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Autore: Mrs C    13/02/2013    15 recensioni
Il The Dove si trova al numero 19 di Upper Mall, proprio davanti al molo.
A circa quattro chilometri c'è l'Hammermisth Bridge, e tre chilometri più in dietro il Rasvencourt Park. John ci ha passato l'infanzia, lì dentro.
La vista è magnifica - non ha mai visto questa parte di Londra in piena notte - specialmente per lui che ha sempre avuto un debole per le barche. Suo padre era un pescatore e, da bravo pescatore, è morto in mare durante una tempesta quando lui aveva cinque anni.
John preferisce non starci mai troppo a rimuginare.
AU del film "l'avvocato del diavolo" (più o meno, spiego meglio all'interno)
Presenza, nel secondo capitolo, di argomenti un po' pesanti [anche se in maniera molto blanda] per cui cambio rating.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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<big><big>Il numero 19</a></a>





Il numero 19



(Uno)







Il The Dove si trova al numero 19 di Upper Mall, proprio davanti al molo. [1]

A circa quattro chilometri c'è l'Hammermisth Bridge, e tre chilometri più in dietro il Rasvencourt Park. John ci ha passato l'infanzia, lì dentro.

La vista è magnifica - non ha mai osservato questa parte di Londra in piena notte - specialmente per lui che ha sempre avuto un debole per le barche. Suo padre era un pescatore e, da bravo pescatore, è morto in mare durante una tempesta quando lui aveva cinque anni.

John preferisce non starci mai troppo a rimuginare.

L'ingresso è gremito di gente, e John fa un po' fatica a farsi largo in mezzo ai tavoli e le bottiglie di birra. La puzza di alcool - per quanto bello e delizioso possa essere questo pub - si sente fuori quasi più che dentro.

A John non piace bere, eppure oggi non ha fatto altro che scolarsi un Vermouth dopo l'altro, fino a sentire il sangue caldo nelle vene e il fegato ingrossarsi sotto la spinta degli alcolici.

Solo che, per una volta, sotto il peso del proprio lavoro, del proprio mondo e della propria coscienza, John non vuole pensare alle conseguenze delle sue azioni. Anche se ha una voce nella testa - che somiglia in maniera inquietante a quella di sua sorella Harry - che gli rinfaccia il predicare bene e razzolare malissimo.

John si ripete che sa perfettamente badare a se stesso, e anche se beve due o tre liquori più del solito, sa quando fermarsi. Anche se l'atmosfera è invitante abbastanza da fargli venire voglia di ubriacarsi per tutta la notte.

Al bancone d'ingresso c'è una graziosa ragazza dai capelli biondi, legati in una treccia. Non deve avere più di venticinque anni, e ha un sorriso timido e buono. Fa un piccolo inchino, e gli chiede se è lì per mangiare o per un drink. John pensa che mettere qualcosa nello stomaco gli farebbe senz'altro bene, considerando che non ingurgita niente che non sia alcool dal primo pomeriggio.

- Un drink. - risponde, alla fine.

Hooper - così dice la targhetta appesa alla sua camicia - gli fa un cenno, invitandolo a scendere i pochi gradini che lo separano dal bar. John non le rivolge che più di un'occhiata, e non le da il cappotto: non si tratterrà tanto a lungo, comunque.

Il crepitio delle fiamme nel camino, danno un po' di conforto al suo corpo stanco e dolorante, dopo aver passato ore e ore seduto a farsi massacrare da una giuria che gli ha fatto fare, tra l'altro, la figura dell'idiota davanti a tutti i mass media.

Per un attimo gli occhi di John indugiano sui presenti, e si compiace nell'accorgersi che c'è tanto rumore, sì, ma nessuno sembra ubriaco a sufficienza per provocare una rissa o per accorgersi delle sue condizioni devastate.

Calma, serenità, una birra e abbastanza suoni da non sentire il proprio cervello macinare: è esattamente quello che gli serve per superare questa giornata.

- Che cosa ti servo?

John si siede allo sgabello, davanti al bancone, dando le spalle a tutti gli altri. Il legno lucido e freddo attrae gran parte dei suoi neuroni, spostandoli dai soliti pensieri abbastanza a lungo, da sentire la voce del barista più ovattata di quanto lo sia davvero. Non alza gli occhi quando risponde "gin e vermouth, con doppio ghiaccio" [2].

Per qualche secondo c'è solo il rumore delle bottiglie che vengono posate con delicatezza sulla superficie di legno, e del ghiaccio versato nel bicchiere. John pensa che esistano pochi rumori fastidiosi più di un drink che viene miscelato a pochi centimetri dalla propria testa.

