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Autore: Mariiiiana    09/02/2013    2 recensioni
Classe 3° A. Due grandi gruppi: gli apatici, amanti del sesso e della droga, composto anche da Mark.
E l'altro gruppo, molto più piccolo, fatto da qualche ragazza e lei: Lauren. Ragazza innamorata da tre anni di un misterioso ragazzo che nel suo giorno sfortunato, decide di rivolgerle le parola.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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« Desiderava fare qualcosa che non lasciasse possibilità di ritorno. Desiderava distruggere brutalmente tutto il passato dei suoi ultimi sette anni. Era la vertigine. L'ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso ».


DRIN.
 

«Perfetto. Riporta l’autore, perfavore, e poi accomodati. Molto bene. Vedo che riesci ad esporre bene questo pezzo. Sei migliorato dall’ultima volta, sai?». Prese il registro, la penna nera che faceva paura a tutta la scuola, e mise un piccolo numeretto in una casellina. La professoressa De Marco era seduta con le gambe a cavalcioni sulla sedia forse troppo piccola per il suo fondoschiena e la sua enorme pancia. I suoi occhiali che emergevano sulla punta del naso aquilino, con quei paurosi occhi color nero scuro, avevano un non so che di familiare.
Ah, suo padre.
Scambiò un’occhiata con la sua vicina di banco e ritornò a fissarlo. Era così bello, così perfetto. Stava in piedi davanti alla LIM che con la sua luce blu accecante gli rendeva il contorno del corpo ancora più perfetto. Come poteva amarlo davvero così tanto? Non poteva, aveva qualcosa di non naturale nel suo cuore. Di pietra. Acida, cinica, stronza, era così che tutti la definivano, una ragazza che ha paura d’innamorarsi. Aveva reagito con una smorfia, si era caricata lo zaino sulle spalle, auricolari alle orecchie e si era seduta sulla panchina, aspettando il maledetto pullman che ancora una volta faceva ritardo.
La definivano anche asociale. Lei gli definiva apatici. Anzi. Amanti del sesso e della droga.
Era come se li separasse un oceano. A Lauren interessava LUI.

Gli passò davanti. Come d’un tratto s’illuminò, gli diede una piccola occhiata, e per non far vedere che lo guardava ogni giorno, ogni volta che gli capitasse di tiro, alzò lo sguardo al cielo. E i lunghi capelli biondi disordinati con i suoi occhi che lei odiava fino allo sfinimento, color nocciola intenso, lacrimarono alla vista diretta con il sole. Era una fottuta giornata solare, anzi, troppo solare. La parola “merda” le uscì stretta dalla bocca, e quel ragazzo si girò di scatto. Si vedeva dallo sguardo che non l’aveva vista ancora, perché sussultò quando Lauren la disse. «Ciao».

Tolse le mani dagli occhi e lo fissò. Aveva gli occhi rossi, ora. E i suoi capelli lunghi e lisci erano ancora sotto il giubbotto nero. «Sono io che ti faccio quest’effetto?»sorrise un po’, fece un passo indietro. Ora era davanti a lei. Almeno 1.80 alto, almeno. Sicuramente. Un giubbotto –bomber, precisamente- rosso. Capelli neri. In bocca una sigaretta. Jeans scuri e nike. E dietro di sé, uno zaino color prugna. Insomma lo stava squadrando perfettamente, e lui inarcò leggermente il sopracciglio destro. Non capiva cosa avesse nei suoi occhi. Erano anche i suoi marroni, scuri, come i suoi. Ma non riusciva a comprendere il motivo di quel calore che provava quando lo scrutava. Non rispose, ovviamente. Era la prima volta dopo tre fottuti anni di scuola superiore che lui gli rivolgeva la parola. «Hai da accendere?», e buttò lo zaino affianco a lei. Stava per svenire. «Sai che è dannoso?». Porca puttana. Tre anni buttati alla merda. L’unica coglionaggine che era riuscita a dire era quella. “dannoso”.

Sveglia Lauren, è più grande di te e ha sverginato a vagonate. Avrà preso l’aids ed è ancora vivo.

Le diede uno sguardo del tipo ‘non sapevo che fossi una suora con relative prediche’.

Vabbé però non sono ermafrodite, dai. I preti fanno le prediche.
Ovviamente, cazzovaffanculocazzo. Perché esisto?! A volte me lo domando anche io. Non lo so. Quant’è bello. Non guardarlo. Fissa altrove. Che bella strada!

