33)Mark, Ruby e la serie
di sfortunati eventi che intralciano la loro relazione.
Ci
sono abbracci che
consolano, ci sono abbracci che scaldano, ma qualsiasi abbraccio che si
protragga troppo a lungo senza una ragione, senza parole, senza niente
è segno
che qualcosa non va.
Qualcosa di grosso è
successo e ha sconvolto l’altra persona.
Qualcosa ha sconvolto
Mark.
Cosa?
“Mark?”
Ci riprovo, ma lui mi accarezza
i capelli e scuote la testa.
“Ti prego, stiamo così ancora
un po’.”
“Va bene.”
Di nuovo ho l’impressione
che pianga e che mi stringa più del dovuto e questo mi fa
stare male, darei
qualsiasi cosa per vederlo sorridere ora.
“Mark.”
Riprovo di nuovo, incerta.
Credo che lui voglia di nuovo mettermi a tacere, ma la porta si
spalanca con
violenza dietro di lui e mia madre fa irruzione nella stanza.
“Ruby, cos’era quel
rumore?
E TU CHE CI FAI QUI?”
Lui si irrigidisce e si
volta verso di lei, che lo guarda perplessa.
“Stai bene, ragazzino?
Sembra ti abbia investito un tir!
Sei tutto bagnato in
maglietta e mutande!”
Non avevo fatto caso a
questo particolare.
“I miei stanno
divorziando.”
La sua risposta è poco più
che un sussurro e fa scambiare uno sguardo perplesso tra me e mia madre.
“I miei stanno divorziando
e mia madre porterà me e Anne a San Francisco con
lei.”
Alla notizia crollo come
una pera, facendo accorrere mamma.
“RUBY!”
“Sto - sto bene!”
Faccio cenno al mio
ragazzo di continuare.
“Signora, posso fermarmi a
dormire da voi? Giuro che non toccherò sua figlia!”
Lei rimane in silenzio e
scruta prima lui – soffermandosi a lungo sui capelli e sui
non vestiti bagnati
– e poi
me.
L’atmosfera nella stanza
inizia a farsi pesante, credo che lei stia soppesando da una parte la
sua
antipatia per lui, dall’altra il fatto che sia ridotto
veramente male.
“Ruby, vai a prendere
delle salviette, il phon e i vestiti che il verme ha lasciato qui.
Non farmi pentire di
averti fatto rimanere, ragazzo.”
Detto questo se ne va e io
mi affetto a eseguire i suoi ordini prima che cambi idea, non voglio
che lui se
ne vada.
Ritorno in camera e lo
trovo dove l’ho lasciato, non si è mosso come se
fosse in trance.
“Mark.”
“Ruby.”
“E così te ne vai…”
“Se fosse per me non lo
farei, non voglio lasciarti.”
Io inizio ad asciugargli i
capelli, scompigliandoglieli tutti e trattenendo le lacrime.
“Nemmeno io, ma io rimango
qui e tu sarai a San Francisco”
“Scenderò ogni fine
settimana.”
“Non sarà lo stesso.”
Singhiozzo, asciugandogli
la schiena e pensando che la vita è una gran bella merda.
Lui si volta e mi trascina
seduta sulle sue ginocchia, ha gli occhi rossi, gonfi ed
incredibilmente seri.
Non li ho mai visti così.
“Non vorrai mollarmi ora!”
“NO! È che… ho
paura.”
Crollo senza ritegno,
appoggiandogli le testa sulle spalle e piangendo tutto quello che avevo
faticosamente trattenuto prima.
Lui non può fare altro che
abbracciarmi e rimanere in silenzio, ora capisco perfettamente la sua
richiesta
di poco prima: a volte le parole rovinano tutto e rendono il mondo
più brutto
di quello che è in realtà.
Rimaniamo così per un po’
– fino a che lui non inizia a tremare vistosamente
– poi a malincuore mi alzo e
gli consegno i vestiti, lui va in bagno per cambiarsi.
La mia camera mi sembra
vuota senza di lui e l’allegro vociare di mia sorella di
ritorno dal ballo non
mi aiuta. Lei avrà sempre Tom vicino, io tra poco
avrò no: sarò da sola e non
mi va più.
