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Autore: kalina    10/02/2013    9 recensioni
"Smisi di dondolare la gamba nell’acqua e sistemai meglio le braccia conserte dietro la testa, chiudendo gli occhi. Dio, ancora non ci credevo. Avevamo deciso di prendere in mano le nostre vite, di finirla di nasconderci dietro a futili pretesti e cominciare a goderci ciò che indubbiamente, dopo tanti anni e tante sofferenze, meritavamo. "
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10 Buona domenica!
Ringrazio dal profondo del cuore tutte le fantastiche ragazze che,
nonostante la lunghissima assenza, mi hanno comunque regalato preziosissime parole allo scorso capitolo.
Non posso che sperare che anche questo, appena appena partorito, sappia soddisfarvi!
E' molto lungo e forse un po' noioso, chiedo scusa, ma ho dato tutta me stessa e ci troverete dentro tanto del mio amore per Colin, per Jared e per voi :)

Al Nonno Alfonso, che, ovunque sia, sta certamente gustandosi la sua adorata torta di riso! Perché lui saprebbe dirci senza ombra di dubbio cosa sia il grande amore, ogni tipo di grande amore. <3






10.
Lunedì mattina, ore 8.00 in punto, ero già al Lab, prontissimo a mettermi all’opera. Peggio di un impiegato di banca.

Mi ero trascinato dietro Shannon, per la verità a malapena cosciente, data l’ora. Non che il suo aiuto mi servisse, in quel preciso frangente, ma in qualche modo sentivo di aver bisogno che fosse con me; lasciai dunque che dormisse beatamente, accasciato su una sedia, fingendo di essere sveglio, dietro ai suoi occhiali da sole.
Emma aveva chiamato a raccolta l’intera troupe del Lab, ma quello che intendevo fare quel giorno era più che altro un lavoro di revisione generica per il quale io e lei eravamo più che sufficienti.
All’inizio la mia concentrazione scarseggiava, mi limitavo in gran parte a guardare l’orologio ogni cinque minuti. Provavo la fastidiosa sensazione di trovarmi nel posto sbagliato. Il che era impressionante, perché, lavorando ai miei progetti, ero solito sentirmi in pace con me stesso e il tempo mi volava via in un attimo.
E invece continuavo a pensare che avrei dovuto essere in ospedale, vicino a Colin, a controllare come stesse, cosa facesse.
Ad un certo punto mi venne persino un piccolo attacco d’ansia, pensando che magari, non vedendomi per un’intera mattinata, avrebbe potuto di nuovo scordarsi di me! Anche di quel poco che sapeva di me, ma che avevo faticosamente conquistato. Furono necessari alcuni minuti e un severo rimprovero a me stesso perché riuscissi a calmarmi e recuperare una dimensione razionale. Il tutto, ovviamente, in totale silenzio, simulando la più completa tranquillità, per non rendere partecipi gli altri della pazzia galoppante da cui ero affetto.
Pian piano andò meglio, entrai nel vivo del lavoro e fui in grado di distrarmi per un po’.
Ma alle 12.30 decisi che avevo fatto fin troppo, promisi a Emma che avrei mangiato qualcosa in un bar, chiamai un taxi e finalmente mi diressi verso l’unico posto in cui ero sicuro di volermi trovare.


Ad  aspettarmi all’ingresso secondario trovai Eamon.
- Eccolo là, il nostro regista! – mi accolse con un gran sorriso sul volto paffuto.
- Buongiorno adulatore! –
- Allora, com’è andata? – mi chiese,  chiudendo la porticina alle mie spalle.
- Ho lavorato bene, grazie. Sono soddisfatto! –
Un attimo di silenzio durante il quale mi scrutò rapidamente.
- Sei stato bene? –
- Sì… - risposi un po’ interdetto.
- Hai guardato l’ora ogni tre secondi, non è vero? Trepidante di tornare qui! –
Lo guardai sorpreso, poi, sconfitto, sbuffai.
- Oh, andiamo, cosa vuoi da me?! – mi lamentai e lo colpii con un gomito.
Eamon rise e insieme prendemmo a percorrere il corridoio.
- Parla di te, sai? – riprese, voltandosi verso di me – E’ da un paio di giorni che ti nomina spesso, chiede di te… -
- Sul serio? – domandai, rallentando il passo. Non  me l’aspettavo proprio.
- Umm umm! – annuì e mi sorrise dolcemente.
- Wow… - sussurrai appena, più fra me che altro.
Chiedeva di me! Di me! Avanzai lentamente, con lo sguardo basso, cercando di assorbire quella notizia tanto inattesa e insperata.
- Si vede che sei in grado di colpirlo… Ma questa era una cosa che sapevamo già! – concluse, facendomi l’occhiolino.
- Beh… - sorrisi con un lato della bocca, lievemente imbarazzato, ma totalmente in brodo di giuggiole.
Colin parlava di me!
Riprendemmo a camminare ad un ritmo normale, quando Eamon si fermò di colpo.
- Ah, a proposito, Jared! – mi fermai a mia volta e aspettai che si girasse verso di me. – Ho saputo del tuo uomo del mistero… - mi disse con tono profondo ed espressione ampiamente esplicativa.
Mi si spezzò il respiro in gola e spalancai gli occhi, senza riuscire a proferir parola.
- Ma dai, non fare quella faccia! E’ una tattica astutissima che non poteva che essere concepita dalla tua mente geniale! –
- Ecco… io… - Dio, mi sentivo morire dalla vergogna e potei appena farfugliare qualcosa.
- Ieri sera cercavo di raccontargli qualcosa di me e Steve e lui dopo poco si è messo a sbuffare, borbottando che non ho storie interessanti come la tua! E’ così che mi ha accennato la questione… e mi ha anche chiesto che cosa io ne sapessi, se conoscessi questo tipo! –
- Io…- deglutii – Non so che dire… è stato più un caso che... - decisamente inconsueto per me, ma dovevo esser diventato più rosso di una candela di Natale.
- Oh, su, Jared! Non ti sentirai mica in imbarazzo con me?! Eddai! Te l’ho detto, - si avvicinò, posandomi una mano dietro la spalla e spingendomi in avanti, accanto a sé – è un’idea geniale! Che poi, conoscendolo, quello scemo sarebbe anche capace di diventar geloso di sé stesso! – aggiunse ridendo.
Mi lasciai un po’ andare, sorridendo a mia volta.
- Senti, non ho ancora pranzato e tu di certo non ti sei preso il tempo per mangiare qualcosa… facciamo un salto alla mensa? -
- Sì, volentieri! – gli risposi il più spigliatamente possibile, cercando di scacciare la figuraccia dai miei pensieri.
- Andiamoci direttamente, tanto Colin sta dormendo, potrai vederlo subito dopo lo psicologo. –
- Ah, aspetta. – mi bloccai davanti alle scale – devo prima posare un po’ di cose in camera… -
Eamon mi squadrò rapidamente, per poi rivolgermi uno sguardo dubbioso. In effetti non avevo niente in mano.
- Il cappello, gli occhiali… - li indicai candidamente.
- Puoi tranquillamente appoggiarli sulla sedia o sul tavolo. -
- Sì, ma la giacca, la sciarpa..! –
Mi fissò ancora, accigliato, finché d’un tratto il suo volto si distese nell’espressione soddisfatta di chi realizza qualcosa.
- Aaaaah! La giacca, la sciarpa… Certo! – annuì accondiscendete – Vai, vai, io ti aspetto là allora. – e si avviò lungo l’altro corridoio, non senza essersi fatto prima sfuggire un risolino.
Alzai gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
I Farrell. La rovina della mia esistenza.

