Sulla pelle e appena dietro
1. Novembre
John aveva sempre trovato fastidioso dover dipendere da due stupidissime lenti di vetro. Non si perdeva nulla, pensava. Semplicemente, preferiva poter immaginare il mondo a suo piacimento.
Ma quella sera proprio non avrebbe potuto permettersi di essere miope.
Si sistemò gli occhiali tondi sul naso e li fece scivolare dalla punta verso l’alto, in un gesto frettoloso. Piegò leggermente la testa di lato e restò così – immobile – ad ammirarla mentre rideva, chiacchierava, rideva ancora. John non ricordava di aver mai visto qualcuno di più bello, di più fresco e pulito. Sentì il cuore martellargli nel petto, nelle tempie, mentre le scrutava dolcemente ogni più piccolo particolare del volto; le labbra piene e morbide sembravano chiedere di essere torturate con tenerezza; le guance rosee imploravano morsi; le lunghe ciglia sfidavano ingenuamente.
Quanto avrebbe voluto andare da lei, saggiare quei soffici boccoli scuri e perdersi felice nel suo sguardo d’oceano. Non si mosse. Era pervaso da una strana sensazione di benessere, un calore piacevole che continuava a scendergli lento fino al centro del petto, come stesse respirando fiamme vive a pieni polmoni.
Forse fu il troppo vino, ma – ancor prima di conoscere il suono della sua voce – John lo promise a se stesso: quella donna sarebbe stata per lui pace e tormento; gioia e disperazione; vita e declino. Un bellissimo fulmine che squarcia il cielo buio, illumina la notte per qualche istante, distrugge e poi fugge via silenzioso, fra le macerie ancora calde.
Ed eccola, una strana scossa elettrica, una scintilla, si impadronì della schiena di entrambi quando – distrattamente – i loro occhi si incontrarono per la prima volta.