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Autore: DansUnReve    09/02/2013    3 recensioni
There are two kind of folks who sit around thinking about how to kill people: psychopaths and mystery writers. I'm the kind who's paid better. Who am I? I'm Rick Castle.
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Elementary, my dear Watson!

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Cosa succede quando uno scrittore di libri gialli, dalla fervida immaginazione, e un investigatore privato, dalla grande attenzione per i dettagli e un po' psicopatico, collaborano allo stesso caso come consulenti del New York City Police Departement?
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Quasi tutti, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Questo è il mio primo cross-over. Si tratta di una delle storie del signor Doyle, riadattata ai giorni nostri e che ha per protagonisti alcuni dei personaggi di due serie che seguo spesso! Non ho mai scritto gialli, e prutroppo entrambi i personaggi che ho usato hanno delle forti personalità, per cui ho paura che uno copra l'altro; mentre i personaggi secondari sembra lasciati un po' al loro destino.. Non sono certa di come sia venuto, per cui vi prego di recensire in tanti. Attendo consigli!

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Richard si era addormentato sulla tastiera del computer mentre lavorava al libro. La nuova uscita di Nikki Heat sarebbe stata un successo. Fu quello il suo primo pensiero, ancora con il cervello annebbiato dal sonno. Poi si accorse che era stata la vibrazione del suo telefono a destarlo dal suo riposo. Si passo una mano sulla faccia e guardo l'orario. Erano le sette del mattino e non c'era nessun altro oltre a Beckett che avesse la sfacciataggine di destarlo aquall'ora. Controllò il messaggio.

403 East 12th Street. Subito.

Si alzò, si lavò la faccia e si vestì di tutto punto. Dopo essersi infilato il cappotto e aver trovato, miracolosamente, le chiavi della macchina, sentì la sua tasca vibrare. Sbuffò. Beckett aveva fretta evidentemente. Pensò a quello che poteva essere successo e la sua fervida immaginazione iniziò a volare in alto. Prese il telefono in mano e lesse, mentre velocemente anda a prendere la macchina.

Muoviti. Abbiamo compagnia, oggi.

Che voleva dire 'abbiamo compagnia'? Lasciò perdere il messaggio misterioso della poliziotta e mise in moto. Iniziava a prendere da lui, con i suoi SMS creava la suspance degna di un libro giallo. Per bambini. Richard sorrise al pensiero di lei che lavorava al pc, con la piccola ruga sulla fronte che le usciva sempre quando pensava a qualcosa.

Nel giro di venti minuti arrivò sul posto, che fortunatamente non era tanto distante da casa sua. Quando scese dalla macchina, individuò facilmente la collega, che lo stava aspettando davanti al portone d'ingresso di una palazzina dai mattoni rossi, con sotto un piccolo caffé. Stava parlado con una donna molto bella, dai capelli lunghi e ondulati e i tratti orientali. Probabilmente qualche testimone. Si avvicinò a passo deciso.
-Castle!
Esclamò Beckett e dal tono sembrava piuttosto spazientita.
-Era ora che arrivassi!
-Che cos'è successo?
Valutando l'acidità nelle parole della donna, decise che, forse, era meglio saltare i convenevoli.

Cosa pretendeva? Che mi teletrasportassi qui?

