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Autore: _Diane_    05/02/2013    3 recensioni
Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e tornare a casa?
- Dal Capitolo Dieci -
«Tony Stark?»
Domandò senza mezzi giri di parole la giovane dai capelli rossi.
«Esattamente. E voi non credo siate i fantasmi del Natale passato, presente e futuro di Dickens, vero?»
La ragazza parve sconcertata dal comportamento di chi gli aveva appena aperto la porta. Un turbamento che durò qualche millesimo di secondo, dopo il quale rispose.
«Perché, avresti forse paura di confrontarti con i tuoi peccati, signor Stark?»
Genere: Avventura, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Sorpresa, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6 RIASSUNTO: Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a casa?





Steve walks warily down the street
Steve camminava pallido giù per la strada,
With the brim pulled way down low
Con la visiera del cappello calata sugli occhi
Ain't no sound but the sound of his feet
Non si sente altro suono che il rumore dei suoi passi
Machine guns ready to go
Le mitragliatrici pronte a far fuoco


Another one Bites the Dust ~ Queen




Capitolo Nove

Martedì, 22 Dicembre 1991.
Pomeriggio.


Ne era certo; sarebbe stato licenziato.

Ma non era quello a preoccuparlo maggiormente, mentre tamburellava freneticamente il piede sul pavimento.
La luce attorno a sé, nella minuscola stanza d'aspetto, era fioca. L'aria si era fatta pesante e gli faceva girare la testa, che non poteva nemmeno venir cambiata data la completa assenza di finestre.

Il ragazzo si chiese dove diamine potesse essere stato portato. Sicuramente fuori città, a giudicare dal tempo che avevano impiegato per raggiungerlo. Quella mattina, sul tardi, era stato prelevato con urgenza dalla sua abitazione, fatto salire su un elicottero, bendato, ammutolito e trasportato chissà dove.
Era stato abituato, dal giorno in cui era stato assunto, a non fare domande. Meno chiedi, meglio stai gli era stato suggerito da chi gli aveva fatto firmare un contratto lungo un centinaio di pagine. Una marea di scartoffie nelle quali, ogni due righe, si poteva leggere qualcosa che poteva essere riassunto nell'espressione "meno chiedi, meglio stai". Aveva dovuto fare sua quella filosofia di vita per necessità ed aveva scoperto dopo poco che non gli dispiaceva molto. Un basso prezzo da pagare per un posto di lavoro ben pagato, senza colleghi petulanti ai quali devi necessariamente sorridere a denti stretti inventandoti di fidanzata e parenti perfetti. No, niente di tutto questo; possibilità di promozione, vitto e alloggio ben pagati e... il concreto rischio di rimetterci le penne ogni cinque minuti.

Forse meno, a guidicare dalla frazione di tempo bastata affinché perdesse di vista colui che stava pedinando.

Al pensiero di cosa potesse essere successo a quell'uomo spiaggiato nel tempo, avvertì un capogiro più forte dei precedenti.
Si piegò in due sulla sedia, poggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani.
Sì. Avrebbe potuto mandare al diavolo tutti, i suoi mille superiori, i capi, e persino i capi dei loro capi.
Portò una mano nella tasca della giacca sgualcita, dove un pacchetto di figurine ancora ben sigillato pareva bruciare, incandescente.
No. Però non avrebbe mai e poi mai permesso che quei cinque minuti si fossero portati via un uomo, forse il migliore tra gli uomini.

Poi una voce lo strappò ai suoi pensieri.
Automaticamente balzò in piedi e si diresse verso la porta che gli venne aperta.

«Agente Coulson, si accomodi; il direttore la sta aspettando.»


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Martedì, 22 Dicembre 1991.
Sera.

Non sapeva cosa pensare. Semplicemente se ne stava fermo seduto, mentre osservare il tempo passare.
Aveva chiesto e - fortunatamente - era riuscito ad ottenere vacanze anticipate per quel Natale. Non era che una semplice matricola nell'aeronautica, per di più senza famiglia, e non aveva nessun motivo apparente per starsene a casa.
Poi però volse lo sguardo al compagno di tante bravate disteso inerme sul letto. Eccola l'ottima ragione.