In camera, Colin dormiva, apparentemente tranquillo, in una delle sue solite posizioni sghembe. Nel lettino accanto, suo padre se la russava beatamente, nella stessa identica posizione. Sarebbero stati da fotografare.
Posai i miei effetti sullo schienale della poltrona, cosa che avrei fatto successivamente notare ad Eamon, e mi avvicinai a Colin.
Mi dispiaceva che dormisse, mi era mancato. Anche la sua parte rozza e cafona mi era mancata. Sorrisi, dandomi dell’irrecuperabile idiota.
Gli sistemai un lato del lenzuolo bianco, che era scivolato oltre la coscia, e mi avvicinai appena.

- Ci sono, Col, sono tornato. –


Durante il pranzo, rigorosamente a base di frutta, in un luogo che a quanto pare discriminava i salutisti, Eamon mi aggiornò su numerose faccende, dalle telefonate che continuavano ad arrivare agli esami cui Colin era stato sottoposto per tutta la mattina, in previsione di una prossima dimissione. Purtroppo sulla memoria non sembravano esserci miglioramenti né prospettive troppo ottimistiche. Io gli raccontai qualcosa in più su Artifact e sui miei progetti al riguardo. Prendemmo il caffè insieme al signor Farrell, che, dopo non molto, ci aveva raggiunti, cacciato dalla stanza con l’arrivo dello psicologo.

Poco prima delle 15, Rita e Claudine ci raggiunsero, per dare il cambio ai due Eamon. Non potei non notare che Claudine era vestita in modo ricercato, pettinata accuratamente e truccata alla perfezione. Mi sforzai di rimanere serio, già pregustando i commenti di Colin.
Quando svoltammo nel corridoio, diretti alla stanza 31, quasi ci scontrammo col dottor Newton ed il professor Kleeman, lo psicologo, che avanzavano nella nostra direzione.
Mentre Rita e Claudine si fermarono, sorprese, a parlare con loro, intravidi che la porta della camera, in fondo al corridoio, era aperta; mi ci diressi velocemente, sbucando perplesso all’interno della stanza.
Trovai Colin seduto su una sedia a rotelle e un’infermiera, quella severa della prima sera, intenta a sistemargli qualcosa dietro la schiena.

- Ehi! – mi lasciai scivolare, come sollevato da qualcosa di indefinibile.
- Jared! – Colin mi rivolse un sorriso a trentadue denti – Jared, ce l’hai fatta! –
Sembrava realmente felice di vedermi, il che mi diede subito un’immensa carica di buonumore.
- Ma certo! – gli sorrisi a mia volta, poggiandomi con una spalla allo stipite – Sono venuto prima, ma dormivi. –
- Sì, ho visto le tue cose... Ma guarda! – batté le mani sui braccioli della sua carrozzina, euforico. - Li ho convinti, posso uscire! –
- Sì, sì, può uscire… - mi precedette l’infermiera, con tono spazientito e sbrigativo – Ma, - si rivolse verso di me – non deve restare fuori più di un’ora, non deve prendere sole alla testa, non deve assolutamente alzarsi da questa sedia compiere alcun tipo di sforzo fisico. – fece due passi verso la porta, poi si girò, dando un’occhiata frettolosa a Colin, quindi a me. – Chiaro? –
- Chiaro. – le risposi, serio e composto.
Se ne andò, con espressione glaciale sul volto, ed io mi ripromisi di fotografarla veramente prima della fine e di offrirla ai miei echelon come esempio di caso umano.
Tornai con lo sguardo su Colin, che trovai seduto in posizione rigida, con la mano destra poggiata alla fronte, in stile militare. Lo guardai confuso, aggrottando le sopracciglia.

- Faccio sempre il saluto, quando arriva e quando se ne va, per almeno dieci secondi. Credo la faccia sentire a suo agio! – mi spiegò, per poi sistemarsi più comodamente.
Scoppiammo a ridere e proprio in quel momento Claudine ci raggiunse.
- Salve signor Malato, ho saputo che ti hanno concesso l’ora d’aria! –
- Ho una certa abilità persuasiva, devo ammetterlo! – disse compiaciuto - E guarda qua che bel mezzo di trasporto! So che non sembra, ma è super accessoriato! –
- Uh, quasi quasi ti invidio! – gli rispose mentre sistemava un paio di buste su una sedia.
- Che dici, andiamo? –
Colin aveva spostato il suo centro d’interesse, rivolgendosi a me, guardandomi con aspettativa.
- Oh…certo! – mi riscossi e mi diressi verso di lui, superandolo e prendendo posto dietro la carrozzina, per spingerlo.
- Io vi aspetto qui. Ho delle questioni ancora da sbrigare, delle telefonate da fare… È per questo che mi paghi profumatamente, fratellino! -
- Ovvio, sorellina! Per sfoggiare abiti scollati e un make up da reality show mentre tratti i miei affari! – aumentai il passo verso la porta, evitando di incrociare lo sguardo di Claudine e mordendomi le labbra per restare serio – E comunque il dottor Ross non attaccherà fino alle cinque! Ne hai da aspettare..! –
- Colin, smettila! – lo richiamai a bassa voce, seppur senza troppa convinzione.
Ormai fuori dalla stanza, sentii comunque il sospiro rassegnato di Claudine.
- Roba da matti! Te l’avevo detto io, l’orologio biolog- Mamma! - incrociammo Rita, che ci sorrise giovialmente - Noiandiamoingiardinocivediamodopo, ciao! –
- Fate i bravi! – disse ormai alle nostre spalle.
Mi voltai, annuendo e sorridendole a mia volta. Continuai a spingere in direzione dell’ascensore, mentre Colin mi domandava se avessi lavorato tanto ad Artipact.
Artifact, non Artipact… - lo corressi, dopo aver premuto il pulsante per scendere.
- Ah, fa lo stesso… hai finito? –
- Cosa?! Assolutamente no! Ho solo preso atto delle cose da sistemare, stravolgere, mantenere…ne avrò per settimane, temo. –
Si strinse nelle spalle: - Anch’io mi sono tenuto occupato stamattina, sai? – si aprirono le porte dell’ascensore e vi prendemmo posto. Colin premette un tasto e riprese a parlare. – Sono venuti e mi hanno fatto ben quattro esami diversi! Le analisi del sangue, l’elettroenceflogramma, la tac  - intanto scendevamo, un piano dopo l’altro – il neu…il neurova… non me lo ricordo, una cosa orrida, con tanti fili! – le porte si aprirono al piano terra, una donna in camice rosa ci passò davanti e, ancora prima che potessi muovere un dito, Colin le domandò la direzione per il giardino. “Piano di sotto, svoltare a destra, tutto dritto”, Colin pigiò il pulsante giusto e ripartimmo. – E domani ne ho altri due, la risonanza magnetica e la non mi ricordo cosa… se tutto andrà bene, mercoledì mi rimandano a casa! – concluse soddisfatto, mentre le porte si aprivano di nuovo.
- È una splendida notizia! – lo spinsi fuori.
Non era stato zitto nemmeno un attimo.
- Vero? Non vedo l’ora! Oh, guarda, guarda, Jared! – si tirò in avanti, puntando un dito verso la fine del corridoio – L’uscita! Il giardino! La libertà! Spingi, Jared, spingi più veloce! –
- Non posso spingere più veloce di così! – eravamo pur sempre in un ospedale.
- Ma certo che puoi! Continua a spingere! Dai, ci siamo quasi! –
Stavo per rispondergli qualcosa di poco gentile, quando d’improvviso realizzai  quanto familiare fosse quello scambio di battute fra di noi. Uuuh, molto familiare. Ma mai prima erano state coinvolte sedie a rotelle o portelloni su un cortile.
Dio, che tristezza assurda.
Sbuffai, scuotendo la testa.
Finalmente arrivammo all’ingresso del giardino.
- Oh, aria…aria fresca, Jared! La senti? –
Dovevano esserci perlomeno 35°, si respirava a fatica.
- La senti, Jared? Ah, polmoni miei! – inspirò a gran forza, allargando le braccia – Ecco, vedi? Andiamo là, su quella panchina sotto l’albero! Fa ombra, no? Così stiamo freschi! –
Seguii la sua indicazione e individuai la sua meta, portandoci verso di essa.
Faceva un caldo tremendo e persi ogni cognizione di ciò che Colin stava blaterando, cogliendo solo qualche sporadico “fiore”, “sole”, “natura”, “bello”.
Lo sistemai sotto all’alta pianta, le cui foglie verdissime e larghe ricadevano in avanti, e mi sedetti accanto a lui, sulla panchina.

