrebbe voluto fare ancora della conversazione con la sua giovane ospite ma non aveva più argomenti .In tutti quegli anni, rinchiuso nella sua fortezza di solitudine, aveva dimenticato in cosa consistesse una normale chiacchierata.
Inoltre si era appena rivelato a lei. Non sarebbe più riuscito a guardarla senza accorgersi della sua pietà.
La condusse al piano superiore, oltre l’immenso scalone d’ingresso,alla terza porta.                       Era ancora disorientata da quello che era appena successo.
Aveva privato  la sua vita della  libertà per sempre?La sua famiglia non sarebbe caduta in disgrazia se lei si fosse nascosta al mondo così come aveva fatto quella strana creatura: era l’unica garanzia a cui aggrapparsi fermamente.
Il lato positivo era che non l’aveva costretta a sposarlo. Doveva solo “restargli accanto” , come lui aveva richiesto. Non doveva considerarla un’impresa  così difficile, doveva trattarsi di un uomo come gli altri, con pregi e difetti, con vizi e virtù.
Il fatto che mezza faccia fosse tumefatta non rappresentava per lei una grave notizia, dopo il primo impatto. In fondo, nessun uomo poteva essere peggio di quello da cui  era per ora riuscita a sfuggire. “Un uomo brutto non è necessariamente malvagio.” ebbe modo di riflettere.
“La vostra stanza, Miss…?”
“Il mio nome non è traducibile nella vostra lingua. Chiamatemi come volete, non credo abbia molta importanza.” Era affaticata e  certe domande, quando era in quello stato, la infastidivano.
“ Come preferite. Voglio che sia chiaro questo però: voi non siete qui in qualità di mia serva o di mia prigioniera, per quanto vi sembri di esserlo. Siete padrona di fare ciò che volete nel perimetro del castello, potrete disporre di ciò che mi appartiene come più vi piace. ”
“Sì” anche se le sembrava una precisazione inutile. Non avrebbe saputo cosa fare con tutta quella roba.
“Allora buonanotte, mia signora”
“Buonanotte, milord”
Lui si ritirò nel suo studio.
Lei adesso si trovava così poco distante, che le speranze si riaccesero di colpo.
Forse era davvero possibile amare e lasciarsi amare a propria volta,anche se non esisteva niente di più arduo, di più emozionante e spaventoso al tempo stesso.
Ripensò a come sarebbe stato di gran lunga più facile riuscire a corteggiarla, a farsi  ben volere e a sposarla, se solo lui avesse avuto un’ immagine più gradevole. Ma era solo utopia ormai.
 Su di lui non gravava una maledizione da sciogliere come in certe fiabe d’oltre Manica. Non era un mostro dal cuore tenero -oh no- poiché lui, mostro, lo era sempre stato.
Certo, non era nato così. Era un uomo come tanti se ne vedono, fino a qualche anno prima .
Dieci anni erano già trascorsi, nel completo isolamento, immerso nello sconforto e nel pentimento. Era stato punito .
Tutto scaturì da una diatriba tra la sua famiglia e quella vicina per una questione di confini. La famiglia rivale voleva estendersi nei suoi terreni e così fece, lasciando pascolare lì le proprie greggi.
In mancanza di una figlia femmina da poter sistemare con lui,preferirono usare la prepotenza. Questa fu subito ricompensata .Uccisero tutte le pecore intruse, le macellarono, ne mangiarono la carne e fecero lavorare la lana grezza per mandare il risultato alla famiglia avversaria: voleva essere un avvertimento. Ecco cosa succede a chi si infiltra abusivamente nelle nostre terre: gli facciamo la pelle. Fu una sua idea, rammentò e la pagò salatamente.
Di ritorno da una serata di gozzoviglie con i suoi compagni d’armi, ubriaco fradicio, fu assalito e condotto nelle segrete del castello nemico. Fu seviziato e torturato finché non subì lo stesso trattamento: mancò poco che non lo scuoiassero veramente. Gli provocarono delle ferite tali che non era più riconoscibile, eccezion fatta per la parte sinistra del volto: doveva ricordarsi tutti i giorni com’era e com’è, per sapere cos’aveva perduto e per far ciò doveva vivere: per questo non lo scorticarono, non fu compassione o debolezza, ma disumanità. Lo avvolsero in un lenzuolo e poi nella lana che poco tempo prima era stata loro consegnata come avvertimento: “Ecco la vostra pecora: la vecchia lana sarà la sua nuova pelle,poiché la propria adesso ci apparterrà per sempre.”
Lo avevano trattato da pecora, nient’altro. Era un animale di cui sfruttare solo la carne ormai, perché del manto era già stato barbaramente privato.
Era l’unico figlio maschio. Per fortuna le sue sorelle non lo videro in quello stato, perché già maritate.
Ci volle tutta la forza di volontà di sua madre per rimetterlo in sesto. Fu il suo ultimo gesto, ricordò, poi se ne andò con Dio.
Il padre invece non volle più rivolgergli la parola, ne avere alcun che in comune, specie dopo la morte di sua moglie. Ma c’era un motivo ,per questo astio apparentemente incomprensibile.
 Quando le ferite cominciarono a rimarginarsi e vide lo scempio che avevano fatto di lui, la furia lo colse. Non sosteneva il suo stesso sguardo davanti allo specchio, non che fosse vanitoso, ma aveva sempre fatto del suo fisico un’arma di seduzione in più con le donne che fino ad allora erano cadute ai suoi piedi, che bramavano anche solo una notte con lui . Sapeva attirarle con i suoi racconti sulle guerre fronteggiate,sapeva affamarle di sé al punto, talvolta, da farle apparire quasi ridicole. Era crudele con loro perché erano tutte tristemente identiche, l’annoiavano alla lunga. Non più di una notte, si ripeteva sempre. Ogni tanto desiderava avere accanto qualcuno che corresse veloce quanto lui, non solo una bella bambola da ammirare,ma testa, cuore e sangue pulsante. Voleva passione nella sua vita,qualcuno altrettanto brutale, altro da sé, ma dolce e brutale. Da allora niente di tutto questo sarebbe più successo, nient’altro poteva ormai desiderare.  
L’orso inferocito aveva tolto di dosso il vello lanoso che lo nascondeva.
 Entrò furtivo nel loro castello e li uccise selvaggiamente tutti: padre, madre e tre figli.
 Li riteneva colpevoli e lo erano in effetti. Adesso anche lui. Ma non lo capì subito: quando comprese ciò che aveva commesso, ben al di là delle torture subite, era troppo tardi. Nessun pentimento avrebbe potuto portarlo indietro. Nessuna redenzione sarebbe stata praticabile. Ebbe il tempo di nascondere le prove del suo passaggio, dando fuoco a tutto. Fu un incendio di dimensioni considerevoli poiché  furono necessari tre giorni  per sedarlo e uno dei cadaveri dovette incenerirsi all’istante , addirittura, tanta fu la potenza della fiamma, perché non fu mai rinvenuto. Nessuno in paese osò mai ipotizzare chi fosse il colpevole di quella strage: solo la sua famiglia sapeva,il villaggio taceva seppur consapevole .
La madre, che si era affettuosamente presa cura di quel figlio tanto amato , ora ridotto ad uno scherzo della natura, non resse l’onta di cui si era macchiato e si suicidò.
Il padre non fu certo incline al perdono. Gli piangeva il cuore nel vederlo ridotto in quelle condizioni ma non tollerava di avere tra le mani un assassino . Non perché avesse ucciso cinque persone a sangue freddo, in preda alla furia cieca, no. Era disposto a comprendere quel suo folle gesto: l’orgoglio ferito di un uomo ha modi diversi e particolari di risolversi. Non tollerava che avesse ucciso sua moglie, seppur indirettamente. Nemmeno in punto di morte lo assolse, non volle vederlo. Morì da solo ,poco dopo la sua consorte, mentre il figlio sommessamente piangeva al di là della porta della sua camera. Nonostante questo, suo padre lasciò scritto nel testamento che , come spetta ad ogni figlio maschio, avrebbe ereditato tutto. Il povero vecchio non ebbe molte opzioni: lasciò il patrimonio di famiglia nelle mani di un carnefice, di un essere ributtante e spietato al quale aveva voluto più bene che alla sua stessa vita, fino alla fine, poiché fino ad allora lo aveva protetto dal mondo .
