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Autore: Thelastgoognight    08/02/2013    1 recensioni
Quando conosci una persona,la conosci da poco eppure senti di conoscerla da sempre. Tutti siamo legati l’uno all’altro,da una forza più grande di noi,al di là della nostra comprensione. E’ il coraggio che fa’ la differenza. Il coraggio di fidarsi di quella sensazione,scoprendo quel legame. Ed una volta che lo scopri,ti rendi conto di questo. Di come siamo delle piccole pedine mosse da qualcuno o qualcosa. E di come certe cose,siano inevitabili. Amanda era il mio inevitabile. Ed io mi sentivo coraggiosa.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi trovai davanti un edificio enorme- rosso mattone- da cui ai lati sorgevano due torri che ricordavano la struttura di un castello medievale. Sotto ai miei piedi cominciava un sentiero stretto fatto di piccole pietre, che portava all’entrata del collegio. Il rumore dei miei passi sulle pietre era l’unica cosa che interrompeva il silenzio di quella mattinata grigia del due Settembre. Vicino al portone d’entrata vidi la sagoma di una donna,probabilmente aspettava me : L’ennesima anima da reprimere e plagiare da inserire in società,praticamente entravi originale e ti rispedivano a casa “made in china”. più mi avvicinavo più scorgevo i dettagli di quella donna-o meglio- per tale si spacciava. Aveva una giacca blu con due grandi bottoni neri all’altezza dello stomaco,anche l’orlo delle maniche e della scollatura erano neri. Mentre sotto portava una lunga gonna d’identico colore che non lasciava vedere le scarpe. Incuteva terrore solo per come si vestiva. Mi avvicinai a tal punto da trovarmici faccia  a  faccia. Mi guardò negli occhi con un sorriso beffardo,io sostenni lo sguardo,Poi con  tono disinteressato di chi fa qualcosa perché deve farla disse :
 « Tu saresti Rachele…Io sono miss Brown.»
Con la mano destra tirai su la spallina dello zaino e risposi : 
«Già.»
Riprese  facendomi cenno di guardare intorno :
 «Come vedi siamo isolati dalla civiltà,questo è l’unico edificio nel raggio di 500 chilometri. Non passano macchine,se in futuro ti verrà in mente di scappare,togliti dalla mente l’auto-stop da film.»
 «Ah! Fantastico.» risposi,non sapendo se ridere o piangere.
Miss Brown entrò dentro ed io feci lo stesso. Sentii un odore familiare,era lo stesso profumo della casa di nonna,quando dava la cera al pavimento. Ed io che pensavo che questo posto puzzasse di muffa. Tanto meglio per me : eviterò le allergie.
Attraversammo un atrio enorme con nel pavimento disegnato un rombo nero con dettagli in panna,mi fece strada fra i corridoi che sembravano non finire mai,finché arrivammo all’ufficio della direttrice e mi ci lasciò. Mi fece accomodare sulla poltrona nera dall’altro lato della scrivania,senza proferire parola.
Aveva un aspetto accogliente-la direttrice-era una di quelle persone che ti fanno sentire a casa solo guardandole in faccia,aveva lo sguardo rassicurante. I suoi occhi erano verdi ed intorno aveva tante piccole rughe. Come se i segni delle risate e dei pianti fossero rimasti lì a creare una sorta di mappa emozionale. Aveva un aspetto elegante,come elegante era il suo Tailleur verde,che si abbinava perfettamente ai suoi occhi. Era una donna di buon gusto e si vedeva.
 «Così sei tu la pecorella smarrita, quest’anno!» esclamò con un sorriso,intrecciando le mani e portandole sotto al mento per sostenerlo.
Le sorrisi e non dissi niente,poi riprese :
«Non preoccuparti,il primo giorno è difficile per tutti,ti troverai bene.»
Mi riusciva difficile crederle,ma ne avevo bisogno per non impazzire.
C’erano tanti scaffali in quello studio,pieni di libri,provai a scorgere qualche titolo ma senza un buon risultato.   «Ti piace leggere?» mi domandò,portando gli occhiali sul naso e aprendo un registro con la copertina grigia.
«Sì,mi piace molto. » dissi.
 «E quale genere prediligi?» ribatté continuando a sfogliare il registro.
Mi grattai la testa nervosamente e risposi :
«Beh,non saprei.» Posò il registro sulla scrivania,scostò la sedia e si avvicinò ad uno scaffale per cercare un libro.