- Si sta d’incanto, eh?! –
- Colin, hai mal di testa, oggi? –
- No, non direi… perché? – sembrava un bambino.
- Perché a me ne sta venendo uno fortissimo! Che dici, ce ne stiamo un po’ qui in silenzio, a riposarci? –
- Oh, sì, certo! Ci godiamo il relax della natura… -
Allungai le gambe e distesi le braccia sullo schienale della panchina, chiudendo gli occhi. “Il relax della natura”… eravamo in un mesto cortiletto d’ospedale, sotto uno grosso rampicante a boccheggiare per il caldo… Lui e il suo solito, fastidioso entusiasmo.
Dopo pochi secondi, mi sentii irrimediabilmente osservato.

- Che c’è, Colin? – domandai, senza muovermi di un millimetro, gli occhi ancora ben chiusi.
- Niente… è solo che… stavo pensando… - mi voltai di sbieco, sollevando appena una palpebra - E’ un po’ di tempo che… Amelia. Ho per la testa Amelia. –
Quell’uscita sì che mi fece aprire gli occhi. Me li fece spalancare, preciserei.
- Forse ti sembrerà assurdo, perché sono passati tanti anni… ma nella mia testa sono solo pochi mesi. E mi chiedevo, ecco… nessuno le ha telefonato, lei non si è fatta vedere né sentire… mi chiedevo se, insomma… - si passò una mano tra i capelli corti, fermandola sulla nuca – non… non l’ho mai più rivista? Voglio dire, è stata mia moglie! Beh, non era proprio legale, ma… è Amelia, sai?
Lo sapevo. Lo sapevo eccome.
Non era un argomento di cui parlassimo spesso; quando la nostra relazione era cominciata, Colin aveva chiuso con lei da almeno due anni. Però se il pensiero di Amelia veniva fuori, in qualche modo, non svaniva mai immediatamente, gli riempiva la mente per almeno qualche istante. Non aveva mai avuto bisogno di dirmelo, ma ero quasi sicuro che fosse stata l’unica donna che avesse mai amato davvero. Non era durata tanto, ma il segno era rimasto. E non era mai stato un problema, anch’io avevo il mio passato, i miei trascorsi, le mie cicatrici.
Ma da quando ci eravamo conosciuti, tutto il resto, tutti gli altri, erano passati in secondo piano. Assolutamente in secondo piano. Non poteva farmi questo scherzo, adesso… Non potevo giocarmela con una pseudo ex moglie che proiettava ancora la sua ombra, avendo a disposizione solo i mezzi del migliore amico sfigato con problemi sentimentali alle spalle!