Erano passati dieci anni. Era diventato un essere deforme all’esterno. Ma il mostro dentro? Quel gemello perverso che vive in ognuno di noi ed è affetto da svariate manie?Dov’era finito? In quiescenza , pensò, come quel vulcano, in Italia, il Vesuvio.In effetti si assomigliavano, gli capitò di notare. L’Italia, lei. Avrebbe mai potuto amarlo? Certamente no, come avrebbe potuto?   
Si era presentata così sprezzante e scortese, come anche lui sapeva essere, da rendersi adorabilmente fastidiosa. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi, a qualcuno, per liberarsi da quel fardello opprimente. Ma chi avrebbe amato un mostro, un folle omicida?
Ebbe paura di sé per un attimo e della collera cieca che lo invase quella notte fatidica e che non si era più manifestata: evidentemente era stata saziata, ma sarebbe sempre potuta tornare alla ribalta con delle nuove pretese.
 Era certo in quel momento di un unico fatto : se lei fosse rimasta lì con lui,  con la sua sola presenza, niente del genere sarebbe più accaduto.
 
La mattina giunse in  un baleno.
Lei si svegliò , incredula di essere riuscita ad addormentarsi. Il pensiero volto alla perdita della propria libertà aveva lasciato il posto alla stanchezza. La sua camera si era rivelata  più confortevole di quanto avesse osato immaginare, anche per questo non le fu difficile prendere sonno.
Aveva deciso istintivamente di restargli accanto perché non vedeva in lui una minaccia,- iniziò a pensare- nonostante il suo aspetto poco rassicurante. Era lì per fare la moglie?La dama di compagnia? Non le era chiaro, questo. Osservò che se avesse desiderato qualcosa del genere , probabilmente non avrebbe esitato ad obbligarla a giacere con lui. Ma non era successo. Forse avrebbe dovuto chiedere, forse ancora era meglio che stesse zitta ed evitasse la figura dell’idiota. Si era già distinta nel non sapere chi fosse quel dannatissimo Ulisse.
”Ci sarà una biblioteca, qui da qualche parte, accidenti.”
Non sopportava l’ignoranza né tantomeno l’essere inferiore agli altri. Prediligeva i trattamenti da pari a pari. In effetti, lui da pari l’aveva trattata, nonostante , era ben evidente, fosse di rango superiore. I suoi vestiti erano ancora umidi. Non poteva certo aggirarsi nei meandri del castello con la sola sottoveste, perciò si avvolse nella coperta sopra il letto,una specie di pelliccia maculata, ed uscì dalla sua camera senza prendere in considerazione il fatto che era anche dotata di un vistoso armadio.
 Iniziò la sua avventura osservando attentamente ogni dettaglio, ogni ritratto, finché non percepì un respiro pesante dietro di sé: “ State andando nella direzione sbagliata, mia signora.” Quegli occhi verdi e penetranti la guardavano dritto negli occhi, adesso.
“Avete una biblioteca qui?O dei libri comunque?”chiese, sorvolando il fatto che sembrava notevolmente alterato.
“ Da quella parte .”cominciò a squadrarla da capo a piedi. Doveva essersi appena svegliata, notò fra sé. Quei capelli scarmigliati, i piedi nudi e quella pelliccia addosso le conferivano un certo fascino selvaggio, forse un po’ ferino che di sicuro non le apparteneva, ma che sapeva recitare con convinzione, seppur inconsciamente.
“Beh?Che avete da guardare?”si strinse ancor più nella seconda pelle che portava addosso.
“No, niente..”notevolmente imbarazzato, cominciava ad abituarsi a quel fare di lei un po’ insolente, trovandolo quasi grazioso.
“State per ridere,milord, lo vedo. Fate ridere anche me.”
La trovò attraente con quel  modo di fare così schietto e naturale. Non un’ombra di compassione o trasalimento nel vederlo. Lo rasserenò questo, lo distese, nonostante il disappunto nel vedere che lei stava prendendo la direzione del suo rifugio.
“Non vi siete vestita,milady.”
“ Non sono nemmeno nuda. ”
Si stupiva di sé stessa ogni volta che apriva bocca davanti a lui. Le sembrava di essere sempre più sgarbata, volgare e troppo in confidenza con un uomo che era pressoché un estraneo.
Le veniva naturale e questo la spaventava. Non era da lei l’ arroganza.
“Siete sempre così schietti voi italiani?”il tono ironico si era dissolto.
“Perché vi infastidisce?” avrebbe dovuto riflettere, arrossire e scusarsi. Invece no.
“Beh… ecco..”
“Vi tolgo da un imbarazzo: non sono una lady inglese, questo credo l’abbiate appurato da solo. Dunque non c’è da pretendere che mi comporti come tale, mi auguro. Sono di un ceto inferiore al vostro, è ben evidente anche questo. Abbiamo costumi diversi perché proveniamo da mondi diversi. Ho ragione?”
Pessima, assolutamente pessima, avrebbe dovuto non parlare, ne era certa.
“In realtà  non mi dispiace se siete così diretta. A volte l’etichetta complica maledettamente i rapporti. In ogni caso, nella vostra camera è presente un guardaroba, apritelo pure e troverete ciò di cui avete bisogno. Sempre meglio del copriletto che avete addosso.”cercava di rendersi affabile, ma non si rendeva conto di averla appena derisa.
Lei lo fissò odiandolo. Ancora una volta si era sentita da meno. Passò oltre e tornò nella sua stanza. Scaraventò via quella pelliccia e spalancò le ante dell’armadio. Avrebbe dovuto guardare la stanza con più attenzione: c’erano vestiti d’ogni tipo, foggia, colore o fantasia. Ne scelse uno a caso, blu rifinito con un nastro oro sul fondo e sul petto. Si raccolse rapidamente i capelli ,ricci  indisciplinati anch’essi. A quel punto si affacciò fuori dalla camera: via libera. Si recò in direzione della biblioteca ma non aveva idea di quale porta potesse essere. Le aprì tutte ma si trattava di stanze da letto. Salì una rampa di scale e si trovò di fronte ad una porta maestosa. O si trattava della biblioteca o si trattava della stanza del padrone del castello. Per fortuna si rivelò esatta la prima opzione. Con fatica tirò le tende di velluto, quanto mai pesanti, per far entrare la luce. Era una collezione davvero ben fornita e divisa ingegnosamente in settori. Pensò che Polifemo potesse essere una creatura fantastica e cercò il settore mitologico. Un libro sulle creature della mitologia la informò su chi fosse il Ciclope e come fosse stato accecato da Nessuno, in realtà Ulisse, nell’Odissea di Omero. Si mise a cercare  anche quella. Si accomodò ad una scrivania e cominciò a leggere.
Così passarono i giorni,poi le settimane. Lei girovagava per il castello,scoprendo così la cucina, le cantine, la sala da musica, con ogni genere di strumenti provenienti da ogni paese, incappando di quando in quando nell’altro inquilino,se non si assentava . Si ritrovavano alle ore dei pasti , scambiando, solo talvolta, qualche parola .
Tanto lei era loquace, tanto lui rasentava il mutismo.
 
Una notte lo sentì gridare a squarciagola. Si precipitò immediatamente fuori dalla sua stanza per andare ad aiutarlo, ma non sapeva da che parte andare. Nella fretta, pensò bene di salire quei gradini che settimane prima lui  non le aveva fatto varcare. Dopo una rampa, cominciò una scala a chiocciola, proprio quando lui gettò un altro terrificante urlo che le fece quasi perdere l’equilibrio.
Andò su più velocemente che poteva: pareva quasi che lo stessero uccidendo.
Entrò in punta di piedi, per non farsi sentire dal possibile intruso che lo stava assalendo così furiosamente. Il letto era un baldacchino, ne scostò le tende con cautela:  lo trovò da solo, seduto in mezzo al letto, con gli occhi spalancati, le mani tra i capelli e il respiro affannato, madido di sudore.
“Che ci fate qui?! Sparite. Non dovete mai entrare qui!”grugnì, alzando gli occhi spiritati verso di lei.
Non si lasciò intimorire e fece l’unica cosa che le venne in mente, un rimedio di sua madre. Si mise in ginocchio davanti a lui che la allontanò, spingendola bruscamente sul fondo del letto, intimandole ancora una volta di andarsene. L’aveva fatta intestardire e adesso sarebbe andata fino in fondo.
Dall’ estremità dove si trovava si mosse carponi e gli urlò contro di stare fermo, mentre lui le rispondeva per l’ennesima volta di lasciarlo solo.
Gli urlò contro di nuovo.
 Doveva essere riuscita a farsi intendere perché ad un certo punto  gli tolse le mani dalla testa con una certa decisione, e ci mise le sue. Si avvicinò al suo orecchio, con  voce flebile :
“E’ un rimedio vecchio come il mondo, ha sempre funzionato. Calmatevi e state in silenzio. Apostrofatemi ancora così e vi lascerò solo, di nuovo.”