Non l'aveva visto mai bere in quel modo dalla fine del liceo. Gli anni dell'università di Tony al MIT e il suo arruolamento nell'esercito li avevano brutalmente allontanati. Poi si erano tornati a frequentare, ma in modo molto formale; i due erano ormai considerati adulti, non c'era stato più tempo per ragazzate asolescenziali. Già. Come se ci ti scaraventassero dentro, una volta ingranata la marcia della pubertà.

Sprofondato nella poltrona, i pantaloni della sera prima ancora addosso, la camicia completamente fuori posto e l'aria stressata, James Rhodes pensò che non doveva proprio avere una bella cera.
Lo sguardo poi tornò, dopo aver ispezionato per la milionesima volta la camera da letto, su un Tony Stark ancora sbronzo e dormiente tra le lenzuola.

I genitori dell'amico erano diventati come una seconda famiglia per lui, figlio di umili operai, che era riuscito faticosamente a farsi strada nella vita.
In segreto sapeva che Tony in parte lo detestava, per questo.
In mezzo a litigate furibonde tra i due Stark non era raro sentire Howard tirare in causa i giovani americani che non hanno nulla e riescono a farsi strada nella vita senza genitori che gli puliscano continuamente il culo. Una metafora chiara e tangibile che però Rhodes, per quanto condannava il modo con il quale Tony amava sperperare il denaro, non condivideva. Il suo amico poteva essere anche una testa calda, come lui spesso amava ripetere, ma non era certamente uno sprovveduto. Certo, il fatto che aveva ingenti somme di denaro da sperperare e un ego mica male potevano non essere d'aiuto.
Poi un mugugno sommesso proveniente da sotto le lenzuola, fece tornare la sua attenzione ai problemi del presente.

«Perché diamine l'inferno profuma di lavanda?» Sbiascicò l'amico, portando il proprio peso sul fianco nel - folle - tentativo di rimettersi in piedi.

«Perché forse non sei all'inferno, Tony.» Rispose Rhodes, a metà tra il sollevato e l'ironico.

«Ehi, se ci sei anche tu, Rhodey» Esordì abbastanza sopreso, mentre tentava invano di sollevare il proprio peso dal materasso «questa non può assolutamente essere la casa di Lucifero.»

«Oh, ma ci sei andato parecchio vicino al conoscerlo, sai.»

Rhodes si alzò dalla poltrona che aveva quasi preso completamente la sua forma, dal tanto che vi era rimasto seduto. Quasi una giornata intera, a giudicare dall'ora tarda alla quale il giovane Stark aveva degnato il mondo della sua viva presenza.

«E non credo sia il caso di fare ora la sua conoscenza. Magari prima o poi ti capiterà se continui così. Ma non permetterò che accada, almeno finché sarò nei paraggi.»

Sul volto di Tony prese forma una divertente smorfia, condita con una punta di disgusto.

«Con tutta questa dolcezza domani mi troverò costretto scucire un bel milione al dentista.»

Nonostante la sbronza ancora perdurante all'interno del suo organismo dalla sera precedente, a cui si sommava il fatto che aveva dormito ininterrottamente per tutto quel tempo sfiorando il coma etilico, Tony non rinunciava all'utopia di alzarsi da quel dannato letto.

«Non credo che balzare giù dal letto sia una buona idea.» Riprese Rhodey, con tono canzonatorio.

«Aspetta un attimo; da quando tu hai buone idee?»

Rhodes odiava il sarcasmo inopportuno del quale il suo amico abusava quando qualcuno gli si opponeva.
Si passò una mano sulla fronte, come bastasse a spazzare via tutta la stanchezza accumulata durante quella giornata, mentre con passo lento e rassegnato circumnavigava l'ampio letto dal quale l'amico aveva ancora intenzione alzarsi.
Ma l'intenzione si tramutò in realtà prestissimo; Rhodes non fece neppure in tempo ad aiutarlo che se ne stava già ritto sui suoi stessi piedi.

