Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: Satellite_29    05/02/2013    2 recensioni
Iris Keaton è una ragazza di diciassette anni, costretta a trasferirsi insieme alla sua famiglia dalla Grande Mela nella piccola cittadina di Toms River. Nuova città, nuovi amici da conoscere e dei misteri da risolvere. Proprio misteri, perché Iris ha trovato alcune pagine, di quello che sembra un romanzo, completamente dedicate a lei. Il testo è anonimo, se non per la strana firma riportata a fine pagina: SL
Chi è il misterioso scrittore? E perché ha scritto delle pagine su di lei?
Dal Capitolo 1:
- In fondo erano due pagine (...) E poi come fai a dire che è un lui, potrebbe anche essere una lei.
- Sai, quel ”porca troia” l’ho sentito fin troppo bene – rido – Anzi, dalla voce non sembrava nemmeno tanto grande, penso che poteva avere massimo vent’anni.
- Si e magari va a scuola con te nel tuo stesso corso di Inglese. Ma fammi il piacere, va’! - ride lei, e rido anche io. E vabbè che la città è piccola, ma sarebbe davvero strano se SL si trovasse davvero nella mia scuola. O forse no?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non è possibile, non posso ancora crederci.
- Iris, muoviti con quelle valigie. L'aereo non ci aspetta, dovresti saperlo. - mia madre mi tira per un braccio e mi trascina fuori dal nostro bellissimo appartamento. Beh, ormai è solo un appartamento spoglio e senza identità, visto che l'azienda dei traslochi ha già portato via i mobili. Non voglio crederci. Nell'ascensore che ci porta a piano terra cala un silenzio tombale. I miei genitori si guardano e sorridono, non fanno caso alla mia faccia imbronciata. Ogni istante mi sembra estremamente lungo, è esasperante. Mio padre nota che ho il volto teso.
- Vedrai che ci troveremo bene nella nostra nuova casa. - mi dice, con tono bonario. Stai convinto!
In fondo cosa gli costava aspettare un anno, un solo anno? Avrei compiuto i miei diciotto anni, mi sarei iscritta all'università e sarei rimasta benissimo a New York. E invece no, visto che diciotto anni ancora non ce li ho, i miei hanno insistito sul fatto che dobbiamo essere una famiglia unita e che fino a quando non sono maggiorenne devo condividere il tetto con loro. Entro nel taxi, mio padre dice al tassista di portarci all'aeroporto LaGuardia.
Non ci voglio ancora credere.
 
- Benvenuti a Toms River! Noi siamo i vostri vicini di casa. La vedete quella villetta alla vostra destra, vero? E’ casa nostra! Non preoccupatevi, vi troverete benissimo qui! – quasi urla una signora grassottella dai capelli scompigliati. Mentre sembra vomitare un fiume in piena di parole, quello che sembra essere suo marito annuisce entusiasta ad ogni sua affermazione. Com’è che si dice, sorridi e annuisci? Sì, la tecnica sembra essere decisamente quella.
I miei genitori, imbarazzati più che mai davanti all’esuberanza della nostra vicina (ha detto di chiamarsi Wilma?), cercano di scollarsela di dosso, ma sembrano proprio in difficoltà. Peggio per loro: non è colpa mia se tra tutti i vicini che potevamo avere è venuta a salutarci quella più logorroica. Mi allontano dal quartetto e entro in casa. Per fortuna siamo riusciti a sistemare un po’ di valigie prima dell’arrivo dell’uragano Wilma. La casa è molto diversa rispetto a quella di New York, prima di tutto perché quello era un attico extralusso nel centro di Manhattan, questa è una villetta a due piani. L’interno non mi dispiace: è largo e spazioso come piace a me.
Entro in quella che sarà la mia nuova cameretta e rimango a bocca aperta. Mia madre l’ha arredata proprio come quella vecchia, ha fatto anche dipingere il soffitto come il cielo. Mi guardo allo specchio; sempre la solita Iris Keaton, con i suoi capelli lisci come spaghetti, lunghi fino alla spalla, neri come le piume dei corvi. I miei occhi blu tornano a guardare la camera e da uno dei tanti borsoni tiro fuori il mio portatile. Lo accendo e mi connetto subito su Skype.
Quasi non ho il tempo di controllare lo schermo che ricevo una chiamata da Rachel, la mia migliore amica.
 