Le difese di lui in quel momento crollarono. Non gradiva che se ne andasse.
“Voi non sapete, non volete proprio capire…”stava quasi ringhiando.
 Era sconvolto, era come se tutto il suo corpo traviato raccontasse la sua disgrazia.
“E non voglio sapere, sono fatti vostri.”era inspiegabilmente pacata ” L’importante è che stiate bene. Ho pensato che vi stessero scannando.”aveva il suo viso tra le mani e lo inclinò guardandolo negli occhi” Ho temuto per voi, invece avete solo avuto un incubo.”le riusciva sempre più semplice guardarlo negli occhi dopo le prime volte.
Lui cominciò a stringerla a sé. Non capiva troppo bene quello che stavano facendo, si rendeva solo conto che il calore di quelle mani lo stavano tranquillizzando; la vicinanza del suo corpo lo rendeva più sicuro. Il respiro si faceva via via più regolare, lo sentiva, aveva il volto di lui premuto sul petto. In quel momento, istintivamente lo abbracciò. Non sapeva né perché né fin dove si sarebbero spinti: quando si trovava sotto pressione agiva d’istinto, faceva la cosa che le sembrava più giusta, senza pensarci due volte.
Lui si tirò su , le sembrava che si fosse ripreso.
“E’ passata adesso?...”glielo chiese con degli occhi  così gentili che si stupì lei stessa di come quell’uomo così mal ridotto riuscisse a farla diventare migliore.”…allora buonanotte”
L’afferrò per un braccio,ancora una volta: era il suo modo di chiamarla” Vi dispiacerebbe restare qui stanotte, solo stanotte? Non farò niente di sconveniente, ma dormite con me.”
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata quella richiesta , ma non pensava che l’avrebbe  manifestata in quelle condizioni. Lo guardò bene, grazie al  chiarore della luna,senza il disprezzo che lui pensava nutrisse,e con il pollice sottolineò quella cicatrice in tralice ,più marcata delle altre, in mezzo al volto , linea di confine tra il mostro e l’uomo. Lui chiuse gli occhi con rassegnazione.
“D’accordo , se vi aiuterà a riposare.”
Ancora una volta era riuscita a sbalordirlo. Il  linguaggio dei segni e del corpo di lei era completamente diverso, esulava dalle sue conoscenze. Se aveva intuito qualcosa, poteva star sicuro che lei intendeva l’esatto contrario.
Lui era solito  dormire a torso nudo, perciò non poté non vedere lo scempio che qualcuno aveva eseguito di quell’uomo , chissà quando, chissà perché.
 Intese che non era nato così.
Gli accarezzò il petto, lo baciò su una guancia e gli diede di nuovo la buonanotte.
Aveva visto affiorare l’uomo sepolto tra quei rammendi di carne e aveva udito il grido della bestia. Non aveva paura, non provava pietà. Era ciò di cui aveva bisogno. Si rendeva conto intimamente che non poteva fare a meno del contatto con lui.
 
Era profondamente scosso.
Ancora una volta  quelle notti erano tornate a tormentarlo.
 I cadaveri, l’incendio, la madre morta, le sue torture. Stavolta però non era solo, non aveva gridato straziato dal dolore senza ottenere aiuto.  Aveva ricevuto un abbraccio, un bacio, della comprensione forse, da una perfetta sconosciuta. Una forestiera, per giunta.
Passionale, gli era sembrata. Istintiva,senz’ ombra di dubbio. Una donna britannica non  gli avrebbe asciugato il volto,non l’avrebbe tenuto fra le mani, non avrebbe lasciato che un estraneo la stringesse, la toccasse,almeno non se in preda a chissà cosa e disfatto come lui era . Ma lei aveva lasciato correre. Sapeva di cosa aveva bisogno e glielo aveva dato,senza tante cerimonie, senza dover mendicare, nonostante lui le avesse grugnito contro più di una volta. Lei aveva risposto altrettanto, non si era arresa con lui, aveva utilizzato le sue stesse armi. Era stata brutale. Finalmente qualcuno, pensò fugacemente. Alla fine si addormentò cingendole il fianco con un braccio.
Il calore della sua mano sul suo ventre la svegliò l’indomani. Che presenza stranamente gradevole.
 Lei cercò lentamente di rigirarsi , per non disturbare il suo sonno ritrovato,ma di scatto aprì gli occhi.
 Aveva paura di lei.
 Le aveva chiesto di restare solo perché  era riuscita a calmarlo inspiegabilmente, ma adesso, da sveglio, non reggeva il confronto del corpo  morbido e voluttuoso di lei con il suo, martoriato e ricostruito quasi al rovescio .
Temeva di essere sbeffeggiato, aspettava con rassegnazione da un momento all’altro una sua sonora risata o qualcosa del genere. La desiderava ma la temeva. Voleva allontanarla perché non conoscesse meglio la bestia che si celava dietro quel fantoccio d’uomo. In quel momento lo stava scrutando con quei suoi occhi celesti, due finestre aperte per conoscere lui soltanto. Un brivido gli attraversò la schiena, immaginando i suoi pensieri.
Lei si tirò indietro ma lui la riavvicinò senza pensarci. Aveva sbagliato, era troppo vicina, la luce del giorno sarebbe stata impietosa. 
“Buongiorno” gli sussurrò.
“Buongiorno a voi.”balbettò.
 Nessuna risata fragorosa.
“Vi sentite meglio?” chiese accarezzandogli il volto.
“Grazie per essere rimasta. Nessuno si sarebbe prestato a tanto per un mostro, perché è quello che sono.”
“Se parlate del vostro aspetto,beh, è sciocco chi vi giudica dalle apparenze” si era alzata sulla schiena. I capelli le ricadevano dolcemente sulle spalle e sui fianchi.
“Allora  il mondo è pieno di idioti?”La guardava disteso, poteva ammirarla meglio così, lei nemmeno se ne era accorta.
“Chi vi ha fatto tutto questo lo è.”
“Come lo avete scoperto ?”
“Non sarò colta come voi, ma non sono nemmeno stupida. E’ovvio che non siete nato così . Dubito che siano ferite di guerra. Siete stato prigioniero,forse, certo è che vi hanno torturato.”
“Nessuna guerra.”
“mh…Allora anche voi potete capire cosa vuol dire quando si viene violentati e depredati di qualche cosa di prezioso , cui fino ad allora non si era data la giusta importanza. Dovete aver sofferto . E… soffrite ancora, non è vero?”
Lui rimase in silenzio. Stava abbattendo con una delicatezza disarmante tutti i suoi segreti, le sue maschere ,senza farne una tragedia.
“Sono stato punito per un errore che ho commesso. Solo che poi ho perso il controllo …”
“Avete punito il vostro carnefice? Avete avuto più coraggio di me. Io sono scappata.”
“Non era  coraggio ma orgoglio ferito . Quanto a voi, la vostra famiglia è salva, non rammentate più il nostro patto?”
“Come posso averne la certezza?”
“Sono stato due settimane lontano da qui per sistemare alcuni miei affari, tra cui il nostro accordo. Se volete , vi mostrerò un documento della banca che vi confermerà il mio versamento miss Mackinny?”
“Sì , siamo noi. Sarebbe Maccini, in italiano. Ma voi britannici preferite storpiarli i nomi stranieri. Così abbiamo preferito  una traduzione . Allora me lo mostrerete il documento?  ”
“Certamente.” Ci fu un breve silenzio. Lei cominciò a inclinare gli occhi verso sinistra, riflettendo.
“E’ come se mi aveste comprata in fondo…”non affiorava sarcasmo dalla sua voce.
Aveva ragione, di fatto si era trattato di quello.
Ogni penny era ben speso per una donna come lei. Di fronte alla sua consapevolezza non sapeva controbattere. Avrebbe voluto solo essere migliore per averla tutta per sé , senza ricatti o contratti.
Aveva intuito di aver colpito il punto debole, laddove non c’erano scuse.
“Sapete, ho sempre avuto una domanda che mi circolava per la testa..” continuò.
“Dite, allora…”
“Perché avete voluto comprarmi? Perché avete voluto me? Perché prestare aiuto ad una sconosciuta? “
“  Una donna non mi sposerà mai consensualmente, lo capite?Se vi avessi aiutato, sareste rimasta e ,in un certo senso, avrei compiuto pure una buona azione. A volte le persone ridotte come me non sono animali dentro, altri invece lo mostrano fuori e tengono il peggio nascosto nell’anima.”
