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Autore: Maya98    09/02/2013    1 recensioni
" [...] Sul prato di petali rossi, sei tu,
stille a una lapide nera.
Non c'è speme per noi, uomini rei
se non quest'angoscia sincera [...]"
John va a trovare Sherlock una domenica di primavera e si chiede se esiste un posto, nel giardino del Mind Palace di Dio, in cui loro possono ancora stare insieme.
Tutto urla Reichenbach, non serve dirlo, vero? Giusto perchè il fandom ha bisogno di un po' di sano Angst. Ho scritto la poesia e poi mi è venuto in mente di aggirarci intorno una one-shot, non sono riuscita a trattenermi. Perdonatemi il ritorno.
PS Non mordo se recensite; Non è una fic tutta poesia, anzi, il testo c'è quindi non scoraggiatevi ad entrare. Se non vi piace sarò contenta di comprenderne i motivi e quindi recensite pure negativamente
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Each time I fell, I fell for you'
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SU PRATI DI ROSE FIORENTI

Del sole sorge lo raggio, spiraglio;

È l’ennesima mattina di primavera, con il sole che accenna un timido sorriso alle ante della finestra. I risvegli non potrebbero essere più dolci, e al tempo stesso più dolorosi, steso su questo letto che sa di muffa e umidità, e acqua, acqua e tanta acqua che mi circonda e mi prende i polmoni per impedirmi di soffocare. Umido.

[ c’è stato un momento in cui credere

mi sembrava ancora possibile ]

Aprire gli occhi contro la luce abbagliante che riflette sui vetri fino a trafiggermi gli occhi, scheggiando tutto in pezzi di cristallo e facendo cadere i frantumi sul pavimento. Non li raccolgo mai, non ha più senso. Li lascio a prendere polvere e a trasformarsi in sabbia cristallina insieme ai cocci del mio cuore, che giacciono ancora sul tappeto, ignorati.

[ c’è stato un momento in cui vivere

mi sembrava ancora plausibile ]

È difficile sacrificare il mio unico giorno di riposo, la domenica, per andare a farti visita. Eppure il mio fisico ne dipende, appassisce su sé stesso, se ne salto qualcuna. È come se repellesse la voglia di ricominciare, come se intendesse seppellirla sotto cumuli di carne fino a farmi venire l’orticaria alla sola idea. Perciò, ogni domenica mattina, faccio un salto da te. Mi fermo a parlarti, ti dico cose stupide, e ripeto che mi manchi. Fosse solo quello, forse riuscirei a iniziare. Non mi piace mentirti, ma non voglio dirti la verità. Ma forse non ha importanza. Tu le hai sempre scovate le bugie, non è vero?

[ c’è stato il momento in cui la linea di non ritorno

sembrava essere abbastanza lontana ]

Camminare all’aperto mi stanca, ma è davvero così raro trovare un tiepido sole simile a questo in Londra, e prendere un taxi sarebbe sprecato. C’è verde, intorno, insieme al grigio. L’inverno sta finendo, ma solo per il mondo circostante. C’è ancora qualcuno, qui, che l’inverno lo sta vivendo dentro e non accenna a voler fare arrivare il caldo. L’aria mi entra con prepotenza nei polmoni, ma non ne percepisco l’ossigeno. Ho smesso di respirare mesi fa, e sembra che il mio organismo non abbia affatto fretta di riprendere a farlo. Chiuso in una bolla. Chiuso in una bolla, ecco come mi sento. Santo cielo, che metafore mediocri. Come mi hai ridotto, Sherlock? Come mi hai ridotto?

[ quel momento, in cui l’idea di te

poteva essere ancora superata ]

Non c’è nessuno, al cimitero. Forse perché è troppo presto. Forse arriveranno tutti intorno alle dieci, un’oretta appena prima di pranzare. Fare un saluto ai cari, sepolti sotto terra, portare un mazzo di fiori, magari. Bè, lo sai. Non ti ho mai portato fiori. Se fossi stato vivo, mi avresti riso dietro con quella tua risata sprezzante, una di quelle che non erano sincere. Erano belle, le tue risate, sai? Quelle spontanee. E anche i tuoi sorrisi, quando sorridevi davvero con tutto quanto te e non solo con le labbra. Quando anche il tuo guardo rideva, raggiante, e i tuoi occhi rispecchiavano il cielo e l’acqua e il mare e la pioggia circostante. C’era il mio mondo, nei tuoi occhi, sai? Era quello a bastarmi.

la pioggia si infrange nel blu,

[ mi sono sbagliato ]

Mi sono sbagliato a credere di poterti superare.

