Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: raganellabyebye    10/02/2013    2 recensioni
Le parole hanno un peso. In questo caso, 49kg, vestiti e accesori compresi. Ah, e pare abbiano approfondite conoscenze nel campo dell'autodifesa!
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Red Carnations'
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No comment sul troppo tempo passato lontana da Microsoft Word. Anche perché il solo pensare alla causa di tutto ciò mi fa rodere il fegato in una maniera...
Ma lasciamo perdere!
Oggi ho scritto questa cosa così, giusto per ridere, ispirata da una notizia del TG. Spero vi piaccia!
Note sui personaggi – perché alcuni nomi tendono a variare – a fine della prima parte (in fondo alla pagina)
P.S.:vi divertirete di più se avrete letto “A Bad Day in Milan”, capitolo 10 di “Castel Sant’Angelo”, un’altra fic della serie Red Carnations, di cui questo Two-Shots è parte. Non preoccupatevi, è un capitolo leggero che può tranquillamente essere letto staccato dalla storia intera. Se non lo volete leggere prima, potete sempre buttarci un occhio poi, se la pair vi diverte!
 
Avvertenze: HETALIA NON È MIO. I PERSONAGGI APPARTENGO TUTTI-TUTTI-TUTTI ALL’AUTORE ORIGINALE HIMARUYA HIDEKAZU (certo che “idekazu”... ha un’assonanza imbarazzante con un certo costrutto... ma forse sono solo io a farmi dei viaggi...)
  