Lei rimase un attimo a pensare e poi:
“ Devo considerarmi una sorta di sposa?”
Non sapeva che cosa risponderle,anche se le avrebbe detto volentieri di sì:“Se vi piace…”
Lo guardò con una dolcezza con cui per un attimo non si riconobbe proprio.
“Volete condividere il tormento che vi schiaccia?”aveva cominciato ad accarezzargli il petto,involontariamente, non sapeva come smettere, era come senza freni.
“ Non mi lascerete?”il suo era un accorato appello.
“E’ così agghiacciante quello che avete commesso?”cominciava a commuoversi.
Smise di accarezzarlo e la sua mano si fermò alla base del collo , dirigendo il pollice su è giù per il pomo.
“Oh sì. Ma promettete…”al contempo le mani di lei sul suo collo avevano cominciato ad eccitarlo.
Quella amabile creatura aveva cominciato uno strano gioco tattile che lo stava sempre più intrigando.
“ Non mi muoverò da qui” voleva incoraggiarlo a sfogarsi.
Lo rassicurò il suo piglio deciso.
Era pronta ad addentrarsi nella tana dell’orso ,oramai si era spinta troppo nel profondo per tornare indietro; il padrone di casa si era rivelato un essere umano profondamente complesso, estraneo dagli uomini che fino ad allora aveva conosciuto.
“Sappiate che sono pentito. Sono passati dieci anni… Sono un assassino,un omicida, un ripugnante criminale. Chiamatemi con l’appellativo che più vi aggrada. Allora? Siete  ancora disposta a restare ?”
“Ditemi perché avete ucciso.”
“Per vendetta. Mi avevano fatto questo.”indicando se stesso” Ho distrutto tutto. Ho perso la ragione. Ero come impazzito.”
“ Quanti?”
“Tutta la famiglia. Cinque in tutto.”
Lei avvertì la vergogna e il rimorso sul suo volto.
“Mia madre si suicidò per questo. Mio padre non riuscì a perdonarmelo. Ho ucciso anche loro..”
Si adagiò accanto a lui e gli strinse le mani, intrecciandole con le sue.
“No che non li avete uccisi. Certe persone sono più fragili di altre. Inoltre, il perdono è difficile da concedere, specie per atti di questo tipo.”
“Non cercate di giustificarmi…”il suo tono fu durissimo .
“Oh ma io non vi giustifico affatto.”non aveva mai smesso di guardarlo dritto negli occhi.
“Che cosa?”
“ Vedete, avete fatto il giustiziere di voi stesso quando era già pronta la punizione eterna per un errore che non avevate ancora commesso. Avete pagato in questi dieci anni. E pagherete fino alla fine dei vostri giorni. Siete come morto al mondo. Non vi pare una pena sufficiente?Anche gli uomini come voi hanno bisogno di ritagliarsi uno scampolo di vita felice. Pagherete per sempre,certo, ma non sprecherei la vita a piangermi addosso, cercherei di compiere delle buone azioni, per un minimo di riscatto e a godermela almeno un po’ l’esistenza. Ciò non significa dimenticarsi degli errori commessi. Vivere è più difficile che morire, ricordatevelo.”
Nel frattempo , mentre gli parlava, così vicina, aveva avuto modo di osservare il suo corpo,di nuovo. Reso più visibile adesso perché indossava la sola veste da notte. Alcuni bottoni erano saltati in corrispondenza dei seni , tanto che a seconda di come si piegava un capezzolo o l’altro facevano capolino. Non appena lei se ne rese conto, arrossì di colpo. Paradossalmente,provava pudore nel vedere il suo corpo nudo, così come lui del suo. Si coprì con le mani, come meglio poteva.
Lui si rese conto che la conversazione era giunta al  termine, non poteva andare oltre, per quanto gli sarebbe piaciuto fare l’uomo, una volta ogni tanto.
Le sue parole gli avevano infuso una forza del tutto nuova. Si alzò dal letto e infilò la porta del bagno.
Sebbene fosse ancora preda dell’imbarazzo , in specie dell’insicurezza creata dalla sua seminudità, dalla mancanza di indumenti atti a coprire la pelle, avrebbe voluto ancora  il suo braccio intorno alla vita.
Che sensazione strana, anzi, che voglia strana, perché lo richiedeva ancora?
Lei non doveva mica: lui era il suo carceriere .
Era già scivolata via dal letto , quando se lo ritrovò di fronte,di nuovo.
Le sembrava ancora più alto del solito, imponente come un orso su due zampe.
In un attimo, tutto le fu così chiaro e confuso insieme, si sollevò sulle punte dei piedi, gli afferrò la nuca, infilò le dita tra i suoi capelli e lo baciò con un’intensità fino ad allora sconosciuta, per entrambi.
Non appena le loro labbra si staccarono, lei si lasciò solo il tempo di dirgli:” E’ colpa mia.” E corse via dalla sua stanza.
Era rimasto lì in piedi, completamente frastornato. Non aveva avuto il tempo di rendersi conto di cosa era appena accaduto alle sue labbra, nemmeno di rispondere al bacio.
Era stata lei a prendere l’iniziativa, non l’aveva immaginato. Cominciò a chiedersi perché l’avesse fatto: la solita compassione? Un gentilezza al condannato?
Probabilmente  doveva vederlo come un essere patetico e malvagio.
Si era anche pentita di quel bacio .
Però, tutto quel trasporto…l’espressione nei suoi occhi,  forse si era trattato solamente di un impulso fisico che si era scontrato con la sua deformità .
Una reazione inconsulta,ma sì certo.
 O forse no. Doveva scoprirlo.
Lei si era diretta svelta in camera. Aveva chiuso la porta dietro di sé e si era lasciata cadere giù per terra. Stava ridendo, tra le lacrime che le incorniciavano il viso.
Le aveva confessato il peggio. Le aveva mostrato il suo lato oscuro e lei lo aveva accettato. In seguito,era stata in grado di provocare ciò che nemmeno lei si aspettava di fare: era come accecata , in quel momento, aveva bisogno di un contatto ravvicinato, così come gli occhi di lui, velatamente, la pregavano.
Un bisogno, una necessità, un istinto da soddisfare. Tutto qui.
Lei lo aveva attirato a sé. “Chissà cosa starà pensando di me”si lamentò.
Si decise a rivestirsi in fretta e a pettinarsi a dovere, quando lui spalancò la porta e la richiuse violentemente.
Sembrava fuori di sé .
Quei suoi occhi verdi, come le colline della sua terra,erano ancora più spalancati,tutta la pelle del viso subiva una strana tensione. Lei incominciò ad indietreggiare verso il letto , nel tentativo di arrivare vicino alla finestra, ma lui fu più veloce e riuscì come a catturarla.
 Ora aveva seriamente paura:anche lui le avrebbe inflitto lo stesso trattamento del conte?
Era un uomo, in ogni caso.
La teneva in una morsa potente,tanto che non riusciva nemmeno a divincolarsi. Proprio mentre lei era convinta che di lì a poco sarebbe cominciata una nuova tortura, lui cominciò a portare le mani di lei dietro la sua schiena :“Ancora…”le sussurrò ad un orecchio. Lei sorrise, ma continuava ad essere spaventata intimamente. Non era ancora finita.
Aveva intrapreso ad accarezzarle il braccio e poi giunse su fino al volto: poteva toccarla finalmente. Si avvicinò con una timidezza tangibile, sorprendentemente tenera .
Aveva paura di essere rifiutato, di non esserne degno, di non averne più diritto. Lei non riusciva a riflettere: era come annebbiata, gli occhi di lui erano penetranti a tal punto da ipnotizzarla.
La baciò con meno fretta della prima volta, sebbene l’impeto si fosse ugualmente conservato. La premette contro di sé con forza finché non  la sentì abbandonarsi interamente tra le sue braccia.
 Le  mani di lei intorno al suo collo furono subito una presenza piacevole.
“ Vi sentite ancora colpevole?” voleva delle risposte.
“Perché lo avete fatto?”con un filo di voce. Era come stordita.
“Potrei farvi la stessa domanda.”
“Non lo so. In quel momento non ho ragionato molto.”
Il che era la verità. Qualcun altro aveva riflettuto per lei in quell’istante fatale.
La stava stringendo sempre più forte, aveva cominciato ad accarezzargli il collo, con una certa foga , fino a scendere all’altezza del seno. Le mani di un uomo sul suo corpo, di nuovo.
In quel momento fu lei a volersi fermare.