- Lo sai che ti sto odiando vero? Cazzo, pensavo fosse uno scherzo! – esordisce subito la mia amica, con gli occhi gonfi per le lacrime.
- Lo speravo anche io, te lo giuro. E smettila di piangere che sennò fai piangere anche me, diamine!
- Come faccio? La mia amica se n’è andata porca puttana, come credi che possa stare?! – la guardo e ripenso a tutti i momenti passati insieme. Io e Rachel ci conosciamo dalle scuole medie, praticamente sette anni, ed è come una sorella per me. Mi si stringe il cuore a vederla così.
- Rachel, non farmi sentire peggio. Pensa che tra un anno ritorno a casa, se tutto va come previsto. Ma per favore, smettila di piangere! – le scende una lacrima, scura a causa del trucco nero attorno agli occhi. Si asciuga gli occhi con un fazzoletto, e notando il trucco sbavato esclama – Merda, sembro un fottuto panda. Ed è tutta colpa tua bastarda!
Io rido – Sembri davvero un panda così, perciò smettila. O mi costringi a farti una foto e umiliarti pubblicamente!
- Non oserai! – ride, mentre prende qualcosa, che si rivela essere una salviettina struccante.
- Certo che sì, quindi muoviti a struccarti. – le dico, e per farla muovere mi giro a pescare la macchinetta fotografica nel caos del mio borsone. Quando finalmente ho trovato la mia Nikon, quella si è già struccata e non c’è la minima traccia di trucco. Le sorrido e nascondo la macchinetta alla sua vista.
- Quindi, come va lì? Tutto bene? – mi chiede.
Alzo le spalle – Non c’è male. Da quello che ho visto in macchina il paesino non è così piccolo come pensavo. Domani inizia la scuola, perciò oggi devo fare un po’ di giri per trovare una cartolibreria. E devo anche andare ad ordinare i libri. A New York che succede?
- Le solite cose. Anche noi ci stiamo preparando al rientro di domani, chi in un modo chi in un altro.
- Eric che fa? – le chiedo, pur sapendo qual è la risposta.
- Non credo che lo vuoi realmente sapere. Iri, devi smetterla di preoccuparti per quel cretino! – mi dice, arrabbiata.
- So che ho fatto bene a lasciarlo, ma non è facile dimenticare il ragazzo con cui sono stata fidanzata per anni. Dai, spara il nome. – le dico, preparandomi mentalmente alla batosta che dovrà subire il mio cuore nel sentire l’ennesimo nome.
- Helena Priest, la zoccoletta del primo anno. Se mi permetti, da quando ti ha lasciato ha rivelato un pessimo gusto in fatto di ragazze. – afferma, schietta come sempre. Ritorno con la mente al giorno in cui lo trovai insieme ad un’altra. Era stato orribile, e Eric era stato squallido a negare l’evidente.
- Ehi, so cosa significa quello sguardo. Non ci provare a ripensare a quel puttaniere, o arrivo fino a lì e ti ammazzo!
- Non ti preoccupare, dai – le sorrido – Troverò qualcosa con cui distrarmi.
- Oppure qualcuno – Rachel fa un ghigno maligno – Comunque sabato prossimo vengo da te, prepara la brandina.
- Va bene, va bene – rido, mentre lei mi guarda come a dire “se provi a contraddirmi, questo sarà l’ultimo dei tuoi giorni” – Fammi andare sennò non riesco a comprare nulla, sono già le sei! Un bacione!
La vedo salutarmi con la mano, poi chiudo la chiamata. Dalla finestra del balcone, che si affaccia nel giardino, noto che Wilma non c’è più e scendo.
 
