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Autore: Faffina    07/02/2013    6 recensioni
La storia di Alec, della sua infanzia ed adolescenza, di come ha incontrato Jace e poi Magnus. La sua speranza di poter essere felice.
C'era qualcosa di stranamente confortante nel trascorrere la serata con un bizzarro stregone ubriaco che aveva visto solo una volta, lontano dalla caccia ai demoni e da Jace.
«Jace...» Disse con un mezzo singhiozzo, rompendo finalmente il silenzio.
Con la coda dell'occhio vide Magnus annuire, fissando dritto davanti a sé, come se quella sola parola bastasse a spiegare tutto.
E probabilmente era così.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tutti pazzi per i Malec <3'
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Il sapore della speranza

 

 

 

Ouch.

Il pavimento era sorprendentemente duro e freddo, a contatto con la sua schiena. Era caduto per l'ennesima volta fuori dal materassino di sicurezza.

Jace gli atterrò sopra, costringendo l'aria ad uscire dai polmoni con uno sbuffo.

«Ops, scusa Alec!» Gli disse con un'aria tutt'altro che dispiaciuta.

Il cuore sussultò nel petto di Alec, irrequieto e familiare, che sorrise di rimando, ribaltando le posizioni e premendogli un ginocchio sul torace. «Di nulla, Jace.»

Quando riusciva a convincersi che il proprio battito accelerato e il rossore che sentiva sulle guance fossero dovuti alla fatica, poteva perfino batterlo. Se non si distraeva era sufficientemente forte da tener testa al ragazzo biondo.

Ma non era sempre stato così.

 

* * *

 

 

Nessuno aveva mai parlato ad Alec di amore e di sentimenti. Tutto ciò che sapeva lo aveva letto dai libri o visto nei film che guardava con Isabelle.

Quando Jace arrivò all'istituto, sconvolto e solo al mondo, Alec aveva dodici anni e nessun amico.

Si ritrovò più di una volta a meravigliarsi della semplicità con cui ci si abitua alle cose belle. E' facile farle entrare a far parte della propria vita, finché d'un tratto ti ritrovi a chiederti come facevi prima a non sentirne la mancanza. Improvvisamente qualcosa di cui non sapevi nemmeno di avere bisogno diventava essenziale.

Senza accorgersene, Alec aveva iniziato a sorridere più spesso, tutta la sua vita era cambiata dall'arrivo di Jace.

La prima differenza di cui si rese conto, fu che cominciò ad odiare le domeniche.

Si trattava di uno strano malessere che lo prendeva appena sveglio, nel momento esatto in cui realizzava che giorno della settimana fosse. Non c'erano allenamenti, la domenica. Era il loro unico giorno di riposo, per "guarire i lividi", secondo Hodge. E Alec di lividi ne aveva molti.

Non gli erano mai piaciute le ore in palestra, si ritrovava sempre a terra o immobilizzato dalla frusta di Isabelle. Aveva sempre detestato il combattimento corpo a corpo. Ma odiava ancora di più il fatto che nei giorni liberi Jace passasse tutto il suo tempo chiuso nella sua stanza a leggere senza degnare nessuno di un suo sguardo.

Sin dal suo arrivo Jace era sempre stato più forte e più allenato, nonostante fosse più giovane di un anno, non aveva problemi a metterlo al tappeto. I lividi e le sbucciature, sulla pelle delicata di Alec, formavano un disegno irregolare, quando si spogliava per farsi la doccia.

 

 

Quel giorno era stato peggio del solito, Jace sembrava determinato a metterlo al tappeto, utilizzando tutta la forza che avesse in corpo, ed arrivando a perdere il controllo fino a colpirlo ripetutamente. Si era accanito su Alec con la mascella contratta e gli occhi accesi da una scintilla di rabbia insolita, finché non gli aveva implorato di smetterla. Solo in quel momento era sembrato tornare in sé, come se si stesse svegliando da un sogno. I suoi occhi dorati si erano scuriti per la preoccupazione, mentre si chinava su di lui per aiutarlo a rimettersi in piedi.

Si era scusato, pallido e sconvolto, ma Alec l'aveva bloccato.