“Aspettate…io.. io non posso…io sono..” di nuovo nella mente era
riemerso quel ricordo assordante.
Capì subito cosa voleva dire.
Era solo una fanciulla.
 Avrà avuto almeno vent’anni meno di lui. E aveva subito quel torto gratuito , peraltro.  Allentò la presa su di lei, ma non se la sentiva proprio di lasciarla.
Non sapeva come dirglielo: non si tirava indietro perché non lo volesse, anzi, ne era uscita stupendamente eccitata; né per il suo aspetto, nemmeno lo contava più,o forse non aveva mai preso in considerazione la sua storpiatura, ma perché era una vergine, una donna che non aveva mai assaporato il calore di un uomo, se non quella volta, malamente, quando aveva subito quella violenza, quella rapina triviale.
Lui era un uomo fatto, chissà quante donne avrà avuto tra le mani prima di lei .Non doveva essere spiacente prima dello sfregio, osservò, quindi le donne su di lui dovevano cadere come la pioggia da quelle parti. Non avrebbe potuto dargli il piacere che cercava, soddisfare le sue esigenze di uomo maturo, sapeva di non essere all’altezza.
Inoltre, c’era un’altra ragione per frenarsi, un motivo che non voleva né sentire né vedere, ma che era riuscito a farsi strada nella sua mente: il cuore.
Cosa provava per quell’uomo?
Perché,se aveva deciso di baciarlo e lasciarsi baciare, qualcosa voleva pur dire.
Per quale motivo lasciarsi toccare, accarezzare, stringere e fare a lui altrettanto, quando con una parola l’avrebbe subito respinto?
Non bramava la sua lontananza. Le mani di lui addosso, che la esploravano, le avevano fatto dimenticare l’orrore di quell’episodio cui non sapeva dare un nome preciso. Non voleva dargli un nome. Non doveva essere un peso da sobbarcarsi, ma una macchia da pulire soltanto. Si sarebbe dissolto, giorno per giorno.
 Si stupiva di sé stessa nel parlare con lui, la rendeva migliore in qualche modo e forse lei era riuscita a fargli lo stesso effetto. Poteva amarlo?
Amore…amore…nessuno glielo aveva raccontato. Sua madre era morta troppo presto. Non c’è una ricetta, non ci sono istruzioni, a volte nemmeno indizi. Succede, come un ciclone passa, prende e porta via. L’importante è stare dentro al suo turbine e lasciarsi trasportare via con esso. Forse se ne era innamorata sul serio. Il panico l’avvolse. E ora, che fare?
Lui sperava che dicesse qualcosa, ma lei era pensierosa. Ad un certo punto gli parve di vedere ancora della paura aleggiare sul suo volto. Per l’ennesima volta pensò che fosse colpa del suo aspetto. Poi che fosse colpa della sua confessione,troppo repentina, forse, si lambiccò tra sé . Eppure…sembrava desiderosa quanto lui…Era confuso.
 Lei si era fermata . Certo, se fosse stato per la sua bruttezza lo avrebbe fatto anche prima. Forse il modo: troppo brusco, troppo in fretta, troppo ingordo. Lui aveva fame.
Di lei, solo e soltanto. Questo lo fece riflettere.
Se la fame fosse degenerata in qualcosa di altro?
Se l’inumano fosse stato in agguato?
Se il volere lei sola fosse una predilezione della Bestia nascosta?No, non poteva essere. Non doveva. Lei era stata la sua cura quella notte. Che potesse essere anche il contagio?
 “ Andate adesso, ve ne prego, signore. Tra poco sarà l’ora del pranzo , ci vedremo giù di sotto. E’ meglio così. Perdonatemi. Non è colpa vostra. Sono io ad essere sbagliata. Ho sbagliato.”
Pensava che avrebbe visto il disprezzo palesarsi sul suo volto, la vergogna di essersi abbassata a lasciarsi prendere da un uomo così repellente e invece no. Stava implorando, a suo modo, anche se lui non immaginava il perché.
Tolse le mani che fino ad allora erano rimaste sui suoi fianchi con notevole reticenza- faceva fatica a controllarsi con lei così vicina,tra le braccia-  e si avvicinò al suo viso:
“Io non lo credo” e se ne andò.
Avrebbe dovuto dirgli la verità. In ogni caso sarebbe stato liberatorio.
 Lui ambiva solo il suo corpo,l ’aveva compreso, aveva bisogno di sfogarsi e quel che è peggio era stata lei a provocarlo fino a  quel punto, a desiderarla violentemente, a scoperchiare quel vaso come una novella Pandora.
 Aveva sbagliato, ne era certa.
Volevano appagare istinti diversi, secondo lei.
Lui bramava il suo possesso, anche solo per una notte. Ne era convinta.
E lei? Cosa pretendeva da lui?Per quanto avesse chiarito il suo cuore, rimaneva sempre qualcosa di non detto,c’era sempre qualcosa che mancava.
Non avrebbe dovuto pretendere niente da lui, si disse, lei lo aveva stuzzicato stupidamente e lei sola avrebbe rimediato al danno.
 Ma era davvero un danno poi?Aveva scoperto quanto fosse pericoloso farsi desiderare da qualcuno. Ma anche quanto fosse eccitante per il corpo e per l’anima: infatti il suo ego non ne aveva risentito, tutt’altro. Non lo avrebbe mai ammesso di fronte ad anima viva, perché la terrorizzava e  non capiva come un atto che solo poco tempo fa la ripugnava a morte, adesso si fosse trasformato in qualcosa di incommensurabilmente più piacevole, che le faceva completamente smarrire la percezione di una parte di se stessa.
Era desiderio brutale anche il suo, come quello di lui, ma non aveva intenzione di riconoscerlo. Perdere se stessa in quei momenti, con un altro essere umano così prossimo, era un rischio che non poteva né doveva correre.
Se gli avesse detto quello che provava , probabilmente l’avrebbe derisa, trattandola come una bambina che crede ancora  nel vero amore che non esiste e lui poteva provarlo. Si immaginava già quello che le avrebbe risposto:”L’amore non esiste, ragazzina. Io ne sono la prova. Se ci fosse stato amore , non sarei ridotto così. Ho conosciuto il disgusto, il disprezzo, la derisione sulle facce della gente, mai l’amore o la compassione. ” Doveva rischiare e dirglielo. Doveva buttarsi, senza pensare, come aveva fatto fino a quel momento, del resto. Non aveva niente da perdere.
Scese dabbasso. Aveva indossato un vestito rosso,ma  si pentì subito della scelta, fatta anch’essa sull’onda dell’emozione e non del raziocinio. Lo aspettò a lungo nella sala da pranzo ma non arrivò. Erano appena suonate le tre. Se ne era andato? All’ingresso trovò un biglietto:
“ Tornerò, stanotte.”
Una promessa o una minaccia?
Solo tra due o tre ore al massimo sarebbe calato il buio. Per quanto aveva intenzione di restare là fuori? Si accorse che si stava preoccupando per lui come un’ amante, una moglie, una fidanzata. Se fosse uscita a cercarlo e lui nel frattempo non l’avesse trovata al castello ? Se fosse successo il peggio e l’avessero ucciso? Non voleva nemmeno sfiorare l’idea.
 In mezzo a questo affollarsi di ipotesi, il sole era  tramontato e di lui nemmeno l’ombra.  Gli lasciò anche lei un biglietto e si decise a scendere nelle scuderie, montare sul primo cavallo e partire al galoppo. Attraversò in lungo e in largo la foresta senza risultati:nessuna traccia di lui né della sua cavalcatura, almeno i lupi non l’avevano aggredito, poteva tirare un sospiro di sollievo.
Tornò indietro, verso il castello per esplorare i terreni circostanti. Fu il cavallo a guidarla: doveva essere abituato a quell’itinerario.
 La portò fino ad un tempietto rotondo. Era la tomba di famiglia,scoprì in seguito,lì altre impronte equine erano ancora fresche. Era vivo, era salvo e stava tornando al castello. Dall’ ombra spuntò fuori un altro cavallo: “Dov’è il tuo cavaliere?” bisbigliò.
“Proprio qui. Chi siete?” Aveva una spada puntata alla gola, di nuovo.
Riconobbe subito la sua voce, avvertì subito il suo odore.
 Si tirò giù il cappuccio e sciolse i capelli. Adesso capirà immediatamente,pensò speranzosa.
“Ah, voi… Siete uscita!Volevate forse fuggire?!”si sentì come tradito.
