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Autore: Aerith1992    09/02/2013    3 recensioni
Questa è la storia di un elfo e di un umano che si sono conosciuti, sono diventati amici e si sono innamorati nonostante siano di razza diversa.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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È opinione generale degli elfi che gli umani siano una razza inferiore: vivono nelle loro cittadine di pietra, tagliando loro stessi ogni benefico legame con la natura che cresce rigogliosa dove i loro piedi non poggiano; hanno sempre fretta di fare qualcosa e corrono di qua e di là senza nessun ordine, nessuna grazia, generando un rumore insopportabile, come delle galline in un pollaio. Nessun elfo, però, si accinge a fare niente. Sono tutti, o quasi tutti, immersi in uno stato apatico, immobile. Gli elfi sono di natura perlopiù chiusa, introversa, e dedicano la loro vita alle varie arti, circondati dai suoni pieni di vita della natura nella quale vivono e sono perfettamente inseriti. Sono pochi quelli che, spinti dal bisogno di sapere, imparare di più, si allontanano dalla rigogliosa foresta degli elfi (termine improprio, dato che quello con la foresta è un legame di rispetto e amicizia, non di possesso). Arthur è uno di quei pochi elfi.
Ha intrapreso il suo viaggio non pochi anni fa e ha camminato a lungo oramai, ammirando panorami diversi, nuove razze di animali di cui aveva solo letto nei libri. È un viaggio molto soddisfacente, anche se solitario per i canoni umani. Arthur però non è mai solo. Viaggia in quella fascia di foresta in cui non è completamente al sicuro dagli umani, ma non ha bisogno di preoccuparsene troppo, dato che sono solo pochi temerari a raggiungerla. Qui la foresta è viva, non tanto quanto lo è a casa, ma molto di più che vicino alle città umane. I frinii dei grilli, cinguetti allegri, lo stormire degli alberi formano un meraviglioso concerto solo per le sensibili orecchie a punta di Arthur. A volte qualcuno di loro lo saluta nella propria lingua e lui risponde con un leggero sorriso ad adornare le sue labbra, cancellando per qualche minuto la sua espressione accigliata. A volte alcuni animali più coraggiosi fanno a gara a chi lo fa sorridere per primo. Per Arthur è un bel cambiamento: a casa gli animali non hanno problemi ad avvicinarsi, mentre qui, forse intimiditi dalla presenza umana, hanno bisogno di tempo per abituarsi alla sua presenza. Dopo anni di viaggi è sempre piacevole trovare animali disposti a qualche contatto.
A volte Arthur è colpito però dal desiderio di parlare con qualcuno; raccontare di ciò che ha imparato, delle sue avventure, parlare di casa. Un insediamento umano (come si chiama? Un villaggio?) è vicino, ma Arthur non è così stupido da avvicinarsi più di così. Gli umani temono e odiano gli elfi, per motivi che Arthur non comprende: temono che gli elfi li attacchino e rubino la loro terra, ma la terra non è di nessuno. L’ha vissuto sulla propria pelle questo odio, quando era ancora troppo giovane e stupido per comprendere i rischi che correva e troppo testardo (caratteristica che pare non sia scomparsa), ed è fuggito per il rotto della cuffia da quella che sarebbe potuta essere una lunga prigionia o la sua morte. Così Arthur continua a camminare. Non vuole ancora tornare indietro, non prima che il suo desiderio di conoscenza sia stato soddisfatto, ma sa che presto farà ritorno alla casetta che un albero molto gentile gli ha permesso di costruire tra le sue radici con l’aiuto della magia. Ad Arthur manca il poter sentire tutta la sua immensa saggezza e la sua voglia di vivere, così forte e gioiosa anche se vive da secoli. È l’albero che fa la casa, dicono gli elfi, e Arthur non può che esserne d’accordo.
È in una piccola radura che Arthur si ferma. Sente un odore diverso da quello di alberi terra e foglie, odore di umano. Prende una foglia caduta da tempo sul terreno. È accartocciata su se stessa, ha perso qualche pezzo di sé, ma Arthur per un attimo la ammira. Poi la sbriciola tra le dita e la lascia andare, per vedere da che parte arriva il vento. Senza fretta, si avvicina a un giovane albero robusto e ne accarezza la ruvida corteccia, convogliando nel gesto tramite i suoi pensieri la richiesta di salire sopra i suoi rami. Sa già che l’albero non risponderà, ma è un gesto di educazione e rispetto, e Arthur nota divertito che l’albero ne è compiaciuto. Con agilità e grazia sale più in alto che può per non essere notato ma non troppo (perché in fondo è parecchio curioso), in meno di un minuto. Attento a non fare alcun rumore tra il fogliame, si appoggia in modo tale da poter vedere e sentire ciò che succede.
Due giovani uomini, entrambi biondi (proprio come lui, ma di una tonalità differente), ridono allegramente mentre entrano nella radura. È uno dei suoni più belli che abbia mai sentito, pensa Arthur ammirato. La foresta sembra ancora più ricca e viva, anche se gli animali se ne allontanano, spaventati. La risata umana è così diversa da quella elfica: gli elfi ridono silenziosamente, per non rompere la calma e spaventare gli altri. Quella umana è priva di limiti, è rumorosa e sebbene ferisca le orecchie di Arthur, abituate ai silenzi, vorrebbe poterla sentire più spesso. È contagiosa, scopre Arthur, quando sente una leggera risata e scopre che è la sua. Si sente caldo dentro e prova una sensazione piacevole simile alla felicità. È una sensazione provvisoria però, perché gli umani l’hanno sentito e deve immediatamente tacere. Si mettono velocemente in guardia e Arthur fa lo stesso.
“Cosa pensi che sia?” sussurra uno dei due, ma anche per i canoni umani è troppo rumoroso. Arthur non fa alcuna fatica, dalla sua posizione, ad ascoltarlo, ma dopo tanto tempo passato a sentire nessun’altra voce se non la sua, deve concentrarsi per capirlo. Quello che dice l’altro umano, però, sfugge persino alle sue orecchie di elfo, tanto che Arthur si chiede se abbia veramente parlato. È certo che la risposta sia no, ma il ragazzo (perché anche secondo gli umani deve essere giovane, Arthur pensa) sembra rispondergli. “E se fosse un fantasma?”. L’altro umano annuisce con un moto deciso della testa a un’altra probabile risposta che, sebbene si impegni, Arthur non riesce a sentire e i due umani se ne vanno.
Non è tanto stupido da scendere dall’albero non appena la presenza dei due è fuori dalla portata dei suoi sensi: potrebbero avere la malcapitata intenzione di tornare indietro. Arthur aspetta invece che gli animali ritornino alle loro faccende. Il loro istinto è molto forte e lui per primo sa quanto è importante a volte farne affidamento. Dovrebbe andarsene subito, lo sa. Se ci sono umani che non hanno alcun problema ad arrivare ad una tale profondità della foresta significa che non è al sicuro qui. Però Arthur non vuole. Vuole sentire ancora gli umani ridere e provare la stessa sensazione di prima, ancora una volta. Arthur decide per un compromesso: rimarrà in zona ancora un altro giorno, poi riprenderà il cammino.

