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Autore: freak Nation    27/08/2007    1 recensioni
...io credo nei colpi di fulmine..non ricordo bene che cosa avevo appena letto che mi ha inspirato questo racconto ma...volevo rendere un'emozionee ho sperimentato un pò con lo stile ...spero di esserci riuscito, fatemi sapere please
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio e pioggia.Tutto ciò che lo circondava era lì, grigio e statico, mentre aspettava l'autobus in ritardo di 10 minuti, solo, senza speranza, affamato.
Il vento invernale correva lungo la strada vuota, giocando con le gocce di pioggia e le foglie, accarezzando il suo viso bagnato ed infreddolito.
Un cane, uscito da chissà dove, camminava sconsolato, il pelo fradicio, le orecchie abbassate, soccombendo alla tempesta.
Lei gli arrivò alle spalle, senza una parola, un gesto; semplicemente riparandolo con il suo ombrello colorato, che poi a tanto non serviva, piccolo com'era.
I suoi occhi...cosa poteva colpirlo di lei se non quei suoi occhi grigio cielo,che sembravano brillare della poca luce del giorno.Ridere dei suoi capelli bagnati, senza smettere un secondo di fissarlo.
Non l'aveva mai vista prima, di questo era certo. Come avrebbe potuto non notare quegli occhi?Glaciali specchi di luce, forti come può esserlo la tempesta.
Avrebbe voluto dire qualcosa, una sola parola, un singolo sussurro che avrebbero spezzato per sempre il filo invisibile tra i loro volti, l'armonia perfetta ed inspiegabile del silenzio.
Il rumore delle ruote che frenavano sull'asfalto, le porte che si aprivano, l'odore di chiuso, di capelli sporchi e fango e libri bagnati. L'autobus era arrivato, alla fine e il suo cuore tremava mentre la guardava allontanarsi, immobile sulla strada, in attesa.

Luce e movimento.Quella mattina tutto correva intorno a lui. Fuggendo attimo dopo attimo, nel trascorrere di un solo respiro. Le borse colorate e le grida. Si correva per la scuola e la vita, il tempo non voleva attendere un istante.
Piangeva quella mattina, sotto un albero che lasciava le sue foglie cadere, senza un motivo preciso e nascondeva il volto tra le braccia.
Piangeva, quando la rivide. Nessuna speranza di essere riconosciuto, lei che correva nel bosco, capelli come mille sottili fili rapiti dal vento.
Strano come le lacrime sparissero senza lasciare traccia, e il cuore si risollevasse, semplicemente incontrando quei suoi occhi azzurri, del colore del cielo.
L'aveva visto. La corsa si era fermata, lo sguardo fisso sulle sue lacrime e i capelli attaccati al viso e gli occhi gonfi e rossi.L'aveva visto, e si avvicinava, lentamente, un passo e un passo e un passo e il tempo, immobile, si contorceva nell'attesa.
Ancora una volta, nessuna parola. Solo il calore del suo corpo accanto a lui, la mano nella sua, la testa appoggiata sulla spalla. I pensieri svaniti come le nuvole quando si leva il vento, e il sole riacquista la sua luce.
Poi il bussare di un clacson e l'infrangersi della solitudine: beatitudine infranta ai suoi piedi, pezzi di uno specchio rotto.


La notte passava inseguendo i sogni, misteriosi e irraggiungibili alla luce della luna, nascosti dietro stelle lontane. La notte piena soltanto del pensiero di lei: occhi profondi che leggevano la mente e rubavano il sonno.La notte passava e il sole sorgeva: puntuale, implacabile ladro del balsamo notturno
Coperte sopra la testa, e gettate sul pavimento. Vestiti accatastati su una sedia e messi addosso così come capita. Un biscotto infilato in bocca, di corsa, e la borsa piena di libri sulle spalle e in testa ancora e solo il suo viso.
Una voce fuori di lui parlava e parlava, riempendo l'aria di inutili parole e suoni noiosi e statici, che non facevano che offuscare il pensiero.
La musica. La musica della sua anima cantava, di melanconia e ricerca, di vuoto e totalità, e della solitudine nella folla urlante.
Mancanza...qualcosa di sconosciuto mancava nell'armonia dei suoni, qualcosa che assolutamente reclamava di far parte della sinfonia del suo essere, ma restava nascosta intimidita, nel buio.
Lei. Lei. Lei. Canzone dopo canzone gli tornava in mente, frammento senza nome della sua completezza.
Lei...disperato bisogno che non poteva essere urlato, nè pianto, nè cantato...e nella sua totalità annullava ogni cosa.

Giorni e giorni e giorni trascorrevano, mentre cercava di dare un senso a quel peso che sentiva sul cuore, ogni volta che si girava e lei non c'era. Ordine, ciò di cui aveva bisogno era silenzio e ordine, e fuggire dal disperare caotico della sua ricerca.
Fuga! Ancora una volta, nel parco, tra le foglie umide sulla strada e la pioggia che ricominciava a cadere. E lei era lì, nel suo impermeabile azzurro e l'ombrellino in mano. Lei era lì, ma non era sola. Lei l'aveva visto, ma anche un' altro lo guardava- tenendola per mano, riparandosi sotto l'ombrello.
Lacrime?No, avrebbe voluto piangere, ma era la pioggia che gli bagnava il viso. Dolore? Quello c'era, per qualche oscuro motivo era presente, ancora una volta, odiato amante della sua anima.
Una corsa. Lei che gli veniva dietro. Ragazza sconosciuta che non poteva fermarlo, senza sapere il suo nome.
E poi era davanti a lui. Occhi misteriosi pieni di attesa e domande. Davanti a lui, e quell'altro era rimasto indietro, dimenticato.

Allora le si avvicinò, senza parlare, con la gola troppo secca anche per un solo respiro. I suoi occhi lo fissavano, luminosi come la prima volta. La mano di lei ora, gli accarezzava i capelli bagnati e l'ombrello era a terra, dimenticato anch'esso.
Silenzio e luce, e la pioggia che lavava via ogni cosa.
  
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