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Autore: mymiserable    01/09/2007    5 recensioni
'Eppure da come era iniziato tutto, faceva pensare che finalmente sarebbe stato vero. Giusto. Perfetto. Un locale buio, semivuoto. Odore di birra e sudore. Fumo nell'aria, così denso da appoggiarsi alla pelle come un manto. E della musica. Buona musica. Come da tanto, troppo tempo non si sentiva da queste parti. Qui, a Newark.'
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


'Basta!' esclamo, ormai al limite. 'Non ce la faccio più! Non riesco più a sopportare i tuoi sciocchi cambiamenti, la tua lotta personale contro te stesso. E' assurdo!'
Sono esasperata.
'Assurdo? Come puoi dire una cosa del genere?'
Si alza di scatto, facendo cadere la sedia su cui era un secondo prima, chino e spento.
Ora un fuoco gli brucia gli occhi, e l'anima. Lo posso percepire quando mi afferra prepotentemente il braccio con la sua grande mano. Le sue dita affusolate premono sulla mia carne quasi bloccando il flusso del sangue nelle mie vene.
Gelo.
'E' finita, Gerard. E' finita.' riesco a dire con un filo di voce.
Perché ormai non c'è null'altro da fare, se non chiudere un qualcosa che era morto già tanto tempo fa, e che si stava prolungando come una lenta e straziante agonia.
Eppure.