Fino a poco tempo fa la
solitudine mi piaceva, ora ne ho paura, le cose sembrano sempre
peggiori quando
si è da soli.
Senza allegria mi siedo
sul letto, fissando il murales che ho fatto quando non conoscevo da
molto Mark
e chiedendomi come finirà.
La sua faccia al ritorno è
tutto un programma, sembra quella di un condannato a morte che ha visto
sfumare
l’ultima possibilità di avere una grazia.
Triste.
Immensamente triste.
Mi fa male al cuore vederlo
così e non potere fare nulla per cambiare le cose, mi sento
inutile visto che
non riesco nemmeno a tirarlo su di morale.
Senza dire nulla si siede
sul letto accanto a me e mi passa una mano sulla guancia, io socchiudo
gli
occhi: è ancora freddo, ma va bene così.
Iniziamo a baciarci piano,
con dolcezza, fino a quando il bacio non diventa profondo e ci
stendiamo sul
letto. Ci stacchiamo a malincuore, entrambi siamo vincolati dalla
promessa
fatta a mia madre.
Io mi alzo per spegnere la
luce, lui si stende avvolgendosi per bene nelle coperte.
Poverino, deve essersi
congelato per venire qui!
Abbracciarlo – messami a
mia volta a letto – è la cosa più
naturale del mondo: ho bisogno del suo calore
e lui del mio visto che sembra un pezzo di ghiaccio.
Rimaniamo interi minuti
senza dire nulla, solo accarezzandoci e beandoci della reciproca
vicinanza.
“Quando te ne andrai?”
“Dopo Natale.”
“Non passeremo nemmeno
l’ultimo dell’anno insieme.”
Lui scuote la testa.
“Verrò qui a costo di
fuggire di casa, ti amo.”
“Ti amo anche io.”
Dopo averlo detto scoppio
a piangere.
Non voglio perderlo,
perché me lo devono togliere così? Non
è giusto che i figli paghino per le
colpe dei genitori!
Il
resto della notte lo
trascorriamo abbracciati a coccolarci, nessuno dei due dorme molto.
La mattina dopo abbiamo le
occhiaie e l’aria rintronata tipica di chi ha trascorso una
notte insonne e non
ci molliamo nemmeno per un attimo.
Ci fumiamo insieme una
sigaretta nel mio cortile addobbato – beffardamente
– per Natale, mai come quest’
anno odio questa festività.
Le lucine si riflettono
nelle pozzanghere, residuo della pioggia della notte.
“E di solito il Natale mi
piace”
“Cosa?”
Mark mi guarda perplessa.
“Voglio dire, che di
solito il Natale mi piace, ma quest’anno mi fa schifo
sinceramente.”
Lui sospira.
“Capisco.”
Torniamo dentro e facciamo
colazione in silenzio, in casi come questi le parole sono superflue.
A metà del pasto fa la sua
comparsa Erin, ha gli occhi gonfi di sonno e l’aria serena,
deve aver fatto
sesso con Tom, lei.
“Ehi Fish Guts! Come mai
qui? E come hai fatto a convincere il grande capo a non
ucciderti?”
Si versa una dose generosa
di cereali nella tazza, sorridendo. Non ricevendo risposta ci guarda e
nota le
facce scure e le occhiaie.
“Cosa succede, ragazzi?”
“I miei divorziano.”
“Mi spiace, Mark!”
“Non è tutto, dopo Natale
io, mamma e Anne siamo costretti a trasferirci a San
Francisco.”
Il cucchiaio pieno di
cereali cade di mano a mia sorella, che impallidisce vistosamente.
“Tu ti trasferisci a San
Francisco?”
Lui annuisce tetro.
“Oddio!”
Erin si alza e lo
abbraccia con forza, vedo che anche lei sta trattenendo le lacrime.
“Mi dispiace, mi mancherai
molto.
Ma non c’è nessun modo per
rimanere qui?”
Lui scuote la testa.
“Mamma non ha abbastanza
soldi per affittare un appartamento e a san Francisco staremmo da mia
zia per
il momento. Senza contare che là è più
probabile che riesca a trovare un
lavoro.”
“Mi - mi dispiace, non è
giusto.”