~~~~~~~~~


Fa caldo. Troppo caldo. Alberi e animali soffrono e insieme a loro soffre anche Arthur. Gli elfi non sono fatti per un caldo simile. Dopo generazioni e generazioni che per secoli hanno vissuto perpetuamente schermati dai raggi del sole grazie alla foresta, non sono più abituati a essere colpiti così impietosamente da una tale quantità di luce e caldo. Persino all’ombra non si sta bene. Arthur ne è sicuro: se non si rinfresca un po’, sverrà. Per fortuna ha appena visto un fiume d’acqua limpida e azzurra. Gli corre incontro con grazia (gli elfi non hanno mai fretta, ma sono benissimo capaci di correre sia per brevi che per lunghe distanze) e, appoggiati arco e frecce, non esita a immergercisi dentro, ancora vestito (anche i suoi vestiti hanno bisogno di una lavata). Rabbrividisce. L’acqua è gelata, la corrente forte, ma Arthur si sente sempre più rilassato. Il suono del fiume è rassicurante, i suoi piedi poggiano su ciottoli levigati da millenni dalla corrente. È il paradiso e Arthur decide che per una volta va bene rilassarsi completamente: si appoggia in modo da non essere trascinato via dalla corrente, chiude gli occhi e intona una canzone elfica, la prima che gli viene in mente. Tanto, chi mai potrebbe raggiungere un posto tanto sperduto come questo? Sente i muscoli del volto distendersi piano, trasformando la sua espressione accigliata in una di serena contemplazione. Il tempo passa e rimane immobile, ma come può essere, si chiede Arthur, ma decide che non gli importa.
“Ehi, tu!” dice una voce e Arthur scatta in piedi, allarmato. Non ha sentito arrivare nessuno, preso dai suoi pensieri e fin troppo rilassato per badare ad altro se non a se stesso e alla forza vitale della natura, che percepisce intorno a lui. Non molto lontano c’è uno degli umani che ha incontrato ieri, quello più rumoroso. Lo sta osservando ed è una questione di secondi prima che capisca che sta parlando con un elfo. Arthur afferra arco e frecce e corre, prima che l’umano possa fargli del male. Non lo vede, ma sa che l’umano è fermo; ha appena capito chi è. “Aspetta!” Rumore di passi. Arthur è inseguito. Va’ più veloce, più veloce, pensa a mente lucida, ma il suo cuore è invaso dal panico. “Non voglio farti del male!” Certo che l’umano ne ha di fiato, se può tenergli dietro e urlare allo stesso tempo. Arthur non è uno stupido e di certo non ha intenzione di fidarsi dell’umano. Sono tutti bravi a dire frasi come queste, ma spesso hanno delle armi nascoste e sono pronti ad attaccarti con lame affilate o, peggio ancora, con pericolosi congegni che chiamano fucili. Fanno molto male, lo sa per esperienza personale. Arthur sente il fiato dell’umano sul collo, ma, voltatosi, scopre che è solo una sua impressione: l’umano è sempre più lontano e sta rallentando.
“Per favore…” Suonano come una triste preghiera, quelle due semplici parole, che bastano a fermarlo. Arthur carica il suo arco e si volta verso l’umano. A questa distanza, non può fargli male. L’umano sorride, felice. “Non sono armato!” dice, alzando le mani. Arthur osserva il suo corpo e dopo poco abbassa lentamente l’arco. La freccia però, rimane incoccata e le sue mani strette intorno all'arma. L’umano fa un passo in avanti. Arthur prende immediatamente la mira. “Fermo lì!” esclama. Le parole gli escono un po’ male, un po’ mangiate, dopo tanto tempo che non ha parlato con nessuno. L’umano però sembra capire. “Ok, ok, non faccio niente!” risponde. Arthur abbassa nuovamente l’arco con cautela.
“Io sono Alfred! Alfred F. Jones! Ho sempre voluto conoscere un elfo!” dice sorridente l’umano. Sembra non accorgersi del fatto che Arthur sia molto sospettoso. “Tu chi sei?”
“Arthur.”                                                                                                     
“Eri tu il fantasma di ieri?”
“... Sì”
Alfred ride. Arthur ne ammira il suono, ma non allenta la guardia. Non questa volta. “Non sai che spavento ci hai fatto prendere ieri! Però sono un eroe e dovevo assicurarmi che non ci fosse un vero fantasma, così sono tornato e dato che faceva caldo ho deciso di raggiungere il fiume… ed eccoti qui!”
Arthur non risponde. Cosa dovrebbe dire, del resto? Per cui osserva Alfred, che interrompe quasi subito il silenzio. “Non avrei mai immaginato che degli elfi vivessero qui!”
“Non viviamo qui”
“E allora dove?”
Arthur tace. Mai e poi mai dirà a un umano dove si trovano gli altri elfi, perché nell’arco di poco tempo sarebbero invasi. Certo sono benissimo capaci di difendersi e molto probabilmente gli umani non avrebbero una chance di uscirne indenni, ma gli elfi sono esseri pacifici e lottare è l’ultima cosa che vogliono fare.
“Io devo andare, al villaggio si staranno preoccupando per me! Però ci vediamo domani!” Arthur apre la bocca, pronto a rispondere che si presenterebbe di nuovo solo se fosse uno stupido, ma è interrotto da Alfred. “Un elfo nei boschi! Non vedo l’ora di dirlo a Matt!”
“No!” esclama Arthur, senza nemmeno pensare, la paura che gli avvolge di nuovo il cuore. “No, non puoi dirlo a nessuno!”
“Perché?”
“Tu non dirlo a nessuno” dice. La sua mente cerca una via di fuga, qualcosa per convincere Alfred a non parlare. La risoluzione è disperata. “E io tornerò qui domani.”
Alfred sorride da un orecchio all’altro e sembra splendere al sole. Dice che non dirà niente a nessuno, saluta allegramente e se ne va di corsa. Un minuto dopo scompare dai sensi di Arthur.
L’elfo si appoggia pesantemente a terra e prende fiato dopo quelle che gli paiono ore. Il battito del suo cuore inizia a perdere il suo ritmo impazzito. Arthur si stende, la faretra dura e scomoda sotto la sua schiena, rimanendo all’erta. In che situazione si è cacciato! Ora deve rivedere l’umano per chissà quanto tempo, fino a quando l’avrà convinto a non parlare, perché il pericolo di avere un umano vicino è decisamente inferiore a quello di un intero villaggio alle calcagna. Potrebbe andarsene adesso, correre via, ma ha dato la sua parola e Alfred potrebbe decidere di spifferare tutto, e gli uomini potrebbero raggiungerlo nonostante il suo vantaggio di un giorno a cavallo. Il calore della giornata, che in men che non si dica ha asciugato i suoi vestiti, è ormai dimenticato. Arthur si sente gelido dentro e non riesce a pensare ad altro che non siano gli ulteriori guai che lo aspettano. E pensare che si è persino riuscito a rilassare pochi minuti fa, nel fiume! Ora sa che il suo volto ha ripreso l’abituale espressione corrugata. L’erba attorno a lui accarezza dolcemente il suo volto e lo consola. Qualche uccellino che ha osservato l’intera scena canta per rassicurarlo. Arthur gli sorride, grato, e chiude gli occhi, lasciando che gli altri sensi prendano il sopravvento.

~~~~~~~~~


Come promesso, Alfred è tornato e Arthur è lì. Non è molto contento. Sono un poco più vicini, ma comunque a distanza di sicurezza. Arthur non permetterà ad Alfred di avvicinarsi di un passo in più. L’arco è saldo tra le sue mani e una freccia è sempre pronta a volare, ma ad Alfred sembra non importare. Sorride e saltella eccitato. Sembra non voler stare fermo e questo irrita e mette in ansia Arthur.
“Se gli elfi non vivono qui, tu che cosa ci fai qui?”
“Nessun umano si avventura così tanto lontano dal villaggio, perché tu sì?” chiede Arthur, perché non sarà il primo a dare risposte, non prima di conoscere il suo nemico.
Alfred ride. Arthur gli rifila un’occhiataccia. “Va bene, mi piace camminare e sono curioso. Stiamo facendo quel gioco in cui ci si fanno le domande? Adesso tocca a te!”