- Mi scusi, potrebbe dirmi dove posso trovare una cartolibreria? – chiedo ad una ragazza poco più che ventenne.
- Guarda, quella più vicina sta a venti minuti di cammino. Se vuoi arrivarci prima che chiuda, ti conviene tagliare per il parco. La vedi quell’entrata verde? – dice, indicando un cancello a due ante – Passa da lì e poi vai sempre dritto, fino a quando non arrivi al ponte sul laghetto. Attraversalo e gira a destra, poi di nuovo sempre dritto e trovi un’uscita laterale con un cancello uguale a questo. Quando sei uscita dal parco trovi la cartolibreria all’isolato di fronte.
Le sorrido imbarazzata – Cercherò di ricordarmi tutto, grazie! – la saluto e mi incammino verso il parco.
Le foglie degli alberi, nonostante sia settembre inoltrato, rimangono perlopiù tra il verde smeraldo e il verde acido. E’ una giornata calda, indosso una canotta e degli shorts di jeans. La sacca beige rimbalza sul fianco al ritmo dei miei passi, dando un po’ di fastidio per colpa degli oggetti al suo interno. Il parco è deserto e si sente soltanto il suono del vento, che impedisce ai miei capelli di andare davanti ai miei occhi e fa alzare i granelli di polvere un po’ dappertutto. Supero il famoso ponticello che mi aveva indicato la ragazza, quando per poco non inciampo per colpa di una scarpa slacciata. Mi appoggio ad una panchina color ruggine e mi chino per stringere per bene i lacci. Una folata di vento mi sferza il viso e in lontananza si sente un’imprecazione. Alzo la testa e vedo due fogli volare in alto nella mia direzione, così salgo sulla panchina e riesco ad acchiapparli. Mi giro a destra e a sinistra, ma non vedo nessuno reclamare i fogli.
- Ehilà? C’è nessuno? – urlo. Non si sente alcuna voce. Scollo le spalle e guardo i fogli, scritti a mano in una calligrafia corsiva abbastanza ordinata, se non per qualche correzione lì dove c’erano degli errori. Un foglio è completamente scritto, e in un angolino finale sono scritte due lettere in stampatello, come se fossero una firma: S e L.
 
Sdraiata sul mio letto (per non dire spaparanzata come un gatto che sta per appisolarsi) con la pancia più piena di un uovo per la cena sostanziosa, mando un messaggio a Rachel, e le dico quello che è successo dopo la sua chiamata. Ricordandomi di aver conservato i fogli nella sacca, li prendo e li inizio a leggere.
Da quello che si può capire, sembra che le pagine facciano parte di un romanzo, ma la cosa che mi colpisce è la descrizione presente negli ultimi righi: “ I capelli non osavano volarle davanti, per non oscurare la brillantezza dei suoi occhi, scuri come la notte dopo il tramonto. Le foglie del parco la accompagnavano nel suo cammino quando … ”. Chiamo subito Rachel col cellulare, che rimane scettica alla mia affermazione “Un tizio mi ha pedinato”
- Ma dai, sarà uno scrittore che ha preso spunto per un personaggio! – dice lei ridendo.
- Non lo metto in dubbio, ma non poteva descrivere qualcun’altra? Perché ha descritto giusto me?
- Sai, non credi che potresti essere la prima persona che gli è passata davanti e, di getto, abbia voluto scrivere subito per non scordarsi di te? In fondo erano due pagine, e mi hai detto che la prima era il seguito di una pagina che probabilmente ha ancora questo tizio. E poi come fai a dire che è un lui, potrebbe anche essere una lei.
- Sai, quel ”porca troia” l’ho sentito fin troppo bene – rido – a meno che non sia un trans, è un uomo fino al midollo. Anzi, dalla voce non sembrava nemmeno tanto grande, penso che poteva avere massimo vent’anni.
- Si e magari va a scuola con te nel tuo stesso corso di Inglese. Ma fammi il piacere, va’! – ride lei, e rido anche io. E vabbè che la città è piccola, ma sarebbe davvero strano se Esse (ho pensato di soprannominarlo così, data la firma sui fogli) si trovasse davvero nella mia scuola. O forse no?
 