“No, non è un cazzo
giusto, ma è la vita e purtroppo non posso farci niente.
Devo andarmene, anche
se tutto quello che desidero è rimanere qui con i miei amici
e la mia ragazza.”
Mentre pronuncia l’ultima
parola fissa me, facendomi di nuovo riempire gli occhi di lacrime. Ma
perché la
nostra storia è così sfigata?
Insieme stiamo benissimo, ma
qualcosa si mette sempre di traverso: la gelosia, mia madre, i problemi
degli
altri, ora persino questo.
“Non oso pensare a come la
prenderà Tom, lo dovrò raccogliere con il
cucchiaino.”
Devo ammettere che – nel
mio egoismo – non avevo affatto pensato a lui e al fatto che
perderà un amico e
un compagno di band.
“Già, i Blink se ne
andranno a fanculo o cercherà un altro bassista, in ogni
caso sarà una merda.”
Questo lo rende ancora più
depresso e appesantisce l’atmosfera nella stanza.
“Ragazzi, scusate. Ogni
tanto mi dovrei tappare quella fogna che ho al posto della
bocca.”
Mia sorella è sinceramente
contrita, Mark tuttavia scuote la testa e increspa le labbra in un
sorriso
amaro.
“No, Erin. Prima o poi
avrei dovuto fare i conti anche con questo.”
Devo fare qualcosa, non
posso lasciare che tutto vada in malora così. Non posso
impedire a Mark di
partire né trovare un lavoro alla signora Hoppus, ma almeno
posso evitare che
parta ricordandoci in lacrime.
“Mark, stasera ti va di
venire nel deserto con me?”
Lui ed Erin mi guardano
stupiti, mia sorella capisce al volo e sfoggia uno dei suoi sorrisini
alla
DeLonge, lui invece non capisce.
“Perché?”
“Per salutarti in modo
degno.”
Calco sull’ultima parola
sperando che qualche neurone nel suo cervello operi il miracolo di
fargli
capire il doppio senso in modo da non essere più esplicita.
“In modo degno.. Oh! Sì,
certo! Certo che ci vengo!”
Gli occhi gli si sono
illuminati, mia sorella scoppia a ridere.
“Sei lento Hoppus.”
“Pfff! Almeno stasera
rimedio.”
“Ehi!”
Gli mollo una gomitata
scherzosa tra le costole.
“Scusa amore, non è che
cambi idea?”
“No, scemo!”
Lui ride sollevato e io
sorrido, felice di avergli strappato la prima risata della giornata.
La
sera arriva presto,
mamma fa un po’ di storie riguardo alla mia uscita serale, ma
alla fine è
costretta a cedere visto che anche Erin è dalla mia parte e
due figlie che le
danno il tormento sono decisamente troppe.
“Va bene, va bene, vai!
Basta che non mi scodelli un nipote, lo sai come la penso a
riguardo!”
Io annuisco, le lancio un
bacio sulla punta delle dita ed esco, stringendo tra le mani le chiavi
della
macchina e un cestino con dentro del cibo.
Mark mi aspetta fuori da
casa sua, sorride con una punta di tristezza negli occhi, nessuno dei
due si
dimentica il perché di questa gita straordinaria.
È come una spada di Damocle
che pende su si noi e le luci di Natale che decorano casa Hoppus mi
mettono
tristezza: non c’è niente da festeggiare.
Niente.
“Ciao, piccola!”
Mi dà un bacio a stampo e
nota il cestino sui sedili posteriori.
“Cosa c’è di buono lì
dentro?”
“Hamburger appena
fatti, birra, sugar
skull, brownies e
del caffè… Ah! E della tequila!”
Lui sorride.
“Wow! Non vedo l’ora di
assaggiare tutto, è bello che tu abbia cucinato per
me.”
“È il minimo e, non
ridere, mi piacerebbe continuare a farlo per tutta la vita o
giù di lì.”
Borbotto rossa come un
pomodoro, guardando fissa davanti a me.
“Non pensavo desiderassi
essere una casalinga, ma sono contento che tu voglia continuare a
cucinare per
me per sempre. È un bel pensiero.”
“Grazie.”
“Sono felice che tu sia la
mia ragazza, finalmente vedo la vera Ruby brillare.”
