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Autore: My Vanya    12/02/2013    2 recensioni
Prima o poi il suo castello di carte sarebbe crollato e lui si sarebbe ritrovato a nudo, con litri di sangue sotto esame, con litri di coscienza a puttane, soprattutto.
Si era perso ormai, Frankie. Si era perso nel suo dolore che non poteva gridare, nella sua insicurezza che non poteva mostrare. In tutto questo casino nel quale era e entrato e dal quale non sapeva come uscire.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disenchanted

 

Il ragazzo si guardò il braccio sinistro, colorato da ogni tipo di inchiostro. Poi chiuse gli occhi non appena incontrò il segno gonfio dell’ennesimo prelievo e si appoggiò contro lo schienale del sedile. Restò lì, immobile, si curò soltanto di accendere la radio e metterla in modalità “CD”.
Sorrise impercettibilmente quando sentì partire le note conosciute di “The End”. Non sapeva nemmeno di avere quel CD in macchina, non pensava nemmeno di averlo più a dirla tutta. Curioso non trovate? Era lui ad aver inciso quel disco, con il sudore, con l’amore, con la passione. Ed era anche strano che in linea di massima fosse stato quel CD a cambiargli la vita. Con Jamia, che nemmeno sapeva che lui se ne stava in macchina fuori dal pronto soccorso, con Gerard, che probabilmente stava facendo le coccole a sua figlie e non immaginava nemmeno che lui fosse lì in quel momento.
Ascoltò la sua voce ed immaginò che fosse lì con lui a stringergli la mano. Era un supplizio ascoltare quelle maledette, bellissime note tutte assieme, come un infinita serie di frecce che colpivano sempre al cuore. Gli ricordavano dei baci rubati nel backstage, addirittura direttamente in studio a volte. Gli ricordavano delle notti passate insieme a dirsi ti amo, a mentirsi senza ritegno. A credere in quelle bugie, a scrivere canzoni e a cantarle, suonarle insieme. Al ben altro tipo di melodie, fatte dai gemiti di entrambi, di due voci maschili e piene che riempivano l’aria dei camerini, delle stanze di albergo. Quelle maledette note gli riportavano alla mente tutto quello che era successo anni prima. Quando non si sentivano sbagliati e non c’era il bisogno di sentirsi sbagliati perché non stavi tradendo nessuno. E poi gli ricordavano come ci si abbandonava solo con quelle stesse note. Bastava un “Non ti amo più come ieri”, uno sguardo in studio di registrazione. Già, era tutto così semplice. Molto più semplice finire le cose, le relazioni, piuttosto che iniziarle. Non che ora non fosse felice, certo, aveva tre bellissimi figli, una moglie a dir poco perfetta, che lo amava e che lui amava a sua volta, ma sembrerà scontato dire che non era la stessa cosa. Frank, non era innamorato della voce di Jamia, mentre era ancora matto della voce di Gerard.
Né lei né lui avrebbero saputo che era stato lì comunque, e che ci andava, se andava bene, almeno una volta al mese. Perché quelle analisi proprio non andavano, ed i valori erano tutti sballati, e gli ormoni nel sangue andavano un po’ più a puttane ogni volta e nessuno riusciva a capire il motivo. E allora si prescrivevano altre analisi, altri controlli, visite specialistiche, controlli più approfonditi. Era solo una provetta in più, solo una visita in più. Solo una bugia in più. Jamia prima o poi avrebbe notato che usciva un po’ troppo spesso a prendere le sigarette, ed andava un po’ troppo lontano, e ci metteva sempre un po’ troppo. Prima o poi il suo castello di carte sarebbe crollato e lui si sarebbe ritrovato a nudo, con litri di sangue sotto esame, con litri di coscienza a puttane, soprattutto.
Si era perso ormai, Frankie. Si era perso nel suo dolore che non poteva gridare, nella sua insicurezza che non poteva mostrare. In tutto questo casino nel quale era e entrato e dal quale non sapeva come uscire.
Soffocava ormai, Frankie. E stavolta si disse che nessuno lo avrebbe salvato. Perché era adulto, doveva cavarsela da solo. Nessuno sarebbe andato da lui a stringerlo, aveva delle responsabilità. Doveva star bene per i suoi bambini, per i suoi fan. Perché un sacco di persone credeva in lui anche se lui si sentiva distrutto fisicamente e psicologicamente. Perché era il messaggio che lui aveva sempre voluto mandare. Che domani arriva, che non bisogna disperarsi perché se tieni duro andrà tutto bene.