«Allora,facciamo che te ne presto uno io,quando avrai finito di leggerlo mi dirai cosa ne pensi. »disse mentre con un dito passava su ogni volume,poi si fermò e disse :
«Questo! Se ho capito bene con chi ho a che fare,questo ti piacerà molto! »e me lo diede. Guardai la copertina e lo infilai nello zaino«Grazie,le farò sapere.» dissi richiudendo la cerniera.
Fece un cenno con la testa,come a voler dire “di nulla”.
Irruppe senza bussare una ragazza,la direttrice sussultò per lo spavento. Era la ragazza dai boccoli rossi. Un rosso quasi arancio. I boccoli le scendevano sul viso ad incorniciarle le gote arrossate e gli occhi azzurri,era bellissima. Indossava un uniforme blu,immaginavo toccasse indossarlo anche a me. Al collo portava una collana,una di quelle con il ciondolo ovale,in cui dentro si mettono le foto. Ci guardammo per qualche secondo e restando sulla soglia della porta disse : «Allora sei tu la novellina.. Ciao! Io sono Amanda.» la direttrice la fece entrare,le fece chiudere la porta e la pregò di essere più gentile. Sbuffò un paio di volte e masticando una gomma tese la mano verso di me dicendo : «Io sono Amanda. Tu chi sei?» le strinsi la mano,aveva una presa forte,decisa. Era sicura di sé e questo l’avevo  capito dall’entrata spavalda  «Sono la novellina. Mi chiamo Rachele.» dissi guardandola negli occhi. Sorrise. 
«Dividerai la camera con Amanda e altre due ragazze. » Affermò la direttrice cercando il mio sguardo,che trovò. Le feci un cenno affermativo con la testa,poi si rivolse ad Amanda : «Mostrale palestra,aule e mensa,poi falle vedere la vostra stanza.» Lei portò la mano destra sulla fronte,mettendosi sull’attenti- come fa un militare quando in una stanza entra il suo superiore- poi esclamò «Sissignora!». Amanda aveva il passo di chi non ha paura di niente,camminava a testa alta,mentre il mio era più lento e dimesso,le stavo sempre dietro. Lei si voltava- mentre la gonna le svolazzava- mi prendeva il polso e mi diceva di starle al fianco. La trovavo una cosa dolce. Svoltammo a destra,dopo l’ufficio della direttrice c’era una parete con tante piccole cassette-su ognuna si trovava un numero- sulla mia c’era il 317. Ogni sabato mattina dovevamo ritirare lì la nostra posta. Sapevo che di tanto in tanto la nonna mi avrebbe scritto,magari raccontandomi di quello che fa e di come sta il nonno. Iniziai ad aspettare il sabato già da subito per poterle raccontare di Amanda,la ragazza dai boccoli rossi. Sullo stesso piano dopo un lungo corridoio si trovava la palestra,la porta la si poteva notare già da lontano per il suo colore : arancione. Una volta avvicinatoci si notava anche della ruggine sulle aperture. Mentre dentro,il pavimento era blu,con ai bordi delle grosse righe verdi-ormai rovinate-a delimitare il campo. Come in tutte le palestre c’era odore di plastica. E a me dava la nausea. Al secondo piano si trovava la mensa. Era chiusa a quell’ora,quindi guardammo dentro attraverso i due oblò sulle ante della porta. Al centro della stanza  si vedevano i carrelli a più reparti con su tutti i vassoi impilati. Poi c’erano i tavoli come quelli che si trovano nei parchi : tavoli da pick-nick. Anziché in legno,d’alluminio. Amanda mi indicò il posto dove è solita pranzare e dove da oggi avrei pranzato anch’io. Le aule dove si tenevano le lezioni- invece- si trovavano al terzo piano. Lungo il corridoio vi erano armadietti in ferro,per lo più arrugginiti. Infine senza soffermarci sul quarto piano,arrivammo al quinto- l’ultimo-dove si trovava la nostra stanza. 