“Volevo viaggiare. Volevo imparare. Non hai parlato di me a nessuno, vero?”
“No, sono Alfred F. Jones e rispetto i patti! Era davvero questa la domanda che mi volevi fare?”
“Si, ci tengo alla mia incolumità. Ti piace davvero fare domande stupide?”
“Non era stupida!” Arthur gli rifila una nuova occhiataccia. “Va bene, sì. Non mi puoi dire davvero niente di dove vivete?”
“Non ti dirò nemmeno una parola al riguardo.”
“Allora posso farti un’altra domanda! Tutti gli elfi viaggiano?”
“No, siamo in pochi a farlo. Perché non hai paura di me?”
“Ci siamo incontrati ieri ed avantieri e non mi hai fatto alcun male. Perché dovrei avere paura?”
Alfred sembra stupido, decide Arthur, ma sotto sotto non lo è quanto il resto degli umani.
“Perché sembra che tutti voi umani ce l’abbiate. Non ti hanno mai avvertito di non fidarti della mia razza?”
“Ehi, quella non era una domanda!”
“Era retorica, ma pur sempre una domanda. Ora rispondi.” Ci potrebbe prendere gusto a questo gioco.
“’Stai attento, Alfred, gli elfi vogliono rubare le terre e i bambini’” dice Alfred scimmiottando qualcuno, forse sua madre. “’Se ne vedi uno, avvisa il villaggio.’ Così mi hanno detto, ma in diciannove anni non ho mai visto un elfo a parte te! Come mai sei scappato quando ti ho visto ieri?”
“Non è ovvio?”        
“Rispondi lo stesso”
“Perché dovrei fidarmi degli umani, dato che vogliono darmi la caccia e forse uccidermi. Perché tu non mi hai ancora fatto del male?”
“Ho sempre voluto conoscere un elfo!”
“E perché mai?”
“Tocca a me fare una domanda! Come fai a sapere cosa pensiamo di voi elfi?”
“Esperienza personale. Perché hai sempre voluto conoscere un elfo?”
“Nel villaggio dicono sempre le stesse cose su di voi, come ‘sono cattivi’, ‘hanno le orecchie a punta’, ‘sanno trovarti ovunque’, ‘vogliono la nostra terra’ e a un certo punto ho pensato ‘chissà se sono veramente così!’ e mi sono incuriosito! Volete davvero la nostra terra?”
“La terra non è di nessuno, né vostra né tantomeno nostra. Gli alberi ci offrono volontariamente i loro frutti, perché noi abbiamo cura e rispetto per loro. Non abbiamo bisogno di altra terra, né di affaticarci per essa. Chi mi assicura che tu non mi voglia fare del male?”
“Dovrai fidarti di me, signor scetticone”
Arthur sospirò. “Che bella notizia” disse sarcasticamente.
“Pensa a me, che mi devo fidare di un elfo brontolone!”
“Non sono brontolone! E tu… tu sei irritante!”
Alfred ride di nuovo ed è una risata divertente e gioiosa, che mette il buonumore nonostante la scomoda situazione in cui Arthur si ritrova. È per questo che una breve e silenziosa risata gli sfugge e Alfred non la sente, ma sembra intuire l’effetto che ha avuto su Arthur. Gli sorride e, come è successo il giorno prima, saluta Arthur con la promessa che si rivedranno il giorno dopo. Dopodiché corre via, verso il suo villaggio. Rimasto solo, Arthur scopre di essere meno irritato di quanto dovrebbe. Tutto, intorno a lui, sembra sorridere.

~~~~~~~~~


“Parlami di casa tua” chiede Alfred il giorno dopo.
“Non posso.”                
“Non voglio sapere dove si trova, solo com’è fatta!”
Arthur prende fiato e chiude gli occhi. Alfred è un poco più vicino di ieri, ma Arthur ritiene di potersi fidare abbastanza del suo udito per reagire a un qualsiasi attacco. Alfred non ha portato armi, a quanto pare, ed entrambi sono in posizione seduta, per cui al momento è abbastanza al sicuro. Poggia le mani tra i fili d’erba che gli solleticano i palmi, e con gli occhi della mente visualizza ogni particolare della foresta in cui ha vissuto per tanto tempo prima di partire. Sono anni che è via, ma nella sua memoria essa è ancora perfettamente intatta. Arthur sente una fitta di nostalgia invaderlo e, pensando all’albero che gli fa da casa, non può trattenere un sospiro. Vuole tornare a casa.
“È una foresta, quella in cui viviamo. Gli alberi sono alti dieci volte di più di quelli che ci sono qui, e sono robusti e verdeggianti, pieni di vita. Sono così ricchi di foglie che ci schermano sempre dalla luce del sole e dal gelido vento invernale. Quando i rami si muovono generano una bellissima musica, alla quale gli animali e anche noi elfi partecipiamo. Ad ogni angolo ci sono tenui fuochi che non si esauriscono creati con la magia ad illuminare dove altrimenti ci sarebbe penombra. Fiori e piante crescono rigogliosi, ci offrono dolci frutti e semi. Trovi tutti gli elfi lì, seduti nell’erba a leggere, o a creare opere d’arte, alcuni ad esercitarsi nell’arte del combattimento. Nessuno rimane in casa se non per riposare. Non siamo noi a scegliere quale sarà la nostra casa: capiamo quale albero ci offrirà la sua protezione sentendolo vivere. Poi cantiamo ad esso e i rami più bassi si incrociano, si modificano e di fronte a noi abbiamo la casa più adatta a noi. È bellissimo.”
Arthur riapre gli occhi e si ritrova nella radura con il fiume, Alfred seduto più in là. Sospira. La magia dei suoi ricordi è rotta, e Arthur si sente terribilmente solo, terribilmente lontano da casa.
“Sembra fantastico” dice Alfred. Non sembra che intuisca la nostalgia che prova Arthur, ma sembra rispettare i suoi ricordi.
“Lo è”

~~~~~~~~~


“Non sai cosa è successo oggi!” esclama Alfred, arrivando di corsa nella radura.
Sono passate ormai due settimane dal loro primo incontro e Arthur si è abituato alla sua presenza e anche ai suoi arrivi improvvisi. Ormai si siedono direttamente di fronte l’uno all’altro, senza grandi distanze a separarli. Tra loro c’è uno scambio continuo di informazioni sulle loro diverse culture (nessuno però dovrà mai sapere che Arthur ha iniziato a pensare che gli umani non sono poi così arretrati, Alfred soprattutto. Non la smetterebbe di gongolare) e si è creata una peculiare amicizia. Arthur non ha più così paura di essere attaccato, ha perfino accettato il pane che Alfred gli ha offerto (anche se ha chiaramente rifiutato la carne. Non è cibo per elfi.) e l’ha mangiato senza temere che fosse stato avvelenato. Non teme nemmeno più che Alfred parli, perché è certo che non lo farà, ma allora perché rimane? Di tanto in tanto questo pensiero sfiora i suoi pensieri, ma lo scaccia con forza, perché non vuole pensare che si sta affezionando ad Alfred.
“No, non lo so” risponde alzando gli occhi al cielo. Trova questi strani modi di dire che escono dalla bocca di Alfred estremamente irritanti. È ovvio che non sappia ciò che è successo! Come  potrebbe? È un elfo, non un veggente!
Alfred ignora il suo commento. “Nel villaggio si chiedono dov’è che vado a finire ogni giorno per ore… Me l’avranno chiesto almeno in dieci tra ieri e oggi!”
Arthur è immediatamente allarmato. “E tu che hai risposto?”