“ Ero solo preoccupata per voi, stupido idiota.”scoppiò a piangere. Era esausta, aveva freddo, lo amava ma non era amata a sua volta. Si accasciò per terra.
Rimise la spada al suo posto. Che stupido. La prese in braccio , la issò sul cavallo e trainò l’altro appresso. Che stupido. Stava cominciando a piovere , così come lei non smetteva di piangere.
Era andata a cercarlo.
 Non aveva pensato di fuggire. No, non lo aveva fatto.
Si era preoccupata della sua sorte. Era la seconda volta che temeva per la sua vita. Forse si era affezionata a lui, in un certo senso.
Non sapeva come comportarsi di fronte ad una donna in lacrime, preferì tacere.
Era uscito per riflettere, per far sbollire l’eccitazione. Avrebbe voluto fare diversamente ma non conosceva altri modi.
Aveva cavalcato senza meta fino a giungere al solito punto: laddove riposavano i suoi genitori. Quel luogo lo rilassava. Era rotondo, completo, perfetto. Tutto lì assumeva un senso.  Cominciò a mettere insieme i tasselli della storia.
Non riusciva a fare a meno di lei. Se ci fosse stata un’altra donna al suo posto, avrebbe cercato lei comunque.  Il suono della sua voce, la  comprensione dimostrata, il suo piglio nelle situazioni drammatiche, il suo spirito , il suo corpo- non poteva fare a meno di ripensarci,dopo così tanto tempo- quel modo che aveva di calmarlo e di eccitarlo, di tirar fuori il lato umano e quello bestiale.
Bestiale.
Bestiale?
Perché aveva pensato un aggettivo del genere?
Lei aveva visto la bestia che era, sia fuori che dentro.
Si era spinta volontariamente nell’anima nera custodita dentro quell’involucro terrificante, aveva accettato , aveva compreso. Ma se le bestie devono stare con le bestie…? Sciocchezze. Lei non lo era. Era riuscita a trasformare la sua furia, la sua bestia, in  desiderio sano e insaziabile .Aveva fatto uscire l’uomo  lasciando che convivesse con la sua anima indomita e selvaggia .
 Le aveva esibito l’uomo e la bestia e per tutta risposta lei non batté ciglio; non lo biasimò; non inorridì; non  fuggì. Accadde l’imprevisto.
Doveva rimanergli accanto, come una donna ad un uomo.  Non poteva trattarla come una delle tante prostitute che aveva frequentato nei primi anni della sua emarginazione e che aveva ricoperto d’oro purché gli regalassero anche solo un paio d’ore di godimento. Ma non era lo stesso. Pagare quel genere di piacere non era nella sua indole. In breve tempo cominciò ad odiare quelle mercenarie.
Non poteva ripagarla così della sua comprensione, del suo… amore?
No, no di sicuro…solo affetto.
Perché voleva tenerla con sé?
Era felice quando la vedeva, ma al tempo stesso lo terrorizzava a morte. Lei era così diversa, così umana che non avrebbe potuto lasciare che vivesse confinata tra le tenebre con lui. Che sorta di vita avrebbe potuto regalarle?
 L’altra ragazza non gli aveva fatto lo stesso effetto, probabilmente perché non si era spinta così lontano nel suo cuore ed inoltre  era una prigioniera. Ma lei…non  riusciva a vederla così, non più.
Nel frattempo lei aveva cominciato ad asciugarsi le lacrime,  appoggiando le testa sulla sua spalla e  si strinse a braccia conserte. Aveva freddo perciò l ’avvolse nel suo mantello: non doveva patire il gelo .
Quanto era stato sciocco ad aggredirla  in quel modo, in fondo lei non lo meritava. La sua solita mancanza di fiducia, la sua eccessiva circospezione avevano preso il sopravvento. Non sapeva come scusarsi. Avrebbe  trovato un modo.
 Frattanto erano arrivati al castello. Una volta smontato dal suo destriero, aiutò pure lei a far lo stesso . L’afferrò per i fianchi e solo in quell’istante si accorse di quanto fosse leggera. Sentì le mani di lei sulle spalle scorrere giù subito. Capì.
Lei era svenuta, intanto, doveva essere sfinita,pensò. La prese in braccio e la portò all’interno. Lui aveva capito finalmente.
Erano rientrati dalle scuderie ma al portone d’ingresso qualcuno stava insistentemente bussando.
 Che continuasse pure a bussare, non gli importava.
Lui aveva finalmente compreso.
Si avviò verso le stanze da letto affinché lei si stendesse.
 Una volta uscito, sentì ancora l’intruso battere alla porta. Non se ne sarebbe andato finché non avesse ottenuto ciò che andava cercando.
 Aprì stancamente il portone, restando in penombra come al solito.
“Chi siete?”con la solita aggressività che lo distingueva.
“Come, nessun prego entrate?”aveva un tono serpentino.
“Chi siete?!” Fu meno gentile di sempre.
“Viaggiavo da queste parti, ho visto una luce e pensavo che avreste potuto darmi ospitalità per stanotte.”
“Mi dispiace, non posso.”Non aveva intenzione di fargli varcare la soglia, aveva altro a cui pensare , che morisse pure.
“Allora posso solo aspettare che spiova, milord?”insisteva.
“Dubito che smetterà presto, milord” dov’erano finite quelle buone azioni e quegli innumerevoli buoni propositi?
“Il mio cavallo è esausto, ho davvero bisogno del vostro aiuto.” Cercava di essere commovente.
Lo trovava insistente ed insopportabile,ma non poteva essere scortese.
“Portatelo nelle scuderie ed  entrate.”si risolse così, solo per lei e per quei buoni intenti.
Non appena fece entrare lo sconosciuto ,questi si tolse il mantello gocciolante di dosso e si avvicinò al fuoco. Gli sembrava una faccia familiare, ma fu un pensiero che sparì in fretta.
Non aveva voglia di fare conversazione, non con lui almeno. Voleva che se ne andasse, alla svelta.
“Avete molte visite, milord, di questi tempi?”lo apostrofò lo strano ospite.
“No”rispose seccato.”anche la conversazione da salotto mi toccherà?”si stizzì tra se.
“Sapete, sto cercando una persona. So per certo che ha attraversato questa foresta, ma non ha lasciato di sé alcuna traccia. I lupi devono misteriosamente averla graziata. Qualche  pellegrino è venuto a bussare alla vostra porta in cerca di ospitalità? Una donna magari?”
Solo allora identificò il nuovo arrivato. Decise di servirsi con calma.
“E’ passata una donna, in effetti. Ma se ne è andata due o tre settimane fa.”
Lei si era risvegliata nel suo letto, proprio in quegli attimi .
 Era arrabbiata con lui, stava scendendo le scale, quando sentì la sua voce. La stava cercando. Era braccata. Avrebbe dovuto affrontarlo.
Il passato era tornato. Finalmente, era giunta l ’ora.
Si inumidì le labbra con la punta della lingua e continuò a scendere i gradini senza far rumore, strisciando poi nell’ombra verso la stanza principale.
“Perché mentite, milord?”con un sorrisetto serafico sulla faccia.
“Perché insinuate che menta?”
“Ma voi state mentendo, milord. Avete pagato lautamente la famiglia di quella donna, proprio immediatamente dopo la sua scomparsa. Lei deve essere qui.”
“Chi vi ha dato quelle informazioni…”
“ Chi me le ha date ? Voi stesso milord!Io ero l’impiegato della banca, milord…”
“Che bisogno c’era di camuffarvi?” Stava cominciando a scaldarsi.
“Mi avreste riconosciuto comunque, presto o tardi. Non vi ricordate di un ragazzetto sui sedici anni, tutto lentiggini?”
“Sono spiacente, non ricordo. Chi diavolo siete?!”era pronto ad aggredirlo.
“ Brutta pecora, davvero non ti ricordi?!Mi rattrista sapere che proprio non ti siamo rimasti impressi!!” Mostrò una vistosa cicatrice alla base del collo.
“Tu…il più piccolo, sei ancora vivo?! Sei qui per tormentarmi? Pensi che non mi ricordi?Ogni singolo giorno sconto la pena per quello che ho fatto. Sparisci prima che uccida anche te, per la seconda volta .”
La sua rabbia era sul punto di rompere gli argini, se non avesse avvertito una mano intorno al collo a stringerlo delicatamente e una intorno al polso con energia a bloccarlo.
“Lascialo a me.”Gli bisbigliò.”Hai già fatto abbastanza.”
Il suo odore così penetrante era del tutto estraneo.
“Eccomi , signore, mi cercavate?”sbucò fuori dall’ombra accanto a lui.