- Ragazzi, lei è Iris Keaton. Viene da New York e frequenterà quest’ ultimo anno di scuola con voi. Fatele fare un giro per la scuola, così inizia a vedere dove sono le sue classi. – dice la professoressa di matematica, facendomi sprofondare nella vergogna. Le sorrido, fingendomi riconoscente per la presentazione, e vado a sedermi ad uno dei pochi banchi vuoti rimasti.
Inizia a fare il discorsetto di inizio anno, tipico di tutti i professori. “ Quest’anno le cose saranno più difficili, perciò mettetevi a studiare seriamente. Questa volta se vi do un certo voto, quello rimane. Non vi azzardate a far venire i vostri genitori per farvi cambiare voto o per farvi togliere una nota. Non iniziate a farvi gli arretrati già da adesso ..” le solite raccomandazioni, che non possono mai mancare per farti sembrare l’anno nuovo un inferno peggiore del precedente. Per fortuna ci sono gli amici a rallegrarti le ore di lezione.
Gli amici .. quelli che mi dovrò fare perché mi sono trasferita. Bella fregatura!
La prof continua a parlare, ma ormai non la seguo più. Scarabocchio un angolo del quaderno disegnando varie linee e quadratini senza un motivo preciso, giusto per perdere tempo. La prof mi guarda, ma la mia disattenzione non sembra importarle minimamente, perciò continuo a scarabocchiare. Qualche anno fa disegnavo bene, ma poi avevo smesso perché non avevo mai tempo. Suona la campanella, i ragazzi si alzano rumorosamente dalle sedie senza badare alla professoressa che stava ancora parlando. Mi alzo anche io, passandole affianco le dico un “Buongiorno” e lei, sospirando, mi fa un cenno con la mano.
 