- Ci… - mi schiarii la voce, tirando su le gambe e girandomi nella sua direzione - ci stai pensando molto? –
- Solo un po’… Insomma, sto riflettendo in generale… Mio fratello e mia sorella sono sposati, Jared. Eamon è sposato! – specificò mentre allargava le braccia e mi guardava stralunato – Capisci?! E’… è stata una doccia fredda per me! Noi eravamo sulla stessa linea d’onda, divertirsi e basta! E anche se ci innamoriamo, non siamo capaci di far funzionare le cose e mandiamo tutto a puttane! E ora mi sveglio, con dieci anni di vita perduti, lui è riuscito ad andare avanti… e io? – abbassò il tono e si incurvò in avanti, quasi rannicchiandosi su di sé. – Ho due figli… così dal niente. Due figli con due madri che a quanto pare non ho amato abbastanza… E quanto dovevo essere incapace di farlo se ho rinunciato ad una famiglia, ben due volte?! – le sue pupille vagavano su di me, agitate e perse – Sai quanto Eamon debba essere stato sicuro per fare un passo del genere? Insomma lui… E io invece sono solo. Per un po’ ho creduto che Amelia… che lei fosse, sai..? Continuo a pensarci, ma… non è lei! Conosco e ricordo il mio passato, quindi non oso immaginare quel che non ricordo. Quante donne in questi anni non sarò riuscito ad amare, a farmi bastare? Ho ben due bambini che ne sono almeno una piccola prova… - inspirò profondamente, unendo una mano lievemente tremante con l’altra, poggiata su un bracciolo della carrozzina - Come l’ha capito mio fratello? Come lo capisci quando trovi la persona giusta? Come ti accorgi che non devi sprecare quell’opportunità, che quello è il tuo grande amore..? –
Sono qui. Sono davanti a te, Colin, sono io il tuo grande amore. Non mi interessa lo sport, non mangio le bistecche, detesto i tuoi adorati documentari del venerdì sera, ma sono io il tuo grande amore. È per me che hai versato tutte quelle lacrime; con me che hai scoperto la meravigliosa emozione di ogni respiro; su di me che hai investito ogni tua energia. Sono io che te l’ho fatto capire, Colin. Sono io, il tuo grande amore.
- Jared? Scusa, non volevo confonderti con tutte queste parole… -
- No, io non… - mi riscossi, allontanando lo sguardo dal suo – Non mi stavi annoiando, Colin. – raccolsi ogni mezzo che avevo per non lasciar trasparire alcuna delle sensazioni che mi stavano tormentando e tornai a guardarlo, forzando un sorriso – Tu sei un uomo forte e non sei solo. Ci sono tante cose che non ricordi e che poi ti aiuteranno a ricostruire il tuo quadro generale, non buttarti così giù, ora. Nessuno di noi può aiutarti a rimettere insieme quello che hai provato in questi anni, devi solo avere pazienza. Ma ti prometto che non sarà niente di terribile. E poi tu hai le tue poesie, fonti inesauribili di perle di saggezza e compagne confortanti che ti porti sempre dietro! – conclusi ammiccando.
Finalmente sorrise: - Allora queste voci su un mio crescente interesse per la lettura sono vere, eh?! –
- Già! Ultimamente sei diventato un fanatico di Prévert ad esempio. E non disdegni Milton, anche se non saprei dire perché… Whitman, Shakespeare ovviamente… Keats, per rimanere tra i poeti. Di Oscar Wilde preferisci la prosa invece. – Colin mi seguiva, curioso - Ti ho visto con in mano un libretto di Catullo, qualche volta! Ma, tra gli antichi, la tua preferita è Saffo. – lo vidi illuminarsi sorpreso, ma gli impedii di dire qualsiasi cosa – E, prima che tu rovini questa acculturata rassegna di autori tirando fuori qualche volgare battuta sul termine “saffico”, Lesbo e promiscui accoppiamenti tra donne, sappi che il nuovo “te” non approverebbe! –
- D’accordo..! – ridacchiò – Ma non sottovalutarmi! Per aver sviluppato una tanto estesa cultura letteraria, devo aver posseduto fin dalla più tenera età una certa predisposizione all’arte, antica e moderna. – disse con aria altezzosa.
- Certo! Per questo la prima volta che ti chiesi il tuo parere sull’educazione pederastica in Macedonia mi rispondesti con un rutto! –
Colin scoppiò a ridere: - Finalmente una cosa che suona da “me”! Decisamente da “me”.
Era vero e non potei che unirmi alle sue risate. Speravo di poter continuare a ridere per ore, di non dover smettere ed accorgermi del grosso buco che avevo nello stomaco. Speravo di poter continuare ad illudermi che si sarebbe risolto e che discorsi come quelli di prima non li avremmo fatti mai più.
- Grazie, Jared. – mi sorrise, dopo un po’ – Mi sento meglio. Mancherebbe solo una piccola, graziosissima sigaretta! –
- Non cominciare… -
- E una bella Guinness ci starebbe d’incanto! – gli lanciai un’occhiataccia molto eloquente – Andiamo! Tu ed io, una bella natura , una sigaretta e una birra! –
- Ma quale bella natura?! – mi accigliai – E finiscila! Ti concederò una lattina di Guinness, una sola, forse, quando tornerai a casa… -
Colin mi fissava perplesso, probabilmente domandandosi che autorità potessi mai avere io su di lui.
Giustamente, dal suo punto di vista.

- Beh, insomma… vedremo un po’. – cercai di correggere il tiro.
Restammo in silenzio per qualche minuto. Non un silenzio imbarazzante o di circostanza, semplicemente molto naturale, come se ci fossimo lasciati il tempo di assaporare quel momento di tranquillità.
Presi a tracciare con le scarpe piccole forme astratte sul terreno; una di esse venne a somigliare peculiarmente ad uno dei miei stravaganti Creeps. Particolarmente soddisfatto, non riuscii a trattenermi, mi guardai attentamente intorno e tirai fuori dalla tasca il BB. Colin era assorto a rimirare il cielo e gli altri pochi squilibrati che erano fuori a morire di caldo non erano abbastanza vicini da notarmi. Velocemente scattai una foto e riposi il cellulare.