La sua voce aveva un suono strano,del tutto nuovo, metallico.
“ Milady… Vi ho cercato per mesi…” abbozzando un inchino fasullo.
“Non siete molto intelligente allora,oppure non sapete cercare…giacché ero più vicina di quanto pensavate.” Insolente e sarcastica.
“Ma ora vi ho trovato.” Sorrise beffardo.
“ E con ciò? Che pensate di fare?”continuava stranamente a sorridere,inclinando la testa.
“ Devo saldare un vecchio conto col padrone di casa e poi riprendermi ciò che mi spetta.”guardando verso di lei.
Il lupo  era pronto per arraffare la sua preda, stava affilando lentamente le zanne, per il puro piacere di gustarsi meglio la cena, di vedere affiorare l’inconsapevolezza e infine l’ orrore negli occhi della vittima prescelta. Che fame.
Lei si mise a ridere. Rise così forte che rimbombò in tutto il castello.
Rise così di gusto che entrambi gli uomini nutrirono un filo di sgomento; solo le bestie che si celavano in loro  ne erano come attratte, risvegliate, chiamate a gran voce.
“Voi credete?” Si stava avvicinando ondeggiando, con fare di sfida.
 Lui la vedeva bellissima, aggressiva, provocatoria.
 Il suo corpo sembrava ancora più rigoglioso del normale, ogni curva appariva accentuata, in quel vestito che era diventato quasi una guaina.
Anche il conte era eccitato, ma non capiva dove volesse arrivare.
“ Per i conti tratterete con me, stasera. Sarò io stessa a saldarli.”cominciò a massaggiarlo nel luogo della cicatrice, una volta squarcio fatto da lui, dal suo amato, con una energia sempre più costante, fino quasi a strattonarlo e si voltò verso il padrone del castello .
Chiedeva la sua approvazione, il suo permesso.
Non aveva intenzione di  scavalcarlo, non desiderava privarlo della sua virilità tantomeno del diritto di difendersi da un nemico e di proteggerla,era libero di farlo ma non adesso.
Anche lei pretendeva la sua vendetta.
Ci fu un incrocio rapido di assensi.
 Si voltò verso il conte, invogliato da questa novità.
“Sapete, non è stata una grande idea venire fin qui, così tardi,nel cuore della notte, sfidando il maltempo...Non ho preparato il letto,… milord!…”
Gli occhi di lei si dilatarono eccezionalmente così come le labbra, ormai fauci. L’azzannò con tutta la ferocia che aveva in corpo. Gli strappò di netto la carotide e al conte non fu lasciato nemmeno il tempo di cacciare un urlo, perché morì con lui.
Gli squarciò il petto, ne estrasse il cuore e lo buttò nel fuoco. In ultimo, gli lacerò  i pantaloni,e con una spada trovata sulla parete, gli staccò via il pene che finì tra le fiamme, anch’esso.
”Bravo bambino” concluse”in compenso ti scaverò una fossa, il tuo letto eterno.”.
Giustizia era fatta.
Il giusto castigo era stato servito. Freddo e sanguinolento.
 Era stata rabbia cieca, anche la sua.  Aveva regolato i conti finalmente.
 Aveva dato vita al suo oscuro proposito.
Il lupo se l ’era mangiato, come promesso.
Grondava  sangue ovunque, rosso purpureo come il suo vestito. Rimase in piedi di fronte al cadavere scempiato. Respirava pesantemente. Stava con lentezza tornando alla normalità. Adesso ci voleva la forza di raccontargli  anche il suo lato oscuro.
Lui era sconcertato, però  fiero di lei poiché aveva combattuto il suo demone.
Aveva ucciso per entrambi, la sua valchiria.
La sua leonessa li aveva difesi e aveva vendicato se stessa.
O avrebbe dovuto dire la sua lupa?
Lei.. che cos’era lei?
Così bella e così crudele?
Così dolce e così spietata?
Anche in lei si celava una bestia?
Aveva scatenato la bestia che era in lui perché bestia era anche lei?
Qualcuno con cui correre, pensò, è davvero lei.
Si tolse alla meglio il sangue che aveva intorno alla bocca e che le era colato lungo il collo, a quel punto  gli venne incontro, tirandosi su una manica.
“Vedi?” gli indicò un punto del braccio dove teneva una benda.
Le belve non danno del voi.
Interrogativamente la guardò mentre la scioglieva.
Nascondeva una grossa ferita ormai rimarginata, un morso,suppose.
“Beh?” non trovava il nesso. Se ne stava a braccia conserte, in attesa di chiarimenti.
“ Un lupo mi ha morsa quando avevo undici anni. Non un lupo dei vostri. Non un comune lupo grigio.”
Si mise a ridere” Non mi direte che siete un lupo mannaro!”
“ Non fare il simpatico, non c’è molto da divertirsi.. Mannari diventano gli uomini che sono predisposti o se vengono morsi con la luna piena. Io sono stata morsa con la luna nuova, del lupo ho assunto solo la voracità, la ferocia, la violenza. Scatenare queste componenti dipende dalla luna e in parte è dipeso da lui. Bisogna essere particolarmente crudeli  per scatenare il lupo che vive in me. Non di continuo riesco a tenerlo quieto, ma quasi sempre riesco a farlo coesistere con me stessa.”
Lui rimase in silenzio. Era felice di avere in comune con lei quel lato incivile ed incontrollabile, un po’ pazzo.
Di avere in comune una bestia.
 Stava tornando in sé. Non aveva dimenticato come si erano lasciati ore prima.
“ Adesso sapete anche questo. Non avete niente da dire? Non volete puntarmi ancora la spada contro o punirmi perché secondo voi sono fuggita?”
Si avvicinò di un passo. Erano così simili. Avrebbero potuto uccidersi a vicenda, per la tensione che c’era nell’aria.
“Non sono abituato a fidarmi delle persone.”
“Vi ho dato prova in svariate occasioni di potervi fidare di me, mi pare.”
Era contrariata, il suo disappunto era percepibile. Lui lo trovava di una dolcezza impressionante.
“ Già, è così. Avevo solo bisogno di riflettere su quello che era successo, su quello che avevo fatto e che mi avevate detto.  Ero confuso.”
“Beh, avete fatto chiarezza?!”in tono di sfida, un po’ spazientita. Il lupo non se ne era mai andato in fin dei conti, era sempre stato lì, in attesa, conviveva brillantemente con lei, vergine e peccatrice,donna e animale.
“Certo.” Rispose serafico.
Non si aspettava una risposta così diretta, così rapida.
“Molto bene”cercando di nascondere il suo intimo timore”allora vi ascolto.”
“ Ho sbagliato a trattarvi in quel modo, poco fa. Non  lo meritavate. Mi avete offerto la vostra indulgenza e non vi ho ripagato nel modo giusto. Mi avete dato molto di più di ciò che mi aspettavo. Vi siete rivelata estremamente diversa dalla norma, per fortuna, oserei dire.”
Stava cominciando a stancarsi di questo suo girare intorno alla faccenda principale.
Aveva capito perfettamente che era un tentativo di trovare le parole giuste, ma non resisteva più: aveva bisogno di sapere poiché anche lei  era avida e ingorda. Era quella la sua fame.
“ Io vi amo, signore. Uomo e bestia, nel bene e nel male. Senza condizioni”
 Nessun preambolo, nessun preavviso:si era liberata e aveva rischiato.
 Lui aveva sentito benissimo quelle quattro sillabe, di gran lunga più chiare del suo borbottare inconcludente.
Era amato,al di sopra di ogni cosa, anche del lato oscuro, anche di quello. Non avrebbe mai creduto che lei provasse tutto questo.
 Scoppiava dalla gioia, ma doveva rispondergli qualcosa, qualunque cosa.
Lei lo stava guardando trepidante, sperava in una riposta positiva anche se non più di tanto. La sua mancata reazione alla rivelazione della sua natura lupesca l’aveva insospettita.
Era zuppa di un sangue che si stava lentamente raggrumando, non era la veste migliore per una dichiarazione, ma fino a quel momento tutta la loro vicenda era stata un susseguirsi di momenti sbagliati, inattesi o impensati,ma sempre inadeguati.
Forse sarebbe stato meglio scomparire nella propria stanza e lasciar trascorrere la notte.
 Tirò un sospiro,arresa.“Con permesso, milord.”
Avrebbe voluto dirle qualcosa ma gli sembravano tutte parole banali e vuote.
La notte nel frattempo era scesa.
 La pioggia non aveva cessato di cadere, incalzante.