«Jace è tutto a posto. Facevi solo ciò che io non sono in grado di fare.» Non riusciva a portargli rancore. Il giorno in cui era arrivato all'Istituto, Maryse gli aveva raccontato la sua storia. Sapeva di come il padre fosse stato ucciso davanti ai suoi occhi, nonostante Jace non gliene avesse mai fatto parola.

Alla fine della lezione si erano allontanati entrambi in silenzio, ancora scossi. Alec aveva zoppicato fino alla sua stanza e si era sfilato la maglietta con una smorfia, mettendo a nudo i segni e i lividi. Non aveva sentito i passi di Jace, leggeri e silenziosi, fino all'ultimo momento, e non era riuscito a far nulla per coprirsi prima che entrasse nella stanza.

Lo aveva visto deglutire, immobile sulla porta.

Alec era riuscito a stento a non sussultare quando Jace gli aveva sfiorato la schiena con una mano.

«Sono stato io?» Aveva avvertito il dispiacere e la preoccupazione nella voce alle sue spalle. Alec non era stato in grado di sollevare lo sguardo fino a guardarlo negli occhi, vittima di uno strano imbarazzo, ma aveva visto i muscoli del suo volto contrarsi. Avrebbe voluto dire che non importava, ma quella mano gli stava ancora sfiorando la schiena, facendolo rabbrividire nonostante le dita fossero calde, quasi bollenti.

«Non...» Aveva provato a dire Alec, voltando impercettibilmente il capo verso di lui.

«Aspetta, resta immobile.» Jace aveva già sfilato lo stilo dalla tasca ed iniziato a tracciare un iratze sulla sua scapola destra.

Il cuore di Alec aveva iniziato ad accelerare come impazzito.

 

 

La prima volta che aveva sognato di baciarlo, si era svegliato all'improvviso, tirandosi a sedere di scatto, con il cuore che batteva all'impazzata e le mani fredde e sudate come se avesse avuto un incubo. Era stato un bacio lungo e passionale, fatto di mani che si intrecciavano, di lingue che si cercavano e di corpi eccitati, probabilmente preso da qualche film che aveva visto.

Ma il protagonista era lui. Con Jace.

Quel ragazzo era nella sua testa anche quando non lo pensava. Stava lì, come un'immagine di sfondo.

Aveva fatto un pessimo allenamento, quel giorno. Non era riuscito a toccarlo, non aveva trovato nemmeno il coraggio di guardarlo. Tutte le volte che Jace lo metteva al tappeto, Alec volgeva lo sguardo altrove, timoroso che l'amico potesse leggere nei suoi occhi ciò che provasse, mentre il contatto con il suo corpo gli faceva rivivere le sensazioni del sogno infinite volte.

 

 

Inizialmente aveva pregato di essersi sbagliato.

Era Jace, era un ragazzo, il suo parabatai, suo fratello. Era Jace.

Poi aveva aspettato che passasse.

Aveva preferito non riempirsi la testa di inutili speranze, illudendosi che Jace lo ricambiasse, tuttavia c'era qualcosa, nel suo petto, nel suo cuore, nella sua testa, che si aggrappava follemente a quel sogno, nonostante sapesse che fosse sbagliato e impossibile.

L'unica speranza che non era mai riuscito ad abbandonare era quella di poter essere felice.

Poi era arrivata Clary. Una ragazza cresciuta tra i mondani, cieca a tutto ciò che la circondava.

Per la prima volta aveva visto negli occhi di Jace una scintilla simile a quella che era riflessa nei propri quando lo guardava: Jace studiava Clary con la stessa ammirazione, la stessa gioia, lo stesso bisogno con cui Alec osservava lui.

E questo faceva male.

Provare rabbia nei confronti di quella ragazza era stato inevitabile. In un'altra situazione avrebbe provato compassione per lei, per essere caduta a capofitto nel loro mondo a misurarsi con mostri di cui non sospettava nemmeno l’esistenza, ma non in quel momento: la gelosia lo rendeva cieco e sordo ad ogni altra cosa che non fosse il suo rapporto con Jace. Lo stava perdendo, lo sentiva. A Jace non era mai importato nulla delle ragazze, ma con Clary era diverso.

Aveva messo in pericolo la sua stessa vita per proteggere una ragazza che conosceva appena.