“Che sto cercando di imparare a pescare al fiume ma sono davvero negato, perché non sono riuscito a prendere nemmeno un pesce”
Arthur sospira, sollevato.
“Non avrai mica pensato che ho detto di te a qualcuno!”
“No” si trova a rispondere Arthur, e si meraviglia nello scoprire che sta dicendo la verità. “Io… mi fido di te” Sono dette con fatica le ultime parole, che escono dalla sua gola un po’ strozzate. Ne vale la pena però, perché Alfred sorride.
“Non ti venderei a nessuno per nulla al mondo” Lo dice in un modo talmente tenero ed è così attento verso di lui, che Arthur sente il suo cuore perdere un colpo. Sente il suo volto accaldarsi ed è strano, imbarazzante, e Arthur non vuole che accada di nuovo. Fa un colpetto di tosse, cercando di deviare l’attenzione sua e di Alfred.
“Dobbiamo vederci di meno, da qualche altra parte. Solo se vuoi.. continuare, si intende” dice, pentendosi subito: perché uno come Alfred vorrebbe voler continuare una cosa simile?
“Certo che voglio continuare! Perché non ci vediamo quando devo andare a caccia o prendere la legna? Ti posso anche fare un segno!”
Arthur è piacevolmente sorpreso, ma cerca di nasconderlo. “Alfred, è… vicino al villaggio. Troppo vicino. Se mi scoprono…”
“Mi allontanerò un po’ di più!”
È rischioso. Fin troppo rischioso per Arthur. Dovrebbe dire di no e tornarsene a casa, nella foresta, e non ci sarebbe più nostalgia, caldo, paura di essere trovato, potrebbe riprendere a leggere, scrivere, ma non ce la fa. Non quando ha scoperto di poter ridere come Alfred fa, non quando si sente caldo dentro e felice quando Alfred gli sorride e parlano per ore, non quando si diverte così tanto, anche se tende a nasconderlo con il suo caratteraccio, risposte non propriamente educate, insulti, e Alfred non ci casca. Per cui cosa fare è una decisione presto fatta: Arthur annuisce e borbotta un ‘va bene’
“Ma è solo perché voglio sapere di più sugli umani!”
Alfred ride e lo abbraccia. È il primo contatto così stretto che Arthur ha con lui: si sono sfiorati di tanto in tanto, ma niente di più, e ora è perplesso. Ci vuole un po’ di tempo perché alzi le braccia e ricambi imbarazzato l’abbraccio. Si sente di nuovo caldissimo e per una volta è contento di essere poco più basso di Alfred, perché così per non essere visto può abbassare il volto che sicuramente ha raggiunto il rosso pomodoro. Fa finta di non esserne contento, sbuffa, ma gli piace sentire le braccia di Alfred intorno a lui e solo ora si accorge di quanto e per quanto tempo abbia desiderato un contatto con qualcuno. Forse durante il suo viaggio è stato più solo di quanto non pensasse. E poi è arrivato Alfred. Forse è il caso di ringraziarlo.
“Ehi, lo sai che le tue orecchie sono proprio strane?” chiede Alfred così, all’improvviso. Arthur si irrita. Proprio quando stava per fare qualcosa che non aveva mai fatto prima, qualcosa che gli richiedeva un po’ più di coraggio del solito… Si scioglie dall’abbraccio e lo guarda dritto nei suoi occhi azzurri, sperando di fargli capire quanto poco gli sia piaciuto l’intervento.
“E tu lo sai che hai l’incredibile capacità di rovinare dei bei momenti?”
“Ti piace essere abbracciato, allora!”
“No, non è vero!”
“Allora perché sarebbe un bel momento?”
“Era solo per dire!”
“Ceeerto”
“È vero!”
Alfred ride e, quando non riesce più a fingersi offeso, Arthur si unisce a lui.
“Sai, all’inizio ridevi in modo strano” dice Alfred quando si sono calmati. “Silenzioso, come se il solo aprire la bocca ti dia fastidio, o come se non ti viene veramente da ridere”
“E tu, allora, a bocca aperta, per farti sentire dal mondo intero!”
“Da noi si ride così!”
“Da noi si ride come rido io! Diversamente da te, noi non vogliamo infastidire tutto quello che ci è intorno e fare così tanto rumore!”
“Però è bello sentirti ridere senza freni”
Arthur arrossisce di nuovo.

~~~~~~~~~


È un buon nascondiglio, l’albero che ha trovato. È talmente pieno di foglie che nessuno potrebbe vederlo, nemmeno se sapesse che si trova lì. Certo, non può vedere molto nemmeno lui stesso, ma Arthur ha un udito eccellente, e questo può bastare. È seduto appoggiato al tronco dell’albero, rispondendo ai cinguettii degli uccellini per passare il tempo. Ha visto un nido, su qualche ramo sopra il suo. Sono nati due piccoli uccellini non molto tempo fa, e Arthur li percepisce, rumorosi e vivi, tanto, tanto giovani. Sono una meraviglia. Un cinguettio diverso, che sicuramente non appartiene ad un uccello, giunge prepotente alle sue orecchie. È Alfred. Arthur scende agilmente dall’albero, e in un minuto Alfred giunge alla sua vista, sorridente come sempre.
“Dove eri nascosto questa volta?”
“Quassù”
Camminano insieme, Alfred qualche volta si ferma e con un’occhiata eloquente lo avvisa che ha intenzione di cacciare l’animale che ha appena adocchiato, così che Arthur possa prepararsi. Come elfo, sempre in sintonia con la natura, non può sopportare il percepire della vita di un animale che si spegne. La prima volta che Alfred ne ha ucciso uno sotto ai suoi occhi si è sentito male. È come se una parte di sé venga spezzata. Non può però impedire ad Alfred di soddisfare il bisogno umano di carne, così hanno raggiunto un compromesso. Così la loro relazione funziona.
A un certo punto, però, qualcosa succede. Arthur sente voci, passi vicini, corde di archi tese e sa che sono cacciatori. Osserva Alfred, mima con la bocca il pericolo in cui stanno per incorrere. Alfred annuisce, gli fa cenno di salire su un albero lì vicino. Arthur non aspetta, sale e sale finché non si sente al sicuro. Il fogliame è poco, se qualcuno facesse più attenzione lo noterebbe di sicuro. Vorrebbe coprirsi di più, ma non può: i cacciatori, due uomini corpulenti (e piuttosto puzzolenti, nota Arthur), sono arrivati.
“Ehi Alfred! Non sapevamo di trovarti qui!”
“Ciao ragazzi! Sapete che mi piace cacciare per conto mio!”
“Trovata qualche buona preda?”                     
“Non ancora”
“Vieni con noi allora! Abbiamo trovato un buon posto! Ma non dirlo a nessuno eh!”
“Ah, no, non vi preoccupate!” risponde Alfred ridendo, ma Arthur una lieve nota di apprensione.
“Va bene, allora.” risponde uno dei cacciatori. Iniziano ad andarsene, ma uno di loro improvvisamente si blocca.
“Ehi cos’è quello?” Arthur è sicuro che sta guardando proprio lui. Sente il leggero rumore di una corda che viene tesa e il suo cuore batte forte, deve scappare, ora, prima che venga colpito da una freccia, prima che lo attacchino… Ma non può. Non può fuggire e non può lasciare che le emozioni prendano il sopravvento.
“A me sembra un alveare” interviene Alfred. Arthur manda un silenzioso messaggio alle api, una richiesta di aiuto, un sottile fascio di magia che viene subito accolto da esse. In un secondo, si inizia a sentire un ronzio.
“Pare di sì” dice un cacciatore. “Allora ci vediamo, Alfred!”
Arthur aspetta immobile che i due siano lontani.
