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Autore: Solo_Aurora    11/02/2013    1 recensioni
Arianna e Giacomo sono troppo diversi. E' chiaro fin dall'inizio, dal sorriso ironico di lui e dalla rabbia di lei. Uno va all'università, guida una macchina di lusso, è sempre apparentemente perfetto, mentre l'altra vive in modo caotico, in una casetta di campagna, lavora come commessa, carica di impegni che non dovrebbero spettare a lei.
Sono troppo diversi, eppure una serie di circostanze li costringerà ad incontrarsi più volte e le loro vite rimarranno intrecciate.
Quando la distaccata ironia diventerà reale interesse e la rabbia desiderio, riusciranno a mettere da parte le differenze? Saranno capaci di tentare una storia tra due mondi apparentemente paralleli?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Vuoti di memoria
 


“Arianna, ma ti muovi?!” Mio fratello urlava nel corridoio.

Avrei dovuto soffocarlo quando era piccolo, indifeso. A quei tempi lo guardavo con occhi adoranti nella sua piccola culla e chiedevo di prenderlo in braccio: che bambina ingenua che ero! Se avessi saputo che dodici anni dopo mi avrebbe svegliata alle sei di domenica mattina perché lo accompagnassi ad una stupida partita di calcio, avrei posto fine alla sua vita quando ancora avrei potuto farlo.


Sospirai e mi girai nel letto. I ricordi della sera prima erano piuttosto confusi, specialmente dopo il terzo giro di… cosa avevo bevuto? L’unica cosa certa era che quello che avevo fumato in bagno non era il solito drum.

Edoardo fece irruzione nella mia camera e accese la luce. Tirai il piumone sopra la testa.

“Arianna, daiiii! Andiamooo!” Urlava. Ed io odio le persone che urlano di prima mattina: voglio che uno mi parli piano, con dolcezza, voglio essere accarezzata e coccolata, non dover aprire subito gli occhi, ma avere il tempo di abituarmi alla luce. Forse in una vita precedente ero una larva, un bruco, che ha bisogno di tempo per uscire dal proprio bozzolo e affrontare la nuova giornata.

Edoardo mi strappò via la coperta; il freddo si impossessò del mio corpo. Gli afferrai un braccio e lo tirai a me; avevo ancora gli occhi chiusi.

“Vedi che sei sveglia? Allora andiamo! Ti vesti? Ti muovi?” Lo lasciai libero e mi issai a sedere con una tremenda fatica. Quante ore avevo dormito? Due? La testa sembrava scoppiarmi.

Guardai mio fratello che sorrideva eccitato e già perfettamente vestito. Sentii di odiarlo.

“Portami un’aspirina.” Ordinai e lui, accondiscendente, si precipitò al piano di sotto.

Sorrisi tra me: l’unico aspetto positivo di tutta quella eccitazione era che mi avrebbe obbedito senza fiatare, nella speranza di poter partire il prima possibile.

L’immagine che lo specchio mi regalava non era delle migliori: due occhiaie profonde mi contornavano gli occhi e parevo più pallida del solito, i capelli erano un ammasso indistinto di nodi e le labbra screpolate avevano assunto il loro tipico aspetto malaticcio. Non persi tempo a cercare di pettinare i capelli, ma li legai in un’alta crocchia, mi sciacquai la faccia e mi infilai la tuta che tenevo appesa in bagno in caso di emergenza.
Edoardo apparve sulla porta del bagno sollevando il bicchiere come fosse un trofeo. Mi guardò mentre mi spogevo a prenderlo, cercando di dissimulare un giramento di testa.

“Dio mio, come sei brutta oggi!” Lo fulminai con lo sguardo.

“Dillo un’altra volta e ci vai a piedi alla partita.” Sibilai. Edoardo si volatilizzò in una manciata di secondi. Mi appoggiai al lavandino e mi guardai di nuovo: mio fratello aveva proprio ragione.
 

Guidavo come una pazza la Panda bianca e scassata, mentre Edoardo continuava a ripetere quanto fossimo in ritardo. Erano le otto passate: si lamentava che non avrebbe fatto il riscaldamento e il mister si sarebbe arrabbiato. Cercavo di ignorarlo, premendo sull’acceleratore, ma la nostra povera macchina arrugginita non era in grado di migliorare le proprie prestazioni.