Jace era impulsivo, coraggioso, fin troppo sprezzante del pericolo; Alec era sempre pronto a guardargli le spalle mentre lui si tuffava nelle situazioni senza perder tempo a guardarsi indietro. Jace aveva bisogno di Alec, quanto Alec ne aveva di lui. Non ne era certo, ma gli piaceva credere che fosse così.

Alec sarebbe davvero morto per quel dannato ragazzo biondo. Lo aveva giurato il giorno della cerimonia in cui erano diventati parabatai; ci aveva creduto allora e ci credeva ancora.


* * *

 

Alec si fermò, esausto, aveva camminato per ore, da quando aveva lasciato l'istituto. Quella mattina Clary lo aveva attaccato con parole che lo avevano scosso molto più di quanto avesse dato a vedere. Lo aveva ferito nel peggior modo possibile. Forse si sentiva così toccato dalle sue parole perché sapeva quanto avesse ragione: gli aveva dato dell'egoista, lo aveva accusato di non aver mai ucciso un demone in vita sua, di avere paura.

Stai facendo tutta questa scena solo perché sei innamorato di lui.”

Lei sapeva. Ma non poteva capire. Aveva ragione, per l'Angelo, ma non aveva idea di come ci si sentisse a vedere gli occhi di colui che ami brillare per qualcun altro.

Alec odiava sé stesso, ma più di tutti odiava Jace, perché non riusciva a smettere di amarlo.

Si lasciò cadere su una panchina, in una zona poco trafficata e si passò le mani tra i capelli e sul viso, sconsolato.

Era calato il sole da almeno due ore e non aveva idea di dove fosse, non aveva preso nulla quando era scappato dall'Istituto, l'unica cosa di cui fosse certo era che aveva bisogno di stare solo.

Il tintinnare di una bottiglia di vetro sulla panchina accanto a lui gli fece rialzare la testa di scatto. D'istinto portò la mano alla cintura, ma aveva lasciato lo stilo e le spade angeliche sulla sua scrivania. Era completamente disarmato ma la visione che gli si parò davanti non sembrava temibile e di sicuro non era un demone. Era un uomo alto, dai tratti vagamente asiatici, vestito in maniera bizzarra: Magnus Bane.

Il sommo Stregone di Brooklyn lo fissava con un'espressione divertita.

«Un Nephilim.» sentì la voce dell'uomo sottolineare l'ovvia constatazione e lo osservò sbalordito mentre aggirava la panchina per venire a sedersi con grazia di fianco a lui. «Ci incontriamo di nuovo, a quanto vedo.» Continuò, appoggiando le spalle contro lo schienale ed incrociando le lunghe gambe in un gesto studiato.

Alec annuì, consapevole di non aver ancora detto neanche una parola. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore da quando avevano lasciato la festa a casa di Magnus sulle tracce di un topo scomparso e adesso se lo ritrovava davanti di nuovo .

«Simon sta bene.» Borbottò Alec a bassa voce. Probabilmente era la cosa meno adatta da dire in quel momento e vide Magnus inarcare le sopracciglia.

«Il ragazzo topo» specificò allora. «Noi siamo... O meglio, Jace è andato a riprenderlo nella tana dei vampiri. Con Clary.» Sputò l'ultima parola come se fosse qualcosa di amaro e distolse lo sguardo.

Magnus lo vide serrare i denti con rabbia mentre stringeva il bordo della panchina tra le dita fino a farsi sbiancare le nocche. Raccolse la bottiglia che aveva con sé e gliela passò.

Alec la prese, sospettoso «Che cos'è? Mi trasformerà in un topo?»

Lo stregone sorrise e lo osservò portarsela alle labbra senza attendere la sua risposta. Doveva essere davvero scosso.

Per circa dieci minuti restarono in silenzio passandosi la bottiglia di tanto in tanto, il livello del liquido, decisamente alcolico, non sembrava abbassarsi mai ed Alec sospettava ci fosse lo zampino dello stregone.

Aveva un sapore dolciastro che non aveva mai sentito prima. Dopo poco iniziò a sentirsi la testa leggera e la morsa che stringeva il suo petto allentarsi.

