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Autore: mysterious    08/02/2013    5 recensioni
Jane odia le armi, si sa. Ma d'ora in avanti avrà un motivo in più per temerle.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel caso aveva dato del filo da torcere fin dall’inizio: testimonianze discordanti, tracce alterate da una pioggia battente durata ore, difficoltà a stabilire il movente dell’omicidio,  parenti politicamente in vista che premevano per una rapida soluzione…
La squadra lavorava da giorni, apparentemente senza progressi, ma poi, come al solito, Jane aveva fatto due più due e, per la soddisfazione di tutta la squadra (c’era sempre, tuttavia, un pizzico di fastidio in loro, nel vedersi ogni volta battere sul tempo), l’identità del killer era venuta fuori dalla deduzioni del consulente come il coniglio bianco dal cilindro di un prestigiatore.
La vittima, giovane ed attraente figlia di un noto senatore, era stata uccisa dal cognato, B. Carlson, che, respinto dalla donna, di cui si era invaghito, aveva vendicato il suo orgoglio ferito con inusitata ferocia, colpendola più volte con un coltello da caccia. L’uomo, già finito nel mirino dei Ranger per bracconaggio, ma mai arrestato in virtù delle sue conoscenze in alto loco, aveva fornito durante l’interrogatorio un alibi in apparenza inattaccabile, per cui, sicuro di sé, aveva raggiunto uno dei suoi tanti rifugi fuori città per dedicarsi al suo discutibile “hobby”.
Individuare la baita per la squadra di Lisbon era stato assai semplice, raggiungerla un po’ meno. La zona, una tra le più impervie della regione, era servita da un discreto intrico di strade a sterro, ma l’edificio in questione, lontano dai luoghi più battuti, poteva essere raggiunto soltanto percorrendo un ripido sentiero nella  macchia.
Lasciate le auto in una piazzola, i quattro agenti del CBI avevano indossato i loro giubbotti di kevlar, imbracciato le armi e intrapreso la salita verso la baita. Come sempre, Jane era con loro, elettrizzato da quell’escursione fuori programma che, se non altro, restituiva a quel caso – tra i più tediosi di sempre –  un minimo di interesse. A suo agio nel consueto completo grigio, che soltanto addosso a lui sembrava essere adatto ad ogni occasione (anche la più improbabile, come quella!), il brillante consulente del CBI seguiva Lisbon e i suoi uomini a debita distanza.
Notoriamente, Jane odiava revolver e fucili: poche volte aveva dovuto maneggiarne uno e, tranne che per uccidere Timothy Carter, non gli era mai piaciuto. Come tutti coloro che hanno il dono di saper incantare o ferire con le parole, riteneva che proprio quelle fossero le armi più efficaci, meglio ancora, le uniche da usare. Tuttavia, ben sapendo che non tutti - specie i “cattivi” -  la pensano in questo modo, in caso di appostamenti ed imboscate si premurava di mantenere sempre una posizione defilata rispetto al gruppo di “cow-boys” (come a volte si divertiva a definire i componenti della sua squadra).
«Che meraviglia, eh, Lisbon?», disse guardandosi intorno, il volto illuminato da un sorriso sinceramente compiaciuto. «Quest’aria è davvero corroborante, non trovi?»
«Zitto e cammina, Jane!», lo rimbrottò Lisbon, che in realtà era felice di vederlo sorridere: sembrava un bambino cresciuto che ammira le montagne per la prima volta. «Risparmia il fiato per la passeggiata: secondo la mappa, ci aspetta ancora mezz’ora abbondante di salita ripida.»
«Oh, andiamo, ragazzi!» disse Jane stringendosi nelle spalle. «Non è forse meglio che stare rinchiusi in ufficio? Se solo lo avessi saputo… avrei portato dei panini o …»
«Piantala, Jane! Possibile che tu abbia sempre fame?», lo interruppe Lisbon, lanciandogli un’occhiataccia divertita.