- Però vedi… - se ne uscì d’un tratto Colin, facendomi quasi saltare sulla panchina – lo so che è complicata e tutto… eppure una storia come la tua, come la vostra, intendo... – si fermò a guardarmi per qualche secondo – sarà incasinata, d’accordo, però è quello di cui parlavo… io credo che ne valga la pena, alla fine dei conti. –
Sorrisi appena, quasi con ironia, annuendo lievemente: - E’ complicata, sì. -
- E immagino che lo sia stata sempre di più, dopo la fine del film… -  
Un timidissimo alito di vento portò con sé l’inconfondibile profumo del gelsomino.
- Sai, ero giovane… e vorrei dirti anche inesperto, ma non è così. Ne avevo già passate parecchie nella mia vita, superato momenti di certo non esaltanti e mi ero già formato una bella corazza. Ero già ben consapevole di cosa potessi aspettarmi o meno dalle persone e di come non farmi abbattere da eventuali delusioni, ma… - non dovevo neanche chiudere gli occhi per riaverlo di fronte, forte, bello, il mondo racchiuso nei suoi grandi occhi scuri – avevo messo tutto da parte, lasciato cadere ogni forma di protezione, avevo imprudentemente abbandonato tutto me stesso nelle sue mani. – dissi, con assoluta semplicità – Me ne rendevo conto, un giorno dopo l’altro, ma, consciamente o no, non riuscivo a tirarmi indietro. E non ero un’ingenua mammoletta, sai? Non pensavo che per noi sarebbe stato tutto facile,  tutto rose e fiori, ma ci credevo in quel “noi” e sentivo la necessità di provarci. Mi ero preparato un programma per il futuro, almeno per quello più immediato, e aspettavo il momento in cui lui mi avrebbe detto il suo. –
- E non te lo disse? – mi anticipò Colin, leggermente accigliato.
- Oh, sì. Ma c’entrava molto poco col mio. – presi aria e mi focalizzai su un punto casuale, in un angolo assolato del giardino – Ci regalammo una vacanza, al termine delle riprese, rimanendo qualche giorno in una di quelle magnifiche isolette tailandesi di cui ti parlavo ieri. Giorni bellissimi, per carità, ma, a pensarci bene, un inutile prolungamento di quella fine che non sapevamo affrontare. Non chiarimmo né stabilimmo niente, se non che volevamo restare insieme e preservare quanto, con fatica da una parte e stupore dall’altra, avevamo costruito. Lui riprese la sua vita, se ne tornò in… - e basta con questa Irlanda, cavolo! – a casa e poi passò del tempo con – il bambino appena nato era troppo rischioso - …sua figlia! Aveva una bambina ancora piccola. – spiegai, rivolgendomi direttamente a lui e cercando di essere naturale.
- Una figlia?! Non ti sembrava un elemento rilevante da citare prima?! –
- Beh, no… Non per il momento… -
- E la mamma? Della bambina, voglio dire… -
- No, niente, storia chiusa. – conclusi brevemente, sottolineando il concetto con un convulso segno delle mani.
Colin annuì pensieroso, sollevando le sopracciglia, probabilmente incamerando e catalogando la nuova informazione.
- Io me ne tornai a Los Angeles, all’apparenza alla mia vita di prima, in realtà profondamente cambiato. Qualunque cosa facessi, ovunque andassi, avevo con me quella carica, sai? No, quell’energia… sai, quella consapevolezza che... No, non lo puoi sapere, ma è quella cosa per cui invece di uno ti senti mille, come se fossi sempre coperto, alle spalle, come se… - mi portai una mano sul volto, passandola tra le labbra e la guancia, ripensando a quel breve periodo in cui l’euforia era ancor più potente del senso di lontananza, ricordando come mio fratello si fosse accorto immediatamente che qualcosa di irreparabile doveva essere accaduto. – Ci sentimmo per e-mail e per telefono per quasi un mese e quando finalmente mi raggiunse, in città, ero così emozionato che avrei potuto far concorrenza a un bimbetto di sei anni la mattina di Natale! Il tipo di emozione mutò in un batter d’occhio, quando lui cominciò a borbottare frasi sconsiderate sulla sua impossibilità di mantenere relazioni serie, di resistere alle tentazioni femminili, di accollarsi responsabilità che lo avrebbero soffocato. Se solo mi avesse spiegato che non si sentiva in grado di sopportare le pressioni dell’ambiente, di rischiare di deludere le aspettative di chi aveva intorno, di affrontare i pregiudizi, io gli avrei… Se solo mi avesse confessato che per lui era troppo dura restare a lungo separati, che aveva paura di non potermi trovare, non potermi avere, io gli avrei…io mi sarei… io non avrei mai… - mi resi conto che stavo quasi implorando Colin, come se quell’estraneo ignaro e confuso, davanti a me, potesse in qualche modo cambiare il passato. Mi ricomposi e distolsi lo sguardo. – Invece non disse nient’altro e io mi sentii come se non fossi abbastanza per lui. –
- E quindi avete rotto? – Colin mi guardava, serio e apparentemente molto coinvolto.
- Già, - tentennai, rilasciando una risatina amara – avrebbe avuto più senso, eh? Ma non mi sentivo pronto, non credevo che avrei potuto farcela. E molto probabilmente era così. Del resto non era ciò che lui proponeva: secondo la sua mente contorta avremmo dovuto continuare a vederci ogni qualvolta fosse stato possibile, ma sostanzialmente conducendo due vite separate; il che, a suo dire, non avrebbe affatto stravolto l’essenza di quel che c’era tra di noi. – è inutile che mi fissi strabiliato, tu e tutti gli accidenti che ti ho mandato! – E fu così che andò. Lui partì per girare un nuovo film e dio solo sa cosa non abbia potuto combinare, mentre io me ne restai a casa, in depressione cosmica. Avrei voluto andare a letto anche con i distributori automatici di caffè, per fargli dispetto, ma la verità era che avrei indispettito soltanto me stesso, così  mi chiusi in un’apatia che mi legava in uno stretto rapporto a due col divano del soggiorno. La cosa peggiore è che quando mi chiamava dovevo assolutamente fingere che tutto andasse bene. Mi vidi costretto confidare tutto a mio fratello per riuscire a rialzarmi e riprendere un po’ in mano le redini della mia vita. Accettai una parte in una produzione interessante e Shannon venne con me fino in Sud Africa per permettermi di lavorare e non restare comunque solo. Se non altro fu un periodo molto produttivo, per la preparazione del nuovo disco. –
Colin continuava a seguirmi in silenzio, concentrato. Per la seconda volta, dall’inizio di quello strambo percorso che mi portava a ricostruire tutta la nostra relazione, mi parve strano trovarmi a raccontargli dettagli che non gli avrei altrimenti mai raccontato.
In particolar modo concernenti quel lungo lasso di tempo del 2004 che tanto male aveva fatto ad entrambi. Dopo la riabilitazione, Colin aveva voluto parlare di tutto, persino di ogni problema che avevamo affrontato nel 2005, anno ancora peggiore, per certi aspetti. Ma di come aveva gestito le cose subito dopo la fine di Alexander, non aveva mai più lasciato che discutessimo. Né allora né in seguito.
Forse si rimproverava già abbastanza da solo, forse gli faceva troppo male pensare che se avesse avuto più coraggio in quel momento così topico delle nostre vite, ogni altra catastrofe che si era susseguita negli anni a venire, magari, avrebbe potuto essere evitata.