Quante bugie pensava di aver detto, e quanto male pensava di aver fatto, chiuso in quella macchina che, senza pietà, gli rifilava una canzone dietro l’altra. E di colpo capì il senso della parata. Era un CD, ma era un luogo dove tutti i distrutti potevano ritrovarsi. Un’armata ideale di gente che voleva sorreggersi l’un l’altra. Una storia incisa. Gerard era stato così spaventosamente geniale, a scrivere quei testi uno dopo l’altro. E la sua voce, Dio, quella voce era un concentrato di dolore, non come quella sintetizzata in Danger Days o quella arrabbiata di Bullets. Nella parata la voce di Gerard era quella di uno dei tanti individui distrutti di quel disegno apocalittico.
Per questo sembrava che curasse, perché in quella voce era impresso lo stesso dolore sordo e senza sfoghi che spingeva la gente ad affezionarsi alla parata, alla loro band in generale. Non erano mai stati loro, gli strumenti, le persone, quello veniva dopo. Era sempre stata soprattutto la voce di Gerard a salvare le vite. A far capire di non essere soli. Era tutto lì, in una dannata discografia. In quattro album di quattro persone distrutte. Era tutto lì il segreto del loro successo, delle loro vite straordinarie.
Realizzò questo Frankie, proprio mentre partiva Disenchanted. E lui sentì raccontare la storia della sua vita in quel momento, le sue stesse sensazioni, in una sola canzone. In una canzone che aveva ascoltato centinaia, migliaia di volte, senza mai capirla davvero. Perché quella canzone per Gerard era una richiesta di aiuto, una autorealizzazione, un modo per chiudere con i fantasmi del passato. Per abbandonare le illusioni del passato. E Frank sentì ogni parola bruciare sulla pelle come e peggio dei tatuaggi, era un dolore quasi fisico, un dolore che non aveva mai lasciato vincere prima. Quel dolore che, mettila come vuoi, ti distrugge più di ogni altro. Quel dolore che si prova quando si ascolta una canzone triste e ci si accorge che ci descrive, e noi stessi diventiamo quella canzone. Non aveva mai capito, il piccolo chitarrista, che quelle parole erano scritte proprio per lui e che Gee era andato avanti e lui doveva fare lo stesso.
E si chiese se ci sarebbe mai riuscito. Ascoltò la canzone nella sua macchina, la visse come non mai, la sentì sua. E si sentì proprio come allora, giovane, invincibile, perso. Lasciò che qualche lacrima gli scivolasse lungo la guancia, dallo zigomo fino al collo per poi bagnare la maglietta rossa che tanto amava. La stessa su cui aveva scritto “Homopohobia is gay. La scritta se ne era andata con il tempo e lui la strinse il tessuto tra le mani, come a voler scaricare sulla maglietta tutto quel dolore che sentiva dentro di se.
Si lasciò affogare dalle proprie lacrime, dal dolore, fino a che non il CD non fu terminato. Poi mise in moto, si asciugò le lacrime e guidò fino al vialetto di casa, il buco del prelievo era ormai rimarginato, Dio benedicesse quelle infermiere, così delicate e bravissime. Entrò, abbracciò i suoi figli, baciò sua moglie e nessuno di loro si accorse di niente. Frank si disse che andava bene. Che andava bene così. Che fino a che i suoi figli, sua moglie, la sua famiglia non sapeva dei suoi dolori poteva proteggerli. Si disse che sarebbe andato tutto bene anche in futuro, che quelli esami sbagliati si sarebbero sistemati, che non poteva essere tanto grave. C’era abituato ormai. Sarebbe andato tutto bene, presto con la band avrebbero terminato il quinto album e si sarebbe sentito ancora invincibile, e quei numeri non avrebbero più voluto dire niente. Sarebbe tornato su quel palco,  avrebbe girato ancora il mondo, avrebbe aiutato altre persone, altri ragazzi ad andare avanti. E magari non sarebbe piò stato una canzone triste. Magari anche Gerard sarebbe tornato indietro. Magari sarebbe tornato da lui, e lo avrebbe salvato, ancora una volta.
 
 

You’re just a sad song, with nothing to say
About a life-long, wait for an hospital say
And if you think that I’m wrong, this never meant nothing to you











 

N.d.A
Buonsalve personcine di EFP.
So bene che non scrivo da molto, e che quasi nessuno avrà sentito la mia mancanza, e so anche che ormai a causa mia al povero Frankie ne capitano di tutto. Quando è depresso, quando malato, quando gli va in coma il cantante... Ma che ci volete fare.
Questa storia parla di me, non di me ora, ma della me di qualche mese fa.
Non ne potevo più di andare da un ospedale all'altro, e non l'ho mai detto a nessuno in realtà. Dovevo essere forte.
Lo sono stata, ed ora è meno pesante.
Vorrei ringrazuare xla, per le sue storie.
Autumnsong per lo stesso motivo.
Mamma We're all full of lies, per essermi accanto sempre.
E Frank.
Perché senza saperlo lui c'è stato e ci sarà, e mi darà forza.
Un bacio, e mangiate taaaaaaaanta cioccolata,
Maylene

 

  
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