Io osservo i riflessi
delle luminarie infrangersi contro i vetri della macchina e correre
via,
pensando che non posso piangere ora e che queste parole non sanno di
addio.
Non è un addio.
“Mark.”
La mia voce esce
incrinata, nonostante tutti i miei sforzi.
“Scusa, parlo come se
dovessimo davvero dirci addio, cosa che non accadrà
Ho parlato con Tom oggi,
gli ho detto della mia partenza.”
“Come ha reagito?”
Chiedo senza essere
davvero curiosa, giusto per non far proseguire questa conversazione che
sa
troppo di ultima.
“Beh, male. Ha bestemmiato
per mezz’ora, poi ha chiesto se devo proprio seguire mia
madre a San Francisco
e infine mi ha detto che se voglio mi ospita lui.
Dubito che mia madre e la
madre di Tom accetterebbero l’ultima, insomma, la signora
DeLonge mi vuole
bene, ma da qui ad avermi per casa tutto il giorno a ciondolare in
mutande ce
ne passa.”
“Sarebbe stato bello….”
“Già.”
Il silenzio cala di nuovo
su di noi, ormai siamo alla periferia di Poway e il cielo stellato del
deserto
ci viene incontro, nero e freddo.
“How i wish,
how i wish you were here...
We are just two lost
souls
Swimming in a fish bowl
year after year
Running over the same
old ground
What have we found?
The same old fear.
Wish you were
here.”
“Wish you were here” mi è
uscita in modo spontaneo, è un caso che parli di mancanza.
È solo un caso, ma
fa male da morire,
perché anche se lui è
qui accanto a me, lo sento già lontano. Sento che la sua
testa è già a San
Francisco e non con me e io lo vorrei qui.
“Messaggio recepito,
strega.
Smetto di pensarci.”
Ride lui.
“Mi stupisci sempre, non
so come fai a leggermi nella mente certe volte e non pensavo ti
piacessero i
Pink Floyd.”
Io alzo le spalle, non ho
una risposta a nessuna delle due domande.
Alla fine arriviamo in
pieno deserto, parcheggio la macchina vicino alla strada e scendiamo,
lui si
stiracchia subito le braccia, io faccio qualche passo e
stendo una coperta.
Apparecchio aiutata da
lui, il cibo ha un’aria invitante: ho fatto un buon lavoro.
In silenzio mangiamogli
hamburger, pensavo facesse più freddo, invece sto bene. Deve
essere la sua
vicinanza o forse è semplicemente l’ansia, non
vedo l’ora di sapere cosa ne
pensi del cibo preparato da me.
“Buoni! Cavolo, lo
mangerei volentieri per tutta la vita il cibo preparato da
te!”
Io arrossisco
violentemente e balbetto un: “Grazie”.
L’ansia si è sciolta in una calma che mi
permette di respirare meglio.
“Tenera! Proviamo gli
sugar skulls?”
Io annuisco e ne prendo
uno – il più piccolo – e me lo porto
alle labbra, dandogli un morsetto sotto il
suo sguardo assorto. È con un po’ di sorpresa che
lo vedo avanzare verso di me
e mordere un pezzo di dolce a sua volta.
Vuole forse farmi morire?
Ho il cuore che mi esce
dal petto, lo osservo ipnotizzata mangiare e poi mordere di nuovo
arrivando
alle mie labbra. Questa volta lo mangiamo insieme, mentre le nostre
lingue
lottano, si accarezzano, si assaggiano.
“Sai di dolce.”
“Anche tu.”
Riprendiamo di nuovo a
baciarci, le mie mani accarezzano i suoi capelli, le sue mi aprono la
felpa, la
tolgono e poi giocano con l’orlo della maglia.
Ci stacchiamo e ci
guardiamo per un attimo, quello necessario a far sì che lui
si tolga la felpa e
la appoggi sulla coperta.
Iniziamo di nuovo a
baciarci con veemenza, io gli tolgo la maglia, lui toglie la mia e poi
si ferma
di nuovo.
“Sdraiati.”
Io annuisco perplessa ed
eseguo, sono curiosa di sapere cosa abbia in mente.