«Beh, io... non ci avrei trovato nulla da ridire!», intervenne Rigsby, che, in quanto ad appetito, superava di gran lunga tutti i colleghi.
Il sentiero si inerpicava tortuoso tra rocce coperte di muschio ed alberi secolari. Il paesaggio era davvero incantevole, Jane aveva ragione, ma in quel momento l’attenzione doveva restare vigile sull’obiettivo: sorprendere l’assassino ed arrestarlo, possibilmente senza danni da entrambe le parti.
Venticinque minuti dopo, davanti al gruppo di agenti si aprì uno scenario mozzafiato: il sentiero sbucava, infatti, su un pianoro verdeggiante, punteggiato sullo sfondo da gruppetti di conifere, che facevano da cornice ad una piccola baita dal tetto spiovente. Le mancava il tocco di una donna: con qualche vaso di fiori alle finestre e delle tendine in stile country sarebbe stata davvero incantevole.
«Rigsby, Van Pelt, sul retro. Cho, sull’altro lato», decretò Lisbon senza indugi. Non c’era bisogno di consigliare a Jane di trovarsi un riparo. Il consulente stava già appostandosi dietro un gigantesco e solitario  larice, che sembrava cresciuto lì apposta per fare da scudo all’inerme osservatore.
«Cho. In posizione.»
«Rigsby. In posizione»
«Van Pelt. In posizione»
Da dove si trovava, Jane non poteva sentire la radio di Lisbon, che nel frattempo si era acquattata sotto una finestra della baita, subito a lato della porta d’ingresso; tuttavia, dai cenni affermativi della sua testa, intuiva che tutti gli agenti avevano raggiunto il posto convenuto, pronti a fare irruzione al segnale del boss. Non era stato ritenuto necessario richiedere l’appoggio della polizia locale: la squadra del CBI contava sull’effetto sorpresa. Inoltre, non avevano a che fare con un killer matricolato. Almeno così credevano …
 
Accadde in un attimo. Mentre Lisbon si accingeva a dare l’atteso segnale, preparandosi intanto a scagliarsi contro la porta come un felino sulla preda, un fragoroso sparo proveniente dalla macchia ruppe quegli istanti di silenzio irreale che precedono un attacco. Un nugolo di uccelli, alzatisi in volo con moto frenetico e convulso, si lasciarono dietro una pioggia leggera di piume. 
Istintivamente, Lisbon si gettò a terra, urlando ai suoi uomini di raggiungerla sul fronte della baita. Avevano commesso un terribile errore, sottovalutando Carlson, che doveva averli visti arrivare attraverso il bosco, forse da qualche rifugio mimetizzato, di quelli che i cacciatori si costruiscono per rendersi invisibili alle loro prede. Il risultato era che ora avevano il nemico alle spalle, nascosto nell’ombra gentilmente elargita dalla fitta vegetazione della macchia, e, pertanto, in netto vantaggio su di loro.
Al primo sparo ne seguirono altri. La mira di Carlson era buona, non c’è che dire, e i proiettili fischiavano pericolosamente vicini alle orecchie degli agenti, riparati alla meglio dietro qualsiasi cosa potesse fornire un minimo di copertura.
«Jane!» chiamò Lisbon, «Tutto ok?»
Il consulente non rispose. Poco prima aveva sentito qualcuno sferrargli un violento pugno al fianco e si era girato di scatto, ma… non c’era nessuno. Subito dopo, ad una strana sensazione di calore che si era rapidamente propagata dal punto colpito, era subentrato un dolore acuto, lancinante. Solo allora Jane aveva abbassato lo sguardo: sotto la giacca, sul gilet grigio, si stava allargando un’inequivocabile macchia scura…
Capire che cos’era successo e crollare a terra era stato tutt’uno: fiaccato dall’emorragia e dallo shock, non gli era neppure riuscito di chiedere aiuto. Non aveva perso i sensi, ma si sentiva come catapultato in un dimensione senza suoni e senza colori. Con gli occhi spalancati verso il cielo sgombro di nubi, in realtà non percepiva alcuna immagine, se non quelle, confuse, che gli turbinavano in testa senza un preciso ordine logico: volti indistinti, case, corpi insanguinati, il tendone di un circo, il suo divano al CBI, sua figlia seduta al pianoforte, un luna park pieno di luci sfavillanti, uno smile dal sorriso agghiacciante…
«Jane? Tutto ok?», ripeté Lisbon, questa volta più forte, a sovrastare il rumore degli spari.