  
Il Corriere della Sera
Parte I
 
Arthur punta l’ago, infilandolo nella stoffa con un sinuoso movimento della mano. Appoggia il ricamo – tenuto teso da un telaio di legno che deve aver visto giorni migliori, me che fa ancora il suo lavoro – sulle ginocchia, in un equilibrio tanto precario quanto ben collaudato. Si stiracchia le spalle, allunga il collo, gira la testa a destra e sinistra, muovendo contemporaneamente le braccia e ruotando i polsi, poi il capo. Non sa che, dalla cucina, un altro uomo lo sta guardano con un sorrisetto malizioso. In caso contrario, l’insolitamente tranquillo tardo pomeriggio di casa Kirkland prederebbe la più usuale piega caotica e potenzialmente esplosiva (non è un caso che metà del tetto abbia delle tegole appena più chiare...). In sottofondo c’è solo il silenzio e – occasionalmente – un suono come di cornamuse – i pochi secondi di assolo dei Royal Scots Dragoon Guards che Ian sta ascoltando a un volume umanamente sopportabile (certo, è al terzo piano, al capo opposto dell’edificio, ma questo non ha mai impedito ad Arthur di sentire perfettamente tutto il CD). Rhys sta leggendo in giardino. Cailean dorme.
Il Paradiso in terra.
Lasciando ricadere le braccia sui braccioli della poltrona di velluto color muschio, Inghilterra volge un’occhiata rilassata all’orologio, inspirando a pieni polmoni l’odore di biscotti al burro che fuoriesce dalla cucina: Francis sta preparando degli Shortbread, su ricetta del Braveheart di famiglia. Mania per l’alcol a parte, i fratelli inglesi (guai se adottasse quest’aggettivo in loro presenza!) hanno una sola cosa in comune: una grande tradizione culinaria...
... che non riescono a mettere in pratica. Chiedere a Ian di preparare gli Shortbread per il tè, oltre che virtualmente (nessuno sano di mente – e i Kirkland si ritengono dotati, a ragione, di una sanità mentale oltre la media delle altre nazioni, almeno da sobri – gli ha mai effettivamente chiesto/lasciato fare una cosa del genere, ma le premesse comprovate da anni di ripetuti incidenti, non possono non suggerire un’ovvia conclusione che nessuno vorrebbe mai vedere concretizzata) letale – sia per l’elevato rischio incendio dato dall’uso del forno, sia per le conseguenze di un’eventuale ingestione del prodotto – sarebbe oltremodo umiliante, e comporterebbe un indebitamento morale nei suoi confronti a livelli di strozzinaggio.
Le cinque meno cinque...
Allungando un’ultima volta le gambe, appoggia il ricamo sul tavolino art decò alla sua destra e si alza, godendosi appieno la tranquillità del momento.
Ah, Epicuro, Epicuro... Quanto hai ragione!
Il rombo di un motore e lo stridio di una frenata stile “Fast and Furious” nel vialetto di casa lo fa sobbalzare. Circospetto come un gatto, gira la testa verso la porta d’ingresso, e con passo felpato si avvicina alla finestra. Scostando le tende bordate di pizzo con l’attenzione di una vecchia comare impicciona, e scorge un’auto nera, la carrozzeria così lucida che pare urlare “solo questo tipo di verniciatura costa 20000€!”. Potendo vedere solo un angolo del posteriore, tuttavia, non riesce a riconoscere la casa automobilistica, tantomeno il modello. Eppure, qualcosa, nei meandri della sua mente, o forse semplicemente quell’istinto di autoconservazione tipico di tutti gli esseri viventi, reminescenza degli avi a quattro zampe, lo mette sull’attenti. Lo sbattere violento di una portiera chiusa con troppo impeto gli fa rizzare i peli sulla nuca. Anche Mintbunny si è volatilizzato, sparito appena la fuoriserie ha curvato per immettersi nella strada privata.
Inquieto, si ritrae, sapendo di non poter comunque vedere “l’ospite”. Il termine più corretto sarebbe “intruso”, ma lui è un gentleman, e non uno Scottish, non uno Welsh, ma un English gentleman – oltre che un Sir – quindi non tratterà il nuovo venuto come una qualche sorta di bestia feroce scappata dal giardino di Ivan e venuta lì al solo scopo di troncargli la testa di netto, prenderla, piantarla su di un pal-
Ding-Dong
Il Campanello.
Quando lo comprò, scelse quel suono perché era allegro, ma al contempo delicato e di classe (checché ne dicesse Alfred; d’altronde, quel troglodita di suo figlio ha un campanello supertecnologico che, una volta spinto, fa partire la colonna sonora di un film – che cambia a seconda delle ultime preferenze del proprietario (da almeno una anno c’è “Avengers”, neanche a dirlo) – e non smette finché il padrone di casa non apre la porta). Ora, per qualche arcana ragione, gli sembra una campana che suona a morto.
Diiiiiing-Dooooong
L’irritazione nel viaggiatore si ripercuote sul povero pulsante d’ottone. Arthur riesce quasi a vedere la molla piegarsi fino ad arrotolarsi su sé stessa. Un po’ come le sue viscere. Passin passino, raggiunge l’anticamera. Respira lentamente, il cuore che gli batte a mille. Vorrebbe urlare e chiamare Francis, ma non lo fa.
Esattamente come quelle stupide signorine perennemente discinte nei film horror di Al. Almeno io non sto andando ad aprire la porta a un serial killer in mut-
Ma che sto dicendo?!?!
Con un ultimo passo deciso – ignorando tutti gli istinti e le vocine che gli urlavano “SCAPPA!” – afferra il pomello della porta, toglie la catena, apre l’uscio e...
... e tira un sospiro di sollievo.
“Oh, Serena! Cosa ci- oh, ma cosa sto facendo! Entra cara, entra!”
