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Autore: plutus93    10/02/2013    0 recensioni
Ho sempre immaginato che Merlino ed Artù potessero rivedersi un'ultima volta, e da un sogno "merliniano" mi è scaturita questa storia
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Incredibile encounter”

 
“Guarda Merlino! Gli uccelli migratori, stanno volando verso sud, liberi e felici nel cielo. Ma poi, in primavera, torneranno da dove sono partiti. Nessuno potrà impedirlo, nessuno.” Com’era calda la voce di Artù, anche nel sogno. Merlino sapeva benissimo di stare sognando. Ogni notte puntuale, Artù tornava da lui nel sogno. Il suo sorriso luminoso, le sue mani forti e gentili, il suo sguardo dolce. Artù. Nessuno impedisce il libero volo degli uccelli migratori; essi tornano al luogo d’origine, puntuali e precisi. Tutti noi torniamo. Anch’io, Merlino, sono tornato a casa. Dopo tanto peregrinare eccomi nuovamente qui nel palazzo di Camelot. Ho seppellito mia madre nella tomba di famiglia a Ealdor dove anch’io riposerò, forse, un giorno. Ho seppellito Gaius nel castello di Camelot accanto al suo signore  Uther. E intanto posso rivedere il mio amico, parlargli, incontrarlo nel sogno. Rivederlo mentre lo guidavo per le vie di Camelot a scoprire la vita vera, a toccare con mano la vita del suo popolo. Fargli capire il mutamento avvenuto grazie a lui; trovare contadini e nobili  che parlano insieme da pari a pari di una nuova era. La Nuova Era! Non aveva avuto vita sufficiente a vederlo realizzato, Albion; ma era stato il principale artefice del suo avvento. Artù! Troppo onesto, troppo leale, troppo disinteressato, troppo coraggioso. Merlino si girò sul letto: era completamente sveglio adesso. La luce dell’alba filtrava attraverso la finestra semi-aperta. Si alzò a sedere sul letto e si rese conto di essersi addormentato vestito, di traverso sul letto. Era molto presto ma lui non aveva più sonno. Dormiva pochissimo da allora. Aprì la finestra e si appoggiò con entrambe le mani al davanzale: l’odore della terra, degli alberi e dei cespugli inondò la stanza. Era a quell’ora che di solito scendeva in giardino per assistere Artù mentre si esercitava alla spada, alla mazza ferrata o con qualsiasi altra arma gli venisse in mente. Il campo di allenamento adesso era terribilmente vuoto. Si guardò attorno: l’armadio di noce scuro era intatto: armeggiò con la chiave, frugò nel suo interno. Tirò fuori una spada, che soppesò nel palmo. Un lieve sorriso gli increspò le labbra. Il rumore dei primi colpi svegliò Ginevra: corse alla finestra, in preda ad un’inspiegabile ansia, mentre una seconda serie di colpi rompeva la quiete del mattino. In giardino, nello spazio dove un tempo i cavalieri di Camelot si erano cimentati nei turni di addestramento con il Re, Merlino colpiva con una serie di fendenti incredibilmente precisi un manichino ormai un po’ arrugginito ed in precario equilibrio. Gli si avvicinò in silenzio, ma quasi a percepire la sua presenza, Merlino si voltò: conosceva bene quel volto. Più affilato, segnato dal dolore più che dal tempo, gli occhi pieni di lacrime mentre lui le accarezzava la mano, la mano di quella donna che per lui era l’unico vero legame rimasto con il suo passato
“Perché mi guardi così?” “Ti ricordo come eri allora. Sei sempre lo stesso.” “No Gwen, in me molto è cambiato. Se in peggio od in meglio non so” Ginevra strinse le labbra. “Questo è nuovamente un addio. Come quella volta sulla piana di Camlan, dopo che Artù fu ferito” Merlino ebbe un sorriso triste. “La morte non mette fine a niente; si continua ad amare con intensità anche maggiore e dentro una struggente, atroce nostalgia” “Ecco è la nostalgia che mi ha riportato qui da te; da te che sei e sarai sempre la mia migliore amica. Me ne devo andare. E’ destino per me: è una vita che parto. Addio Gwen” “Addio Merlino. Che tu sia sereno. Felice no. Nessuno di noi potrà più esserlo. Mai più. Questo è il mio augurio più fervido” “Meglio che vada” “Vuoi partire adesso?” “Sì adesso. Me ne stavo già andando quando ti ho ritrovata. Ma farò mio il tuo augurio: che tu possa essere serena finalmente, amica mia” “Grazie Merlino il tempo è un medico davvero pietoso” E senza aggiungere altro la regina di Camelot si strinse nel mantello nero e voltandosi tornò verso la reggia. Le lacrime non avevano smesso di rigare il suo volto. Merlino si sentiva più sollevato. L’angoscia divorante che gli era stata compagna per molti lunghi anni, ora sembrava sopita. Il torrente impetuoso della disperazione aveva lasciato il posto ad un lago calmo: quello della rassegnazione. Era solo, sì, non c’era più Artù al suo fianco. O meglio, non c’era più fisicamente, ma era sempre con lui nel pensiero, nella memoria e nel cuore. Una pace nuova gli era entrata nell’anima come un balsamo rinfrescante. Gli era stato fatto dal destino un dono grande, il dono di conoscere un amico vero, sincero e prezioso. E il dolore più spaventoso, veder morire quella persona. Nel bene e nel male la vita l’aveva temprato. Si passò una mano sugli occhi, mentre tornando nel suo alloggio si chiudeva la porta della stanza alle sue spalle. Alla luce delle candele la stanza in penombra sembrava popolata di spettri scuri: Merlino sorrise. Non aveva paura dei fantasmi lui. Erano presenze confortanti, gente che aveva vissuto, lottato, era stata felice, aveva sofferto ed era morta. Non bisogna avere paura dei morti: i morti sono pieni di comprensione per chi si agita ancora sul palcoscenico della vita.