“Jane”… “ok…”, qualcuno, lontano mille miglia, lo stava chiamando. La voce gli giungeva flebile, ovattata. Avrebbe voluto rispondere, ma… dalle sue labbra socchiuse non usciva ancora alcun suono…
Cho e Rigsby, intanto, grazie al fuoco di copertura di Lisbon e Van Pelt, avevano guadagnato una posizione più favorevole.
Lisbon guardò – vagamente preoccupata – verso il grosso larice dietro cui si era appostato il consulente, ma di lui nessuna traccia. Col passare dei secondi, che sembravano ore, la preoccupazione si fece più seria: perché Jane non rispondeva? Forse non voleva scoprirsi? O forse era strisciato altrove, dietro una roccia o sul retro della baita… Sì, doveva essere così… Anche se…
Un urlo soffocato la riportò bruscamente alla realtà: Cho aveva colpito Carlson ad una spalla e l’arma del bracconiere assassino, un fucile da caccia a proiettili inerti [n.d.r. non esplosivi], era stata sbalzata lontano, dove Rigsby aveva potuto recuperarla, mettendo fine allo scontro a fuoco.
«Van Pelt, raggiungi Cho e Rigsby: ammanettate quel miserabile e leggetegli i suoi diritti. Io cerco Jane.»
Voleva credere che il suo consulente si fosse spostato appena iniziata la sparatoria, ma il larice fu comunque il primo luogo verso il quale si diresse.
Era ancora ad una decina di metri dal tronco quando vide Jane disteso  a terra:
«Jane! O mio dio, Jane! Jane!», gridò correndo verso di lui. «Ragazzi, mi serve aiuto! Chiamate i soccorsi, presto! Jane è a terra…»
Lo raggiunse col cuore in gola: «Jane, mi senti?»
Gli tastò il polso: il battito era debole, ma costante. «Jane, avanti, resta con me. Guardami, Jane, andrà tutto bene…»
Spostando un lembo della giacca e vedendo la chiazza di sangue, strappò la camicia di Patrick e si rese conto che un proiettile l’aveva trapassato da parte a parte all’altezza del pancreas, ma più all’esterno. La ferita sanguinava abbondantemente.
«L…is…bon», riuscì a balbettare Jane, che lottava per restare sveglio. Sapeva che il torpore nel quale stava gradualmente scivolando sarebbe stato l’anticamera della morte.
«Ho sem…pre… detto… che… le armi… sono pe…ricolose», le disse, con un sorriso che assomigliava molto di più ad una smorfia di dolore.
Lisbon gli restituì il sorriso, che non bastava certo a nascondere la sua apprensione. Cho e Van Pelt, intanto, erano sopraggiunti trafelati, mentre Rigsby si occupava di Carlson.
«Avete avvertito il 911?» chiese Lisbon senza perdere di vista il suo consulente. Con un lembo della camicia di Jane aveva abbozzato un tampone, che ora stava premendo con forza sul foro d'uscita per rallentare l’emorragia. Non sapeva quali danni potesse aver causato il proiettile all’interno. Quello che invece sapeva bene è che doveva tenere Jane cosciente fino all’arrivo dei soccorsi.
«Cho, Van Pelt, raggiungete Risgby e portate in centrale quel bastardo di Carlson. Resto io con Jane. Voi cominciate a scendere». E notando in loro una certa titubanza, «Andate!», ingiunse.
«Tieni duro, amico», disse Cho, la cui consueta impassibilità contrastò per un attimo con la stretta affettuosa alla spalla di Jane.