I due a distanza iniziarono a studiarsi, come due vecchi amici che non si vedono da tempo e non sono sicuri di riconoscere il vecchio compagno d'avventure. Entrambi non avevano un  bell'aspetto; Tony ad esempio aveva il volto bianco come un cencio, gli occhi infossati e la testa dolorante, mentre tutti gli organi dall'intestino in su pareva fossero stati investiti e poi macinati per benino. Nonostante tutto il giovane Stark ebbe improvvisamente l'impressione mancasse... qualcosa.
Si guardò in giro, ingnorando cosa cercare perchè... non lo sapeva.
Rhodey colse immediatamente l'allusione dell'amico, che pareva ancora in stato semi-confusionale.

«Stai cercando il tuo nuovo maggiordomo?» Domandò, con un tono preoccupato che non lasciava presagire nulla di buono.

«Il mio nuovo magg...?» La confusione in cui vagava ancora la brillante mente di Tony era evidente
«Ah, Jarvis intendi! Sarà invischiato in cucina a prepararci la cena. Ai fornelli è persino più maldestro di te con le donn...»

Ma Rhodes non sorrise a quella battuta. E fu in quel momento che il cervello annebbiato del giovane Stark riprese a funzionare, segnalandogli che qualcosa non andava.

«Tony. Jarvis è... sparito.»



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Da qualche parte, nei ghiacci.
1946.

«Non può essere sparito nel nulla.»

Howard Stark pensava, forse sperava, che continuando a tormentare gli strumenti di bordo questi avrebbero potuto funzionare meglio. In realtà detestava ammettere che nemmeno il suo genio sapeva come operare a bordo di una nave rompighiaccio alla deriva nei freddi mari del nord, con apparecchiature talmente malridotte che era un miracolo svolgessero ancora il loro compito. Ma fuori c'erano gli orrori della più spaventosa guerra vista dall'umanita che bussavano; non c'erano tempo e soldi da spendere.
Già tanto se gli era stata concessa quella imbarcazione.
Nemmeno il ritrovamento della strana fonte energetica delle armi dell'Hydra l'aveva rincuorato. Anzi lo preoccupava il bagliore sinistro che quel cubo emetteva.

Mentre lo sguardo passava in rassegna nuovamente tutti gli schermi dei sonar ai quali erano collegati, poche parole rimbombavano nella sua mente; "non può essere sparito nel nulla".

«Signor Stark.»

«Bisogna continuare a cercare, forse spostandoci qualche miglio a ovest potremmo...»

«Stark, signore.»

«...osservare da vicino il fondale, forse dove il ghiaccio è poco profondo...»

«SIGNOR Stark!»

La voce che il cervello di Howard aveva escluso dalle frequenze udibili giunse talmente improvvisa ai suoi orecchi che sobbalzò per lo spavento, battendo violentemente la testa contro un antello poco più basso degli altri.

«Eviti di uccidersi nella mia nave, signor Stark.»

«Farò il possibile affinchè non accada» rispose massaggiandosi la testa dolorante «e nel caso dovesse avvenire, mi premurerò che il suo ponte di comando venga ripulito completamente».

«Oh, non sarà necessario. Tra un paio di settimane saremo a casa.»

«Come, a... casa?» Riprese visibilmente sorpeso Howard, perdendo anche la punta di sarcasmo rimastagli.

«Sono mesi che la mia nave scandaglia l'oceano invano. Ho ricevuto ordini diretti dal governo degli Stati Uniti.»

«Ma qualcosa l'abbiamo trovato!» Tuonò, mentre avvertiva il sangue ribollirgli nelle vene. «Non possiamo mollare adesso!»

«Mi dispiace, signor Stark. Domani invertirò la rotta.»

«Le dispiace? LE DISPIACE? Come può lei condannare un uomo innocente, forse il migliore tra tutti noi, a morire in questa terra dimenticata da Dio?!»