- Bere un Martini dopo essersene scolati quattro prima di venire qui, non è una buona idea.

John corruga la fronte, alzando finalmente lo sguardo. Il ragazzo ha una voce baritona e calda, avvolgente, ma che gli conferisce ben più anni di quelli che ha realmente. Il cravattino nero spicca sulla camicia bianca che il ragazzo indossa, in perfetta coordinazione con i riccioli d'ebano - legati in una piccola coda - e la pelle candida.

Ha gli occhi più strani che John abbia mai visto, e non riesce ad identificarne il colore a primo impatto. Non sa se per via della sbronza o del fatto che siano effettivamente un miscuglio di tavolozze da pittore su una tela azzurra e blu.

- Non mi conosci, non puoi saperlo se ne ho bevuto quattro, cinque o cinquanta. Potrei essere chiunque. Potrei essere solo un barbone con un bel vestito.

- Potresti, ma non lo sei. Un barbone non passa la serata a ubriacarsi per i migliori pub londinesi con il portafoglio pieno di banconote da cinquanta e cento, più il libretto degli assegni nella tasca interna della giacca.

A questo punto, John pensa di avere tre alternative: mettersi a gridare, scappare via o entrambe le cose. John non fa niente, a parte spalancare gli occhi, boccheggiando. Controlla i soldi e il blocchetto: entrambi al loro posto. John è sicuro di non aver tirato fuori nessuno dei due da quando è entrato nel locale.

- Come diavolo hai fatto?

Il ragazzo fa spallucce, soffermandosi a guardare il bicchiere per il vino rosso, lindo e pulito fra le sue mani affascinanti. Perché lo sono, affascinanti, e John non si vergogna a guardare quelle dita da pianista sfiorare il cristallo con maestria e leggerezza.

- Sei l'avvocato di uno studio importante che non esce a bere spesso ma compra il giornale tutte le mattine dopo aver preso un caffè senza zucchero, perché ti piacciono i sapori forti. Ti ritrovi banconote da cinquanta e cento per pura casualità, visto che a quell'ora del mattino - le sette o le otto - i venditori ambulanti non hanno resto a sufficienza da dividere in piccolo taglio. Semplice.

John rimane in silenzio per qualche secondo. L'odore forte del Martini gli penetra nelle narici, e per un secondo considera l'idea di scolarselo in un colpo solo. Poi il sorriso sghembo di quel ragazzo dall'aria birichina, gli sconvolge le viscere più di dieci litri di alcool puro sparato in vena, e capisce di non aver più bisogno di un drink.

- Se sai tutte queste cose di me, finirò per pensare che sei uno stalker.

- Uno stalker, o una persona che sa osservare bene.

John giocherella con il bicchiere ancora pieno di Martini, inclinando appena il capo verso destra. Da quest'angolazione, sembra ancora più pallido della sua reale carnagione, e non sa se esserne spaventato o attratto.

- E hai anche un nome, persona che sa osservare bene?

- Sherlock. E tu sei John Watson, lo squalo. [3]

Ha occhi vispi, che saettano ovunque. Catalogano informazioni che John non riesce a cogliere, e sente quasi le rotelle di quel cervello geniale ruotare e ruotare, scartare ciò che non ritiene interessante, e mettere nel cassetto della propria coscienza quello che potrebbe, in futuro, tornargli utile. Per fare cosa, John non lo sa davvero, e si sente impaurito e anche un po' eccitato da questa nuova conoscenza che è riuscito a destabilizzargli i pensieri in pochi minuti.

- Suppongo tu abbia letto gli articoli di giornale, su di me.

- Io non leggo quella roba. Ma sei stato l'avvocato di parecchia gente che ho sbattuto dentro. In un certo senso è anche merito tuo se lavoro... dovrei quasi ringraziarti.

Qualche cliente si avvicina, ordina due birre e qualche stuzzichino per il tavolo fuori, così Sherlock è costretto ad allontanarsi. John osserva la sua figura longilinea fasciata da un paio di pantaloni di seta e un grembiule scuro più di quanto dovrebbe essergli consentito, e fa appena in tempo a volgere lo sguardo verso le bottiglie di vino davanti a sé, prima che l'altro torni.

- Sei un poliziotto?

Sherlock fa una smorfia, come se lo avesse appena morso una tarantola o il locale stesse andando a fuoco per combustione spontanea.

- Chi entra in polizia ha bisogno di essere guidato e comandato per sapere come agire. Io non ho bisogno di nessuno, tanto meno di uno stuolo di zotici che calpestano ogni traccia che trovano.