«Non mollare», aggiunse Van Pelt, che a malincuore si unì a Cho per tornare da Rigsby e poi a valle.
 
«Di’ qualcosa, Jane. Qualunque cosa, basta che parli. Resta sveglio, ti prego…»
«Sono… stanco, Lis…bon»
«Non è questo il momento, Jane. Avanti, raccontami… raccontami di quando fingevi di essere un sensitivo. Quanti anni avevi quando hai scoperto di poter leggere la mente delle persone?»
«Lo … faccio da… sempre. Mio… padre mi ha… insegnato… molto, ma… ben presto… lo su…perai»
«Che rapporto avevi con tuo padre, Jane? Andavi d’accordo con lui?»
«Non… proprio. All’inizio… mi… diver…tiva l’idea di … capire… tutto quel…lo che le persone… pensavano: mi pa… gavano per… sentirsi.. dire… cose che… sapevano già…» Fece una pausa e, una smorfia di dolore mise in mostra due file di denti bianchissimi, il segreto dei suoi splendidi sorrisi.
«Vai avanti, Jane. Raccontami.»
«Mio padre… eravamo... diversi… noi due. Per me… era un… gioco, ma lui… lui aveva … fatto pro… getti precisi su… di me. Sfr… Sfruttava le mie… capacità… per… rubare e… imbro...gliare e… mi … mi ricompen…sava con molti… soldi… Alla fine… diven…ni come lui. Lo… lasciai, ma… troppo tardi.»
«Non hai mai parlato di tua madre, Jane. A lei andava bene quello che stavi diventando? Non si… oppose mai a tuo padre?»
«Non… ho mai co… conosciuto… mia madre. Non… faceva… parte del… mondo … circense. Quando… nacqui, mio… padre mi… portò via… da lei… Non so… neppure… il… suo nome.»
«Mi dispiace, Jane… non… scusa, non avrei dovuto chiedertelo.»
«Perché… no? Mi… domandavo… anzi… perché non… lo avessi mai… fatto.»
«Non ha mai tentato di ritrovarti? O tu, magari.»
«Per… dirle cosa? … Che ero… diventato un … truf…fatore? Quanto a… lei, il … circo è… un mondo… a sé, in con…tinuo spostamento … omertà… came…ratismo… Non puoi… trovare nes…suno che… non… voglia essere... trovato»
Era scosso da violenti tremiti. Il sole arroventava i sassi, eppure lui sentiva ugualmente freddo. Lo stato di shock produce strani effetti.
Lisbon si era tolta il giubbotto, l’aveva arrotolato su se stesso e l’aveva spinto sotto la testa di Jane. Non aveva nulla per coprirlo e non voleva lasciarlo per procurarsi qualcosa nella baita, perché ciò avrebbe significato smettere di premere il tampone sulla ferita e ridare sfogo all’emorragia. Fece, quindi, l’unica cosa che poteva fare: si sdraiò accanto a lui, cercando di trasmettergli un po’ del suo calore.
«Ecco, Jane, va un po’ meglio, ora? »
Aveva sognato, desiderato tante volte di adagiarsi al suo fianco, stringerlo tra le sue braccia, ma così no, non poteva accettarlo. La vita sapeva essere crudele e ingiusta.
«Gr… grazie, Lisbon…»
«Non cedere, Jane. Continua a parlare con me. Ti piaceva recitare la parte del sensitivo?»
«Tu sai… com’ero, L… Lisbon. Un pre…suntuoso … pieno… di sé … e insensibile. Le… uniche… cose che… contavano da…davvero erano… i soldi e la noto…rietà.»
«No, Jane, non posso credere che tu fossi veramente così. Oggi non saresti ciò che sei se già allora non avessi avuto in fondo al cuore dei buoni sentimenti.»
«M… molto in… fondo, Lisbon… Il mio… cambia…mento è venuto … in… seguito, tu sai… perché. Se … mia moglie e … Charlotte… non… beh, io … sarei ancora  … l’ im…  imbroglione… di … allora.»