Chiude gli occhi e mi
accarezza lentamente su tutto il corpo, si sofferma – con un
ghigno – sulle
tette, ma sembrano non essere il suo interesse principale. Sembra un
cieco che
cerchi di memorizzare qualcosa.
“Piccolo?”
“Shh! Ti sto memorizzando,
così saprò esattamente come sei quando non ti
avrò e dovrò…”
Io rido, gli passo una
mano dietro al collo e lo attiro a me, baciandolo con passione. Lo amo.
Con dolcezza lo faccio
mettere a pancia in su e comincio ad accarezzarlo e baciarlo, prima che
lui mi
fermi, mi tolga il reggiseno mi ristenda di nuovo.
In un attimo è su di me,
sorridente e mi bacia, mentre con le mani riprende ad accarezzarmi,
soffermandosi sui seni.
Inizio a gemere piano,
facendolo ridacchiare.
Si stacca dalla bocca
all’improvviso – lasciandomi frustrata –
e scende baciandomi il collo e le clavicole.
Ho capito cosa vuole fare
e sorrido, accarezzandogli i capelli. Gli è sempre piaciuto
giocare con i miei
seni e io lo lascio fare volentieri, adoro quando lo fa.
Gemo ed ansimo, godendomi
le sue attenzioni, sono sulla strada che porta al paradiso.
Senza preavviso si stacca
di nuovo, io lo guardo senza capire, visto che inizia a baciarmi la
pancia e
scende sempre più verso il basso.
“Mark?”
Lui alza il volto e mi
guarda.
“Ti fidi di me?”
Io annuisco.
“Bene, perché vorrei
provare a fare una cosa.”
“O-ok.”
Lui continua il suo
percorso, mi dà i brividi come mi baci l’ombelico
e come ci infili la lingua.
Mi toglie le mutande e
inizia a baciarmi lì, strano, ma piacevole, mi fa irrigidire.
“Rilassati.”
Io gli do retta e mi
concentro solo sui giochi che sta facendo là sotto. Dove
diavolo ha imparato?
Me lo chiedo mentre gemo ed ansimo senza ritegno, invidiando la prima
tizia a
cui l’ha fatto.
Rischio di impazzire
quando mette prima un dito, poi due e poi tre. Questo è
quasi il paradiso!
Pochi colpi e arrivo all’orgasmo
urlando il suo nome e stritolando il suo volto tra le sue gambe:
tremendamente
strano e tremendamente imbarazzante.
Ho il respiro accelerato e
mi ci vuole un attimo per stabilizzarlo, cosa che lui sfrutta per
tenermi tra
le braccia e coccolarmi. Io sono talmente fusa da non realizzare che la
cosa
che preme sulle mie cosce è il suo pene e che non sono
l’unica che deve godere
stanotte.
Lui mi bacia la fronte –
dolce – io alzo il volto e lo bacio appassionatamente.
“Ti è piaciuto?”
“Sì… Grazie, invidio
parecchio la prima ragazza a cui fatto questi giochetti!”
Lui ride e mi bacia le
clavicole.
“Pronta?”
“Sì.”
Il primo colpo è deciso –
fin troppo – e mi strappa un gemito di dolore.
“Scusa.”
Il secondo è meno forte e
mi dà solo piacere.
Da lì in poi prosegue a
volte più lento, a volte più veloce. I nostri
gemiti scaldano l’aria del
deserto e la riempiono .
Non sono mai stata così
bene, non è mai stato così bello.
Le mie mani lasciano le
sue per graffiargli la schiena e strappargli un ulteriore gemito a
metà tra il
piacere e il dolore. L’ultimo prima dell’orgasmo,
che raggiungiamo insieme,
urlando i nostri nomi.
Nemmeno la canzone più
bella dei blink può superare o eguagliare questo.
Il silenzio che si crea
dopo è la cosa più bella e naturale del mondo:
lui steso su di me, ansante, io
che gli passo le mani tra i capelli.
È il paradiso, fermate il
tempo.
Non voglio che arrivi
l’alba.
Non voglio che arrivi
domani.
Angolo di Layla.
Questo è quello che è successo a Mark, spero non mi ucciderete.
Ringrazio eve182, _redyrageandlove
e LostiStereo3
per le recensioni.