-Lei è la dottoressa Watson.
Fece, indicando la donna con la quale stava parlando poco prima.
-Ah, piacere. Lei deve essere una testimone. Vorrei avere il piacere di parlare con lei, non appena mi verrà spiegata la situazione.
Sorrise Richard, spostando poi lo sguardo su Beckett, quasi a rimproverarla perché lui non sapeva ancora nulla.
-Io veramente non..
Stava rispondendo la donna quando dal portone uscì Esposito, tenendo un altro uomo per la collottola.
-Mi lasci andare! Siete degli idioti! Fatemi vedere la scena del crimine, voi non ne capite niente!
Strepitava quello, insolete.
-Sherlock la smetta di fare il bambino!
Lo rimproverò la donna, con aria dura e severa. Lui si scostò in malo modo dall'agente Esposito e si riassettò il soprabito.
Castle spostò gli occhi su quello strano soggetto, e ripensò a come era stato chiamato. Sherlock. Aveva già sentito quel nome da qualche parte.
-Castle. Lui è Sherlock, investigatore privato, nonché consulente al Dipartimento.
Ma certo! Come dimenticare! Aveva seguito un paio delle sue investigazioni, forse ne aveva letto sui giornali. Si diceva fosse un genio per la sua abilità d'osservazione.
-Molto piacere.
Fece allungando la mano. Quello non ricambiò subito, si soffermo piuttosto a guardarlo per qualche secondo, quasi fosse una bestia da macello e stesse decidendo dove tagliare.
-Allora, che cos'abbiamo oggi?
Fece rivolgendosi a Beckett, ma fu Sherlock a rispondergli prontamente.
-Ex soldato in Iraq. Tornato da poco per una ferita che non gli permetteva più di combattere. Come lo so? Ha un bastone nel portaombrelli all'entrata, e sebbene sia molto bello e decorato, ha vari graffi e incisioni, il che mi fa pensare che lo usi per andare a passeggio. In cucina ho trovato un almanacco dove tiene la contabilità, le sue entrate sono molto diminuite dopo il suo ritorno; almeno quelle ufficiali. Però continua a vestirsi bene e quel bastone vuole mostrare un'opulenza che in realtà non gli appartiene. Evidentemente è molto orgoglioso.
Castle era rimasto leggermente spiazzato, e aveva sgranato appena gli occhi. Non appena il detective privato finì di parlare, si ricompose.

Certo è all'altezza della sua fama.