«Quello non eri tu, Jane. Sei stato condizionato, plasmato da tuo padre… Avresti potuto finir peggio, magari a rapinare banche ipnotizzando i cassieri!»
Il tentativo di sdrammatizzare non sortì effetto: le condizioni di Jane erano critiche e i soccorsi ancora non arrivavano. Lisbon telefonò a Van Pelt, chiedendo dove fossero e come stessero procedendo le cose. Erano a metà strada, ancora nella macchia che solo poche ore prima avevano affrontato in cinque, muovendosi nella direzione opposta. L’agente in capo dispose che uno di loro restasse dove avevano parcheggiato l’auto, per fare da guida ai soccorritori non appena l’ambulanza fosse giunta sul posto. In tal modo, avrebbero guadagnato minuti preziosi.
«L… isbon», mormorò Jane, ruotando lentamente il capo, gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore.
«Sì?»
Ma Jane non aggiunse altro. Stava perdendo i sensi e, questo, Lisbon non poteva permetterlo.
«Jane! Rispondi! Andiamo, Jane! Apri gli occhi e guardami! E’… un ordine!», urlò Lisbon, scattando in ginocchio e scuotendo leggermente le spalle del consulente. Il tampone era inzuppato di sangue. Strappò un altro lembo della camicia di Jane, lo appallottolò e ne fece uno nuovo, con cui riprese a comprimere la ferita, con forza. La stilettata procurata da quel gesto riportò Jane ad uno stato più cosciente.
«Ahhh…» si lamentò, serrando i denti in una smorfia di dolore. 
«Jane. Resisti, apri gli occhi… i soccorsi stanno arrivando. Tra poco saranno qui, vedrai. Hai ancora una missione da portare a termine, lo sai… Red John… Non vorrai mollare proprio adesso!»
Fare leva sulla rabbia che Jane provava ogni volta che qualcuno nominava il suo psicotico avversario sembrava funzionare.
«Lisbon, pro… promettimi … se qualcosa … doves…se andare st… storto… promettimi che non… con…tinuerai …ad inseguire … Red John, … che non … diventerà… la tua os… ossessione.»
«Che cosa mai dovrebbe andare storto, Jane? Sarai in piedi molto prima di quanto pensi, smettila di parlare così!», lo redarguì Lisbon, con scarsa convinzione, mentre tornava a stendersi accanto a Jane.
«Di…dimentichi che… posso… leggerti la… mente», intervenne Jane, guardandola fisso negli occhi e accennando appena un sorriso. «Non… puoi… mentirmi.»
Lei evitò il suo sguardo, imbarazzata, come sempre quando si sentiva  l’anima passare al vaglio da Jane. Non che in quel momento fosse difficile cogliere la sua preoccupazione: quando era tesa, gli angoli della sua bocca tendevano a piegarsi verso il basso, conferendo al suo viso un’espressione grave e senza luce.
«Faccio parte del CBI, Jane. Non posso certo garantirti che abbandonerò il caso di Red John, ma posso… posso prometterti che non lo farò diventare un’ossessione».
In realtà, non poteva promettere un bel nulla, ma aveva sentito di doverlo fare, per tranquillizzare il consulente. Se fosse accaduto qualcosa a Jane… sapeva benissimo che avrebbe preso il suo posto nella lotta a Red John e avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per assicurare quel maledetto serial killer alla giustizia. Avrebbe finito lei quel che lui aveva cominciato.
«Non… ci… sei riu…scita con Vol…ker, ma… puoi riuscirci con… Red John. Lui… non è … la tua bat…taglia.» 
La guardò e, negli occhi di Lisbon, lesse il suo errore: «No, Lisbon…», aggiunse, «non deve… diven…tare la tua battaglia… non è… giusto… noi due… tu… non mi devi… nulla. Non devi… rendere… la tua… vita un inferno… come ho… fatto… io. Loro… erano la mia fa…miglia, non… la tua.»
«Ma tu sei la mia, Jane».