Il diluvio, nel cuore della notte, si tramutò in tempesta, cosicché tuoni e lampi cominciarono a comparire nel cielo e a turbarle il sonno.
 Era terrorizzata dai tuoni, atterrita dai lampi.
Di solito andava a dormire nel letto dei suoi genitori, da piccola, solo ultimante con le sue sorelle. Non ebbe molta scelta: o rimanere paralizzata dalla paura o chiedere aiuto.
Ma lei non urlava: il panico era tale da toglierle la parola.
Si avviò tentoni verso la scala a chiocciola,inciampando un paio di volte in corrispondenza di un paio di tuoni, strisciò fin davanti al baldacchino e si infilò sotto le coperte avvinghiandosi a lui più forte che poteva. 
Non appena prese coscienza dell’inaspettato visitatore, si stupì di averla accanto nel suo letto.  Comprese quasi subito che era terrorizzata dalla tempesta:stava facendo del torso di lui il suo scudo, rendendosi sempre più piccola,quasi, ad ogni boato.
Le mise un braccio attorno alle spalle e cominciò ad accarezzarle leggermente i capelli, cercando di calmarla, di infonderle un minimo di sicurezza.
Era ben felice di proteggere la sua lupa, che fosse lì con lui, così stretta, così vicina. Tutta per sé.
Mia vita,pensò, mio cuore.
Gli si era avvicinata così, senza dire niente, senza domande, senza richieste.
Stiamo insieme stanotte, ho paura del tuono, stringimi forte.
Non l’aveva detto ma glielo aveva fatto capire. Dormirono stretti l’uno all’altra.
Quando si risvegliò l’indomani,  lei era riuscita a sgattaiolare, via dalla sua presa. Non voleva svegliarsi  con lui accanto, con lui addosso, combattere con l’istinto di desiderarlo . Se ne era andata silenziosa così come era arrivata lì quella notte, che era stata solo una ricerca d’aiuto disperata, non un bisogno d’amore, non doveva esserlo, per forza.
 Lui, rispettando il suo silenzio, non aveva rifiutato quella presenza notturna accanto a sé.
Se  il più delle volte lui non sentiva il bisogno di parole ,ora anche lei stava imparando a farne a meno e cercare di parlare la sua stessa lingua.
Pensò di averla delusa. Il suo silenzio di fronte all’aprirsi del cuore di lei l’aveva amareggiata. Era deciso fermamente a riparare. Scese nella sua stanza.
“Andatevene”gli intimò, quasi ringhiando, con una certa impazienza.
“No! Dovete ascoltarmi che vi piaccia o meno!”voleva riuscire a parlare , a fare un discorso senza interruzioni. Lei si meravigliò e si impaurì della sua decisione.
Si fermò a braccia conserte, curiosa di sapere quello che aveva da dire.
“beh? Sono qui ferma, sto aspettando.”
Cominciò a bofonchiare qualcosa,mentre lei continuava a non capire, così gli si avvicinò e gli chiese:”Potete farfugliare più chiaramente?”
“Dio!!!Siete così…così..” alzò le mani verso l’alto, pensò che volesse quasi picchiarla.
“Così come?!” teneva  i pugni stretti verso il basso e tutto il busto proteso verso di lui, contrapposto a lui.
“Sto  cercando di dirvi che mi sono innamorato di voi e  mi punzecchiate di continuo come uno spiedo! Non lasciate il tempo  di esprimermi come si conviene, dannazione! Siete impossibile!” Vide il volto di lei sconcertato, non si era reso conto del fiume di parole uscite dalla sua bocca.”Ora che c’è?”grugnì stavolta.
“ Quando vi impegnate sapete essere molto maleducato. E così vi siete innamorato? “ era ironicamente serena.
“ Chi l’ha detto ?” Era spaesato.
“Proprio voi, adesso. Non vi ricordate? Oppure era una bugia?”volle aspettare che si difendesse ma non ottenne commenti”Credete che la confessione di ieri fosse solo un gioco? Pensate che non sia atterrita dal fatto che avete visto il mio lato peggiore e ve ne siete stato lì, muto come un pesce?Immaginate vagamente quanto ci abbia messo per rendermi conto di amarvi e quanto mi sia arrovellata per trovare le parole giuste, per non apparire una patetica sciocca ragazzina , per trovare il coraggio?!.”
“Certo che lo immagino! Solo quando vi ho scesa dal mio cavallo ieri sera, ho capito quanto mi foste cara e preziosa. Quanto mi sono affranto per le parole che vi ho rivolto. Non avete  idea dello sconvolgimento che mi avete provocato!”L’afferrò per le braccia”Voi siete tale e quale a me. Nel bene e nel male. L’ho capito questo, non credevo di dovere aggiungere molto altro. Per la cronaca, i lupi non mi spaventano, contenta? Abbiamo smosso l’uno il  lato selvaggio e umano dell’altra . Non sono da me le dichiarazioni d’amore, non sono un fine dicitore come altri, non vi canterò un sonetto perché non sarei in grado di comporlo. Ma posso dirvi che vi amo, con grande ardore. A questo punto, anche io dovrei essere un patetico sciocco? E poi solo perché il più delle volte taccio non significa che non provi niente . Non esibisco  i miei sentimenti con naturalità,non l’ho mai fatto, prima per carattere,ma ora ,con tutto questo…”indicava il suo scempio,non sapeva come continuare e poi”il mondo non è stato umano con me!”si calmò subito, premendosi una mano contro la grossa cicatrice in mezzo al volto, mentre con l’altra continuava a tenerla molto stretta” Ho preferito essere prudente fino in fondo e non farmi delle illusioni su di voi. Non avrei mai sperato che vi poteste innamorare di me.”
Era sull’orlo del pianto,  impressionata che avesse toccato le corde più delicate del suo cuore. Lui l’amava, aveva solo avuto paura fino ad allora.
 Che sciocchezza pensare che  fosse indifferente!
“Molto bene, allora. Credo dunque che dovremo rivedere il nostro patto .”stava tremando dalla felicità, mentre lo diceva.
“Volete rivedere la vostra famiglia?” era ben disposto a concederglielo.
“Volete uscire alla luce del sole?”sapeva di chiedergli molto, ma decise comunque di provare.
Non fu drastico: “Vedremo, magari in futuro.”
Quella creatura della notte, solo apparentemente figlia della luce, l’avrebbe condotto all’esterno un giorno o l’altro, a far parte di quel mondo che in tutti quegli anni l’aveva rifiutato, a cui lui stesso aveva rinunciato . Da padroni dell’oscurità  come erano entrambi, lei sola , cui restava semplice confondersi con il giorno, gli avrebbe insegnato a fare altrettanto. L ’ Uomo avrebbe camminato tra gli uomini, con la luce del sole .Col calar del tramonto, la bestia avrebbe giaciuto con la sua degna sposa, dai grandi occhi color cobalto.
“Allora abbiamo un futuro?”sorridente. Insieme, pensò, non chiedo nient’altro se non poterti restare accanto, come è sempre stato.
“Sì che c’è. Ma ditemi piuttosto: i vostri cari?Non siete ansiosa di poterli riabbracciare?” chiese ancora, insistendo. Credeva che la privazione dei suoi parenti, per tutto questo tempo fosse stato un assillo incessante per la sua amata.
“ Ce li ho davanti, eccola qui la mia famiglia. Ho tutto quello di cui ho bisogno”gli prese il viso tra le mani e avviò a baciarlo, sempre più forte,con sempre più fame. Desiderarlo era un istinto naturale,ci era arrivata alla fine. Non più qualcosa da reprimere e di cui vergognarsi.
Qualcuno con cui correre, pensò di nuovo, dolce e brutale come la volevo.
Mia cura, mia malattia,mormorò tra sé.
 Era lei la sua piccola libertà, adesso lo sapeva.
Ad un certo punto, l ’appetito di lui la travolse e cominciarono a fare l’amore con una delicatezza che lasciò in breve tempo il passo al desiderio sfrenato.
Eccola lì la Bella aggrappata alla sua Bestia, in un atto d’amore.
Quella Bella che, Bestia a sua volta ,aveva riconosciuto l’ Uomo celato dietro la veste mostruosa, amando entrambe le due nature e lasciando che anch’egli amasse le sue.
Guardateli adesso, stretti l’uno all’altra, frementi per la passione e tremanti per l’eccitazione di un amore insperato, trovato per caso. Così differenti, così uguali. Perdutamente imperfetti, come ognuno.
La Bestia aveva scatenato la Bella e la Bella aveva provocato altrettanto.
 
 
                                           Fine
 
 
 
   
   
 
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