[ mi sono sbagliato ]

Mi sono sbagliato a credere che il soldato dentro a me fosse morto.

[ è vivo, più vivo che mai;

non lo senti respirare piano? ]

Vorrei essere morto. Vorrei che tutto questo smettesse. Sono ancora lo stesso John Watson, quel John Watson che è tornato dall’Afghanistan ed è diventato una persona noiosa, persa nel grigiore di Londra. Se non ci fossi stato tu, a salvarmi, sarei ancora in quelle condizioni. Anzi, lo sono. Perché tu sei stato la mia seconda guerra, Sherlock Holmes, la mia seconda e dolorosa guerra. Sono ancora un soldato ferito che è stato strappato dalla sua vita e che procede come persona noiosa.

[ ma non ci sei più tu

a sollevarmi dall’abisso ]

Ho impugnato la pistola. Ho sentito il metallo sulla pelle della mano e su quella della tempia. L’ho gettata in fondo ad un qualcosa che non sono sicuro che abbia un fondo. Mi hai cambiato, eppure sono sempre lo stesso. Cosa succede? Cosa mi hai fatto? Cosa hai cambiato in questo essere umano, perché non lo hai lasciato al destino di tutti i mortali, nella polvere e nel fuoco, a lasciare che fosse consumato dalle fiamme di un incendio che non è stato in grado di appiccare?

[ hai raccolto le mie speranze

come pezzi di vetro,

le hai gettate nel pozzo di sogni

in cui ero sempre vissuto ]

Torna. 

Chi sono io adesso? Chi sono senza la tua presenza al fianco, a chi corro dietro, a chi sto vicino, di chi sono il fedele e fidato blogger e unico amico?

[ c’è di più ]

C’è sempre stato di più.

e i colori si aprìano al tuo ventaglio:

Sono solo, adesso, con questo tiepido sole che accarezza la pelle di una persona che è marcita dentro come un frutto lasciato ad andare a male. Mi hanno privato della polpa per farne un frullato, ma all’esterno rimane l’illusione di una scorza luccicante. Non potevano seppellirti in un posto più bello, lo sai, Sherlock? L’albero sotto la quale c’è la tua tomba fa ombra sul prato, allungando i suoi rami come bisce striscianti e affettuose che tentano di avvolgerti in un abbraccio protettivo alla luce del sole. Sono geloso di questo albero. Sono io che vorrei abbracciarti, ora. Ma l’aria è frizzante, e c’è verde intorno. È proprio un bel posto per riposare per sempre. Certo, preferiresti un microscopio e il tuo bel violino, vero, piuttosto che un parco naturale? Eppure la sera, da qui, dovresti vedere le stelle. Le vedi, Sherlock, le stelle? O l’oscurità le ha offuscate, come per me? Riesco quasi a vedere i tuoi vitrei occhi puntati verso l’alto, sdraiato sotto cumuli di terra calda. Vorrei tirarti fuori. Vorrei scappare via.

[ in fuga da cosa, poi?

neanche tu lo sai ]

Sono i colori del mondo che stanno scivolando via dalla tavola di pittore che ho in mano. La mia tela è un foglio bianco, vuoto, sterile. Manca il colore per disegnare i tuoi occhi. Mi sarebbe piaciuto poterti osservare ancora per sapergli dare un nome, sai? Ma credo che cambiassero col clima. Occhi cangianti. Due piccoli boccioli di stelle in un palazzo stipato di libri ordinati. Non ho mai capito questa cosa del palazzo mentale, lo sai? Avrei voluto chiederti di spiegarmela. Avrei voluto chiederti un sacco di cose.

non c’è voce divina, lassù.

Se prima avevo un po’ di fede nei confronti di un qualcuno, là in cielo, ora l’ho persa del tutto. Perchè davvero, neanche una persona ipocrita come te lascerebbe una così lunga sequenza di anime a disperarsi nella vita terrena. Neanche tu, se fossi un dio, mi avresti lasciato a perire in questa polvere. Dio non può essere così crudele, e se non può esserlo significa che un dio non c’è proprio.

Che dici, ha anche lui un palazzo mentale?

[ lasciami affondare ]

Lascia che mi riprenda oppure fammi cadere.

[ lasciami precipitare ]

Voglio vedere la linea di confine tra il nulla e il vuoto, esattamente come la devi aver vista tu mentre ti sei gettato. Ti ho visto volare come un angelo, e cadere come un qualcosa gettato giù dal paradiso. Ma Dio non c’è, vero? Allora che senso ha fare tutte queste metafore religiose?