“Arthur, se ne sono andati”
Lentamente Arthur scende dall’albero e ringrazia le api. Non appena tocca il terreno, Alfred è lì che lo abbraccia. Arthur ricambia con tutta la sua forza e aspetta che il suo cuore si calmi, che l’adrenalina diminuisca. Alfred gli accarezza la schiena, e solo adesso Arthur si accorge di stare tremando. Si deve calmare. Si scioglie dall’abbraccio di Alfred e respira profondamente.
“Devo andarmene”
“Come? Non puoi!”
“Posso eccome Alfred! Quei cacciatori avrebbero potuto scoprire chi sono, un altro errore del genere potrebbe costarmi la vita! Non posso più rimanere” dice e inizia a camminare, un passo dopo l’altro, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente. Alfred lo segue, cercando di fargli cambiare idea con parole interrotte, preghiere che Arthur ode a malapena oltre al furioso battito del suo cuore. Sente un doloroso nodo in gola e sa che non se ne vuole andare, ma sarebbe mantenere l’amicizia con Alfred, una bellissima, stimolante, piena di fiducia amicizia, a che prezzo? Con uno sforzo non comune, Alfred lo raggiunge e gli afferra il braccio.
“Non andartene. Posso proteggerti, puoi stare nella zona più protetta del bosco, ma non andartene”
Arthur si volta, ignorando in dolore della gola e dice “Alfred, io no-“
Le labbra di Alfred sulle sue lo interrompono. Sono calde, un po’ screpolate, ma piacevoli. Accarezzano le sue con dolcezza e desiderio, mentre le mani di Alfred accarezzano le sue braccia, la sua schiena, si perdono nei suoi capelli ed è così piacevole questo contatto improvviso, Arthur non vuole staccarsi da lui. Meglio ancora, vuole più contatto, vuole più Alfred. Così si stringe a lui, accarezza il suo volto, i suoi capelli così morbidi. Arthur non è un esperto di baci e a quanto pare non lo è nemmeno Alfred, forse non è uno dei migliori baci che ci si potrebbe scambiare, un po’ umido, un po’ confuso, ma non importa.
“Per favore…” riesce a dire Alfred pur essendo senza fiato, quelle due parole che già prima avevano avuto il potere di fermarlo. Gli occhi celesti di Alfred sembrano più larghi, tristi. Arthur non riesce a mantenere il suo sguardo. Non vuole deluderlo e il suo cuore batte dolorosamente. Non può fare altro.
“Va bene” risponde. Alfred ride, lo stringe forte a sé. Arthur quasi non riesce a respirare, ma non importa. Gli sorride e si scambiano un nuovo bacio.
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È incredibile come le cose siano cambiate da quando lui e Alfred si sono incontrati per la prima volta. Arthur è sicuro che mai e poi mai avrebbe immaginato di trovare in un umano il suo amante, una persona che è a lui molto preziosa e che, inizia a sospettare, ama con tutto il cuore. Sente ancora nostalgia di casa e a volte è davvero insostenibile, ma Alfred è accanto a lui e lo consola anche se Arthur non ha detto una parola al riguardo. Allo stesso modo, anche lui è capace di comprendere se qualcosa non va e sa il modo migliore per affrontare l’argomento con Alfred. Niente però è perfetto. Arthur non può entrare nel villaggio e Alfred non può parlare di lui a nessuno e questo a volte porta a litigi, parole offensive e cattive alle quali nessuno dei due ha mai veramente pensato. In quei momenti Alfred vuole davvero smettere di mentire al villaggio e Arthur è tentato di tornarsene a casa sua. Ogni volta però fanno la pace. Non si possono vedere tanto spesso quanto vorrebbero, ma se la cavano con il tempo che hanno.
Sono giorni felici, ma c’è qualcosa che preme nella mente di Arthur, che desidera la sua attenzione: rispetto alla sua, la vita di Alfred è molto più breve. Arthur è molto più grande di lui, ma fra dieci anni il suo aspetto non sarà cambiato di molto, mentre Alfred inizierà ad avere qualche capello bianco, qualche ruga precoce. Non è come cambierà il loro aspetto però a spaventare Arthur: non gli importa che Alfred sembri vecchio o giovane, ma solo che rimanga così come è. Ciò che lo agita nei momenti in cui è rilassato, che di notte lo sorprende, è il pensiero che Alfred è destinato a morire molto prima di lui e non riesce a sopportarlo. Non può fare altro che cercare di non pensarci, di vivere al massimo ogni momento che passano insieme. Con Alfred non ne ha fatto parola. È un fardello unicamente suo.
Così i giorni scorrono veloci.

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 “Arthur… ascoltami” gli dice un giorno Alfred. È serio, Arthur lo può leggere nei suoi occhi. Alfred gli afferra le mani e le accarezza distrattamente con il pollice. È così serio, Arthur spera che non sia niente di brutto, ma nella mente non affiorano altre possibilità se non quelle in cui sono costretti a separarsi in un modo o nell’altro. Solo a pensarci sente già la pelle d’oca.
Per fortuna, però, Alfred ha la capacità di sorprenderlo in ogni momento. “Io… ti amo”
Ci vuole un po’ perché Arthur riesca ad elaborare le tre parole appena uscite dalla bocca della persona a cui tiene di più, qualche minuto durante il quale questa persona lo guarda a metà tra il preoccupato e lo speranzoso e niente di lui riesce a stare fermo. Gli occhi di Arthur si allargano e l’elfo sorride, lascia scappare una risatina felice. Alfred sorride di rimando, ma è più espressivo, più sincero e Arthur è certo che non stia mentendo, anche se tutto gli pare così surreale.
“Alfred, io…” dice e cerca le parole giuste, ma non le trova. Si morde il labbro e pensa, pensa. Sarebbe così facile rispondere come sa che Alfred desidererebbe. “È la cosa più bella che mi sia stata detta, dalla persona migliore che io conosca.” Arrossisce, imbarazzato, ma va avanti. È il minimo che può fare per Alfred, che di fronte a lui non smette di sorridere. “Sei la persona, la cosa più preziosa di tutto il mondo per me, ma… Non posso risponderti con le tue stesse parole” Il sorriso di Alfred scompare e Arthur parla più velocemente ora, perché non vuole vederlo così triste. “Provo qualcosa di forte per te, ma amare per noi elfi significa mettere in gioco tutto per l’altro, anche la propria stessa vita. Io mi fido di te, so che lo faresti per me, ma io… Non lo so. Ho già tentato di andarmene una volta, tempo fa, ricordi? Se una cosa del genere succedesse di nuovo io… non lo so.”
Alfred annuisce. “Aspetterò” dice. Arthur gli sorride, un po’ in colpa, ma non può farci niente. Alfred è stato sincero con lui e lui non può fare altro che aprire il suo cuore allo stesso modo, per quanto possa essere doloroso. Arthur stringe più forte le mani di Alfred, un muta promessa che farà del suo meglio per non cedere alle tentazioni.

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Arthur sbadiglia, stanco. Un forte vento si è abbattuto sugli alberi ieri notte e non ha potuto dormire. Di giorno non è consigliabile recuperare il sonno perso, non quando potrebbero arrivare dei cacciatori e trovarlo nonostante sia ben nascosto tra le fronde degli alberi. Del resto, se si addormentasse adesso, non potrebbe sentire Alfred arrivare e questa è l’ultima cosa che vorrebbe. La sua attesa è presto premiata: il rumore inconfondibile dei passi di Alfred giunge alle sue orecchie. Il suo volto si apre in un sorriso sereno.
“Ciao Alfred” lo saluta un attimo prima che il ragazzo compaia dalle fronde.
