Questa storia è ispirata dall'amore che lega il mio migliore mico al suo ragazzo. Grazie a lui ho capito che se una persona riesce ad amarti quanto nessun'altro riuscirà mai, allora è l'amore della tua vita.
Consiglio di ascoltare QUESTA canzone durante la lettura :D
Questa non è una storia facile.
Ho sempre
saputo che fossi tu l'amore della mia vita.
Tu mi avevi scelto, ed io ti appartenevo incondizionatamente. Nulla era
nei piani, ma hai avuto la forza di trasformare un giorno ordinario in
qualcosa di straordinaria. Quel 2 Giugno 2010 poteva essere anonimo come
tanti altri anonimi giorni, invece, tornando a casa e accendendo il pc,
avevo trovato un messaggio inaspettato: "Ciao, ho notato che abbiamo
molti interessi in comune. Se ogni tanto ti va di fare quattro
chiacchiere, a me farebbe piacere". Anche in quello avevi
ragione. Abbiamo tanto in comune: libri, film, musica. Anche i sogni
abbiamo messo in comune: i tuoi desideri sono diventati i miei ed i
miei sono diventati tuoi. Quel 2 Giugno ti risposi: "Hei, è
vero che ci piacciono le stesse cose! Credo che andremo d'accordo".
La giornata la trascorsi pensando a te e mi parve strano.
Ancora non ti conoscevo e avevo un enorme desiderio di farlo. Quasi mi
dimenticai che proprio quel giorno fosse il mio compleanno. Uscii con i
miei amici per festeggiare e forse bevvi un po' troppo, come sempre. Di
sera mi misi nel letto; non accesi la televisione, ma mi girai dalla
parte opposta, verso la parete viola chiaro e ripetevo in mente il tuo
nome: Alessandro.
Per un paio di mesi abbiamo parlato del più e del meno, di
me e di te, forse di noi. Ci siamo raccontati un po' delle
nostre vite e abbiamo imparato a conoscerci. Abbiamo capito che, al di
là delle cose che avevamo in comune, c'erano tante cose che
non potevamo capire l'uno dell'altro, quasi come fossimo due facce
della stessa moneta.
Io: Giuliano, 17 anni, quasi 18. Lecce. Quarto anno di liceo, aspirante
scrittore. Nonostante fossi la persona più svampita del
mondo, mi regolavo con una fredda razionalità, ma tu avevi
capito che non sempre era sincera, che lo facevo solo perché
non mi piaceva espormi, perché nessuno doveva sapere che
poteva farmi del male. Talvolta le persone avevano paura della mia
irascibilità, e a me quasi faceva piacere. Solo Chiara, la
mia migliore amica, era al corrente di tutta la verità, e tu
ormai conoscevi Chiara senza averci mai parlato, perché io e
te parlavamo di tutto e di tutti.
Tu: Alessandro, 22 anni. Roma. Studente di medicina, aspirante
neurochirurgo. Sei sempre stato passionale e solare. Non ti sei fatto
mai travolgere da qualcosa in pieno, concedendoti del tutto, ma hai
sempre preferito prendere le cose alla leggera, perché
neanche a te piace soffrire. Siamo un po' gli opposti io e te, ma a me
non ha mai spaventato questa cosa. Tu parlavi di me a Martina e Diego,
tuoi inseparabili amici. Martina era una promettente ballerina, Diego
un fumettista emergente. Ti sono sempre stati vicini, da quando eri
piccolo e perdesti tuo padre.