C'era qualcosa di stranamente confortante nel trascorrere la serata con un bizzarro stregone ubriaco che aveva visto solo una volta, lontano dalla caccia ai demoni e da Jace.

«Jace...» Disse con un mezzo singhiozzo, rompendo finalmente il silenzio.

Con la coda dell'occhio vide Magnus annuire, fissando dritto davanti a sé, come se quella sola parola bastasse a spiegare tutto.

E probabilmente era così.

Alec si era illuso per anni di riuscire a nascondere i propri sentimenti per poi accorgersi, in un solo giorno, che chiunque poteva leggerli. Sentì uno sgradevole rossore salirgli al volto e abbassò lo sguardo, imbarazzato ed infelice.

Magnus si sporse verso di lui, leggermente ubriaco, e disse in un sussurro teatrale «Non fuggire in cerca di libertà quando la più grande prigione è dentro di te».

Alec incrociò i suoi occhi verdi dalle pupille verticali e lo stregone gli fece l'occhiolino. I glitter argentati sulle palpebre e sugli zigomi gli davano un aspetto irreale ma luminoso, o forse era solo l'effetto dell'alcol.

Senza poterselo impedire, sorrise.

«Non sapevo fossi un poeta.» Si ritrovò a dirgli con voce impastata.

La risata di Magnus gli giunse ovattata, come attraverso una parete di gommapiuma. «E' Jim Morrison.»

«E chi è?» Alec era sicuro di non averlo mai sentito nominare.

Magnus alzò gli occhi al cielo, senza smettere di sorridergli, e borbottò «Dovrebbero farvi studiare un po' più di cultura moderna all'Istituto. Un giorno te lo farò conoscere.»

Alec annuì, con poca convinzione.

All'improvviso il senso di malessere tornò ad assalirlo, ma era differente da prima. Non c'era più quella morsa al petto che si stringeva tutte le volte che pensava a Jace, era diverso, più in basso questa volta, più o meno all'altezza dello stomaco.

Sì, era proprio lo stomaco.

La bottiglia gli sfuggì di mano, rotolando via, e mentre lo strano liquido si spargeva sull'asfalto, Alec si sporse oltre il bordo della panchina e vomitò sul marciapiede.

 

* * *

 

Quando qualcuno ti cerca in piena notte non sono mai belle notizie.

Le belle notizie non hanno l'aspetto di un messaggio di fuoco scritto in tutta fretta, proveniente dall'Istituto.

Magnus sospirò nel leggere il biglietto, mentre un senso di gelo gli si diffondeva dentro.

Indovinato.

Una richiesta di aiuto. Per Alec.

Ferito.

In fin di vita.

Aveva giurato che non si sarebbe più fatto trascinare negli affari dei Nephilim, ma se chiudeva gli occhi rivedeva il ragazzo che gli aveva fatto compagnia sulla panchina, con le guance arrossate dall'alcol.

Il ragazzo forte e fragile.

Non era più una scelta, ma solo una cosa da fare.

Sarebbe andato all'Istituto e avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere ed anche di più per strapparlo alla morte.

Ancora una volta avrebbe messo in gioco sé stesso, ben sapendo cosa rischiava.

Gli esseri umani erano fragili, era come cercare di proteggere una farfalla custodendola tra le dita.

Sapeva che non avrebbe dovuto farsi coinvolgere, non di nuovo, ma le sue mani stavano già aprendo un portale diretto all'Istituto.

 

 

 

Buio.

Dolore.

Braccia e le gambe non rispondono.

Milioni di piccoli denti rosicchiano le ossa.

Acido bollente scorre nelle vene.

Ad ogni battito il cuore fa male.

Devo aggrapparmi a qualcosa.

Non c'era nulla.

Nemmeno il suo nome.

Questa è la morte.

Non posso sopportarlo.

Ogni respiro fa male.

Nel buio danzano scintille troppo luminose.

Fanno male, accecanti e bellissime.

Una voce.

È latino, credo.

Qualcuno mi chiede di tornare.

 

 

Apri gli occhi.

Guardami, Alec.

 

 

Magnus.

 

 

 

 

 

 

Magnus sobbalzò, quando il telefono sul tavolino iniziò a trillare.

Anche dopo essersi ripreso dalla sorpresa il suo cuore continuò a battere fastidiosamente veloce.