-Posso vedere il corpo?
-Quale corpo?
Chiese l'altro senza capire.
-Quello dell'uomo ovviamente.
-Mi dispiace deluderla, ma il signor Roylott è ancora tutto intero e si trova laggiù, vicino alla sua macchina.
-La mia macchina?
-Sì, dai modi e dai vestiti che ha si capisce che lei non ha problemi di soldi, figuriamoci se risparmierebbe sul mezzo di trasporto. Quindi immagino che quella Jaguar nera sia sua.
Sempre più stupito, Castle si voltò a guardare la sua macchina. Lì vicino c'erano Ryan con un signore attempato, più sulla sessantina che sulla cinquantina. I capelli erano bianchi, tagliati corti, e aveva un portamento rigido, da militare. Il signor Roylott.
-Be', ma se il signor Roylott è vivo, che cosa ci facciamo qui?
-E' la figliastra ad essere morta.
Questa volta rispose la dottoressa. Richard non stava capendo più nulla e si voltò verso Beckett, con aria interrogativa. Per tutta risposta, quella scrollò le spalle e entrò nel palazzo. La seguì poco dopo insieme agli altri due.
-E' stato un omicidio a camera chiusa. La donna si era trasferita dal padre dopo il suo rientro, per dargli una mano. A causa della ferita, così ha dichiarato il signor Roylott all'agente Ryan, non riusciva a compiere i lavori domestici. La figliastra, Giulia, avrebbe dovuto sposarsi tra pochi mesi.
Il gruppetto raggiunse l'appartamento al quarto piano, ed entrò nella camera da letto dove il cadavere della donna, giaceva ancora sul pavimento poco oltre la soglia, prono. C'era un unica finestra, chiusa. La porta d'ingresso alla stanza aveva dei segni d'effrazione, e Beckett lo informò subito che era stata la polizia a forzarla.
La stanza era molto comune. Un armadio sulla destra, la scrivania con varie carte gettate alla rinfusa sul fondo, sotto la finestra e il letto con affianco il comodino vicino all'entrata. O era una donna molto disordinata, oppure qualcuno aveva cercato di trafugare qualcosa da qualla stanza. Gli abiti erano gettati a terra e sul comodino c'erano tre bicchieri, di cui uno era mezzo vuoto e conteneva acqua.
La donna era in pigiama. Non aveva lividi, tagli o graffi e non c'era sangue. Il letto era disfatto, segno che stava dormendo, ma per qualche motivo la donna si era alzata. Magari aveva avuto un malore e si stava dirigendo ai servizi.
-La cartella clinica?
-Oh, era in ottima salute. A quanto pare aveva fatto gli esami del sangue appena un mese e mezzo fa e i valori erano regolari. Per questo siamo intervenuti. In più il padre ritiene sia stato un omicidio.
Rispose Beckett.
-Lui era in casa in quel momento?
-No, racconta di essere stato in un bar a bere fino a tardi.
-Allora chi ha chiamato la polizia?
-L'altra sorella.
Fu Watson a intervenire questa volta. In quel momento Castle si accorse che erano soltanto in tre nella stanza, escludendo il cadavere.
-Dov'è il suo compagno, signorina?
Le due donne si voltarono alla ricerca di Sherlock, ma perplesse non lo trovarono. Castle allora tornò nel salone, e passando davanti al bagno, che aveva la porta aperta, lo trovò in ordine, anche se pieno di cosmetici. Sicuramente la donna ci teneva alla cura del suo corpo. Nel salotto l'investigatore era intento ad annusare l'aria, alla ricerca di chissà quale traccia. Fece finta di non badare a lui, anche se sconcertato dal suo strano comportamento e iniziò a guardarsi intorno, quando i suoi occhi caddero sul tappeto. C'erano dei peli sopra.
-Dov'è il gatto?
Chiese d'impulso, ma parlando tra sé.
-Ottimo spirito d'osservazione! Peccato che non siano peli di gatto. E nemmeno di cane.
Gli disse Sherlock.
-E lei come fa a dirlo scusi?
-Ho controllato tutti gli scompartimenti in cucina, e non vi sono scatolette di cibo per animali domestici.
-E allora, di che animale dovrebbero essere?
Chiese tornando a guardare quei quattro fili grigi, che ben risaltavano sul tappeto crema.
-Be', o il signor Roylott ha una vera e propria passione per l'erbologia, visto il grade quantitativo di piante nel suo studio, tra cui anche un piccolo alberello di eucalipto, oppure..
-Koala!
-Esattamente signor Castle. Ho motivo di credere che il signor Roylott traffichi animali esotici.
Certamente, come non pensarci prima?
-Inoltre, sempre nel suo studio, ho trovato alcune teche di vetro, ben nascoste dentro uno spazioso armadio a muro, nascosto da una libreria, piuttosto vuota..
Già, ma questo non riguardava il caso della morte della figlia. Intanto, nella stanza erano arrivate Beckett e Watson.
-Sono le otto di mattino e abbiamo la mente troppo addormentata per riuscire ad andare avanti con le indagini. Io e la dottoressa volevamo tornare in centrale in centrale per rimettere a posto le idee e confrontarle.
-Io volevo parlare con la sorella in realtà.
Intervenne Castle.
-Lei è già alla centrale.
Così dicendo, si chiuse il discorso.

Arrivarono alla centrale poco dopo e presero un caffé in silenzio, tutti rimuginando sulla faccenda. Poi, Beckett si alzò e, seguita dagli altri, andò ad interrogare la sorella gemella della defunta Giulia, Helen Roylott.
-Signorina Roylott, come mai si trovava a casa del padre, a quell'ora del mattino?
-Di questi giorni Giulia si sentiva male, così aiutavo io mio padre, e siccome so che lui è molto mattiniero, sono arrivata a casa per le sei, solo che non ho trovato nessuno. Il letto di mio padre non era stato sfatto e quando sono andata in camera di mia sorella l'ho trovata chiusa a chiave.
-Così ha chiamato la polizia..?
-Si, esattamente.
-Ha visto qualcosa di strano in questi giorni, a casa di suo padre?
-No. O forse si, però, non mi sembrava troppo strano.
-Ovvero?
Chiese Beckett inarcando un sopracciglio.
-Be', ecco, l'altro giorno, sono entrata di colpo nello studio di mio padre. Io non pensavo.. non credevo fosse in casa, però era lì e quando sono entrata ha nascosto subito una banda maculata all'interno di un grosso vaso al fianco della sua scrivania. Io gli ho chiesto scusa e sono uscita subito. Sa, lui non vuole che lo ditrurbiamo là dentro..
-Scusi, lei si deve sposare?
Era intervenuto Sherlock e tutti si erano voltati a guardarlo.
-Dovresti stare zitto.
Intervenne Watson, ma lui non la calcolò minimamente e continuò imperterrito.
-Ho visto che ha un anello di fidanzamento al dito. Si sta per sposare?
-Si
Rispose quella incerta.
-Lo faccio uscire io.
Disse Watson, che si stava già alzando e prendendo per l'avambraccio Sherlock, a Beckett.
-Proprio come sua sorella?
Questa volta era stato Castle a intervenire.
-Tu non sei da meno, non hai il diritto di parlare Castle. Voglio fuori anche te.
-Nessun problema. Penso di aver trovato la soluzione al caso.
Disse, scambiandosi un occhiata con l'altro uomo. Beckett fece finta di nulla, chiuse la porta della stanza alle sue spalle e continuò il suo interrogatorio.