Stava per andare in escandescenza.
Si sedette così accanto a lei e prese il suo accendino, che era agli sgoccioli della sua sopravvivenza. Gambe aperte, tipiche dei maschi. Capelli neri, arruffati.
Lauren aveva le mani nel giubbotto e un auricolare nell’orecchio, e l’altro nel giubbotto, per sentire quello che diceva il ragazzo che spiava da circa tre anni e otto mesi. «Lauren, giusto? Sei nel mio corso?» e aggrottò le sopracciglia. Accese la sigaretta e diede la prima boccata. Dall’altra parte della lunga strada, oltre a vedersi gli enormi alberi tipici di Washington, c’era una comitiva di maschi e ragazze –potevano essere una trentina in tutto-, che salutarono Mark. Fumavano tutti in quel maledetto gruppo. Tutti, non c’era una ragazza seria come lei che si salvasse.

Lui a sua risposta alzò il lungo braccio e lo scosse. Per poi ritornare a fissarla. I suoi occhi, precisamente. «Già… Non ti ho mai notato, decisamente»disse lei, un po’ imbarazzata per quei suoi occhi che erano fissi su di lei. Ma mentì spudoratamente. E poi tolse lo sguardo. E come una stupida, fissò di nuovo il sole.

Ma perché sembro sfigata? Io non sono sfigata! Io lo stuprerei non solo con lo sguardo, quando mi capita, ma anche con altri attrezz..

Starnutì, e mise le mani davanti. Cazzo. Era allergica al sole. Un lieve rumore che arrivò alle orecchie di Mark, e rispose: «Salute!»,un maledetto sorriso con i suoi denti bianchi che fece andare in coma Lauren. Non si sarebbe più ripresa. Stava per avere un attacco al cuore. «Davvero non mi hai mai notato?».

Chi? Parla con me? Dio, siamo soli! Mi ama. Chiedimi il numero. Chiedimi se posso saltarti addosso. Dai, tanto lo so che mi ami, non fare il timido…

 

Non sembrava turbato. Più che altro scocciato, perché di lei non sapeva nulla. Lei scosse il capo, e finalmente tolse una mano dal giubbotto. Anche se c’era il sole, faceva freddo. La sua mano ben curata prese l’mp4 e cambiò playlist. Stavolta mise i piedi sulle panchine. Mark le sorrise ancora una volta. E questo le diede fastidio. 

TI DECIDI A INFILARE LA TUA LINGUA NELLA MIA BOCCA, SI O NO?!

Dall’altra parte della strada, alcune risatine soffocate. E un urlo lanciato da Baby John, chiamato così perché era davvero enorme. «Ora te la fai anche con quelle sfigateeeeeeeeeee?!».


Ma tua madre a 69 è una sfigata.

Lei lo guardò con gli occhi rossi, sempre maledicendo un dio nascosto che oggi voleva portargli sciagure a non finire. Aveva rovinato il momento più felice di tutta la sua vita. Era così arrabbiata che sarebbe volentieri uscita da quella piccola ‘cappella’ della fermata del bus, avrebbe percorso a lunghi passi la strada con i pugni serrati e non sapeva cos’altro avrebbe potuto fare lì, in mezzo a tutta quella gente che per lei era estranea. Alcune ragazzine andavano in classe con lei. Ma mai più di un’uscita-due tra loro. Lei non voleva. Preferiva essere chiamata bambina che una ragazza poco seria. E così tagliò i rapporti. Il giorno dopo l’uscita si maledì per non aver chiesto il numero di quel ragazzo misterioso che se comunque andava in classe con loro. Ed era questo più di tutto che l’attraeva di lui.

Lauren non disse nulla, si alzò, prese in spalla lo zaino, e cercò di non fare nessuna figura di merda per quei pochi istanti in cui cercava di andare lontana da quella fermata. Sperò che Mark le disse di non andarsene, ma non sentì nulla, almeno. Lui rimase immobile. Vide solo con la punta dell’occhio che bruciò il bestione con uno sguardo. Lauren svoltò strada e si fermò subito, mantenendosi con una mano sul muro della libreria. Era affannata. Agitata. Sovrappensiero.
Splendidamente felice.











Ok, non posso crederci, l’ho scritta davvero. Che merda né?

Vabbé, bonsoooooir. Questa ff era caduta nel dimenticatoio più assoluto del mio computer, e quando l’ho letta l’ho ristrutturata, perché era ingiusto lasciarla lì foravah alone, like a dog. :c
Ma comunque, grazie a tutti coloro che sono riusciti a mantenere la lettura fino adesso.

Bye bye :’)
  
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