Sono le quattro passate, e dell’autobus che dovevo prendere per tornare a casa non si vede nemmeno l’ombra. Qui con me ci sono anche altri ragazzi, che aspettano impazienti i rispettivi autobus. I più fortunati sono appena saliti sul mezzo che è passato dieci minuti fa, ma degli altri non c’è traccia. Guardo l’ora sul telefono e sbuffo. Decido di tornare a casa a piedi, nonostante ci voglia quasi un’ora senza la macchina, poiché la scuola è abbastanza lontana dal centro della città. Apro le mappe nel telefono e inizio a studiare la strada che devo fare per tornare a casa, evidenziandola sullo schermo in modo da non confondermi.
- Se devi tornare in centro ti conviene tagliare per un’altra strada. – mi dice una voce femminile al mio fianco. Sobbalzo e vedo il volto di una ragazza che mi sorride. Ha i capelli di un biondo scuro, divisi in due grandi ciocche ai lati e gli occhi così scuri da sembrare neri. Le chiedo quale sarebbe la strada migliore per lei, e mi risponde di tagliare per alcune vie secondarie.
- Io abito sulla tua stessa via di casa, perciò so queste cose. – mi dice, un po’ imbarazzata. Che sia la figlia di Uragano Wilma?
- Così tu vieni da New York? – mi chiede Jessica, dopo aver parlato per un quarto d’ora di fila di se, della sua famiglia, e altre cose che non le avevo chiesto. Aveva detto che non le piacciono i silenzi, così quando ha iniziato a parlare ho preferito non fermarla e ascoltare. Alla fine avevo ragione: Wilma è sua zia, e lei abita con lei da qualche anno, dopo che i suoi hanno deciso di separarsi. Alla sua domanda io annuisco, mentre lei continua a chiedermi cose varie, il mio sguardo si ferma su un negozio, più precisamente una libreria. Sull’ insegna verde smeraldo sopra la porta c’è scritto “The Old Librarian” e in vetrina, al posto dei libri del momento, sono esposti dei vecchi libri con delle copertine in pelle.
- Iris mi stai ascoltando? – Jessica mi scuote una spalla, ma quando vede dove sto guardando sospira.
- Ah, hai notato anche tu la vetrina del Vecchio Libraio. Purtroppo il proprietario ha deciso di abbandonare la libreria e tra qualche giorno cambierà gestione. Anche il nuovo libraio viene da New York, sai? Dovrebbe arrivare tra qualche settimana, se non ricordo male. John Warren, il vecchio libraio, terrà aperta la libreria fino al suo arrivo, così ne approfitta per vendere gli ultimi libri. Dicono che John abbia scelto di vendere perché il figlio non vuole continuare la tradizione. Credo sia stato davvero un duro colpo per lui.
- Sul serio? E intanto che farà il vecchio libraio? Non credo possa permettersi di vivere di rendita. – dico, un po’ sorpresa per la motivazione per cui John avrebbe lasciato il lavoro.
- A quanto pare il newyorkese gli ha offerto un posto di lavoro. Ma non ha ancora accennato a cosa si tratti. – risponde Jessica, scrollando le spalle. Mi avvicino alla vetrina del negozio e scorgo l’interno, intravedendo tante pile di vecchi libri appoggiati a tavoli e sedie. Pochissimi sono appoggiati sugli scaffali.
- Secondo te il nuovo proprietario si limiterà a continuare con la libreria o la trasformerà in qualcos’altro?
- Spero per John che l’acquirente non si faccia venire in mente strane idee. Qui in città lo conosciamo bene tutti: credo che gli si spezzerebbe il cuore a vedere la sua libreria diventare un market o qualcosa di simile.
- Capisco. – dico, cercando da dietro la vetrina il volto del libraio, senza riuscirci.
- Se vuoi possiamo entrare. Così eviti di appiccicarti alla vetrina per spiare cosa c’è dentro. – mi dice Jessica ridendo. Le sorrido – Sì, mi piacerebbe.
 