Fuori dalla stanza a vetri, in cui Beckett ancora insisteva con il parlare con la sorella della vittima, Castle trovò Sherlock che complottava con Watson, ma appena lo videro smisero di parlare. Poi a lei squillò il cellulare e si allontanò.
-Allora, scrittore, ha capito come risolvere il caso?
Chiese l'investigatore.
-Penso di sì. Penso anche che lei sia giunto alla mia stessa conclusione.
-In realtà, ci ero già arrivato da un po', ma volevo esserne sicuro. La signorina me lo ha confermato.
Castle guardò l'orologio. Stupefacente. Erano le dodici e in meno di sei ore quell'uomo aveva risolto il caso.
-Ho ancora una domanda però. Come?
-All'inizo pensavo fosse tramite l'acqua, ma la scientifica l'avrebbe individuato subito il veleno
-Da dove allora?
-Non penso che ad un uomo come lei sia sfuggito il bagno.
-Il bagno?
-Sì, non ha visto quanti cosmetici c'erano? Non penso che il signor Roylott sia così vanitoso. Penso piuttosto che fossero della figliastra..
-Le creme!
-Esattamente, il veleno dev'essere stato assorbito per via cutanea.
Beckett uscì dalla stanza e li raggiunse.
-Niente da fare. La sorella non c'entra nulla. Mi ha solo raccontato che c'erano dei brutti rapporti con il patrigno, ma che se lo tenevano buono per i suoi soldi.
Disse con una smorfia, ma vedendo i sorrisi trionfanti dei due uomini assunse un'espressione interrogativa.
-Sarebbe bene che la scientifica controllasse un campione di tutti i cosmetici della defunta.
Disse asciutto Castle.

Beckett ancora non aveva capito.
-Quindi sarebbe stato il padre ad ucciderla?
Si trovavano di fronte alla casa del signor Roylott, e lo stavano guardando mentre Esposito e Ryan lo portavano via. Quelo di contorceva, si diceva innocente e urlava improperi.
-Non padre, ma patrigno.
Disse Sherlock.
-Perché ucciderla?
Chiese Watson, pensierosa.
-Avevano dei problemi in famiglia. Le figliastre volevano, però, i suoi soldi. Così avevano deciso di rimanergli vicino.
A questa domanda fu proprio Beckett a rispondere.
-Lui aveva paura che gli avrebbero chiesto di pagare i due matrimoni e ovviamente non voleva. Oltretutto, non voleva lasciare tutto a loro, dopo la sua morte. Le aveva riconosciute come figlie legalmente, solo su insistenza della moglie defunta da circa dieci anni di cancro.
Concluse Castle.
-Cos'ha detto la scientifica?
Domandò ad un tratto Sherlock.
-Si trattava del veleno di un serpente asiatico, la vipera di Russel.
Castle sfogliò velocemente nella sua memoria e si ricordò che l'animale, un serpente che poteva arrivare fino al metro e mezzo di lunghezza, era a chiazze marrone scuro.
La banda maculata.
Poco male, questa sarebbe stata davvero un ottima storia da inserire in un futuro libro di Nikki Heat.


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