La plancia di comando fu investita da un gelo glaciale paragonabile a quello che ammantava il paesaggio fuori dai sottili vetri.
Il respiro affannoso di Howard, condito da sbuffi di vapore, non riscaldava certo l'ambiente.

«Lei è un uomo razionale, Stark. Ci pensi; sono passati due, due lunghi anni.»

I due uomini si guardarono dritti nelle palle degli occhi; lo spazio di un'idea folle li separava.

«Guardi fuori. Nessuno, neppure un supersoldato, può resistere in quest'inferno così a lungo.»

Howard sostenne lo sguardo del suo interlocutore. Avrebbe voluto trattenere un urlo, almeno una lacrima, ma né la gola né i condotti lacrimari rispondevano più ai suoi comandi.

«Ormai è deciso. Domani si torna a casa.»

Si sentiva completamente svuotato. Inerme. Consumato.
Nella disperazione di quel momento, che avrebbe rimpianto per tutta la vita, una sola flebile frase uscì dalla sua bocca.

«Ha ragione, Capitano

Non era però rivolta a chi comandava quella nave.











Note finali:


Sigh. Sob. Sniff.

In teoria questo capitolo è stato abbozzato tra... Natale e Capodanno.
In pratica voi lo vedere pubblicato solo ora (e ci saranno sicuramente imprecisioni ed errori vari, dei quali mi scuso fin d'ora).

Finché potevo scrivere nei momenti liberi, quelli in cui tiri il fiato e capisci che hai una TUA vita che non appartiene all'università... L'ho fatto. Ma ora il tempo "libero" è occupato unicamente dal... dormire, nel migliore dei casi! XD
Questo per dirvi che ci tengo davvero tanto a questa long fiction come a nessun altra fin ora, e che il mio cervello bacato si sta corrodendo nell'attesa di poter trovare un minuto libero di tempo per poter proseguire. Quindi mi scuso a livello interplanetario (sempre che ci sia qualche alieno tanto pazzo da leggere questa cosa) con chi sta seguendo questa fiction e la sta sostenendo! Continuerà, perché DEVE continuare.

Quindi di cuore ringrazio tutti.
Tutti perché senza di te, anche te che stai leggendo questa recensione aprendo il capitolo avendo sorvolato il testo della fiction giusto per capire se sono ancora viva. Te, che approcci a questo capitolo per curiosità e sì, anche te hai tutto il dovere di insultarmi.
Ma siete qui, quindi... Grazie davvero! :) Grazie anche a chi recensirà questo nono capitolo, a chi continua a seguire la storia, a chi lo farà!

Vi lascio alle solite precisazioni con un abbraccio grande; a presto gente! :)


1) Il posto dove è stato portato Coulson, nella mia testa, è la base segreta dello S.H.I.E.L.D. Ma dato che qui il nostro agente è ancora un novellino, non può sapere manco dove sia. Povero piccolo. *^*

2) Secondo me il rapporto Tony/Howard, come ho avuto modo di approfondire in una vecchia fiction ("Hey, dad, look at me." per chi fosse profondamente autolesionista e non gli bastasse questa fiction), è stato così come lo descrive brevemente Rhodes. Poche parole, le uniche dette di apparente disprezzo e disappunto. Ho a-d-o-r-a-t-o la scena in Iron Man 2 nella quale Nick e Tony parlano del padre, avendone due feed-back profondamente differenti. Scena, tra l'altro, fondamentale nel tenere insieme diverse parti dell'universo Marvel (o almeno, per come se lo immagina la mia testolina bacata). 

3) Nelle scorse note vi ho detto che adoro l'attore del primo Iron Man interpretare Rhodes. Ecco, vi linko un'immagine che mi fa sciogliere come neve al sole:  *ç*
http://24.media.tumblr.com/tumblr_m3kyomFP0s1qc01jno1_500.png


4) Giusto perché sono in vena di tenerezze, vi mostro anche un Clark Greg da giovane (ovvero come mi immagino il nostro Coulson in questa fiction):
http://25.media.tumblr.com/tumblr_man4by2KDn1qb1u2po6_250.png



_Diane_
   
 
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