- Ad una festa di amici comuni incontrai una ragazza. Era una giovane attrice, molto bella, molto intelligente, di quelle per cui gli uomini di mezzo mondo farebbero a pugni. Mi fece capire subito di essere interessata, ma io mi trovavo in un momento di tale confusione e instabilità emozionale da preferire rimaner da solo. Con lui ci sentivamo di frequente, tutti i giorni, in un modo o nell’altro, ma non ci eravamo ancora rivisti. Fece un salto a Los Angeles durante una pausa dal lavoro di entrambi e, dal poco tempo che trascorremmo insieme, uscii di nuovo distrutto. Nel frattempo quella ragazza aveva continuato a cercarmi. Uscimmo insieme qualche volta – mi tornarono in mente i calci nel sedere che Shannon mi aveva più volte tirato per spingermi fuori dalla porta mentre io cercavo mille scuse per disdire – e finii per affezionarmi a lei; era davvero carina e sveglia, una compagnia piacevole che mi distraeva da tutti i miei pensieri. In qualche modo, iniziammo una sorta di relazione. –
- Ma dai? Ma come?! –
- Mi dava un po’ di serenità. – mi strinsi nelle spalle, perdendomi di nuovo verso un punto imprecisato oltre la figura di Colin – Lui lo rividi altre due volte… no… sì, due volte, entro la fine dell’estate e evitai accuratamente di accennargli la questione. Mi rendevo conto che faceva di tutto perché certi argomenti non saltassero fuori, che voleva andare avanti come se noi due fossimo un atomo a sé stante, completamente separato dal resto dell’universo. Ciò che accadeva al di fuori delle quattro mura in cui ci trovavamo, non doveva avere importanza. – sbuffai – Già allora mi rendevo conto che era un suicidio e che avremmo solo finito per farci del male a vicenda. Ma ero troppo debole con lui, avevo troppo bisogno di averlo nella mia vita ed ogni volta lui se ne andava e si portava dietro tutto ciò che avevo. Rimanevo svuotato, completamente. Ben presto, quindi, raccontai a Scarlett, Scarlett è il nome della ragazza, come stavano le cose. Non scesi nei particolari, ma le spiegai che ero affettivamente coinvolto con qualcuno che non potevo lasciare andare, benché la situazione fosse complessa. E lei… beh, lei disse che semplicemente lo aveva sempre saputo, ma che le andava bene anche così. – ripensai a Scarlett e alla sorpresa di quelle sue parole, alla dolcezza con cui mi aveva preso per mano, lasciandomi intendere che le bastava quello che potevo darle. – Ai primi di novembre, mentre ero impegnato con le ultime registrazioni del secondo cd della band, lui mi invitò a raggiungerlo a Londra, dove stava terminando le riprese di un altro film. Folle o meno, mollai tutto e andai. Trascorremmo insieme gli ultimi giorni sul set; - per la miseria, quanto era sexy il look selvaggio da John Smith! - mi presentò ovviamente come un amico, ma mi lasciò dormire in stanza con lui, si comportò in modo molto disinvolto, tanto che rimasi piacevolmente stupito. E quando finì, ci trattenemmo nella capitale per un’altra settimana, solo io e lui. Non uscimmo molto dalla camera d’albergo, per la verità, se non per un paio di serate in piccoli pub del centro e una corsa al British. Aveva sicuramente letto sui giornali della mia storia con quella ragazza, ma non ne aveva ancora fatto parola. Una notte, ormai quasi all’alba, mentre percorrevamo lentamente la riva del Tamigi che raggiunge il Tower Bridge, all’improvviso mi chiese: “Non è una cosa seria, vero, Jay?” –
Colin non mi aveva praticamente mai interrotto. I suoi occhi mi seguivano con attenzione, forse un pizzico di sbalordimento, ma mai una traccia di giudizio. A quel punto, però, rimasto a bocca aperta, s’intromise.
- E tu che gli hai detto?! –
- La verità. Che non lo era. Tagliai corto perché sapevo che non voleva parlarne davvero. Ma quelle poche, masticate parole, mi fecero almeno capire che non ero soltanto io ad arrovellarmi il cervello, a pensare a lui continuamente, ad avere paura di perderlo. Non ero soltanto io a farmi domande la cui risposta mi spaventava, solo che lui affrontava la questione in modo poco sano. Ma non ero soltanto io che ci tenevo. Verso la metà del mese facemmo ritorno in America per la promozione di Alexander. –
- Wow! Ci sono anch’io! –
- Ci sei soprattutto tu! – sorrise, tutto soddisfatto. – Ci spostammo da New York a Los Angeles e qui ci fu la prima vera e propria. Fu una serata grandiosa, Colin! – ricordavo perfettamente come fossi emozionato e agitato per quell’occasione. Sembrava assurdo, nessuno ne aveva idea, ma mi sentivo come se fosse la nostra prima uscita pubblica; eravamo lì a presentare il frutto di tanti sforzi insieme, un film, un progetto, una parte di vita a cui tenevamo tantissimo. – Ci presentammo separatamente, entrambi non accompagnati, se mia nonna e buona parte della sua famiglia non contano. C’era il mondo sul tappeto rosso! Flash, urla, domande da tutte la parti… Ci perdemmo ben presto di vista tra pose con il cast, interviste, foto per i fan, ma, prima della proiezione, riuscii a passargli un bigliettino in cui gli dicevo di raggiungermi per mezzanotte all’uscita sul retro dell’enorme hotel che ospitava l’evento. Avevo in programma di passare una notte romantica e tranquilla in un delizioso chalet tra le colline di Hollywood, con vista sulla città e le sue infinite luci. Lui si presentò con qualche minuto di ritardo e, senza dire nulla, mi trascinò per il braccio lungo la hall fino al grande ascensore; - abbassai lo sguardo, sentendo il caldo aumentare, salire sulle guance - come le porte ci si richiusero alle spalle, mi tirò a sé con forza, stringendomi e baciandomi con una tale passione che ci entrammo a tastoni, sbattendo ad almeno tre angoli diversi, nella suite deluxe che aveva prenotato per noi! –
Colin si lasciò andare ad un doppio fischio d’approvazione ed io ridacchiai, il ricordo di quella notte ben impresso nella mia mente.
Era stato come giungere al traguardo finale, mettere a posto tutti i tasselli ed accantonare il puzzle. Tutto ciò che era stato ed aveva rappresentato quell’intenso periodo di Alexander era finito, il filo che ci teneva ancora obbligatoriamente legati era venuto a mancare. C’era un sapore di conclusione, quella notte, in ogni nostra parola, in ogni nostro sguardo, in ogni nostra carezza. Un sapore di conclusione e insieme il gusto acuto della promessa, implicita, di aprire un capitolo nuovo.

