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Autore: Notperfect    12/02/2013    2 recensioni
Dakota, abbandonata alla nascita, è una diciannovenne cresciuta per le strade del Bronx. L'ambiente in cui ha vissuto l'ha resa una ragazza violenta e forte, decisa e determinata a voler entrare a far parte di un gruppo di criminali, capitanato da un certo Justin.
***
-Woah, sembri una che sa il fatto suo-. Esordì sorpreso. –Non male per una ragazzina viziata-.
-Non sono una ragazzina viziata-.
-Il tuo aspetto dimostra il contrario-. Indicò i miei piedi.
Lo sapevo, indossare tacchi ad un incontro del genere non era stata una bella idea, ma erano le uniche scarpe che mi piacevano.
-Ho sentito parlare molto di te, ma non sapevo che dessi giudizi così affrettati. I tacchi che indosso potrei ficcarteli giù per la gola, facendoti notare la differenza di lunghezza con il tuo amichetto-.
Chiuse la bocca in una linea sottile e dal suo sguardo sembrava essersi infastidito.
***
-A cosa pensi?-. Mi chiese incuriosito ma nel suo tono di voce c'era divertimento e menefreghismo.
-Penso che se una persona ti vuole, ti prende e ti fa sua. Senza limiti, senza scuse, senza bugie-.
Serrò la mascella.
Per la prima volta, Justin Bieber, non sapeva cosa dire.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.

 

 Avevo sentito parlare di una banda che agiva nelle periferia di Stratoford, i The Evils.
 Erano loro a guidare i traffici di droga da quelle parti. Per non parlare dei soldi che giravano per il commercio di sigarette di contrabbando.
Avevo sentito anche che i più grandi e famosi criminali che si erano arricchiti per via di quel brutto giro di affari, erano stati uccisi proprio da loro, risultando così i primi in tutta la zona.
Tutti li conoscevano, tutti sapevano dei loro ‘affari’ e dei loro traffici illegali; eppure nessuno agiva, nessuno aveva il coraggio di porre fine a tutto ciò che creavano.
A capo della gang c’era un certo Justin. Non conoscevo il suo cognome e forse quello non era neanche il suo vero nome. Sapevo però che aveva un certa autorità e un certo prestigio sui suoi uomini ed io…be’, io volevo essere una di loro.
 