[ lasciami affogare ]

Lascia che tutta l’acqua che mi sento dentro corroda la diga e mi si riversi dentro. Il bruciore nei polmoni, quando l’aria viene sostituita, la foga, lo scalciare, il petto che batte, le vene che pulsano, e la paura di morire che è davvero terrore o solo voglia?

[ desiderio di una pace

che neanche la morte può dare ]

Lasciami andare. Slega le catene che mi tengono dolorosamente ancorato a te. Un relitto collegato a qualcosa che è già affondato. Stai ridendo di me, vero? Oppure piangi per la mia stupidità? Non voglio che tu provi compassione per ciò che sono diventato. Vorrei solo che mi venissi a salvare una volta e di nuovo. Magari esiste ancora un posto dove io e te possiamo stare ancora insieme.

Sul prato di petali rossi, ci sei:

Dove sei, Sherlock, adesso? Dove sei?, voglio raggiungerti. Mandami un messaggio, fammelo capire, lascia che per l’ennesima volta sia io a venire da te. Dove sei, Sherlock, dove? Giaci su un prato verde smeraldo, rifugio della tua anima brillante, sotto un cielo coperto di nebbia stellata e pezzi di vetro da ritagliare con le dita? Dimmi, non ti annoi? Non vuoi che ti porti il cellulare, o il tuo violino da “strimpellare” per farti riflettere? Dimmi, non hai bisogno di qualcuno che vada a prenderti il latte o che ti faccia il te? Sei davvero disteso su quel prato a guardare l’arcobaleno che mi hai sottratto catturato in una goccia di pioggia?

[ sto morendo ogni giorno aspettandoti ]

Voglio venire con te in quel meraviglioso e terribile posto. Forse in due ci si annoia meno. Forse posso ancora dirti tutto quello che dovevo, che sei un eroe, che sei umano, che non potrebbe esistere una persona migliore di te e che ti amo, ti amo e ti amo?

[ hai un posto nel cuore di Dio? ]

Abbiamo un posto nella mente di Dio, un posto in cui poter riposare?

[ ho un posto nel cuore di Dio? ]

Esiste ancora un giardino in cui rintanarci per ridere e stare insieme, e risolvere casi, e aspettare Lestrade, e lamentarci di Mycroft, e compatire la povera Molly, e ringraziare ancora Mrs. Hudson per tutte le volte che ci ha perdonato anche per gli spari sui muri?

stille a una lapide nera.

Ti prego Sherlock, torna, torna, torna, torna, ho bisogno che tu lo faccia per me.

Per una volta, ti prego, farai questo per me?

[ sto piangendo ]

Non ho lacrime da versare ancora su uno spacco di marmo nero su cui scintilla il tuo nome in caratteri dorati. Non si staglia nessun epitaffio, anche se mi sarebbe piaciuto. Chissà che frase avresti chiesto? Forse “once you eliminate the impossible, whatever remains, however improbable, must bu true”? Ti piaceva così tanto dirmelo. Me lo ripetevi in continuazione. Ho memorizzato ogni singola inflessione della tua voce, mentre me lo sussurravi per l’ennesima volta, ma pagherei con etti d’anima per potertelo sentire pronunciare di nuovo.

[ il mondo che ho dentro

travolto dalla tempesta

si sta frantumando ]

È la devastazione di qualcosa che non ha più un senso. Mi piacerebbe accoccolarmi vicino ad un camino, aspettando il temporale. Solo tu calmavi i miei incubi sui tuoni, suonando il tuo violino e tacendo le granate. Mendhelsonn in particolar modo aveva più effetto sui miei nervi, e quando le note de “La barcarola” viaggiavano attraverso le stanze fino ad unirci, credo che anche tu fossi commosso dalla profondità di tale musica.

[ poi tutto esplode ]

Il dolore di qualcuno che è già morto.

[ c’è tanta luce ]

I movimenti di una macchina senza empatia.

[ ma ho tanto freddo ]

Ogni tanto ripenso al tuo ridicolo cappotto col bavero, e mi piacerebbe averlo con me per poterlo abbracciare e respirare il tuo odore, oppure per stringermi dentro e cercare la sensazione di calore che da molti mesi mi ha abbandonato. Doveva far freddo, su quel tetto, no? Non è brutto morire nel freddo? Perché non mi hai aspettato? Perché?

Non c’è speranza per noi uomini rei,

La morte di un amico è qualcosa che si porta sulle spalle per sempre. È una colpa a cui non ti puoi sottrarre, il giudizio di un tribunale crudele che non accetta appelli, e il tuo avvocato è soltanto il diavolo che digrigna i denti aspettando il verdetto.