- Allora cosa sei?

- Un aiuto. Beh... il miglior aiuto che Scotland Yard abbia mai avuto, in effetti.

- Sei molto sicuro di te.

- Sono molto sicuro della mia intelligenza. [4]

Sherlock si lascia scappare un ghigno che somiglia più a un sorriso e John ride. Non sa davvero perché questa persona stia dicendo così tante cose a lui, che conosce da sì e no mezz'ora, ma non riesce a pensare che sia sbagliato questo grado di confidenza di cui entrambi si sono appropriati. Sembra che siano nati e cresciuti solo per parlarsi, e John è tanto sentimentale da credere in questo e non solo l'incontro casuale di una notte.

- Devo andare.

Sherlock si è sfilato il grembiule, posandolo sul bancone accanto al suo braccio. Il calore del suo corpo gli penetra nel cervello, fulmine potente e veloce, senza che nemmeno lo abbia sfiorato. Si mette il cappotto lungo, la sciarpa blu - perché fuori fa davvero freddo - e si sfila la coda, lasciando liberi i ricci, più corti di quanto sembrassero prima.

John non vuole che vada via, ma non gli dirà mai di restare. Sfila una banconota da venti e la posa sul bancone. Sherlock guarda prima quella e poi lui, incrociando gli occhi scuri e divertiti di John.

- Oggi avevano il resto in piccolo taglio.

Sorride, si alza dalla sedia sistemandosi la giacca e avviandosi dall'altra parte del locale, esattamente da dov'è entrato, senza aver nemmeno bevuto un goccio del suo drink. È più sobrio di quanto non lo fosse stamattina, e non sa se per colpa del freddo di Londra oppure della sua nuova conoscenza.

- John?

John si volta. Sherlock è già fuori, con il volto mezzo coperto dal bavero e dalla sciarpa. La sua voce sovrasta il ronzio fastidioso degli astanti, come se avesse un megafono, o gli stesse parlando all'orecchio. John riesce quasi a sentire il suo fiato bollente sul collo, e un piccolo brivido gli scuote il corpo.

- Il Martini non ti si addice. Tu sei più tipo da Bloody Mary. [5]

Sherlock va via, lasciandolo scosso al centro della stanza. Molly prende il posto del ragazzo dietro il bancone; gli chiede ancora se vuole bere qualcosa o uno stuzzichino. John la guarda, con occhio più lucido rispetto a mezz'ora fa, scorgendo tante piccole cose che prima non aveva proprio visto. Si toglie la giacca e si siede di nuovo.

Prima di andare via, ordina un Bloody Mary.







Ps. I'm a Serial Addicted



Sono imperdonabile, un po' perché sono giorni che dovrei scrivere il finale del Crossover con Criminal Minds, un po' perché avrei altre settordici cose da finire, ma proprio non gliela fo'. Sono in blocco, e questa è l'unica cosa che mi è venuta decente da giorni e giorni a questa parte.

Questa sera guardavo un film (l'avvocato del diavolo, nel caso, ecco), e c'è una scena - praticamente all'inizio - in cui il protagonista vince una causa e va a festeggiare in questo pub insieme a moglie e amici. La scena, (ma più in particolare il caso che ha vinto) mi ha dato lo spunto per scrivere su questa minilong, per cui è un AU, ma non so se posso considerarla una AU del film visto che è incentrato su tutt'altra cosa... comunque, sempre meglio spiegare le cose come si deve. 

[1] Esiste, ed è questa meraviglia qua!

[2] Un riferimento a Detective Conan. Vermouth, in un volume dice, che mescolando Gin e Vermouth si ottiene il Martini, e fra i millanta volumi di DC che ho letto, è un'informazione che mi è rimasta in testa. 

[3] Un riferimento a Shark, dacché il protagonista viene soprannominato "lo squalo" u_u

[4] Una vergognosa autocitazione di, il suono dei binari.

[5] Un riferimento all'omonima puntata di Supernatural 8D

Questa cagatina è dedicata alla mia amata Mrs Teller, perché le voglio bene, è una persona fantastica e senza di lei sarei persa, credo, gran parte del giorno. Ti voglio bene, e spero che 'sta cosetta non ti faccia troppo schifo. 

In realtà doveva essere una oneshot, ma io le cose brevi non le so fare. Mando amore a tutti e grazie come sempre per le meravigliose recensioni. Giuro che rispondo a tutti e aggionerò tutto quanto prima ç_ç


Jess

   
 
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