Entrando nella libreria mi accorgo dell’ odore di pagine invecchiate che invade l’aria. I mobili in mogano scuro e la luce soffusa danno alla stanza uno non so che di accogliente. Mi avvicino a turno alle varie pile di libri e noto che, nonostante le copertine dall’aria antica, i titoli sono nuovi. Le copertine in pelle però li rendono più preziosi. E anche più costosi. Perché non limitarsi a vendere i semplici libri?
- Cos’è, non ti piacciono le mie edizioni? – mi chiede il libraio, con lo sguardo ancora fisso su un registro poggiato sulla sua scrivania.
- No, anzi! Queste copertine sono bellissime, davvero! – gli dico imbarazzata – Mi domandavo di che casa editrice fossero, non ne avevo mai viste di così belle.
- Sono mie. – risponde il librario. Finalmente alza lo sguardo e solo ora lo noto veramente. Non credo abbia più di quarantacinque anni, ed è proprio un bell’uomo: occhi di un grigio verde strabiliante, i lineamenti mascolini evidenziati da una barba appena visibile, i capelli castano chiaro pettinati all’indietro. Cavolo, se mia madre non amasse alla follia mio padre, le direi di provarci con lui.
- Sul serio? Cioè, le riscrive e le rilega lei stesso? – chiedo, sbigottita. Il libraio annuisce sorridente.
- I miei complimenti, questi libri sono stupendi. – gli dico, sinceramente.
- Ehi, perché non gli chiedi se ha una copia di qualche libro che ti piace? Scommetto che ce l’ha, nonostante tutto. – mi sussurra nell’orecchio Jessica. Il libraio continua a guardarmi, come se mi stesse studiando. Come se avesse visto qualcuno simile a me e stesse facendo il confronto.
- Dai prova! – mi dice Jessica, e decido di fare come mi ha detto.
- Mi scusi, per caso avrebbe una copia fatta da lei dell’ultimo libro di Ken Follet? – gli chiedo, senza aspettarmi una risposta affermativa. E’ uscito soltanto pochi giorni fa, è impossibile che abbia già una copia pronta! Come se avesse intuito il mio trabocchetto, John Warren mi dice divertito – Sai, quel libro è uscito da poco più di una settimana. Ma se non sbaglio … -  abbassa lo sguardo sul registro e con l’indice scorre tutta la pagina dall’alto verso il basso. Quando si ferma continua - … Ho finito di rilegarlo proprio ieri. In realtà avevo intenzione di tenermi quella copia per me, sono un grandissimo fan di Ken Follet, ma te lo cedo volentieri.
Mannaggia, mi ha fregato. A questo punto lo compro adesso, tanto so che l’avrei comprato comunque.
- Se per lei non è un problema, per me va bene. Sennò posso benissimo prendere l’edizione normale.
- Non preoccuparti, ce l’ho giù nel laboratorio. Volete accompagnarmi? – ci chiede, mentre chiude il registro e lo mette in un cassetto della scrivania. Noi annuiamo e lui ci fa segno di seguirlo e dietro alla cassa apre una porta con una chiave dorata. Davanti a noi si staglia un lungo corridoio illuminato a stento da una lampadina. Le uniche chiazze di colore sono le porte, tutte dipinte di verde scuro. John Warren si dirige senza indugio verso la porta in fondo al corridoio, la apre e scende una scalinata. Per quanto è buia la stanza quasi non lo vedo.
- Ehi, quella porta non è chiusa. – mi dice Jessica indicando una porta vicina.
- Non possiamo entrare, sarà qualche stanza privata del libraio! Dai muoviti e scendiamo. – le dico, lanciandole uno sguardo di fuoco. Da quando si va a curiosare nelle stanze di un retro bottega? Beh, da quando questa porta è quasi sradicata dai cardini, completamente rotta. E da quando è spalancata su una stanza mezza distrutta. Oddio che faccio? Entro? E se il libraio se ne accorge? No, non entro. Però perché è tutto immacolato tranne questa stanza? Ci lavorava qualcuno dentro? Dai, entro.
Sembra che qui dentro siano passati come minimo due tornado. Gli scaffali che circondano le pareti sono tutti rovinati e tagliati, i libri sono sparsi a casaccio e alcuni sono danneggiati da bruciature o strappi. Eppure Warren sembra un uomo così tranquillo .. Sento un rumore di passi. Devono essersi accorti di me. Mi guardo attorno, osservando i mobili reduci da quello che sembra essere stato un incendio. Noto un libro, rilegato come quelli in vetrina. Lo sfoglio velocemente e mi sorprendo a leggere le due lettere che avevo incontrato nei fogli che avevo trovato. Butto velocemente il libro nella borsa e ritorno velocemente in corridoio, un attimo prima che Jessica salisse le scale.
- Lo vuoi avere o no quel libro? Dai, il libraio ti sta aspettando giù.
- Sì hai ragione. – dico, col cuore in gola per lo spavento.
Se il mio intuito non mi inganna, in quella stanza c’erano altri libri firmati SL.

Conosce lo scrittore? E se fosse proprio lui? E nel caso lo fosse, che cosa vuole da me?


***
Sono tornata con una storia completamente nuova! Come se scriverne due non mi bastasse.
Sinceramente, era da qualche mesetto che ci lavoravo su, e sulle prime non avevo nemmeno intenzione di pubblicarla. Ma ero troppo curiosa di sapere se questa storia avrebbe fatto fortuna (diciamo pure così xD) e l'ho postata. Perciò, vi invito a recensire per farmi sapere che ne pensate di questo inizio u_u Se volete leggere qualcosina in attesa che io sforni il secondo capitolo, vi ricordo che ci sono le mie due storie in corso. Alla prossima! Clau2929 :3


Il mio prof di Latino    Asso
  
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Satellite_29