[ la tua colpa è la mia:

scarica sulle mie spalle anche il tuo fardello ]

Ho sonno, ho voglia di dormire. Posso sdraiarmi con te, Sherlock? Posso sedermi? L’erba umida del prato è così morbida, e se mi sdraio verso il cielo, con la testa che sfiora la tua lapide, riesco a vedere il sole. C’è tanta luce, ora. Non ti dà fastidio, così tanta luce?

[ lacrimosa dies illa

qua resurget ex favilla,

judicandus homo reus

huic ergo parce deus ]

Perché gli uomini colpevoli non hanno diritto ad una tregua, a qualche notte di sonno non tormentata dagli incubi in cui continui a rivedere il tuo fardello frantumarsi al suolo in una pozza di sangue che tanto vorresti arginare con le dita?

[ pie Jesu Domine,

dona eis requiem! ]

Dammi un po’ di pace, concedimi il riposo! Qui, sdraiato con il mio migliore amico e la persona più importante della mia vita, e di più, lasciami godere di un po’ di quel tepore che ingiustamente mi è stato sottratto!

se non quest’angoscia sincera.

La vita che va avanti è una spirale di monotonia. I gesti che compongono una giornata sono uguali alla precedente. E la cosa peggiore, la cosa peggiore è passare sotto gli occhi della gente. Gli sguardi maligni, quelli perfidi, la compassione e la tristezza, e i ‘come stai?’ a cui non riesco a rispondere ‘come dovrei stare?’ perché sono un uomo buono, infondo, un uomo troppo buono e gentile e tu me lo ripetevi sempre, e forse era un difetto o forse non lo so e ormai i miei pensieri non hanno neanche più coerenza, perché la vita non ha senso.

 [ mi hai salvato,

perché non ti sei lasciato salvare

a tua volta? ]

Non ti sei lasciato avvicinare. Se mi avessi lasciato entrare forse sarei stato in grado di fermare tutto questo. Ma la cosa che mi brucia di più, Sherlock, che mi brucia nel petto è questa: perché?

Perché l’hai fatto, se non era vero niente? Perché eclissarti, abbassarti e sottometterti a tutte quelle menzogne, perché non riemergere nella luce come una supernova, dimostrando di essere ciò che veramente eri? Perché hai ceduto a quell’atto così poco da te, così strano e insensato? Perché mi hai chiesto di tenere gli occhi fissi su di te per tutto l’arco di tempo in cui sei precipitato? È stato l’ultimo atto del tuo ego gigantesco, forse, quello di voler rimanere impresso nei miei incubi fino alla fine dei miei giorni? È questo? Bé, ci sei riuscito. Ma ci saresti riuscito anche senza costringermi spettatore di quel terrificante spettacolo, perché sei entrato dentro me come nessun altro è riuscito a fare.

[ dammi un motivo ]

Dammi un motivo per non mollare tutto e non correre da te, o per non chiudere gli occhi e rimanere per sempre su questo prato, con l’erbetta fresca cresciuta sulla tua tomba a farmi solletico alla nuca. Dammi un motivo.

[ uno soltanto ]

Per smettermi di fidarti di te.

[ non esiste ]

E allora rassegnati alla mia fedeltà, poiché è di questo che si tratta. Solo di questo.

Affogare la colpa, volenti o nolenti

È qualcosa da cui non riesco a fuggire.

 [ prigioniero di te anche nei sogni,

la chiave per queste manette? ]

Aiutami a trovarla e giuro che ti lascerò in pace. Ma se l’hai gettata in mezzo al pozzo di ricordi che scava dentro il mondo fino a raggiungere il centro della terra, senza sbucare dall’altra parte, allora rassegnati a vedermi sempre dietro di te. Arrancando, correndo perché al tuo passo non riuscirò mai a stare, ma aspetta sempre a voltarti se non vuoi incontrare i miei occhi.

[ sarò dietro di te ]

Sarò sempre al tuo fianco in qualunque modo, che ti piaccia o meno. Per una volta lasciami padrone del mio stesso destino e lascia che sia io a decidere se sollevarmi e volare oppure affondare scavandomi la mia fossa di fianco alla tua.

[ sarò dietro di te ]

Non lascerò che i miei occhi si discostino neanche un momento dalla tua figura, perché non voglio perderti di nuovo. Ma lasciami prendere questa decisione, almeno una volta, o meglio: fammi riposare ancora un po’ accanto a te prima di capire ciò che voglio fare della mia vita. Ho le mani legate.

