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Autore: taisa    02/09/2007    6 recensioni
Quando si dice che i genitori hanno sempre ragione
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MAI ABBASTANZA GRANDE

MAI ABBASTANZA GRANDE

*

Il Dottor Brief camminava per i corridoi della sua immensa casa.

Con la solita aria un po’ tra le nuvole seguiva il percorso che lo avrebbe portato ai laboratori appena fuori la dimora gialla che dominava l’intera città.

Una persona stravagante, il Dottor Brief, con quell’aria da vecchio scienziato che dava l’idea di non saper nemmeno riconoscere la strada di casa propria.

Eppure, quel particolare vecchietto, era uno degli scienziati più geniali dell’intero pianeta.

Chi poteva immaginare che la sua mente geniale, e perennemente assorta nei suoi pensieri, avrebbe potuto creare un oggetto tanto utile come le capsule hoplà?!

La sua azienda era ormai la più grande ed imponente dell’intero pianeta.

Chiunque possedeva un mezzo di trasporto custodito in quei simpatici oggettini in apparenza tanto piccoli.

Chiunque aveva, nella propria casa, almeno una scatola di quei preziosi oggetti che al loro interno potevano contenere qualunque cosa.

E quel simpatico vecchietto, che le aveva create, sembrava sempre così distante per accorgersi di aver costruito qualcosa di assolutamente geniale.

Mentre il mondo si stava stupendo della sua ultima invenzione il suo ingegno era già andato oltre.

Il suo cervello stava già elaborando qualcosa che avrebbe, ancora una volta, lasciato l’intera umanità a bocca spalancata mentre lui si stava preoccupando di essere un passo avanti a loro.

Non che se ne preoccupasse seriamente, lui era semplicemente un passo davanti agli altri perché, in molte occasioni, lasciava le cose a metà immaginandosi nuovamente qualche nuova invenzione.

Era fatto così, il Dottor Brief, in apparenza un po’ svampito, ma assolutamente geniale.

Certo, se alle sue spalle non avesse avuto una persona che, costantemente, si fermasse a concludere le sue idee un po’ vaghe e confuse probabilmente non avrebbe mai terminato nulla.

Probabilmente tutte le sue invenzioni si sarebbero fermate in cantiere, o in un cassetto, di un armadio o della memoria, vagando sconclusionate nel meandri della sua testa.

Alle sue spalle aveva bisogno di una persona, altrettanto geniale, ma con una visone più concreta delle cose.

Difficile stargli dietro e riuscire a capire cosa gli frullasse in quella zucca sempre piena di nuove idee.

Diverse persone avevano tentato di assecondarlo, di reggergli il gioco, o di capire a cosa parlasse in certi momenti.

Perché sì, spesso e volentieri anche il suo modo di parlare era apparentemente senza senso.

Una sola persona era in grado di recepire i suoi ragionamenti e, perché no, di migliorarli.

Chi meglio della sua unica figlia riusciva a capire quale strampalata idea potesse venir fuori dal suo cervello tanto geniale.

Per capire un genio ci vuole un altro genio.

Era così fatto il rapporto tra padre e figlia, lui sempre con la testa tra le nuvole, lei perennemente costretta a riacciuffare le sue idee per renderne concrete e sensate.

Non per nulla Bulma Brief era l’unica in grado di prendere le redini della più grande ed importante società del pianeta.

Anche a lei le idee frullavano in testa ad una velocità vorticosa, ma a differenza del genitore, sapeva metterle su carta e addirittura di crearle dal nulla.

Non a caso era lei, e sempre lei, la migliore quando si trattava di passare le ore alle prese con motori, e tutto ciò che ne comportava.

Questa era Bulma Brief, astuta negli affari, e assolutamente geniale con i macchinari.

Non si fermava mai quando si trattava di lavorare, mai si tirava indietro.

Qualsiasi fossero le difficoltà era sempre intenta a creare qualcosa di nuovo.

Qualsiasi fossero le sue condizioni di salute lei era sempre pronta a mettersi d’impegno per ciò che le piaceva.