Capitolo I

-parte I-



Eppure da come era iniziato tutto, faceva pensare che finalmente sarebbe stato vero. Giusto. Perfetto.
Un locale buio, semivuoto.
Odore di birra e sudore.
Fumo nell'aria, così denso da appoggiarsi alla pelle come un manto.
E della musica.
Buona musica. Come da tanto, troppo tempo non si sentiva da queste parti.
Qui, a Newark.
In questo quartiere della città, in questa sorta di bettola-scantinato dove lavoro.
E' iniziato tutto così, in un umido pomeriggio di un giorno come un'altro, giorno che verso la sua fine avrebbe segnato qualcosa nel mio cuore, e nella mia vita.
Ma questo ancora non posso saperlo, perciò continuo a pulire i tavoli di pesante e vecchio legno sparsi per la sala deserta.
'Tra poco dovrebbe arrivare la band.' dico tra me e me. 'Spero siano bravi, non riuscirei a sopportare per oltre un'ora un'altra esibizione mediocre.'
Perché io sono costretta ad ascoltare, dovendo servire i clienti.
Altrimenti non posso mangiare. Altrimenti non posso andare avanti.
Solitamente non mi lamento così tanto.
Solo oggi mi sento nervosa. E non so spiegarne il motivo.
Ho un presentimento.
Mi fermo un attimo, china sul tavolo mezzo marcio col panno umido in mano e lo sguardo perso, ma subito una voce mi riporta con i piedi per terra.
Una voce bassa e roca per le troppe sigarette, che rimbomba nel corridoio dell'entrata.
Il mio capo, nonché padrone di questo 'locale'.
Charlie.
In tipo che a prima vista può incutere timore, data la stazza e la poca avvenenza consumatasi con gli anni, come anche i vecchi e malfatti tatuaggi sparsi a casaccio sulle sue possenti e ruvide braccia. Probabilmente fatti in gioventù dalla mano inesperta di qualche compagno di cella.
Ma conoscendolo meglio si abbandona subito questa prima impressione per accogliere quella di un uomo disponibile e comprensivo.
Per questo non mi sono mai permessa di giudicare a prima vista qualcuno. Anche se per istinto ci si sente quasi in dovere di farlo. Si desidera subito scoprire una persona, la sua anima, per accoglierla o allontanarla. Per evitare di essere feriti ancora una volta.
Nulla di più stupido.
Così un anno prima avevo accolto quell'enorme e rude presenza nella mia vita, e viceversa. Senza domande.
Mi ha aiutato a crearmi una vita. Modesta, ma pur sempre una vita.
Mia.
Entrai nel suo locale con una pesante sacca contenente tutta la mia vita sulle spalle.
'Serve una mano qui?' gli chiesi, già arresa.
Lui mi guardò negli occhi. Guardò solo quelli, e disse 'Posa pure le tue cose nel retro e prendi la scopa vicino alla porta.'
Quello fu il suo 'Si.'
Non una domanda.
Nulla.
A fine giornata mi accompagnò di sopra, con una chiave in mano con cui aprì una vecchia porta scrostata.
'Puoi sistemarti qui. E' un pò impolverato, ma funziona tutto.'
Così mi diede pure un posto dove stare.
Sempre senza chiedere.
Fu tutto naturale.
Come non fidarsi di qualcuno che ti accoglie completamente nella sua vita?
'Andrea...' La voce di Charlie, ora vicina, mi riporta al presente.
Vedo il tavolo su cui sono poggiata, col panno umido ancora sotto il mio palmo, quasi come fossi in modalità pausa su uno schermo.
E' dietro di me.
Mi volto e vedo che non è solo.
Quattro ragazzi lo seguono, mentre uno è rimasto indietro, al telefono.
Con la mano sinistra si copre un orecchio, mentre con l'altra tiene il cellulare.
Mi colpisce subito la sua statura. E' così minuto. Sembra un ragazzino.
Probabilmente lo è, anche se guardando ora gli altri noto che sono più maturi e soprattutto più alti.
La cosa mi fa sorridere e scaccia via quel nervosismo che fino a prima mi aveva intaccata come un fastidioso prurito.
'Questa è la band che suonerà stasera, i...?' Cerca lo sguardo dei ragazzi per farsi aiutare.
'My Chemical Romance!' dice divertito uno di loro.
Capelli neri, lunghi e lischi, che lascia cadere sul suo viso a ciocche, senza curarsene.
Occhi verdi ed espressivi, come mai avevo visto prima.
Carnagione chiarissima.
'Ah, si. Grazie!' La voce ora imbarazzata di Charlie mi porta nuovamente alla realtà. Poi si rivolge a me. 'Mostra ai ragazzi il palco e falli sistemare per le prove.'
'Subito.' Infilo il panno nel grembiule e, voltandomi sorridendo, li richiamo. 'Seguitemi!'
Intanto il ragazzo minuto ci raggiunge e si mette ordinatamente in fila, con me in testa, quasi fosse una qualche gita scolastica di prima elementare.
Questo non fa altro che aumentare la mia ilarità.
Ma mi trattengo.
Pur essendo una cameriera di una bettola anonima nella periferia di Newark, voglio mantenere una certa professionalità.
Salgo sul piccolo palco di legno e, togliendo alcuni teli impolverati, mostro loro quella poca strumentazione che possediamo.
Due amplificatori vecchio modello e un piccolo mixer per tentare di aggiustare e diffondere bene il suono in tutto il locale.
Nulla di più.
Ma i ragazzi sono eccitati comunque.
'Probabilmente non suonano da molto.' penso.
'Ah, non ci siamo neanche presentati!' esclama il ragazzo dagli occhi verdi di prima.
Inspiegabilmente dentro me una strana agitazione inizia ad aumentare il mio battito, e non permette alla mia voce di produrre alcuna frase.
'Io sono Gerard!' dice, porgendomi la sua grande mano.
Ha delle dita affusolate e lisce. Molto belle.
Il contrario delle mie. Ruvide, piccole e tozze.
Mi vergogno un pò a stringergliele, perché in questo modo sentirebbe la mia mano così imperfetta.
Resto un attimo immobile a fissare la sua ancora tesa. Lui aspetta pazientemente, ora con uno sguardo un pò perplesso, come quello dei suoi amici intorno a noi.
Mi desto e gliela prendo, con un sorriso imbarazzato in volto.
Non è rimasto impressionato dai miei calli. Anzi, l'ha stretta quasi come se non la volesse più lasciare.
Che strano, in quella frazione di secondo era come se mi volesse comunicare qualcosa.
Che razza di pensieri fai, Andrea? Non lo conosci neanche.
Smettila di fantasticare. La vita è un'altra cosa, e lo sai bene.
Non imparerai mai.
A seguire, svanita la mia insicurezza e la loro sorpresa, si presentano tutti in maniera ordinata, come nella fila di prima.
Mi piace l'ordine, anche se a guardare me e la mia abitazione non si direbbe.
Ma, come ho detto prima, è sbagliato giudicare a prima vista, e sembra proprio che questi ragazzi non lo facciano.
La cosa mi mette a mio agio.
Per ultimo rimane il ragazzino. Ormai lo chiamo così.
Non voglio ammetterlo, ma già mi sono affezionata a lui.
Si infila scherzosamente tra il riccio, Ray, e il timido Mikey, che scopro essere il fratello di Gerard.
Effettivamente, guardandoli bene, si assomigliano. Entrambi hanno un qualcosa nello sguardo di disarmante.
Allunga la sua mano, stranamente grande e forte. 'Frank!' esclama con un sorriso che farebbe impallidire persino la creatura più bella mai narrata.
Paragone banale e azzardato?
Può darsi, ma se lo aveste davanti, sapreste davvero cosa vuol dire cadere.
Cadere sotto il suo sguardo puro ed innocente.
I suoi occhi hanno una luce che finora non avevo mai visto in nessuno.
Ancora non ci avevo fatto caso.
Era distante, poi l'ultimo della fila, ed ora anche nelle presentazioni.
Ma finalmente è arrivato il suo turno.
Un colpo di tosse, forse dovuto alla polvere sul palco, forse fatto apposta, mi fa tornare con i piedi per terra.
Cristo, oggi mi sto perdendo troppo.
E' ancora Gerard, che con dei cavi in mano mi chiede 'Sono degli amplificatori?'
'S-si...' rispondo, ancora un pò intontita. 'Potete usarli, se vi servono.'
'Grazie.' mi dice. Ma senza quella gentilezza di prima.
Capisco.
'Beh, qui ho finito. Vado a finire di pulire il locale per stasera. Se avete bisogno, chiamatemi!' dico, riprendendomi d'animo verso la fine, o almeno, fingendo.
Passo davanti a Matt, un ragazzotto alto e robusto molto per le sue, scendo dal palco e mi dirigo verso la porta del retro, senza voltarmi.
Esco all'aria aperta e ne prendo grandi boccate.
Sono stata senza respiro per troppo tempo.
Da quando sono entrati.
'Perché?' mi chiedo.
Ma non so darmi una risposta.