Tramite delle ricerche, riuscii a scovare il loro nascondiglio.
Non erano così furbi se una diciannovenne del Bronx era riuscita a trovarli.
Scesi all’ultima fermata dell’autobus. Ero stata l’unica a scendere a quella fermata, forse perché tutti sapevano che lì vi era il covo di quei criminali e nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di mettere piede sul loro territorio.
Be’, io non ero una di quelle. Non avevo paura di loro.
Indossavo un pantalone nero skinny, una canotta leopardata e una camicia che richiamava i colori della maglia lasciata aperta; una borsa verde militare a tracolla e degli occhiali da sole neri.
Anche sul pullman le persone avevano capito che cosa stessi per fare, il mio look aveva attirato molto la loro attenzione.
Era una strada non asfaltata, ricoperta di sassi e terra che portava in un’unica direzione. Camminai per circa cinque minuti per poi ritrovarmi dinnanzi ad una salita che portava ad un cancello carrabile verniciato di un grigio topo.
Pessima scelta.
Era aperto ed entrai senza preoccupazioni né pensieri.
Un enorme edificio, che sembrava sul punto di cedere, occupava il centro della zona delimitata da fili spinati.
Scostai l’enorme porta con un calcio, ritrovandomi di fronte a cinque ragazzi, seduti attorno ad un tavolo.
Smisero di giocare a carte non appena videro la mia figura slanciata sull’uscio della porta, fissandomi straniti per qualche istante.
-E tu saresti?-. Chiese  uno di loro, prendendo una boccata di fumo dalla sigaretta e cacciandola fuori, sbattendo prepotentemente con la schiena sullo schienale della sedia su cui era seduto.
Non si erano mossi più di tanto, avevano continuato a fumare e a bere, guardandomi.
Sapevo a cosa stavano pensando. Pensavano che ero una pazza e mi avrebbero fatta fuori nel giro di pochi minuti.
Pensavano male.
Chiusi la porta alle mie spalle, meritandomi delle occhiate confuse ma al tempo stesso divertite dai presenti.
Mi incamminai verso il tavolo ma mi fermai a circa dieci centimetri di distanza da esso.
In quel momento l’unica cosa che emanava il mio corpo era la sicurezza. Non mi importava dei loro sguardi o dei loro pensieri, volevo solamente raggiungere il mio scopo.
-Sono Dakota-. Risposi.
Prima che potessi continuare, uno di loro, mi interruppe.
-Illuminaci sul perché non dovremmo ficcarti una pallottola nel cranio giusto in questo momento-. Disse serio.
Avevo sentito dire che non avevano pietà neanche davanti alle donne. Erano spietati e questo faceva accrescere in me il desiderio di essere una di loro.
Il ragazzo che aveva appena parlato era di una tale spontaneità e naturalezza che sembrava fare il criminale da tantissimo tempo, eppure sembrava avere massimo vent’anni, se non poco più.
Sorrisi.
Il mio però non era un sorriso di una normale ragazza dinnanzi ad un anello di cinquecento carati; piuttosto era un ghigno strafottente e malizioso a cui, il ragazzo dalla chioma semi bionda, aveva sorriso di rimando, aguzzando la vista verso di me.
Sembrava essere incuriosito dal mio comportamento e questo rendeva tutto più eccitante, per me.
-Be’, voglio solamente un...-. Presi una pausa, guardando in faccia uno ad uno, soffermandomi sul ragazzo biondo, i cui occhi sembravano due enormi cascate di miele. Era carino, non potevo dire il contrario. -…un lavoro-.
Seguirono alcuni secondi di silenzio, dopodiché tutti scoppiarono in una fragorosa risata.
Alzai un sopracciglio, irritata ma al tempo stesso sfoggiavo un mezzo sorriso sghembo.
-Non sono qui per scherzare-. Ribadii.
-E perché vorresti lavorare con noi?-. Chiese il biondo, sibilando le ultime due parole.
Era l’unico a parlare e a fare domande; da questo deducevo che lui era Justin, il capo.
-Ho solamente voglia di divertirmi…e fare soldi nella maniera che mi piace di più-.
-Da quale merda di paese provieni? Non sei di qui, lo si nota-.
-Dal Bronx-.
Tutti e cinque si guardarono in faccia, per poi scoppiare a ridere.
Dopo la latitanza, la loro arte preferita era sicuramente quella di ridere in continuazione.
-Dal Bronx? Se volevi far parte di una gang, lì avevi una vasta scelta, come mai hai scelto proprio noi?-.
-Lì non succede mai nulla; sempre lo stesso giro di persone e di affari. Nessuno riesce ad imporsi sull’altro e così nessuno riesce a fare soldi-.
-Woah, sembri una che sa il fatto suo-. Esordì sorpreso. –Non male per una ragazzina viziata-.
-Non sono una ragazzina viziata-.
-Il tuo aspetto dimostra il contrario-. Indicò i miei piedi.
Lo sapevo, indossare tacchi ad un incontro del genere non era stata una bella idea, ma erano le uniche scarpe che mi piacevano. E poi, se avessi indossato scarpe da ginnastica o sandali bassi, mi avrebbero considerato una ‘ragazzina che succhia ancora il ciucciotto’.
Il tono con cui parlava sembrava quello di una persona che lanciava una sfida.
Aveva scelto la persona sbagliata contro la quale giocare.
-Ho sentito parlare molto di te, ma non sapevo che dessi giudizi così affrettati. I tacchi che indosso potrei ficcarteli giù per la gola, facendoti notare la differenza di lunghezza con il tuo amichetto-.
Chiuse la bocca in una linea sottile e dal suo sguardo sembrava essersi infastidito.
-Magari potrei mostrarti che ti sbagli, che ne dici?-. Chiese malizioso, ancora con la mascella contratta per la rabbia.
-Sei così prevedibile!-. Sospirai. –Allora? Devo superare qualche test prima di entrare o…-.
-Woah, woah, woah…calma, signorina. Non ho mai detto che saresti potuta entrare a far parte del nostro..ehm, gruppo-. Mimò le virgolette con le mani.
-Guarda i lati positivi della cosa-. Intervenni decisa e determinata. –Sono la prima ragazza del gruppo,-semmai ne facessi parte, certo- e sono l’unica ragazza che ha avuto la faccia tosta di venire fin qui e parlarvi in questo modo. Sapete quanti soldi potreste guadagnare con i miei giochetti con quelli che rompono le palle ai vostri affari? Potrei distrarli durante i vostri attacchi e farli secchi mentre sono al limite del piacere-.
Con l’ultima frase alludevo sicuramente a qualcosa che Justin aveva capito perfettamente.
-La ragazza ha ragione-. Commentò uno di loro, girandosi verso Justin.
-Già, è in gamba-. Aggiunse un altro.
-Silenzio!-. Urlò Justin dopo aver indugiato qualche secondo. –Be’, non posso fidarmi di te. Potresti essere una spia, potresti far parte dei The Killers-.
-Chi sono i The Killers?-. Domandai confusa.
Risero tutti in coro, dandosi una pacca l’uno sulla spalla dell’altro.
-Come fai a non conoscere i The Killers, dolcezza? Sono i nostri più grandi rivali. Sono degli ossi duri, degli stronzi ossi duri-. Spiegò un ragazzo dai capelli castani, racchiusi in una cresta.
Tutti continuavano a squadrarmi da capo a piede. Non mi sentivo a disagio, non mi importava di loro. Mi importava solamente di essere una di loro.
Justin si alzò, richiamando l’attenzione di tutti su di lui.
Non lo davo a vedere ma dentro stavo letteralmente tremando al pensiero di una pallottola ficcata in testa. Lui non aveva scherzato prima quando mi aveva chiesto di spiegargli perché ero li. Non aveva mai avuto pena per nessuno ed io non ero un’eccezione.
Si avvicinò toccando l’orlo che percorreva il mio seno, seguendo col dito l’intera cucitura. Abbassai lo sguardo sul suo dito, per poi rialzarlo su di lui.
I nostri occhi erano diventati un’unica cosa, e l’energia che emanavano entrambi avrebbe stecchito un essere umano in due secondi.
Affittii il mio sguardo, rendendolo più penetrante e profondo.
Lui fece lo stesso.
Avvicinò la sua bocca al mio orecchio, leccandolo.
-Bene, sei una di noi, Dakota-. Concluse, marcando il mio nome.







Spero davvero di avervi incuriosite!
Fatemelo sapere tramite qualche recensione
 
così potrei aggiornare o...be', smettere di
scrivere questa fanfction!
Un bacio, notperfect.
-Se vi va, passate sul mio profilo!!

   
 
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