Abitavamo in campagna, nella casa ereditata dai nostri nonni. Per arrivare in città impiegavamo circa quarantacinque minuti. Sarebbero bastati, se il campo da calcio non fosse stato nella periferia opposta a casa nostra. Per fortuna la domenica mattina il traffico era minimo.
Svoltai a destra e infilai l’auto nel parcheggio dietro il campo da calcio: era già pieno di auto. Ficcai la Panda tra una Punto rossa e una BMW nera. Edoardo aprì lo sportello con eccessiva irruenza e ammaccò la portiera della seconda. Imprecai, mentre la peste correva verso gli spogliatoi.

Feci il giro intorno all’auto e mi inginocchiai a contemplare la perfetta striscia bianca che ornava il metallo lucido e nero della BMW. Bella macchina, tra l’altro, pensai. Non avrei mai potuto ripagare il danno e non avevo alcuna intenzione di scalare di categoria nell’assicurazione.
Spostai la Panda dall’altro lato del parcheggio.

Il cellulare segnalava un messaggio ricevuto; mi domandai distrattamente chi fosse. Sarebbe stato meglio non averlo mai saputo.

 

"Serata strepitosa… tu sei strepitosa…  A presto cucciola…"

 Due cose detestavo: i puntini di sospensione e sentirmi chiamare cucciola. Anzi, detestavo pure non ricordarmi per quale infausto motivo la serata fosse stata strepitosa. Peggio ancora: non avere la più pallida idea di chi fosse quel Luca che mi aveva appena inviato il messaggio.

Mi trascinai fuori dall’auto e calpestai il ghiaino del parcheggio, tenendo il cellulare in mano e guardandolo come se lui avesse potuto rispondere ai miei dubbi. La mia mente era un vuoto totale. Decisi di chiamare Valeria, quella che poche ore prima mi aveva assicurato che nel drum c’era solo tabacco. Rispose dopo molti squilli: stava ancora dormendo. L’assalii con le domande prima ancora che potesse iniziare a lamentarsi. All’inizio rispose solo con mugolii soffocati.

“Vale, non che m’importi qualcosa di questo Luca, voglio solo sapere cosa ci ho fatto!” Pestavo i piedi sul ghiaino e le risposte confuse della mia amica aumentavano la mia rabbia.

“Dimmi solo che non ci ho scopato come una puttanella qualsiasi nel bagno!” Urlai. Poi sentii, prima di vederlo, un sorriso, dall’altra parte del parcheggio, vicino agli spogliatoi. Un ragazzo mi guardava divertito: dovevo sembrare una pazza, ma decisi di ignorarlo. Che si godesse lo spettacolo!

Valeria continuava a farfugliare che un certo Lucio mi aveva offerto da bere e che poi ero andata con lui. Effettivamente, come ero tornata a casa? Valeria aveva preso il motorino, era passata a prendermi in uno slancio di insolita generosità, ma poi non mi aveva riaccompagnata… Però se questo Luca (o Lucio?) mi aveva portata a casa, forse non era successo niente.

“Vabbè, non gli rispondo.” Decisi alla fine, ma sapevo di stare parlando da sola perché Valeria era sprofondata nuovamente in coma. Riattaccai. “Come se niente fosse successo!” Annuii tra me e me e mi voltai per vedere se il ragazzo di prima rimasto a sentire il mio sproloquio.

Se ne era andato.

Mi trascinai sulle gradinate e mi gettai a sedere. Era umido e freddo e necessitavo urgentemente di un caffè. Portai le ginocchia al petto e mi sforzai di guardare verso il campo di erba fangosa dove tanti dodicenni correvano dietro ad un pallone. Edoardo era il numero 6, fiero portiere titolare, della squadra con le maglie blu. Ringraziai che il suo ruolo prevedesse l’immobilità pressocché totale in un solo punto del campo: mantenervi la concentrazione sarebbe stato molto più facile. I genitori che popolavano le gradinate erano entusiasti, pieni di vita: stavano in piedi, i loro occhi attenti inseguivano il pallone. Mi ripromisi che non avrei mai più fatto tanto tardi la sera, non avrei più bevuto, certamente non avrei più fumato qualcosa proveniente dalla magica borsa di Valeria.