'Ehi! Siamo ancora chiusi!' dico, fermando un ragazzo all'entrata.
Si blocca. 'Io...' tenta di spiegare.
Ma non lo sento nemmeno. E continuo. 'Non hai visto il cartello? Non puoi...'
Una mano si posa sulla mia spalla, piano, quasi avesse paura di farmi male.
'Tutto a posto, Andrea. Lui è Brian, il nostro manager factotum.'
Frank.
Una vampata di calore si espande prepotentemente per tutto il viso e sul resto del mio corpo.
Per l'imbarazzo. O per il contatto.
Devo essere paonazza, ci scommetto.
Dannata me.
Fino a quel momento non avevo notato che quel ragazzo, basso anche lui, ma più grande di età e completamente coperto di tatuaggi, teneva uno scatolone aperto tra le braccia. Dentro magliette, cd e qualche adesivo, con stampato il nome della band.
My Chemical Romance.
Appunto.
Proprio loro.
Come ho potuto pensare che fossero solo agli esordi?
E perché un gruppo già collaudato sceglie proprio questa bettola, con tutto il rispetto che ho per il mio capo, per esibirsi?
Vorrei sprofondare, ma non mi scompongo. Anzi.
La mia solita professionalità. Avrei dovuto fare la dirigente.
Già. Di un pugno di mosche. Ovvero tutto ciò che possiedo.
'Perdonami, non avevo visto...' dico freddamente, riferendomi al suo carico.
L'aria che ho preso prima mi ha completamente gelato il sangue nelle vene.
Ed anche a questo non so dare una spiegazione.
La mano grande e calda di Frank è ancora sulla mia spalla. Leggera, attenta.
'Smettila ragazzino. Non mi rompo mica.' vorrei dirgli, ma fortunatamente mi limito a lanciare un'occhiata prima a lui, poi alla sua mano.
La toglie in un lampo.
Mi allontano da loro indicando distrattamente un tavolo in ombra, poco usato dai clienti, tanto è malconcio ed isolato. 'Puoi sistemarti lì.'
'Grazie!' dice Brian confuso, ma mantenendo sempre una particolare allegria.
Cosa che non so fare io. Mi perdo per un niente.
Scompaio di nuovo nel retro, a riflettere per l'ennesima volta.
Mentre di là i ragazzi accordano gli strumenti, parlano e suonano qualche morso di canzone, io, tra scaffali di latte e muffa, intraprendo l'ennesimo viaggio mentale di questo strano pomeriggio, che ormai volge al termine.
Andrea, stai di nuovo allontanando qualcosa. Qualcosa che potrebbe...
Cazzate.
Questi sono solo miei vaneggi su desideri mai avverati. Ormai li vedo ovunque, pure in perfetti sconosciuti nella mia vita si e no da un'ora.
Sono arrivata a questo punto?
Cristo, quanto sono patetica.
Sbatto un pugno sul muro della dispensa.
Per rabbia.
Tentando di fermare il flusso di ricordi, di occasioni perse e di esperienze rovinate dal mio gelo.
Dalla mia paura.
Ma mi aiuta Charlie, l'unico finora che ho accolto senza difese nella mia vita, a farlo svanire.
'Andrea, dove ti sei cacciata? Tra poco si apre!'
'Arrivo!' dico in tono alto, determinata a concludere quella sciocca e logorante lotta contro me stessa.
Questa è la mia vita.
I sogni non ne fanno parte.