“Pensavo di essere stato silenzioso stavolta” si lamenta Alfred.
“Non per le orecchie di un elfo” dice Arthur e gli dà un lieve bacio sulle labbra.
“Che vogliamo fare oggi? Andiamo in giro?”
“Vorrei stendermi un po’ e riposare”
“Ottimo! Alla tua età è meglio che tu riposi anche di pomeriggio!”
“Non sono così vecchio!”
“Sì che lo sei!”                          
“No che non lo sono!”
“Non ti piace la birra, bevi sempre quella strana bevanda calda che ‘aiuta a rilassarsi’, ti vesti come un vecchio e sei stanco il pomeriggio, a me non sembri tanto giovane”
“Allora tu sei un bambino”
Passano così il tempo a discutere giocosamente, fino a quando, ora stesi, Arthur è poggiato sulla pancia di Alfred e i toni sono più calmi e rilassati, più affettuosi.
“La tua pancia è veramente morbida, lo sai?”
“Non sono grasso!”
“Invece sì” ribatte Arthur tirando un pochino di pelle. Alfred fa il muso, ma Arthur si fa perdonare con un bacio. C’è silenzio ed è confortevole. Se potessero stare più spesso così, Arthur non avrebbe niente più di cui lamentarsi. Considerato quanto gli piace lamentarsi, ribatte di solito Alfred con un sorriso a osservazioni simili, sarebbe meglio di no. Finalmente, cullato dal respiro di Alfred, Arthur chiude gli occhi. Sente Alfred accarezzargli i capelli e baciargli la fronte. È perfetto.
È sera. Arthur vaga per il bosco, solo. Non vede né sente niente e ciò lo preoccupa. Come faccia a sapere che è il bosco, non lo sa nemmeno lui. Il vento gli scuote le spalle piuttosto rudemente e sussurra il suo nome. “Arthur, Arthur. Svegliati. Ti prego, svegliati!” Arthur obbedisce.
Gli occhi di Alfred sono la prima cosa che vede. Il cielo è ancora illuminato, quindi deve aver dormito per poche ore. Ancora insonnolito, guarda Alfred perplesso. Non ci sono baci o sorrisi, ma un’espressione tremendamente preoccupata.
“Arthur, mi dispiace tantissimo, non me ne sono nemmeno accorto, sono stati così silenziosi e ora sono così vicini, come possiamo fare…”
Il discorso sussurrato velocemente mette Arthur in ansia, nonostante abbia capito solo la metà delle parole dette da Alfred, ancora insonnolito. Un campanello d’allarme si accende quando percepisce passi di molti umani fin troppo vicini a dove si trova. Ora si spiega tutto. Vorrebbe confortare Alfred, dirgli che sono così silenziosi che è normale che non li abbia potuti sentire, ma non è il momento adatto. Gli offre solo un cenno della testa e lo sguardo più comprensivo che può fare, sperando che per una volta Alfred lo capisca. È così duro di testa, a volte. Scatta in piedi e carica l’arco, lì vicino a lui. Di nascondersi non c’è più tempo. Anche Alfred, dietro di lui, si prepara a ogni eventualità. C’è il tempo per un unico respiro, ed ecco che gli umani compaiono di fronte a loro. Sono almeno una decina di uomini, tra i quali i due cacciatori che Arthur ha già incontrato e il ragazzo biondo che rideva insieme ad Alfred la primissima volta che lo ha visto.
“Un elfo” sussurra quest’ultimo, che è così tanto simile ad Alfred. Arthur conosce anche il suo nome, Matthew. È il fratello di Alfred. “Alfred, che diamine hai combinato?”
Gli altri uomini puntano le armi verso Arthur e lo guardano con odio. Arthur alza il suo arco e li osserva tutti. Intanto cerca una via d’uscita, ma non c’è. Sono circondati.
“Non fatelo!” dice Alfred, frapponendosi fisicamente tra Arthur e i cacciatori. Li guarda negli occhi, tutti quanti. Ad Arthur mormora nuovamente un ‘non farlo’ e gli fa un discreto segno di abbassare l’arco. Nel vedere Alfred così discreto - caratteristica che mai e poi mai potrebbe essere, in una situazione normale, sua - e sicuro di sé, Arthur gli obbedisce. Alfred lo ama. Alfred farebbe di tutto pur di salvarlo. Arthur si fida di lui.
“Vedete? Non vi farà del male, perciò non fate del male a lui!”
“Attaccherà le nostre terre” dice un cacciatore.
“Non lo farà! Non lo farà nessun elfo! Non gli servono le nostre terre!”
“Questo è ciò che ti ha detto lui” dice un altro indicando Arthur. L’elfo gli lancia un’occhiataccia e stringe la sua presa sull’arco, ma non lo alza. “Perché gli dovresti credere, a quello, un elfo, e non a noi?”
“Perché mi fido di lui!” esclama Alfred, indietreggiando per mettersi di fianco ad Arthur. Gli prende una mano, quella che tende l’arco stesso e gliela stringe. Tra i loro palmi c’è la freccia, ma Alfred stringe la presa e Arthur la ricambia. È spaventato, capisce Alfred, anche se sembra così tranquillo e sicuro di sé. Si chiede come Arthur ne sia capace.
“Lo ha stregato! L’elfo lo ha stregato!”
“Colpite l’elfo!”
Arthur lascia la mano di Alfred. L’arco è di nuovo alzato, pronto a scagliare frecce.
“No!” urla Alfred. Corre dai cacciatori e cerca di convincerli, ma è messo da parte. Arthur è da solo in mezzo ai cacciatori e Alfred, bloccato da Matthew, non può raggiungerlo, anche se tende verso di lui in tutti i modi.
“Non lo uccideranno Alfred” sussurra Matthew mentre lo tiene stretto tra le braccia.
I cacciatori intanto si avvicinano ad Arthur, il cui arco è teso al massimo fra le sue mani, pronto a scagliare la prima freccia.
“No Arthur! Ti prego!” urla ancora Alfred. Non vuole veder morire i suoi amici e compagni per mano dell’uomo -o, per meglio dire, dell’elfo- che ama. I loro sguardi si incontrano per un lungo momento durante il quale Arthur è immobile. Poi l’elfo lascia lentamente andare l’arco e alza le mani. I cacciatori sono immediatamente su di lui.
Circondato dagli umani che lo tengono fermo e a malapena lo lasciano respirare, Arthur si chiede che cosa ne sarà di lui.

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È ancora vivo. Quando l’hanno catturato, pochi giorni fa, Arthur non avrebbe creduto di esserlo ancora. Nonostante Alfred abbia fatto immediatamente resistenza, si era aspettato di essere ucciso, se non subito a distanza di un giorno al massimo. A quanto pare invece, Alfred è riuscito a convincere il villaggio a tenerlo come prigioniero. Non per questo però hanno abbassato la guardia. Anzi, si sono organizzati. Quello di Alfred è un villaggio troppo piccolo per avere una vera e propria prigione, per cui l’hanno rinchiuso in una casupola disabitata di fronte alla quale due uomini fanno continuamente la guardia. Il fabbro è stato straordinariamente veloce a forgiare un paio di manette di ferro che ora cingono e sfregano dolorosamente i suoi polsi dietro la sua schiena. Arthur odia il ferro. Lo brucia o lo congela. Non ha forza vitale. Non dà la stessa sensazione di sicurezza e stabilità di rocce o pietre. Mangia la sua carne, ora rossa e forse infettata dopo tutti gli sfregamenti a cui Arthur ha sottoposto i suoi polsi nel tentativo di liberarsi. Intanto di Alfred non c’è nessuna traccia, ma Arthur se lo è aspettato. Sono tutti convinti che lui lo abbia stregato. Durante uno dei vari interrogatori gli hanno persino chiesto come si fa a rompere l’incantesimo. Ovviamente Arthur ha detto che non ha fatto alcun incantesimo, ma non è stato creduto. Non gli hanno fatto niente, ma è una questione di tempo. Se continua a non rispondere - o a non rispondere come loro vogliono - alle loro domande, presto passeranno alle maniere forti. Arthur non sa se sotto tortura parlerà oppure no.