«Quello vicino la finestra è il tuo letto.» Disse Amanda entrando in camera. Poi riprese mentre si sfilava le scarpe aiutandosi prima con un piede e poi con l’altro : «E sopra c’è la tua uniforme,spero ti vada bene.» Si tolse la giacca e la camicia e poi insieme alla gonna lasciò scivolare tutto sul pavimento. La osservai per qualche secondo. Rimase con i seni nudi mentre una culotte di pizzo rosa perlato le copriva il sesso. La luce che entrava dalla finestra ed illuminava un quarto del suo corpo,faceva risaltare il candore della sua pelle e l’arancio ramato dei suoi bellissimi capelli. Poi entrò in bagno e nonostante la porta fosse chiusa sentivo la sua voce che intonava qualche nota di qualche canzone,per poi confondersi con il rumore dell’acqua e sparire nel tonfo delle tubature. Mi avvicinai al letto e lasciai cadere giù dalla spalla lo zaino. Mi guardai intorno girando su me stessa -con la testa rivolta al soffitto -poi mi lasciai cadere sul letto,rovinando la stesura perfetta della coperta che lo avvolgeva. I letti erano tre,di cui uno a soppalco. Sopra vi erano appoggiati dei guanciali talmente voluminosi che sembrava come se nessuno- ancora- vi avesse appoggiato la testa. Erano tutti perfettamente ordinati,tranne uno. E non so perché,immaginavo fosse di Amanda. Sopra quel letto- attaccato alla parete color crema- c’era un poster -con una punta che pendeva verso il basso- vi era raffigurato la copertina di uno degli album migliori dei Beatles : Revolver. Di fronte ai letti e vicino la porta del bagno,si trovava un tavolo -con sopra sparsi dei libri- e due sedie ai lati. Mentre di fronte al mio si trovava una libreria d’epoca. Dentro vi era qualche porta foto,pochi libri disposti male e vari oggetti inutili. La finestra che si trovava appena sopra al mio letto aveva un ripiano in granito e all’angolo vi era appoggiata una pianta di violette : non necessitano troppa aria,la corrente potrebbe danneggiarle. Io amavo i fiori e le violette erano la mia varietà preferita. Sul soffitto notai una botola di legno,immagino portasse sul tetto dell’edificio. Nella stanza aleggiava un profumo di lavanda delizioso. 
Amanda uscì dal bagno avvolta da un accappatoio in cotone-di un verde delicato- ed i capelli ancora bagnati rendevano i suoi ricci appesantiti. Indossò nuovamente la divisa collegiale blu,mi disse di fare lo stesso se avevo intenzione di seguirla a pranzo : la indossai anch’io. Infine,mi chiese di aiutarla a mettere una collana. Era la stessa che notai nell’ufficio della direttrice,adesso l’avevo fra le mani e ne avvertivo i dettagli in rilievo. Mi misi dietro di lei,poi le spostai i capelli da un lato : il profumo che facevano mi travolse inebriandomi. Sul collo-perfettamente allineati-aveva due nei. Ricordavano due chicchi di cacao,sembravano disegnati con una matita tale era la perfezione. Portai le braccia avanti cingendola,in modo da far passare la catenina intorno e agganciare le due estremità. Era il mio primo giorno di collegio,ed era Domenica; E come Dio che il settimo giorno si riposò,avremmo fatto anche noi,oggi e tutte le domeniche seguenti. Niente qui era mio : non le mie voci,non i miei volti,non i miei odori. Speravo di farli miei entro un paio di giorni massimo; ma con sorpresa,capii che una voce,un volto e un odore mi appartenevano già. Ci apprestammo ad uscire dalla stanza per dirigerci nel giardino circostante,dove le altre compagne ci attendevano : ero ansiosa di conoscerle. Amanda disse che mi sarei conquistata la loro simpatia,che il contrario non era possibile,lo disse sorridendo. Lo fece ancora,come quando mi prese per mano perché il mio passo era più lento rispetto al suo : mi rassicurò. Mi rassicurò come nessuno prima di lei aveva fatto. Sarà che quel sorriso era di quel caldo di cui la mancanza aveva preso il posto. Arrivammo in giardino,m’indicò un gruppo di ragazze sedute sotto un cipresso, mi prese la mano-la strinse-guardandomi negli occhi fece un ultimo cenno affermativo prima d’iniziare a correre verso di loro,poi andammo. 
Ancora provata per la corsa,Amanda attirò l’attenzione delle ragazze. Poi indicandomi disse : «è quella nuova,starà in camera con noi. » Alzai la mano e le salutai,poi Amanda mi tirò giù per un braccio e mi sedetti sull’erba. Con un dito mi indicava ognuna,dicendomi i loro nomi. Fuyuko : a detta di Amanda, l’asiatica più bugiarda che si sia mai vista. Accanto si trovava Juliette : gli occhiali bassi sul naso,le davano un aria buffa. Poi Flora. «  La madre di Flora è fissata con i fiori,dopo aver chiamato la sorella Violett,l’altra sorella Rose,decise di chiamare Flora,come la dea dei fiori.Vero Flora?» Disse,terminando la frase in una risata.