L’aveva detto così, d’un fiato, istintivamente. Anche lei aveva alle spalle un’infanzia e una giovinezza difficili: la morte prematura della madre, un padre alcolizzato, dei fratelli da accudire, responsabilità e ruoli più grandi di lei. Il lavoro le aveva dato nuovi impulsi e, per molto tempo, aveva rappresentato tutto ciò che aveva di più caro… Poi, dieci anni prima, al CBI era arrivato Jane e, da quel momento, la sua vita aveva assunto una prospettiva diversa.
Patrick Jane non era certo un tipo “facile”: il solo fatto di non potergli nascondere nulla ti metteva già a disagio. Quella sua ostentata sicurezza di sé, poi, a volte lo rendeva addirittura… irritante! Era sempre un passo avanti a tutti, nelle indagini, e sicuramente godeva quando poteva presentare il colpevole su di un piatto d’argento dopo aver tenuto per sé le intuizioni che lo avevano guidato alla soluzione!
E che dire della sua spietata sincerità e schiettezza nel porre le domande o nel giudicare le persone coinvolte nei casi, compresi, non di rado, i familiari stessi delle vittime? Tenere a freno la lingua del suo consulente  era il compito più arduo, per lei. Avevano un bel da dire, i suoi superiori: «Controlla Jane!», «Lui è sotto la tua responsabilità»… Sì, vallo a contenere un simile … uragano!
Tuttavia, lei si era sentita subito attratta da Jane, fin da quando l’aveva visto entrare per la prima volta negli uffici del CBI per chiedere ragguagli sul caso Red John: la camicia stropicciata fuori dai pantaloni, la barba incolta, i capelli arruffati, l’espressione attonita di chi ha perso tutto e non sa da dove ricominciare a vivere. Anche l’espediente usato da Jane per assicurarsi il giusto grado di attenzione l’aveva affascinata. Forse non aveva capito subito che l’incidente era stato, per così, dire, pilotato, ma … farsi dare un pugno dall’agente che lo stava accompagnando all’uscita era stato un vero lampo di genio! In men che non si dica, aveva ottenuto di poter esaminare tutta la documentazione esistente sul caso del killer seriale!
Guardato con perplessità e sospetto dagli altri membri della squadra, lei era stata l’unica ad intuire l’enorme potere del suo dono, la capacità di percepire, tra i risvolti della mente, nei gesti, nelle parole e nelle espressioni delle persone, i segni inequivocabili della loro innocenza o della loro colpevolezza. A lui, venuto per chiedere aiuto, aveva chiesto aiuto a sua volta, per risolvere un caso particolarmente complicato. Aveva vinto le sue remore ad utilizzare di nuovo quei trucchi mentali con cui per anni aveva ingannato la gente fingendosi un sensitivo, e aveva avuto ragione: il caso si era risolto in pochi minuti e lei aveva trovato un amico speciale.
Amico, forse, non era proprio la parola giusta. I suoi sentimenti per Jane erano… non più profondi (non sarebbe stata l’espressione giusta), ma sicuramente di natura diversa, rispetto a quelli che contrassegnano un’amicizia. Tuttavia, il cuore di Patrick era “irraggiungibile”. La fede nuziale che si ostinava a portare al dito ne faceva, a tutti gli effetti, un uomo sposato. O almeno, lui si riteneva ancora tale. L’anello gli ricordava ogni giorno, ogni istante, che per colpa del suo ego, aveva perso le persone che amava di più al mondo, e non avrebbe avuto pace finché non le avesse debitamente vendicate. Una nuova storia d’amore non era nei suoi pensieri, tanto meno tra le sue priorità. Ma lei sapeva aspettare... e poi, in fondo, non era neppure certa che il suo sentimento fosse reciproco. Forse, quando sul caso Red John fosse calato definitivamente il sipario…
«Mi… lusinghi, L…isbon», disse Jane, interrompendo il corso dei suoi pensieri.