Ecco dove eravamo rimasti.
A quella sera. Questa sera.
Perfetta, seppur di clienti ce ne siano pochi come sempre.
Almeno bevono come spugne.
'Buon per noi.' penso, ancora fredda.
Che cazzo di frase.
Egoista.
Come piano sono diventata io stessa.
Un tempo non ero così, ma il passato ormai è sepolto. Sono le cicatrici che ancora bruciano. Ed io non smetto di buttarci sale sopra.
Questa musica, la loro musica, però, ha un qualcosa di vero, di vivo. E' sincera come nessun'altra è mai stata e potrà mai essere.
Sembra parlare di
Me?
Così cruda, ruvida, come tento di essere io ogni giorno per non soffrire più. Un'ironia scomoda, che viene marcata dalla particolare voce di Gerard.
Quel ragazzo un pò sovrappeso, spettinato ed ora anche barcollante al centro del piccolo palco in fondo alla sala.
Si, beve parecchio.
Forse ha qualche scheletro nell'armadio. Forse è infelice. Forse è stanco di tante, troppe cose.
Come me.
Di colpo smetto di pensare a quella sciocca frase egoista di prima, ed ogni bicchiere che riempio, lo riempio controvoglia. Triste.
'Quando finiranno di suonare, non riempirò il suo,' dico tra me. 'Dovrà farlo Charlie. Non voglio aiutarlo in questa sua opera di autodistruzione. Sarebbe come...'
Distruggere me stessa.
Un boccale mi scivola dalle mani, infrangendosi per terra.
'Cristo, Andrea! Si può sapere cos'hai oggi? Pulisci questo casino!' urla il mio capo.
Non ha tutti i torti.
Oggi non sono in me.
Sto trovando il coraggio di affrontare i miei demoni, lasciando aperta la porta a chi, come me, ha bisogno di aiuto.