“Io lo so chi è Luca.” Di nuovo quel sorriso. Capii che stavo cominciando a odiarlo. Il ragazzo stava in piedi, tranquillo, accanto a me, gettata come un rifiuto su quelle gradinate.

Profumava di dopobarba, aveva i vestiti perfettamente stirati, il cappotto elegante e i capelli pettinati. Non mi piacevano gli uomini che si pettinavano i capelli, ma soprattutto non mi piaceva ciò che avevo appena sentito. Ogni sforzo di alzarmi in piedi risultò vano e decisi di non umiliarmi cercando di mantenere una posizione eretta. Quante probabilità c’erano che qualcuno del pub di ieri sera conoscesse sia me che Luca? O mio dio, dimmi di no! Non è possibile!


“Ti prego dimmi che non sei tu!” La mia voce risultò più ostile di quanto volessi. Lui sorrise ancora di più: almeno uno dei due si stava divertendo.

“Sarebbe poi così terribile?” Mi guardò malizioso, con due piccoli occhi verdi, vivaci. Ma cosa faceva? Ci provava con un povero sacco dell’immondizia abbandonato sulle gradinate? Ma non aveva pietà?

“Scusa, ci conosciamo?” Il mio tono era pacatamente aggressivo. Non avevo alcuna intenzione di giocare.

“Mi chiamo Giacomo.” Mi tese una mano e io l’afferrai diffidente. Dita lunghe e unghie curate tipiche di chi non ha mai nemmeno provato a fare un lavoro manuale.

“Arianna.” Tornai a guardare la partita, chiedendomi se qualcuno avesse già fatto goal.

“Ti ha accompagnata Luca a casa, comunque.” Mi stava prendendo in giro?


“E’ un tuo amico?” Sbottai e lui si sforzò di non ridere.

“No, è il tizio che ti ha offerto da bere ieri sera e con cui sei salita in auto.”

“Senti, non so che idea ti sei fatto o cosa vuoi…” Mi alzai di scatto e la nausea mi assalì; Giacomo finse di non accorgersene. Alzò le mani, come a dimostrare di non avere intenzioni ostili.

“Ero con degli amici, ieri sera.” Spiegò e io mi chiesi quanta sfortuna avessi quel giorno a trovare proprio lui, lì. In un calcolo delle probabilità quell’incontro sarebbe stato quasi impossibile. “Ho impiegato un po’ di tempo a riconoscerti, sai… ma poi da quello che dicevi ho capito che eri tu!” E sorrise, di nuovo.

Avessi avuto la forza gli avrei assestato una ginocchiata nel mezzo dello stomaco e lo avrei lasciato ad agonizzare sugli spalti, ma era già tanto che riuscissi a mantenermi in piedi.

Mi limitai a lanciargli un’occhiataccia, ma lui guardava la partita.

“E’ proprio vero… in un modo la sera e il giorno dopo…” Continuò. Lo ignorai con dignità. “Non che ieri tu fossi proprio…”


“Senti un po’, perché non trovi modi più sani per divertirti?” Sbottai: ci mancava solo uno che mi insultasse di prima mattina.

“Consideralo il tuo modo di ripagarmi per l’auto.”

“Quale auto?” Porca merda. La sfortuna mi perseguita. Giacomo mi regalò uno sguardo divertito. Certo, di chi poteva mai essere una BMW nera e lucida se non del ragazzo perfetto ed elegante, sbarbato e profumato che sembrava divertito da tutto e specialmente da quel povero ameba in tuta, con la faccia sfatta dopo una notte di incerte baldorie?

“Oh, guarda! Mia sorella ha appena fatto goal!” Sapevo almeno dieci modi per atterrarlo, ma rimasi troppo stupita dalla sua escalmazione: sua sorella giocava a calcio?

Sua sorella aveva fatto goal a mio fratello?

Sembrava che quella famiglia fosse destinata a vincere.  
 

*Angolo autrice*
Ciao a tutte/i!! Spero che questa storia vi piaccia.... E' molto improvvisata! Diciamo pure che è nata dalla voglia di evadere in questo momento di "studio matto e disperatissimo"!
Commentate se vi va!
Grazie mille!
Baciotti,
Aurora

  
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