Si scosta, lasciando alla ventenne abbastanza spazio per entrare, un sorriso di benvenuto – accompagnato da un sollievo che non prova dall’ultima finale di campionato – così caldo e ampio che Francis potrebbe cuocerci i biscotti.
Fosse stato abbastanza accorto da notare l’espressione burrascosa sul volto di lei, o il ticchettare furioso dei tacchi a spillo, o se si fosse chiesto il perché l’italiana emana un’aura omicida, non sarebbe così felice di averla in casa.
Purtroppo, Arthur non è troppo avveduto, in questo momento.
Dandole le spalle, chiude la porta. Poi si gira e
“WAAAH! AS-PE-EHE-T-T-AHAHA!”
Ma lei continua a scuoterlo avanti e indietro come uno shaker, facendogli ballare le ossa al ritmo indiavolato di una salsa versione nightcore. Non riesce nemmeno a tenere fermi gli occhi per guardarla in viso: anche i bulbi oculari hanno iniziato a girare per conto loro!
“TUUUUUU! DANNATO IPOCRITA! MA COME TI PERMETTI!”
Questo è tutto ciò che riesce a capire. Il resto è una sequela di suoni nascosti dal battere dei suoi denti: sembrano una squadra di Fred Aster tarantolati intenti in una performance di Tip-Tap estremo. Poi Milano cambia presa, e lui si ritrova steso per terra, con le braccia dietro la schiena in una morsa degna di John Cena (di cui si è dovuto sorbire una decina di incontri – giusto qualche anno prima – insieme a suo figlio (quello idiota, ovviamente: Matthew, Jack e Kaelin sono troppo intelligenti ed evoluti per accontentarsi di uno sport così volgare e palesemente montato!)).
“Schiacciato” per terra da 49 chili scarsi e costretto a inarcarsi all’indietro per evitare di slogarsi ambo le braccia, inizia a fare fatica a respirare. Se non altro, lei inizia a spiegarsi.
“Allora? Cosa hai intenzione di fare!?!”
Beh, spiegarsi è una parola grossa. Sapesse perché sta tentando di farlo a pezzi, sarebbe più facile cavarne i piedi. In questi casi, c’è solo una carta da giocare.
“Scusa! Mi dispiace!”
Il Jolly. Umiliante, certo, ma mai quanto rivoltarsi contro una ragazza.
“Davvero... Io, io non so come sia potuto succedere... non l’ho fatto apposta, davvero!”
In effetti, è vero. Ma lei non molla comunque. Dio del Cielo, ma perché quell’adorabile (e lo è per almeno il 98% del tempo) creatura non assomiglia un pochino di più a Feli? Da solo non riesce nemmeno ad aprire una scatola di sott’aceti, ma almeno non ha abbastanza forza da-
“Ahiahiaahiaaa...”
Geme.
“Non l’hai fatto apposta?!?! NON L’HAI FATTO APPOSTA!?!?!”
Urlando, la presa si allenta impercettibilmente – solo per un istante – tuttavia, per lui è più che sufficiente per sbalzarla via e filarsela. Ma feroce come solo uno squalo della finanza può essere, Serena scatta in avanti e lo prende all’altezza delle ginocchia (da quando in qua agli italiani piace i rugby!?!?!), facendolo cadere a terra con uno schianto che pare dover far crollare la casa.
Ancora non ha ben capito cosa è successo, che lei si è già seduta a cavallo della sua schiena, con un braccio intorno al collo nell’evidente tentativo di soffocarlo. O di spezzarglielo.
“POUR L’AMOUR DE DIEUSERENATIPREGOFERMATIIIII!!!!!”
L’intervento del francese non sortisce alcun effetto, come si rivelano inefficaci i tentativi “pratici” di liberare Arthur da quella trappola mortale.
“Serena... Eddai... Mollalo!”
Con uno stinco contro il fianco di Milano, vi fa leva per allentare la pressione attorno al collo della moglie (/marito), senza risultati apprezzabili. Il trambusto – oppure l’odore dei biscotti appena usciti dal forno – attira in salotto – ora teatro della rissa – prima Cailean (scalzo, con pantaloni di felpa grigi, maglietta di un paio di taglie più grande dei “blues”, i capelli rigorosamente disordinati e l’impronta parziale del cuscino sulla guancia destra), che si ferma al terzultimo gradino per avere una visuale migliore, poi Rhys (camicia bianca appena sgualcita, cintura di pelle nera nei passanti dei pantaloni verdi con la piega ancora perfetta e pantofole rosa), che si appoggia coi gomiti allo schienale del divano, abbandonando il libro accanto al ricamo del fratello, preferendogli il nuovo intrattenimento (oh, vedere Artie pestato da Milano... quando ricapiterà una scena del genere?).
L’agonia dell’inglese si protrae per un’altra ventina di secondi, prima che il capofamiglia faccia la sua entrata, sigaretta fra le labbra e sopracciglia corrucciate.
“OHI! CHE CAZZO È ‘STO CASINO?!?”
 
 
 
NOTE:
I nomi dei personaggi, che magari qualcuno si confonde:
Arthur: lo conosciamo tutti
Ian: pure lui sappiamo chi è
Rhys: Galles, ma credo si sappia anche questo
Cailean: Irlanda del nord. Trovato su wikia Hetalia, ma pare che Himaruya non sia ancora sicuro del nome; in effetti, mi pare ci fossero anche un altro paio di opzioni.
Kaelin: Nuova Zelanda. Himaruya non è sicuro nemmeno di questo nome.
Jack: Australia. No, nemmeno di questo e si, ci sono altre opzioni
Serena: nome scelto (forse non definitivo, però) da Himaruya per la versione femminile di Feli. Nelle mie storie la uso in “compresenza” con il suddetto consanguineo, indipercui l’ho resa rappresentatrice di Milano.
_Royal Scots Dragoon Guards: gruppo musicale delle forze armate scozzesi
_Shortbread: tipo biscotti al butto.
_“blues”: modo in cui i tifosi del Linfield Football Club (squadra di Belfast) chiamano i giocatori (il blu è il colore della società, infatti). Come noi che chiamiamo “giallorossi” i giocatori della Roma, o rossoblù quelli del Bologna
 
 
  
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