'Late dawns and early sunsets,...'
Inizia così la canzone della svolta.
La conferma che non posso, non voglio continuare a fare a pugni col mio destino.
Volevo portare una birra a Brian per farmi perdonare la brutta figura del pomeriggio.
Ho percorso con assoluta disinvoltura il tratto tra il bancone ed il tavolo dove si era sistemato, e gli ho passato la bottiglia sorridendo, seppur con imbarazzo.
Ricambiando, mi ha invitata ad 'accomodarmi' vicino a lui. Dato che tutti i clienti erano stati serviti e per ora soddisfatti, ho accettato di buon grado, e, incrociate le braccia sul petto, finalmente ho potuto assistere ad un pezzo di performance della band.
Pochi applausi, purtroppo.
Poi quelle note.
Venivano fuori dalla chitarra di Frank così strazianti e dolci che ho dovuto trattenermi dal piangere, ma non sono riuscita a fare altrettanto col tremore.
Brian se n'è accorto, ma ha fatto finta di nulla. Per rispetto delle mie emozioni, per non rovinare quel momento.
Ed ecco la voce di Gerard. Di nuovo.
Rotta, debole.
Dall'alcol, dall'interpretazione e dalla passione che riece a mettere in ogni singola frase che canta.
Guarda davanti a sé, proprio questo tavolo su cui il suo amico ed io siamo poggiati.
In questo momento voglio pensare che i suoi verdi occhi così profondi ed ora lucidi siano per me.
E lo penso con tutte le forze che ho.
Mi aggrappo con le unghie al suo sguardo.
Voglio farmi questo regalo.
Un filo tra me e lui, tanto forte di sensazioni, tanto sottile di probabilità. Un legame disperato con qualcuno che non sappia di me, ma che come me ha sofferto e ancora sta leccando le proprie ferite.
Per ricominciare.
Continuo a fissarlo. Sono come incantata, incastrata in questa triste ballad che vorrei non finisse mai. Ora le mie braccia sono lungo il corpo non più teso. Lo seguo nella sua disperazione fino all'ultima parola, fino all'ultimo respiro. Senza battere ciglio.
E lui guarda me.
So che è così perché a fine concerto si dirige verso di noi e, dopo aver stretto la mano a Brian, mi abbraccia.
Se fosse un altro, se quelle note non mi avessero trasmesso nulla, lo allontanerei con forza, infastidita.
Ma lui è quel qualcuno che inconsciamente aspettavo, e quella canzone è stata la conferma di tutto.
Quel nostro scambio di emozioni dura più di quanto solitamente dovrebbe, e posso sentire oltre l'odore di alcol del suo respiro caldo, impregnato nei suoi vestiti. Posso sentire la sua eccitazione nell'aver trovato qualcuno di 'diverso', di vicino. La sua felicità di essere riuscito a trasmettere molto più che un testo in musica, ma se stesso, ed il suo lento consumarsi. Quasi fosse un grido di aiuto che finalmente è stato raccolto e compreso.
Stretta a lui non ho idea di cosa accadrà dopo, nemmeno tra due secondi. Prego solo che non mi lasci. Che non rompa il nostro legame silenziosamente saldato con questo intimo contatto.
Ne ho bisogno.
Non voglio più essere invisibile. Non sosterrò più questo gioco perverso con me come unica e vera nemica.


-parte II-


Così è stato, almeno all'inizio.
Almeno in apparenza.
Quel ragazzo tanto fragile che mi abbracciò forte quella sera sembrava essere la mia speranza.
Lo stesso che ora, dopo quattro anni, stringe il mio braccio con una pressione tale da farmi male, e sentimenti del tutto diversi.
La rabbia lo alimenta.
Stento a credere che sia la stessa persona.
Ma perché siamo arrivati a questo punto?
Com'è potuto accadere?


Dal nostro incontro ho completamente cambiato atteggiamento con me stessa e con gli altri.
Sorrido spesso, anzi, praticamente sempre. Ho un'espressione serena in volto e tento anche di curarmi di più, per quanto sia possibile. Non dispondendo di averi e fortuna da investire sul mio corpo, faccio affidamento alla natura. Con la bellezza è andata cauta nei miei riguardi, i difetti che ho ne sono la testimonianza, ma non mi lamento.
Non mi lamento più.
Spazzolo volentieri e lascio sciolti i miei lunghi capelli castano scuro, e a volte con una matita delineo e metto in risalto i miei occhi verde-gialli.
Si, assomigliano molto ai suoi, ma i miei sono volubili. Cambiano colore a seconda delle giornate, degli indumenti che indosso. Un pò come quegli anelli dell'umore, ma sono un'altra cosa.
Ho anche iniziato a 'restaurare' il locale, oltre all'alloggio in cui abito, e Charlie è sempre più stupito dei miglioramenti e della positività che trasmette la mia persona. Lo posso vedere ora nel suo sguardo e nel timido sorriso compiaciuto mentre mi passa il secchio della vernice.
Si può dire che questo è un nuovo inizio, e devo tutto a quel ragazzo che quella sera mi ha destata dal mio cocciuto sonno senza sogni.
Tra me e Gerard c'è una grande sintonia, abbiamo molti punti in comune, passioni che avevo chiuso in angoli nascosti e dimenticati del mio io, e che ora lui sta pazientemente tirando fuori.
Anche la mia presenza gli fa bene. Non lo vedo più bere come prima, ed è un tale sollievo.
Stiamo risalendo.
Il legame diventa ogni giorno sempre più forte e saldo. Insieme ci sentiamo invincibili.
Lo siamo.

Già.
Ne ero davvero convinta.

  
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