Sapere l'uno la vita dell'altro diventò quasi
indispensabile, e ogni sera bisognava assolutamente scambiarsi quattro
parole almeno per non farmi sentire la tua mancanza. Eri diventato
indispensabile: tutto quello che mi accadeva in una giornata era
irrilevante se non potevo condividerlo con te, e per questo il mio
migliore amico diventò lo schermo del pc e la cosa che
più mi interessava era la tua immagine formata dai pixel. In
questo clima, dopo un'estate passata tra di noi, iniziai il
mio ultimo anno di liceo che non mi sembrava tanto diverso da tutti gli
altri. Tu partisti per Londra. Ricordo ancora che per due mesi non
parlammo, non ti era permesso usare internet. Dovevi tenere degli esami
sulla tecnologia microchirurgica, o qualcosa del genere. Non mi
interessava molto quello che stavi facendo, ma mi interessava che per
quei due mesi non potevo parlarti. Mi disabituai del tutto ad usare il
pc, poiché non mi serviva più di tanto. In quei
due mesi le mie giornate procedevano tutte allo stesso modo: scuola,
casa, bar. Dopo la seconda settimana dalla tua partenza, salii in
soffitta e ritrovai una vecchia macchina da scrivere impolverata. La
rimisi a nuovo e fu proprio con quella macchina da scrivere che
intrapresi la stesura del mio primo romanzo. Volevo scrivere una storia
d'amore originale, che fosse sofferta ma appagante. Ogni giorno che
passava i miei personaggi prendevano forma e carattere e la storia
sembrava intraprendere la giusta strada. Dopo due mesi ero contento dei
miei primi 6 capitoli. Tu ovviamente fosti il primo a leggerli,dopo
averli ricevuti per posta, e mi incoraggiasti a continuare. Mi dicesti
che avevo trovato la mia strada, che il mio lavoro sarebbe stato quello
di raccontare storie.
Più
tempo passava e più mi rendevo conto che non eri
più semplicemente 'il mio amico' Alex, ma eri molto di
più: eri diventato forse l'unico di cui mi importasse
qualcosa. Ogni tanto mi sentivo un pazzo perché cominciavo a
pensare che tu non esistessi, che io avessi bisogno di qualcuno come te
e che quindi l'avessi inventato. Poi trovavo un tuo messaggio con
scritto "Ciao piccolo. Cosa mi dici di bello? Se qualcuno ti ha fatto
arrabbiare anche oggi, dimmelo e ti sistemo io tutti i problemi" e
sapevo che eri solo dall'altro lato del pc e che forse anche tu avevi
smesso di considerarmi come un semplice amico, ovviamente non mi
dispiaceva.
Io avevo quasi
finito il liceo quando mi dicesti "Sai, credo che dovremmo vederci. La
settimana prossima sarà il 2 Giugno e credo sarebbe carino
se ci incontrassimo". Il giorno dopo andai in stazione, comprai dei
biglietti diretti per Roma. Quei sei giorni di attesa furono i
più lunghi della mia vita. Mi sentivo come un bambino che
vede i regali sotto l'albero, ma non può aprirli
finché non arriva il giorno di Natale. Bene, anche io avevo
il mio regalo e non dovevo far altro che aspettare Natale. Il 2 Giugno
arrivò e io mi misi nel treno, arrivai a Roma e davanti le
porte della stazione ti vidi e senza controllarmi ti corsi in contro e
ti abbracciai tanto forte come se avessi dovuto recuperare tutti gli
abbracci che non avevo potuto darti per tutto l'anno precedente. La
giornata fu intensa e stancante. Girammo tutta la città e
desideravo che quei momenti durassero in eterno, ma la sera
arrivò e il mio treno partiva a mezzanotte e venti. Allora
ci avviammo verso la stazione e mentre camminavamo mi prendesti la
mano. Mi girai dalla parte opposta per non fati notare il rossore delle
mie guancie, ma quando mi voltai di nuovo notai il tuo sorriso
compiaciuto che quasi mi prendeva in giro. Arrivammo al binario e il
treno era già lì; c'erano troppe cose che non ci
eravamo detti. La voce metallica annunciava che il treno era in
partenza. I miei occhi verdi rimanevano piantati nei tuoi neri. Ancora
la voce registrata mi sollecitava a salire sul treno. Anche tu volevi
dirmi troppe cose e non sapevi da dove cominciare. Capimmo entrambi
quale fosse il modo per dirsele tutte in dieci secondi: chiusi gli
occhi e mi ritrovai le labbra sigillate nel bacio più
morbido e caldo che avessi mai ricevuto. "Alex, io ti..." non terminai
la frase. "Anche io, Giù", sorridesti mentre quasi mi
spingevi nel treno. Per tutto il viaggio rimasi con gli occhi
spalancati a fissare il vuoto, felice.