Altrochè,pensa che vuol chiamare la prossima figlia «Margherita!» Ridemmo tutte. Mi lanciò una mela-che afferrai prontamente- poi riprese :
« tu però non c’hai ancora detto come ti chiami.  »
 «Oh,già. Rachele,mi chiamo così.»  Risposi.
 «Bel nome. Fa tanto “ricca figlia di papà.” »Affermò Fuyko. Non ebbi il tempo di rispondere che Juliette lo fece per me. « Non essere scortese.»   Replicò.
 «Dovete trattarmela bene, è apposto.» Concluse Amanda.
Mangiammo e scherzammo fino a sera,mi pareva che il tempo fosse volato in un soffio di vento. La direttrice venne da noi e gentilmente ci chiese di rientrare. Non mi sbagliai,era gentile davvero. Rientrammo. E a me pareva di sentire ancora l’odore delle mele. Chissà perché immagino sempre il peggio. Per scansare il sapore aspro della delusione forse,perché solitamente il peggio si avvera, a discapito del meglio,non lo so. Ma oggi mi sbagliavo : avevo torto marcio. Sarà perché Amanda,come un fedele cavaliere mi stava al fianco. Sarà che ho giocato le mie carte,non avendo niente da perdere. Ma mi sbagliavo. Entrai in bagno a fare una doccia,mentre le ragazze restarono in camera. Con l’acqua feci scorrere via l’odore delle mele che mi portavo addosso,gli abbracci di Amanda e la paura. Tutto risucchiato in un buco nero. Dovevo vestirmi di nuove sensazioni e di nuovi odori,miei e non. Dovevo togliere il vecchio,per vestirmi di nuovo. Avrei messo da parte l’abbraccio di Nonna. Per crescere. E trovarne uno in cui sarei stata bene allo stesso modo. Lei capirà,pensavo. E la paura intanto andava via con l’acqua,perciò capiva senz’altro. Ero pronta ad un odore diverso,ad una presa diversa,a mani diverse. Il collegio era il modo di Dio per farmi capire questo. Niente è eterno al tatto,ti stanchi,cresci,o semplicemente vuoi altro. Per questo esiste la memoria. E adesso quello è il posto dell’abbraccio di una nonna. Senza rancore,è il suo posto. Il rumore della pioggia si sposava a quello dell’acqua della doccia che ancora,accarezzava il mio corpo,che domava i miei capelli. Non sentivo neanche più le voci delle ragazze e a momenti i miei pensieri. Chiusi gli occhi e immaginai di essere ai piedi di una grande cascata. Portai la testa indietro e lasciai l’acqua scorrere sul viso,mi entrava in bocca e la risputavo fuori. Poi chiusi l’acqua. Aprii le porte della doccia per prendere l’asciugamano che dimenticai fuori. Vidi Amanda seduta sul lavabo. Non la sentii entrare,chiusi le porte della doccia.
« Esci subito.» Le gridai,imbarazzata.
« Rilassati,le ho anch’io le tette. »Rispose ridendo. Dalle porte la intravedevo muovere i piedi come fanno i bambini sull’altalena. Mi avvolsi nell’asciugamano e uscii.
« Vedi? Mica ti mangio.» Disse scendendo dal lavabo. Accennai un sorriso mentre con le mani sistemavo i capelli. Poi uscii. Mi guardai allo specchio ed il rossore dell’imbarazzo era ancora fermo sulle mie gote. Come le è saltato in mente,mi ripetevo. Ma non ero arrabbiata. Non so cos’ero. 
« Scusa» le dissi andando verso il mio letto con ancora addosso l’asciugamano e nient’altro. Non rispose. « Per prima intendo,non volevo.» Ripresi. Non arrivò neanche stavolta una risposta.  Le davo le spalle. Lasciai cadere giù l’asciugamano,volevo dimostrarle che non mi fa paura. Che potevo scoprirmi,ma decidevo io quando essere guardata. E da chi.
 «Bel culo.» Esclamò.
 « Allora parli ancora.» Le risposi,mentre mettevo una veste da notte bianca.
Non disse altro. Scese dal letto per abbassarsi ai suoi piedi,tirò fuori una scatola da cui prese due parrucche. Rimasi ad osservarla non capendo cosa avesse in mente. Si avvicinò ad un letto e scostò la coperta,sistemò due cuscini e poi sopra una parrucca,coprì i cuscini a voler simulare un corpo e fece lo stesso con l’altro letto. 