 Una macchia scura sullo scrittoio attirò la sua attenzione: il suo diario. Era stato un ragazzo orgoglioso e testardo in fondo. Si sentiva di mille anni più vecchio, ormai. Scorreva quelle pagine con lo stesso distacco di un lettore che esamini righe scritte da un altro. D’impeto prese la penna ed il calamaio e cominciò a scrivere. Che pazzia! Un diario interrotto per anni e ripreso di getto, una mattina d’estate da chi era stato creduto morto e si era creduto per primo morto. Perfino la grafia era cambiata: una scrittura più aguzza, meno ricca di svolazzi. “Sono tornato. Merlino è tornato a casa. Ho ritrovato Ginevra ha dell’incredibile. Dentro di me un nodo si è sciolto, un groppo che mi stringeva l’anima da quel giorno quando avviai la salma di Artù al suo  riposo sull’isola di Avalon. Riesco a pensare a lui senza desiderare di morire. Anzi, sono sicuro che è qui accanto a me mentre scrivo. E sorride. E approva.”
“Ci ritroveremo ancora
Non so dove, non so quando
Ma so che ci ritroveremo
In un giorno di sole
Sorridi ti prego come sai sorridere tu
Sorridi finché il cielo azzurro
Scaccerà le nuvole nere
E saluta ti prego la gente che conosco
Digli che non starò a lungo lontano
Li farà contenti sapere che mentre partivo
Ho pensato a tutti loro
Ci troveremo ancora
Non so dove non so quando
Ma so che ci ritroveremo in un giorno di sole”
 
Il sole era ormai alto sopra l’orizzonte, e al piccolo trotto il vento accarezzava i capelli scuri di Merlino: sulla riva del lago i verdi prati erano vestiti a festa da una miriade di fiori bellissimi, multicolori, e le piante agitavano tranquillamente le loro fronde al vento.
Artù, il suo Artù, riposava per sempre in quel luogo, che li aveva visti insieme al tempo della sua morte. Quei ricordi gli avevano lacerata l’anima per lungo tempo: ora, chissà. Si domandava che cosa sarebbe stato di lui, che cosa poteva aspettarsi dalla vita. Depose il mazzo di rose bianche che Ginevra aveva colto nei giardini reali di Camelot.
 Ad un tratto il cavallo, fino ad allora piuttosto tranquillo, forse disturbato da qualche insetto, iniziò ad agitarsi: Merlino reagì con qualche secondo di ritardo che gli fu fatale. L’animale sfuggì al suo controllo, ebbe un’impennata, e si mise a galoppare velocemente: cercò di assecondarlo nella corsa, ben sapendo che per avere ragione di lui avrebbe prima dovuto farlo stancare: imboccò un sentiero che attraversava la radura e che terminava con un precipizio, ma ad un tratto accadde qualcosa di strano. Il cavallo ondeggiò, cercando di riprendere la corsa, inciampava, vacillava. Trascinato nella rovinosa caduta del suo cavallo, Merlino rotolò sui sassi come un fantoccio inanimato.
E restò immobile.
Come era difficile riemergere alla coscienza! E poi non era affatto sicuro di volerlo veramente. Era successo qualcosa: il cavallo si era probabilmente spezzato un zampa inciampando in qualcosa sul terreno, e l’aveva trascinato con sé nella rovinosa caduta, dove aveva battuto la testa, perdendo conoscenza. Per quanto? Cercò di aprire gli occhi ma la vista era un po’ confusa: sentì una mano gentile che si posava sulla sua fronte mentre i contorni di un viso chino su di lui restavano indistinti.