Perché è come se già lo fosse. Gli umani non possono saperlo, ma quando è stato allontanato dai boschi e dalla forza viva e pulsante della natura per essere portato in una prigione di ferro e pietre - che è la casupola, ma anche il villaggio stesso nella sua mente - è come se gli avessero strappato una parte di se stesso. Forse ha vomitato nel momento stesso in cui l’ultima forza naturale alla quale si è aggrappato è scomparsa dai suoi sensi, ma non ricorda. Lo shock è stato troppo forte. Adesso Arthur sopravvive, sopravvive e basta. Niente ha senso. Niente riesce a ristabilirlo. In una settimana, forse due, si accorgeranno che l’elfo che hanno catturato sta impazzendo o è già impazzito. Arthur non ci vuole pensare, ma è difficile trovare qualcos’altro su cui spostare l’attenzione quando volontà e forza iniziano a sembrare troppo lontani dalla propria presa.
Passi e cigolio dei cardini della porta interrompono la solitudine di Arthur. Si volta verso il nuovo arrivato, senza curiosità né voglia di parlare. Il nuovo turno di domande sta per iniziare, pensa, ma si scopre in errore. È Alfred quello di fronte a lui, non diverso da come era pochi giorni fa, senza però traccia di sorriso sulle sue labbra né di calore nei suoi occhi. Qualcosa si è rotto, capisce Arthur dopo qualche secondo di osservazione.
“Mi hai mentito?” chiede Alfred. Non lo saluta nemmeno. Arthur non si prende la briga di alzarsi dal freddo pavimento, del resto è stato seduto così a lungo che le sue gambe non lo reggerebbero immediatamente.
“Perché non lo chiedi ai tuoi amici. Sembrano sapere la risposta meglio di me”
Alfred stringe le labbra, le sue sopracciglia si aggrottano. È arrabbiato, ma non abbastanza per perdere il controllo.
“Quindi tutto quel melodramma dell’ultima volta era una messa in scena”
“Nemmeno tu eri sincero allora. Cos’è, temi che me ne vada? Così mi hai fatto chiudere qui?” chiede Arthur. Qualcosa dentro di lui si accende dopo il vuoto totale dei giorni precedenti e, anche se non è piacevole, Arthur apprezza il sentirsi nuovamente vivo. Quello che sta dicendo esce dalla sua bocca senza che lui minimamente ci pensi, ogni controllo è perso, è furioso, ma non importa. È vivo.
“Non l’avrei mai fatto!”                                                                                     
“Ed eccomi qui.”
Gli occhi di Alfred si illuminano, ma di rabbia. “E allora, tu? No, non attaccherò le vostre terre, e poi cerca di usare il primo che gli capita! E tutta quella storiella con l’arco quando ci siamo parlati la prima volta!”
“Storiella? Mi stavo proteggendo, e guarda dove sono finito quando ho smesso di farlo!” esclama Arthur. Si alza in piedi, saldamente appoggiato al muro. Le gambe tremano un poco, ma la rabbia, la furia, le mantengono salde.
“Io te l’avevo detto che non ti avrei fatto del male, ma tu, tu ne hai approfittato! Hanno fatto bene a metterti qui! Se non l’avessero fatto ora sarebbero tutti in pericolo per colpa tua!”
“Per colpa mia?! È per te che non ho colpito nessuno di quelli che mi hanno accerchiato!”
“Non saresti potuto scappare comunque!”
“Un bel piano da vigliacco! Sì, Alfred Jones, sei un vigliacco!” Alfred è furioso. Si avvicina a grandi passi ad Arthur, fino a spingerlo in un angolo, pronto a fare chissà cosa, ma Arthur non si fa intimidire. “E così, allora! Attacchiamo qualcuno che non ha la minima possibilità di attaccare!” Agita le manette, che emettono un distinto suono metallico, così che possa essere sentito. Alfred di blocca, come se schiaffeggiato dolorosamente. Indietreggia, si volta ed esce dalla casupola.
“Bravo, scappa!” urla ancora una volta Arthur.
Respira velocemente, in piedi. L’effetto dell’adrenalina finisce e Arthur crolla a terra. Si sente freddo ora, più vuoto di quanto lo era prima e sente la gola annodata. Il cuore batte dolorosamente. Il ferro che stringe i suoi polsi è ora dimenticato.

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Arthur non prova nulla. È strano e lo dovrebbe preoccupare, perché ha ferite ovunque lungo il corpo, sempre di più a ogni tentativo degli umani di farsi dire dove abitano gli altri elfi. Sì, così che possano fare la sua stessa fine. La sua fine, che si avvicina così velocemente, quando invece pensava che avrebbe vissuto almeno un altro centinaio di anni almeno. Non se l’aspettava così. Avrebbe voluto morire di vecchiaia, nella sua casa, nel suo letto, circondato dagli altri elfi che intonano per lui canti melodiosi insieme ad animali e uccelli. È notte, ma non vuole dormire per timore di non risvegliarsi più. Non è ancora il suo momento, pensa. Forse è la speranza a parlare, ma non ci fa conto.
Si sentono voci, fuori dalla casupola, ma Arthur non comprende quello che dicono. Non gli interessa. Gli umani sono così rumorosi, ma non prova nemmeno fastidio. Niente riesce a farlo reagire dall’ultima volta che ha parlato con Alfred. Si accorge distrattamente e in ritardo che la porta è stata aperta, ma non si volta a vedere chi è. Se vogliono qualcosa da lui, lo faranno sapere. Passi si avvicinano. Vestiti frusciano nel tentativo della persona di accovacciarsi. Arthur continua a guardare nel vuoto, immaginando i colori del cielo notturno e i profumi della foresta, i suoi suoni, la morbidezza del terreno sotto i suoi piedi. Forse l’umano ha parlato, forse no. Ad Arthur non importa. All’improvviso due braccia forti lo stringono delicatamente e lo tirano fuori dalla sua apatia. Le mani lo accarezzano come se sia la cosa più preziosa del mondo. Sente calore, odore di sudore e spazi aperti e qualcosa di particolare che appartiene ad una sola persona. Ciuffi di capelli corti sfregano contro il suo collo. La fronte dell’umano è poggiata sulla sua spalla.
“Arthur, parlami” sente dire finalmente.
“A-Alfred?” La voce di Arthur è rauca, nemmeno sa qual è l’ultima volta che l’ha usata.
“Oh, Arthur, meno male! Dobbiamo portarti fuori di qui ora”
Le braccia di Alfred lo aiutano ad alzarsi in piedi. Sono pronte a circondargli la schiena per sostenerlo, ma Arthur rifiuta ogni altro tipo di aiuto. Nell’oscurità illuminata solo dalla luna, intravede Alfred per un attimo sorridere. Escono dalla casupola, di fronte alla quale non c’è nessuno. Dove siano finite le guardie è un mistero per lui e tempo di fare domande non ce n’è. Si avviano verso la foresta. Più ci si avvicinano, più Arthur si sente meglio, più sente tutto il suo corpo dolorare, soprattutto per la corsa alla quale non è più abituato. Di tanto in tanto inciampa e cade, non potendo tenersi in equilibrio con mani e braccia e Alfred lo aiuta a rimettersi in piedi. La catena che unisce le sue manette cigola leggermente. Per evitare ogni rumore inutile Arthur la tende, ma, dato il suo udito molto più sensibile di quello umano, forse è uno sforzo inutile.