- Le cose continuarono ad andare bene, anzi, molto bene, fra noi. Mi sentivo di nuovo sulla cima più alta del mondo. Era ancora troppo presto perché potessi sapere che quella cima mi avrebbe visto arrivare e cadere, arrivare e cadere, arrivare e cadere infinite volte negli anni a seguire. Riuscivamo a stare insieme praticamente tutti i giorni; lui non aveva ancora una casa sua qui a Los Angeles, ma, invece che nel solito hotel, si fermò da me. Conobbe bene mio fratello, e la convivenza non fu troppo semplice, Tomo, Matt, un po’ tutte le persone che mi girano sempre intorno. Ed io ebbi la possibilità di passare un po’ di tempo con il suo – improvvisai ad arte un colpo di tosse - … la sua bambina. Abbiamo legato da subito, sai? – sorrisi. Sorrido sempre, quando penso a James. – Con Scarlett non ero più in grado di stare, non da quando lui si era ripresentato in modo così costante nella mia vita, catalizzando ogni mia risorsa. Fortunatamente si era temporaneamente trasferita in Europa per lavoro ; le dissi che avevo bisogno di tempo e che ci saremmo rivisti al suo ritorno. Era stata davvero paziente con me e volevo che quello che avevamo condiviso, per quanto un po’ fuori dai canoni, avesse fine nel migliore dei modi. A metà dicembre, arrivò il momento in cui se ne dovette tornare a casa, per le feste. Io ero tutto fuorché felice, te lo puoi immaginare, ma lui, la mattina, prima di partire per l’aeroporto, volle a tutti i costi che ci prendessimo qualche minuto per parlare. Era impacciato e nervoso, – non potei non ricordare il leggero tremore della sua mano, mentre appoggiava il suo bicchiere d’acqua sul tavolino del soggiorno - ma era evidente che stesse tirando fuori qualcosa che lo tormentava da un po’. Disse che, nonostante tutte le difficoltà e i limiti che avremmo sempre avuto, voleva provarci sul serio, che non poteva neanche immaginare di non avermi in modo stabile nella sua vita. “Solo tu ed io e tutto l’impegno che sarà necessario.” – sorvolai sull’effetto che ebbe su di me lo sbattere implorante dei suoi occhioni da cucciolo bastonato.
- In poche parole “Fuori dalle palle la bionda tettona…”! – constatò seraficamente Colin.
- Come fai a sapere che era bionda e… - mi accigliai.
- È il prototipo perfetto di chi non ama veramente le donne, ma ci si rifugia più o meno consciamente. Anche Eamon aveva una fidanzatina bionda tettona al liceo! –
- Il senso era più o  meno quello, sì! – risposi con una punta di riso sulle labbra – E così andò. Rividi Scarlett qualche giorno prima di capodanno e le raccontai tutto. E, di nuovo, lei si comportò come la più comprensiva e dolce delle persone e io le sarò sempre immensamente grato per questo. Rimanemmo amici e l’accompagnai persino ai Golden Globe, qualche settimana più tardi. Lo siamo ancora, amici… -  mi interruppi un secondo, riflettendo – in effetti, è quello che in realtà siamo stati fin dall’inizio. Non le ho mai svelato chi fosse la persona in questione, però! Pensa che fino ad oggi mi avrà presentato una lista di almeno cinquanta papabili pretendenti! –
- Ah, quindi è questo che fai normalmente?! – mi guardò sospettoso, raddrizzandosi sullo schienale – Intrattieni i tuoi amici con fantomatici racconti sull’uomo misterioso per darti un tono… e magari questo tipo non esiste nemmeno! –
- Certo, come no! Ecco a voi la scemenza delle… - tirai fuori il blackberry dalla tasca per controllare l’ora – Cristo, Colin! Siamo qui fuori da quasi due ore! Siamo in ritardo! – mi alzai velocemente dalla panchina, le mani fra i capelli mentre gli giravo intorno per raggiungere il lato posteriore della sedia a rotelle – In super ritardo! –
- E che sarà mai? Dai, restiamo un altro pochino..! – si lamentò con tono supplicante.
Cercai di spingere ma trovai una resistenza che non capii da dove provenisse.
- Potrebbe farti male, Colin! Ci sarà un motivo se hanno detto un’ora soltanto. –
- Davvero? Che potrebbe succedermi? Forse questo caldo allucinante potrebbe darmi alla testa e la mia memoria rischierebbe di uscirne offuscata e imprecisa?! –  
- Come sei spiritoso! – sbuffai, alzando gli occhi al cielo - Ti avverto, se mi sporgo e mi rendo conto che  sono i tuoi  piedi a bloccare la carrozzina, perdo la pazienza, quindi vedi di sollevarli e andiamo! –
Eravamo quasi in cima alla rampa che collegava il cortile con l’edificio, quando sentii una voce squillante chiamare il mio nome a gran voce. Mi fermai di colpo e sia io che Colin ci voltammo indietro. Una ragazza, con una lunga coda di capelli castani, ci veniva incontro agitando le braccia.
- Jared, Jared! – ci raggiunse con il fiatone, piegandosi un attimo sulle ginocchia per riprendersi – Sei Jared Leto, vero? Non ti sto sognando? –
- Sono io! – le risposi sorridendo, sebbene un tantino interdetto. Con tutto il bene del mondo, non era certo il momento più adatto per intrattenersi in chiacchiere con qualche fan. Era un’echelon, almeno? E se riconosceva Colin?
- Sono una tua grandissima ammiratrice! – esclamò con occhi, bocca e braccia spalancate – Ero qui con mia nonna, ti ho visto quassù e ho pensato di avere un’allucinazione! Ho visto tutti i tuoi film, tutti! E ho sentito anche qualche tua canzone! – ecco, non era nemmeno un’echelon, non mi potevo fidare! – Fuga da Seattle! E’ il mio preferito, fantastico, bellissimo! Tu, sei bellissimo! – non prendeva nemmeno fiato.
- Oh, grazie, sì, grazie, io –
- Puoi farmi un autografo? – continuò, ma con gentilezza, allungandomi un foglietto rosa e una penna mangiucchiata.
- Sì, sì, ovvio! Come ti chiami? –
- Jenny! – mi rispose, con un sorriso che le arrivava fino alle orecchie.
- Ecco, qua, Jenny… - le restituii tutto, dopo aver scritto una dedica veloce e firmato.
- Possiamo fare anche una foto, per favore? –
- Uhm… - la ragazza, appena vent’anni, forse, mi fissava tra lo speranzoso e il venerante e il “no” proprio non riuscì a venirmi fuori – ma certo! –
- Grazie! Grazie mille, Jared! – e mi passò il suo cellulare.
- Ve la scatto io! Che ci sto a fare qui se no! – mi voltai verso Colin, che ci fissava decisamente divertito – Dammi qua! – gli diedi il telefono, pregando tutte le divinità che mi venivano in mente affinché la ragazza non lo riconoscesse. Non so come, ma non lo fece. – Dov’è il bottone? –
- Non c’è il bottone! La tecnologia, ricordi? Devi premere l’icona sullo schermo, la vedi? –
- Ah, eccola qua! Tutto a posto! Sistematevi… - come di consueto, anche Jenny si aggrappò ai miei fianchi come se la sua vita dipendesse da loro, appoggiando la testa sula mia spalla sinistra – Sorridete… - si strinse ancora di più a me e io le misi un braccio sulla spalla, anche solo per non averlo compresso sul torace e riuscire a respirare -  Sorridi, Jared! –
- Questa è la mia faccia mentre sorrido, che devo fare? – sentii la ragazza sghignazzare.
- Ok! Pronti? Ecco fatto! –
Con qualche secondo di ritardo, Jenny si staccò da me, recuperando il cellulare da Colin e ringraziandolo.
- E grazie a te, Jared! È stato bellissimo incontrarti! Sei-sei straordinario, dal vivo, ancor più che in tv! Sei stupendo, la persona più stupendissima che abbia mai visto! Sei un sogno! E sei bravissimo! E la tua voce è meravigliosa, parli così bene! – mi guardò per la frazione di un secondo e senza nemmeno lasciarmi il tempo di ringraziarla, mi diede un abbraccio fortissimo a tradimento e se ne saltellò via.
Quando tornai con lo sguardo su Colin, lo trovai che mi fissava con una tremenda faccia da schiaffi, probabilmente un po’ stupito ma inconfutabilmente divertito.
- Quanto entusiasmo! Sono sempre così? – mi chiese ridacchiando, mentre mi risistemavo dietro di lui e prendevo a spingere oltre le porte, verso l’interno dell’edificio.
- Oh, no! – gli risposi con una punta di orgoglio - Gli echelon sono molto meglio! –


Di nuovo in camera, il tempo volò via, piacevole e leggero. Colin, risistematosi nel letto, ed io, sulla sedia vicino a lui, ce ne stavamo a chiacchierare con Rita, nel frattempo impegnata a ricamare un lenzuolino azzurro per Henry. Colin si estraniò parecchio dalla conversazione quando feci il tragico errore di mostrargli la versione di Tetris per cellulari, ma io mi dilettai non poco con alcune delle storielle di sua madre. Quelle sì che erano nuove per me, non come quelle che Eamon e Colin mi rifilavano sempre.
Insomma, tutto molto tranquillo, finché Claudine non riemerse dagli abissi dell’ospedale e butto là, con malcelata noncuranza:

- Ehi, Jared… se tutto va bene, domani sarà l’ultima notte che Colin passerà qua dentro. Perché non rimani tu con lui? –
Se il corpo umano fosse in grado di congelarsi autonomamente, ecco, quello sarebbe stato il mio momento.
Il pensiero di fare la notte a Colin mi era passato per la testa, in un primo momento, ma l’avevo velocemente scartato, riflettendo semplicemente sul fatto che da una parte lui stesso non si sarebbe probabilmente sentito a suo agio, avendo una nozione molto approssimativa della mia esistenza, dall’altra io per primo mi sarei trovato in una situazione alquanto scomoda e difficilmente gestibile, perché “notte”, “Colin” e “due letti separati” costituivano un’associazione totalmente estranea alla mia esperienza.
Senza emettere alcun suono, rimasi a fissare Claudine e Rita, che a sua volta mi guardavano attendendo una risposta, come un passante che si ritrova ad inciampare in una balena arenata. A dar voce alla mia coscienza, sentivo il monito indispettito di Rosario ribadire che anche i masochisti più risoluti sbattono contro un limite, ad un certo punto. Oh, Roxy, perché non sei qui a salvarmi?!
A sbloccare quegli istanti infiniti di raggelante stasi, fu proprio Colin, momentaneamente riaffiorato dal Tetris.