Non poteva permettersi di reagire così; non poteva permettersi di sperare e rimanere deluso. Non di nuovo, non lui.

Era il Sommo Stregone di Brooklyn, per Lilith, non un adolescente.

E poi non l'aveva salvato dalla morte per avere qualcosa in cambio.

Anzi, per dimostrare che non stava aspettando una sua telefonata, non avrebbe nemmeno risposto.

Che importanza aveva?

Tanto non poteva essere lui.

La cosa migliore era riattaccare e spegnere il telefono.

Ma Magnus non era diventato famoso per aver fatto sempre la cosa migliore.

 

«Pronto?»

«...»

«Alec!»

 

 

 

 

Alec si mosse nervoso sul divano dello stregone, girandosi la tazza di the tra le dita: era troppo amaro e non riusciva a finirlo. Era venuto a ringraziarlo, Magnus gli aveva salvato la vita e non aveva voluto niente in cambio, ma ora che si trovava lì aveva la gola secca e le mani sudate, sentiva quasi la mancanza della bottiglia dell'altra sera.

Non che farsi riportare di nuovo a casa semi svenuto avrebbe migliorato la situazione.

Magnus schioccò le dita e nella stanza si diffuse una musica coinvolgente che riempì immediatamente il silenzio. Un uomo dalla voce calda ed intensa iniziò a cantare.

«Alexander, ti presento Jim Morrison.»

Alec sorrise al tappeto prima di alzare finalmente gli occhi ad incrociare lo sguardo felino di Magnus, fece un bel respiro e parlò.

«Non sono venuto qui per ringraziarti. Cioè, anche. E' che... Volevo rivederti. Solo che non so se tu...»

«Tu mi piaci Alec.»

«Come fai a saperlo?»

«Quando, dopo ottocento anni, ti ritrovi il cuore che batte più forte perché senti squillare il telefono, beh, quella persona, chiunque essa sia, deve significare qualcosa. L'unica cosa che puoi fare è non lasciarla andare.»

Lo stregone sorrise e i suoi occhi brillarono. E ad Alec parve bellissimo, con il suo sorriso da adolescente e gli occhi da gatto che avevano visto modificarsi epoche intere, ma riuscivano ad emozionarsi per una telefonata. Si sentì arrossire al solo pensiero.
Magnus gli mise le braccia intorno al collo e lo tirò a sé, mentre la testa di Alec girava.

Sentì il sapore delle labbra di Magnus e del the troppo amaro che avevano bevuto, ma c'era qualcos'altro, una sensazione nuova, leggera e fresca come una foglia di menta appoggiata sulla lingua.

Il sapore tenue della speranza.

 

 

 

 

 

* Angolo dell'Autrice *

 Intanto devo informarvi che questa fic è stata scritta per il contest La speranza vive in una creativa realtà di HopeGiugy. La frase di Jim Morrison che dice Magnus mi è capitata per caso e ho fatto in modo di inserirla.

Vi dirò la verità, questa fic non mi soddisfa al 100% (ok, non lo fanno mai) ma questa non arriva nemmeno al 90%...

Spero che mi facciate cambiare idea... E' una trama che mi frullava per la testa da un bel po'. Volevo scrivere qualcosa sulla speranza. E su Alec. Perchè Alec è Alec, e se scrivo di Shadowhunters ci dev'essere per forza. E' un po' la sua storia, come mi immagino che possa essere andata, finchè non ha iniziato a far pace con sè stesso.

Non è la mia fanfiction più allegra, ma di sicuro è la più lunga (e quindi?) e quindi se siete arrivate a leggere fin qui vuol dire che siete davvero coraggiose! :) Davvero!

Ho altre cose per le mani al momento. Ne inizio sempre più di quante dovrei, ma incredibilmente il tempo libero non mi manca e l'ispirazione neanche, quindi mi rivedrete presto. (Non è incredibile che questa sia la seconda cosa che pubblico in una sola giornata? Sì, è vero, le avevo già scritte da tempo, ma è sempre un traguardo!)

In ogni caso grazie a tutti quelli che hanno letto e a chi spenderà un minuto per recensire. Non sapete quanto siete importanti!

Baci

Faf


   
 
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