[ ci sarò sempre, per te

a qualunque costo e condizione

perché sono stanco di essere lasciato indietro ]

Ti terrò per mano, ma non lascerò che mi abbandoni di nuovo.

c’è un disegno nell’azioni sue?

Dimmi almeno se c’è un motivo per cui io debba soffrire così tanto. Dimmelo, e giuro che non aprirò più bocca. Non lo farò perché non importerà. Ma dammi un motivo. È tutto ciò che ti chiedo.

[ le catene della ragione si liberano

alla prigionia della logica ]

Perché affonderò il viso nella tua acqua per bere avidamente, anche se dovessi scoprire che è avvelenata. Non c’è altro che possa dissetarmi. Non c’è niente che mi possa staccare da te. Non c’è donna, non c’è cadavere, non c’è Moriarty che tenga, piuttosto che Rich Brook o stupide giornaliste, o le menzogne — tue e dei giornali o altri acerrimi nemici, piuttosto che bombe o esplosivi...che importa? Non c’è niente che mi potrà separare da te.

[ neanche la morte ]

Non sarò io a morire per trovarti. Sarai tu a tornare da me, perché io sono già morto troppe volte, e non ha senso uccidere così un corpo. Non ha senso nemmeno se tieni così tanto ai miei organi da volerli esaminare minuziosamente al microscopio, prima di nascondere i miei alluci nel frigo e i miei occhi nel microonde?

[ mi sezionavi ogni volta che mi guardavi,

perché ne hai bisogno

ora che non hai più occhi per farlo? ]

Vorrei che esistesse un senso in tutto questo.

Ma non sono sicuro di volerlo trovare.

E sarà all’alba delle rose fiorenti,

Nella radura nascosta nel giardino del palazzo mentale di Dio, sotto un cielo stellato, con i petali rossi di rose sugli occhi e le mani strette e intrecciate, guardandoci di nuovo insieme, oltre tutto e ridendo

che giaceremo noi due.

 

[ FINE ]

 

 

 

 

 

 

Angolino della Skizzata:

Ok, ok, un bel respiro.

Ho appena finito questa cosa...non chiedetemi cos’è. Non è una fanfiction. Sono più che altro un’accozzaglia di parole insensate. Bene. Quindi? Lasciatemi fare le note di fine pagina che nessuno legge.

Le frasi sono tutte farina del mio sacco tranne quelle in latino. “Lacrimosa dies illa qua resurget ex favilla, judicandus homo reus huic ergo parce Deus. Pie Jesu Domine, dona eis requiem”, sono le parole della “Lacrimosa” del Requiem di Mozart. Se non lo avete ascoltato, fatelo ora. Dovrebbero significare più o meno “Giorno di lacrime, quel giorno, quando dal fuoco risorgerà l’uomo reo per essere giudicato. Ma tu risparmialo, o Dio. Pietoso Signor Gesù: donagli il riposo! (Amen)”. Non so, mi sembrava particolarmente adatto.

Punto due: la poesia è di mia invenzione, eccola completa

Del sole sorge lo raggio, spiraglio;

la pioggia si infrange nel blu

e i colori s’aprìano al tuo ventaglio:

non c’è voce divina, lassù.

 

Sul prato di petali rossi, ci sei,

stille a una lapide nera.

Non c’è speme per noi, uomini rei,

se non quest’angoscia sincera.

 

Affogare la colpa, volenti o nolenti,

c’è un disegno nell’azioni sue?

E sarà all’alba delle rose fiorenti

che giaceremo noi due.

Mi vergogno di questo obbrobrio, ne sono consapevole. Certo, ho scritto di peggio, ma anche di meglio, eppure non riuscivo a non pensare a John e a Sherlock quando l’ho riletta. Eccone il risultato.

Detto questo, terzo punto: non è betata. Se volete segnalarmi errori o accorgimenti siete i benvenuti :D

Punto quattro, le recensioni sono sempre gradite. Da quelle positive a quelle critiche, perché sbagliando si impara. Quindi sarei davvero felice se qualcuno volesse anche solo scriverci qualche parola.

Punto cinque: no a scopo di lucro blablablablablabla

Infine, credo di aver concluso. Sono molto stanca, e la rileggerò appena avrò la mente lucida. Tuttavia la pubblicherò subito, perché sono una persona paziente. Buon carnevale a tutti!!!

 

Maya

 

PS Punto sei: dedicata alla mia Christie, ma tanto non la leggerà.

  
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