- È una splendida idea! – strepitò, dandomi un colpo sul braccio e richiamando la mia attenzione su di sé -  Ci divertiremo, vedrai! Qualcosa inventiamo! – continuò con convinzione.
- Ecco, io… non so se… -
- Non c’è niente di difficile, sai..? Qui chi viene si limita a dormire! – si fermò un attimo, forse notando la mia palese insicurezza – Sempre che tu non abbia già altri progetti, è chiaro… -
- No! No, no, figurati… - cercai di sorridergli e lui seguitò a guardarmi, con evidente aspettativa – D’accordo, rimango io allora. – gli dissi, per poi voltarmi ed annuire alle due donne, rimarcando il concetto.
Bravo Jared. Complimenti. Hai sempre il polso di dirgli di no.
Mentre tutti esprimevano la loro soddisfazione, mi sentii invadere da uno scriteriato eppure profondo senso di disagio e agitazione. Avevo decisamente bisogno di starmene un po’ per conto mio e prepararmi psicologicamente a quel che mi avrebbe aspettato il giorno seguente.
- Beh, detto questo, io mi avvierei verso casa, anche perché a minuti porteranno la cena, credo. –
- Sì, ma fai attenzione, prendi l’uscita secondaria, perché quella principale è ancora tenuta d’ostaggio dai paparazzi. – sbuffò Claudine.
- Come minimo incontri un’altra fan, magari un’ec…un’eche..com’è che si chiamano? – farfugliò Colin.
- Echelon! – gli risposi ridendo, mentre mi infilavo una manica della giacca.
- Dovevate vedere! – riprese lui, rivolto verso sua madre e sua sorella – Ne abbiamo beccata una nel cortile! Roba da matti, gli ha detto di tutto! –
- È sempre così con Jared! – sghignazzò Claudine, strizzandomi un occhio.
- Ma veramente! “Sei bellissimo, splendidissimo, bravissimo, supermega fighissimo.” Tutti gli -issimo del mondo! – poi si voltò verso di me, la fronte corrucciata in un’espressione di stupore – Non sapevo di avere a che fare con un uomo tanto adulato! –
Risi, scuotendo il capo, insieme a Rita e Claudine. Le salutai entrambe con un bacio, riservai a Colin un cenno con la mano e mi avviai lungo il corridoio.
Feci solo pochi passi, poi non riuscii a reprimere quel che all’improvviso mi era salito dentro. Avrei dovuto, probabilmente, ma non ci riuscii.
Tornai indietro e risbucai nella stanza. Rita era entrata in bagno, la porta chiusa, e Claudine era presso la finestra, ad osservare non vidi cosa.
Colin si accorse della mia presenza e sollevò le sopracciglia, sorpreso, ma lo anticipai, prima che potesse aprire bocca.

- Non so se possa avere un senso, sai… Però è vero, nel nostro ambiente, col mio lavoro, è così, è così sempre, quasi ogni giorno. Non importa andare in tour o percorrere il tappeto rosso, anche uscendo di casa, facendo la spesa, camminando per strada, andando dal medico, ogni comunissima attività diventa l’occasione perfetta per imbattersi in qualcuno per cui rappresenti un evento emozionante ed unico. La mia vita è così, Colin. Sono elogiato, encomiato, adulato in continuazione, in ogni modo, come se fossi la persona più speciale dell’universo. – feci una breve pausa, prendendo aria e infilando le mani in tasca, per nascondere un tremore apparente, quanto bizzarro, mentre Colin mi seguiva immobile, silenzioso e attento. – Non so se possa avere un senso, ma… per me è questo il grande amore. Sei sommerso da questa marea di sfrontate attenzioni, e le apprezzi, eppure senti che sono vere sono nell’istante in cui trovi il tuo qualcuno. Capisci? Io non mi sento davvero speciale perché mi viene ripetuto che lo sono cento volte al giorno, io mi sento davvero speciale perché ho lui, che a volte, senza nemmeno dover dire una parola, mi fa capire che sono in assoluto ciò a cui tiene di più. – Non piangere adesso, Jared, non adesso – Migliaia di voci e, per una strana alchimia del destino, un unico qualcuno in grado di dar loro un valore. Non è così scontato avere questo potere su una persona né dall'altra parte lo è concederlo. E penso che sia questo il vero amore. Per me, almeno, è questo. – conclusi quasi in un bisbiglio, sbattendo un paio di volte le ciglia per trattenere ad ogni costo le lacrime.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, gli sguardi incollati l’uno nell’altro, Claudine immobile, contro la parete, con una mano a coprirsi la bocca. Mi sentivo in qualche maniera leggero, ma il cuore mi batteva a mille e mi sembrò quasi che per un istante il tempo si fosse fermato.
Poi, dal niente, Colin piegò le labbra in un sorriso malinconico.

“Questo amore, così violento, così fragile, così tenero, così disperato.
    Questo amore, bello come il giorno, e cattivo come il tempo, quando il tempo è cattivo.
    Questo amore così vero,  questo amore così bello, così felice, così gaio, e così beffardo,
    Tremante di paura come un bambino al buio.
     E così sicuro di sé, come un uomo tranquillo nel cuore della notte.
    Questo amore che impauriva gli altri, che li faceva parlare, che li faceva impallidire,
    Questo amore spiato, perché noi lo spiavamo,
    Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato, perché noi l'abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato.
    Questo amore tutto intero, ancora così vivo, e tutto soleggiato.
    E' tuo. E' mio.” –
Non fui in grado di trattenere una lacrima che mi scivolò infida,  rapida, traditrice, lungo la guancia, fino a cadere oltre il mento; il suo infrangersi contro la cerniera della giacca udibile nel silenzio surreale in cui eravamo rimasti.
- Sono sempre stato un fanatico di Prévert, - disse piano – solo che mi ha sempre imbarazzato dirlo..! –
Annuii meccanicamente, come se non fossi nemmeno io a decidere i movimenti del mio corpo e lui sorrise, appena.
- Ci vediamo domani. –
- A domani, Jared. –

Domani.
Un altro giorno per questo nostro amore dimenticato.

  
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