Solo quando sono più nascosti nella foresta si fermano. Arthur si appoggia ad un albero. È Immediatamente, senza nemmeno pensarci, sfiora la corteccia e sente la sua forza vitale direttamente sotto i suoi palmi. Si sente rivivere, sente l’energia tornargli in corpo e il suo cervello lavorare meglio.
 “Perché sei venuto ad aiutarmi? Non eri convinto che volessi attaccare il tuo villaggio?” chiede con voce roca.
Alfred si gratta il collo guardando da un’altra parte, imbarazzato. “Ehm, per quello… Mi dispiace. Solo che continuavano a ripetermi tutte quelle cose tutto il tempo e non ce la facevo più, così gli ho creduto! Poi però dopo la nostra litigata hanno smesso tutti di parlare e ci ho pensato su e… insomma.”
“Sei un idiota.”
“Significa che mi perdoni?”
Arthur annuisce. Ha dubitato anche lui di Alfred, in fondo, anche se non ne vuole fare parola, per cui perdonarlo è il minimo che può fare. “Come hai fatto ad entrare? Perché non c’erano guardie?”
“Matthew li ha distratti! Fra poco porterà anche la chiave per quelle!”
Arthur tira un poco le manette, sentendole premere dolorosamente contro i suoi polsi. Non vede l’ora di essere completamente libero. Poggia la testa contro l’albero all’indietro e respira. È libero. Non morirà. Una leggera risata gli sfugge dalle labbra. Alfred si accovaccia di fronte a lui e gli sfiora le braccia. Accarezza il contorno di ogni sua ferita con cura.
“Che ti hanno fatto” ripete ogni volta che ne vede una più brutta delle altre, incapace di rimanere senza parole.
Arthur non risponde: ammira in silenzio ciò che si può vedere tra le fronde degli alberi. Frusciano insieme e creano una melodia che solo Arthur comprende, il loro bentornato. È cresciuto e ha vissuto da sempre fra gli alberi e dopo una tale separazione Arthur osserva tutto con occhi nuovi. Niente gli sembra poco importante, dalle singole venature delle foglie ai grandi alberi che li circondano.
Nuovi passi si avvicinano. Il panico invade Arthur immediatamente. I ricordi di quello che è seguito ogni volta dopo quel rumore negli ultimi giorni nella casupola, il terrore che ciò che è accaduto si ripetono ancora e ancora nella sua mente. Cerca di rimettersi in piedi, guarda dovunque per un nascondiglio. Ha il fato corto.
“Arthur, Arthur, che succede? Calmati!” dice Alfred, afferrandogli le spalle. Solo dopo sente i passi. “Calma, è solo Matthew!”
Arthur può vedere con i suoi occhi che Alfred ha ragione quando il ragazzo compare tra gli alberi. Lo guarda con sospetto, come se Arthur potesse morderlo da un momento all’altro.
“L’ho presa” dice, mostrando poi nel suo palmo una chiave.
Alfred fa un’esclamazione di gioia e afferra la chiave, per poi immediatamente liberare Arthur dalle manette. È difficile muovere di nuovo spalle, braccia e polsi dopo tanto tempo in cui sono stati costretti all’immobilità, ma Arthur lentamente si porta le mani davanti agli occhi. Non sono un bel vedere, anzi , hanno preso un colorito scuro e sono coperte di graffi, tremolano e bruciano, le unghie sono lunghe e spezzate in più punti. I polsi sono anche peggio. Arthur muove istintivamente le mani, come per accertarsi che siano le sue. Il suo gesto non sfugge ad Alfred, che prontamente prende le sue mani con delicatezza e le accarezza. Arthur alza lo sguardo e legge nei suoi occhi azzurri preoccupazione, sollievo e affetto. Amore no, non sono ancora pronti. Sono stati fin troppo veloci a dubitare l’uno dell’altro, fin troppo stupidi. Arthur però ora sa che è solo questione di tempo.
C’è una questione ancora irrisolta, però. Si volta verso Matthew. “Tu mi hai aiutato. Perché?” chiede.
“Tu non mi hai fatto del male quando hai potuto farlo, nemmeno per difenderti. Io sì. Dovevo ripagare il mio debito. E poi Alfred ha bisogno di te” dice Matthew, indicando con il volto il fratello.
Arthur abbassa il volto e borbotta un ringraziamento, imbarazzato. Solo ora nota che nell’altra mano ha uno zaino che sembra piuttosto pieno. Matthew segue il suo sguardo e fa un cenno ad Alfred.
“Oh, questo è per il viaggio. Non puoi più rimanere qui” dice.
È un pensiero gentile, pensa Arthur, anche se non sa quanto le sue spalle possano reggere. Annuisce e fa per prenderlo, ma Alfred lo precede e si mette prontamente lo zaino sulle spalle.
“Come?” chiede Arthur confuso. “Tu vieni con me?”
“Certo! Tu sei stato tanto tempo qui e io invece non ho mai visto casa tua, non è giusto!” dice Alfred sorridendo.
“E il villaggio?”
“Matthew gli dirà che sei scappato e che ti ho seguito per catturarti di nuovo”
“Non ti mancheranno?”
“Un po’”
“E Matthew?”
“Passerò spesso a trovarlo”
Arthur tace mentre Alfred lo guarda con un sorriso da un orecchio all’altro e speranza negli occhi. Non gli può dire di no, anche perché sa che lui stesso ne soffrirebbe. Annuisce e Alfred esulta, poi saluta Matthew. Si volta e inizia a camminare, ma Arthur non lo segue.
“Alfred” lo chiama, alzando gli occhi al cielo.
“Sì?”                                                                        
“Dobbiamo andare dall’altra parte”

 
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“Questa è la storia di un elfo e di un umano che si sono conosciuti, sono diventati amici e si sono innamorati nonostante siano di razza diversa. Questa è la storia mia e di Alfred.
Sono anni ormai che risiede nella Foresta elfica, guadagnandosi presto la fiducia degli altri elfi, ma soprattutto la mia. Ogni giorno lo amo di più, pregi e difetti, come lui ama me.
Un ultimo ostacolo ci separa, un ostacolo che Voi potreste rimuovere se troverete Alfred degno della Vostra fiducia.
Vi chiedo pertanto di garantirgli una vita lunga quanto quella di noi elfi, per permetterci di vivere insieme.
 
Che le stelle siano con voi.
Arthur”
 
Alzo la penna dall’ennesimo foglio, finalmente contento della mia lettera. È molto lunga, ma con un po’ di fortuna anche abbastanza convincente. Poggio la penna sul tavolo e mi sgranchisco un po’ le dita. È passato tanto tempo da quando sono stato rinchiuso in quella casupola ormai e mani e polsi sono tornati normali. Delle braccia mi avvolgono e sento il mento di Alfred sulla mia spalla.
“Caspita, è proprio lunga” dice, ammirato.
“Ho raccontato tutto”                            
“Proprio tutto?” chiede Alfred. Arthur avverte una sottile vena di preoccupazione nella sua voce. Sorride divertito.
“Non proprio tutto. Certe cose devono rimanere tra noi. Soprattutto quello
“Meno male, se no avresti dovuto precisare che siamo molto migliorati dalla prima volta”
“Davvero?” chiede Arthur, voltandosi verso Alfred, inarcando un sopracciglio. “Provamelo”
“Certamente” dice Alfred con un sorriso, prima di baciarlo e trascinarlo verso il grande letto della casa di Arthur.

  
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