«Beh… volevo dire che tu mi sei sempre vicino nei momenti difficili e riesci sempre a strapparmi un sorriso quando sono triste, quindi… ti comporti come una famiglia con me. Ecco, solo questo.», si affrettò a puntualizzare l’agente.
«Non ti… rendo… la vita facile, vero?», le domandò Jane.
«Che vuoi dire?»
«Ho vi…sto la gelosia… dipinta sul… tuo volto, qu-quando … in macchina… accennasti… al mio… rapporto con Lorelei. E … la rapi…dità con cui… salisti…sulla limousine di Erika per… non lasciar…mi solo … con lei. Non… preoccu…parti, non… rappresentano… nulla per… me». I suoi occhi erano chiusi, ma il suo sorriso, questa volta, era più ben delineato: la stava prendendo in giro, nonostante le sue condizioni!
«Boss! Boss!». Il richiamo proveniva dalla macchia.
Lisbon si voltò di scatto. Van Pelt stava correndo verso di loro, seguita a ruota dai soccorritori. Giusto in tempo per “salvarla” da una situazione che stava diventando piuttosto imbarazzante, per lei!
«Sono arrivati, Jane. Andrà bene, vedrai. Tra poco starai meglio.» Parlava per rassicurare se stessa ancor prima che il suo consulente. Si alzò senza alleggerire la pressione sulla ferita di Jane, finché un paramedico la fece allontanare per i primi interventi di rito: controllo della pressione arteriosa e del battito cardiaco, sacca di plasma, disinfezione della ferita, mascherina dell'ossigeno, che Jane rifiutò…
L’emorragia si era fermata e il volto del consulente era meno pallido. Il peggio sembrava passato. Secondo i paramedici, il proiettile era entrato e uscito senza ledere troppo gravemente alcun organo vitale, per quanto la conferma sarebbe venuta dopo i dovuti accertamenti in ospedale.
«I paramedici hanno richiesto l’invio di un elicottero», spiegò Van Pelt. «Visto il posto, è il mezzo più veloce e qui c’è spazio per l’atterraggio.»
Di lì a poco, infatti, un lontano rumore di pale echeggiò tra le montagne, annunciando l’imminente arrivo del velivolo di soccorso.
«Uno di voi può accompagnare il ferito, se lo desidera», informò uno dei paramedici.
«Vado io», disse Lisbon a Van Pelt, senza mai distogliere lo sguardo dal convulso affaccendarsi dei soccorritori intorno al corpo di Jane. Sembrava così debole, in quel frangente, così indifeso. Non lo vedeva così da quando quel rapinatore… come si chiamava?... aveva tentato di affogarlo in un lago sulla scena di un crimine, cogliendolo alla sprovvista e tenendolo con la testa sott’acqua finché non aveva creduto di averlo ucciso.  
Dopo che la lettiga fu assicurata al mezzo, ognuno prese posto sull’elicottero, compresa Lisbon, che subito strinse la mano di Jane tra le sue.
«Morire, dor…mire. Dormire… e, …forse, so…gnare…», sussurrò lui, ad un tratto.
«Cosa…?» Lisbon lo guardò perplessa.
«Shakespeare», disse il paramedico che stava monitorando i parametri del ferito.
Senza aprire gli occhi, ma sforzandosi di sorridere, Jane aggiunse: «Né… morire… né dormire … è stato possibile… con… te accanto… Lisbon, ma… sognare... quello sì»
Buon vecchio Jane! Lisbon, imbarazzata, lanciò un’occhiata al paramedico, che stava sicuramente sogghignando dietro la mascherina bianca!
«Ti dirò più tardi ciò che ti meriti, Jane! Ora, riposa.»
La giornata volgeva al termine e il sole si preparava a calare per lasciare gradualmente il posto alla notte, che sarebbe stata serena e stellata. Una coppia di falchi volteggiava a debita distanza dall’elicottero, sagome nere contro il cielo infuocato. Era stato un pomeriggio difficile, ma tutto lasciava ben sperare.
Forse, un giorno, avrebbero ripreso da dove erano stati interrotti…
  
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