  «Il coprifuoco scatta alle ventuno,tutte le sere passa un vecchio a controllare che siano tutte nei propri letti. Se le beccano verranno punite. Qui aiutarsi è la regola.»
Disse,scuotendo il proprio cuscino. Lo facevo anch’io,tutte le sere prima di dormire. Diventa più soffice. Poi si mise a letto.
Si girò,mi diede le spalle. Mi girai anch’io.  «E se beccano te?» Le domandai.
«Ti sembro una che si fa’ beccare?» La risposta non tardò ad arrivare,questa volta.
 «Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.» Replicai. 
Restammo inermi ognuna sul proprio letto,nel proprio silenzio.Silenzio che si colmava ad ogni piccolo sospiro,mio e suo. Ad ogni movenza. Ad uno starnuto improvviso ed infine,in una risata che risuonava prepotente. Niente parole,non stavolta. Andava bene anche così. Questa era la notte dei buffi suoni emessi per dirci “sono qui”. Le parole a cosa servono,quando hai già detto tutto,anche senza? E lo senti che lei ti capisce. E ti risponde,senza parlare. E la capisci. E lo sai che non ti sbagli. Perché a diciotto anni non ti sbagli mai. Ci addormentammo e non ce ne accorgemmo. Non sentimmo entrare il vecchio controllore del coprifuoco,né la stanchezza. Chissà se si accorse che i due corpi sotto le coperte in realtà,erano due cuscini. Quando sei felice non la senti la stanchezza,il resto non diventa importante,forse anche il vecchio a suo modo,era felice. 
Il mattino solitamente mi alzavo presto. Mi piaceva guardare il colori dell’alba e sentire il primo fresco sulla pelle. Poi mi occupavo delle piante. Questa volta restai a letto più a lungo,spostai il braccio sul guanciale per stirarmi e toccai qualcosa.
Era un quadratino di cioccolata,ed era fondente. Appoggiato su un tovagliolo di cotone bianco,con i bordi ricamati in rosa. Mi sedetti,presi fra le mani la cioccolata,poi presi il tovagliolino e lo portai appena sotto al naso : ne sentii l’odore. Mi piaceva tanto. Lo facevo tutte le volte prima di mangiarne un pezzo,né gustavo prima l’odore,poi il sapore. Era un buon modo per  cominciare la giornata. 
«I genitori di Amanda hanno una fabbrica di cioccolato. Le mandano una tavoletta a settimana. Te l’ha lasciato lei. » Disse Flora,intenta a sistemare dei libri in un sacco.
Non serviva che lo dicesse,pensai,lo avevo capito subito. Il suo letto era disfatto e lei non c’era. Sarà uscita prima.   «A noi non lo ha mai lasciato.»Aggiunse Fuyko,poi uscii dalla camera. «Lei dov’è?»  domandai a Flora. 
« Non lo so. E’ uscita presto. Ti conviene sbrigarti o arriverai tardi alla prima lezione. » Rispose,poi uscii anche lei. Mi lavai la faccia e cambiai l’intimo,indossai l’uniforme blu poi presi lo zaino e corsi verso l’aula. Arrivai in ritardo,la porta era chiusa. Diedi due colpi alla porta,l’insegnante rispose ed entrai.
« Mi scusi. Sono in ritardo.»
 «Me ne sono accorta. Prendi posto. Non deve capitare più. »Disse mentre teneva un gessetto fra le mani e gli occhiali sul naso.
 «Non capiterà più.» Risposi mentre presi posto.
I banchi formavano un ferro di cavallo. Io sedevo sul lato destro,quello vicino la porta. In mezzo fra due ragazze. Amanda sedeva al centro. Di fronte la lavagna. La lezione proseguiva eppure non sentivo una sola parola. M’importava poco di Garibaldi al momento. Pensavo a quella sensazione. Quando conosci una persona,la conosci da poco eppure senti di conoscerla da sempre. Tutti siamo legati l’uno all’altro,da una forza più grande di noi,al di là della nostra comprensione. E’ il coraggio che fa’ la differenza. Il coraggio di fidarsi di quella sensazione,scoprendo quel legame. Ed una volta che lo scopri,ti rendi conto di questo. Di come siamo delle piccole pedine mosse da qualcuno o qualcosa. E di come certe cose,siano inevitabili. Amanda era il mio inevitabile. Ed io mi sentivo coraggiosa. 
  
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