 “Merlino!”
Non era una sogno, qualcuno la stava chiamando per nome.
“Merlino ti scongiuro rispondimi” Una voce di uomo: cercò di mettere a fuoco il suo viso.
Poi ad un tratto capì a chi apparteneva quella voce: non poteva essere la sua voce!
Si alzò a sedere e cercò di focalizzare la persona che gli stava di fronte: una macchia rossa che prima indistinta poi via via più nitida fino a che  la sua vista fu nuovamente chiara
Ed ebbe una fitta al cuore che gli tolse il respiro: i capelli biondi, gli occhi azzurri come il cielo di quella giornata d’estate, il viso sereno e disteso ed un sorriso caldo e amichevole.
Un sorriso che era rivolto a lui, solo a lui. Merlino non riusciva ancora a mettere in ordine logico i suoi pensieri: come poteva essere lì? E come ci era arrivato e da dove?
“Artù……..”
“Alzati Merlino, non è arrivato ancora giunto il tempo che tu ci raggiunga”
Perché aveva parlato al  plurale? Poi li vide. Altre figure familiari si erano materializzate alle spalle di Artù. Lancillotto, Gwaine Elyan e….Mordred!! Tutti con le insegne dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e tutti gli sorridevano. Sembravano sereni.
“Amici miei ma voi siete…..” Artù lo aiuto ad alzarsi, mentre gli altri rimanevano indietro immobili, senza parlare
“Non abbiamo molto tempo Non sprechiamolo in inutili spiegazioni”
Merlino ancora scosso da quegli avvenimenti era incapace di muoversi: poi improvvisamente Artù lo abbracciò. E a Merlino parve di tornare indietro nel tempo in quello stesso luogo tanti anni prima, quando ben altro abbraccio li aveva separati. Così almeno aveva creduto fino ad ora. Rimasero così per un po’ finché Artù non si staccò, guardandolo  diritto in faccia: il viso del mago era pallidissimo  e teneva ancora gli occhi ancora chiusi. Sembrava più giovane ed il suo sguardo era straordinariamente dolce. Ora aveva compreso finalmente tutto il suo coraggio il suo idealismo e la sua fedeltà. Era sempre stato accanto a lui, aveva sempre creduto in lui ed in Camelot ed aveva sacrificato moltissimo per questo. Che cosa era andato storto allora? Lui gli voleva bene, tanto, ma aveva commesso un errore grande che aveva finito per distruggere non solo loro, ma anche molti altri. Questo non se lo sarebbe mai perdonato. “Allora sei tornato come aveva predetto Kilgharra. Quando Camelot ne avesse avuto bisogno…”
“No Merlino non sono tornato per quello: sono tornato perché tu ne avevi bisogno”
“Io?”
“Sì tu amico mio Ho percepito la tua tristezza e la tua solitudine Ed il fatto che avessi perso la speranza. Tutto è nelle tue mani lo sai Molti contano su di te Non puoi deluderli. Soprattutto non puoi deludere me”
“Non ho mai voluto deluderti e se l’ho fatto è perché ho creduto che….”
“Mai Merlino Non mi hai mai deluso davvero Credimi” Artù fece qualche passo indietro, iniziando ad allontanarsi da lui, circondato dagli altri Cavalieri. Lentamente molto lentamente i loro corpi iniziarono a perdere consistenza e a diventare evanescenti
“Non andartene!! Ti prego non lasciarmi ancora una volta!!!”
“Devo Merlino E’ giunto il tempo che torni da dove sono venuto! Tu entri nel sole di un nuovo giorno e di una nuova vita di cui io non posso più materialmente far parte Ma sarò sempre accanto a te e a Ginevra nello spirito” Ormai i loro corpi erano quasi del tutto svaniti.
“Aspetta dimmi almeno se potrò rivederti un giorno”
Un tenero sorriso sul viso di Artù mentre la sua voce portata dal vento gli rispondeva
“Se tu mi vorrai bene come io ti voglio bene
Rosa perfetto amore, fuoco perfetta sapienza
Non cesseremo mai dall’esplorare
Ed al termine di tante esplorazioni
Giungeremo al luogo da cui siamo partiti
E ci parrà di vederlo per la prima volta.
Quando le lingue di fuoco sono ancora in bocciolo
In un nodo fiammeggiante
Ed il fuoco è assieme una rosa
Quando il fuoco sarà insieme una rosa
Il momento sarà venuto”
  
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