Quella frase
interrotta non è stata mai più ripresa in nessuna
delle nostre conversazioni, ma i toni erano diventati più
intimi, i colori più caldi e l'aria più
profumata: eravamo diventati come i personaggi del mio libro che ormai
volgeva quasi al termine, eravamo innamorati e questo ci faceva stare
bene, ma lo eravamo troppo per rimanere separati. Sopportavo la
lontananza e sopportavo il tuo far finta di nulla quando provavo a
ricordarti di quello che volevo dirti in stazione. Ci eravamo scambiati
i ruoli: io ero diventato impulsivo e passionale, tu pensieroso e
razionale.
L'estate fu
fiacca: dopo essermi diplomato andai in Spagna con Chiara per due mesi
e diventammo un tutt’uno con la movida di Madrid. Tu avevi le
sessioni estive di esami, quindi decisi di lasciarti un po' in pace per
non distrarti dal tuo studio. A Settembre mi iscrissi alla
facoltà di Lettere.
Non parlavamo
quasi mai al telefono, ma quella notte di ottobre mi chiamasti. Io
alzai il telefono dal comodino e lessi il tuo nome. Mi chiesi cosa
potessi volere alle tre e un quarto. L'unico modo che avevo di
togliermi il dubbio era rispondere. "Hei Alex" dissi con voce
assonnata. "Sei impegnato?" mi dicesti tu preoccupato. "Che impegni
posso avere a quest'ora?", seguirono dieci secondi di interminabile
silenzio poi ti decidesti a parlare e quasi sussurrando dicesti
"Giuliano, io ti amo". Sapevo che saresti stato il primo a dirlo,
sapevo che mi avresti anticipato. "Anche io ti amo, Alex". Mi augurasti
una buona notte e staccasti, ma ormai non avevo più alcuna
voglia di dormire perché in quel momento la mia vita era
diventata più bella. Mi misi a fissare il soffitto
sorridendo.
Nei mesi di
Novembre, Dicembre, Gennaio e Febbraio terminai il mio libro. Quando lo
leggesti avevi paura che io potessi diventare ricco prima di te, che
avevi ancora tanta strada da fare. Ricordo che quelli furono i mesi in
cui desiderai vederti ogni giorno ed ogni giorno te lo facevo presente.
Tu dicevi che per te era la stessa cosa, che soffrivi, ma di solito eri
tu a consolare me.
La seconda chiamata importante
l'ho ricevuta un sabato sera di Febbraio. Ero in giro con Chiara,
eravamo andati al bar a bere una birra, come al solito. Ancora una
volta lessi il tuo nome e tranquillamente risposi. "Dobbiamo parlare".
Come potevi aver detto quella frase? Sentivo nella tua voce un tono
malinconico e straziato, allora mi preparai al peggio. "Giù,
io non ce la faccio più, ci tengo troppo a te ed
è proprio per questo che sto male. Non posso continuare
così, quindi è meglio se per un po' non ci
sentiamo. Ti prego, cerca di capire". La chiamata terminò
così, io non ebbi né il tempo né il
coraggio di rispondere. Rimasi con la bocca spalancata a fissare Chiara
che mi chiedeva preoccupata cosa succedesse. La abbracciai e piansi.
Passai la notte infilato nel suo letto. Lei mi accarezzava la testa e
mi sorrideva. Mi addormentai.
Nei mesi successivi sentivo una
sensazione di vuoto che mi lacerava e Chiara mi aiutò ad
andare avanti nonostante tutto. Le pagine del mio libro bruciarono e
nonostante sapessi che prima o poi me ne sarei pentito, mi fece sentire
meglio. Non ebbi più notizie di Alex. Le nostre vite si
erano separate del tutto. Ed io avevo perso ogni speranza.
Ma il 2 Giugno del
"Apri gli occhi,
Giù", mi sussurravi.
"...", non rispondevo.
"Giuliano, dai, apri gli occhi"
"..."
"Aprili"
Aprii gli occhi, dal mio letto vidi il pc poggiato sulla scrivania e guardai l'orario: due e ventinove. Poi vidi la data: 2 Giugno 2010.