Persino in quelle condizioni…

Il Dottor Brief entrò nel laboratorio guardandosi attorno.

Non impiegò molto a notare il battere dei ferri che era ormai abituato ad ascoltare in quella stanza.

Sembrava che quel tintinnio facesse parte dei laboratori stessi.

Tuttavia, anche lui ogni tanto, scendeva con la testa sul pianeta Terra, e anche lui non poté fare a meno di pensare che in quel momento, l’immancabile rumore del metallo, che lo accoglieva spesso al suo ingresso, non doveva esserci.

Per una volta si aspettava solo silenzio nel varcare quella porta, pertanto il consueto rumore lo impensierì.

Constatò la provenienza di esso e con passo tranquillo, cosa della quale nonostante tutto non poteva farne a meno, si avvicinò ad una macchina.

Da sotto di essa erano visibili i piedi della figlia, che instancabile, stava lavorando al motore.

“Non dovresti essere qui cara” le fece presente l’uomo una volta raggiunta la figlia.

Bulma fermò il suo gesticolare con una chiave inglese, abbassando lo sguardo verso le sue gambe notando le inconfondibile pantofole del padre.

“Mi è venuta in mente un idea per questo motore, così volevo provare a dargli una sistemata” rispose riprendendo a lavorare.

Lo scienziato la guardò per pochi istanti “Sai, sono d’accordo con tua madre. Nelle tue condizioni dovresti startene a letto invec…” “Quante volte devo ancora ripetervelo?! Io sto benissimo! Posso ancora lavorare” lo interruppe bruscamente la ragazza crucciando lo sguardo, riprendendo a lavorare.

Il genitore mise le mani nelle tasche del suo camice bianco, sospirò “Dovresti pensare di più al bambino” le fece presente senza distogliere gli occhi dai suoi piedi.

Bulma sospese il suo lavoro, strinse più forte la mano sull’attrezzo che stava adoperando per un attimo “E’ il figlio di uno stupido zuccone Saiyan, non si arrenderà finché non verrà al mondo” gli fece presente riprendendo a maneggiare con il motore del veicolo.

L’attempato scienziato sospirò nuovamente “Però Bulma non dovr…” fu nuovamente interrotto.

Bulma uscì da sotto l’autovettura con uno scatto, guardò malamente suo padre ed incrociò le braccia “Smettila papà! Ti ho detto che va tutto bene, vuoi capirlo o no?!” protestò testarda.

“Non ho bisogno del vostro aiuto! Me la posso cavare benissimo anche da sol…” il nervosismo, sommato al gran caldo e alle sue condizioni contribuì a sbalzare bruscamente la sua pressione.

Un giramento di testa la colse all’improvviso, lo svenimento che seguì l’avrebbe portata a sbattere la testa contro la vettura sulla quale stava lavorando.

Per sua fortuna l’anziano Dottor Brief fu, per una volta, abbastanza presente per impedirle di farsi male, afferrandola per tempo.

*

Quando riprese i sensi si trovava in camera sua.

Evidentemente suo padre l’aveva portata fin lì.

Che insensata situazione, accidenti!

Era tutta colpa sua, tutta colpa di quello stupido…se solo lui…se solo…

Il canticchiare di una persona la distolse dai suoi pensieri.

Lentamente volse lo sguardo verso il suo comodino riconoscendo immediatamente la figura che stava maneggiando un vaso con alcuni fiori.

“Mamma” mormorò con un filo di voce cercando di alzarsi.

La bionda si rivolse a lei con il solito, ed immancabile, sorriso “Oh ben svegliata tesoro, dormito bene?” domandò quasi la figlia si fosse appena svegliata da una breve dormita.

Bulma mugugnò qualcosa, che presumibilmente era un rimprovero, ma non avendo sufficienti forze per un dibattito con sua madre lasciò correre.

Quella donna era sfinente quando era in piena forma, affrontarla nelle sue condizioni equivaleva ad un suicidio.

La sig.ra Brief tornò al vaso di fiori, e ad una teglia poggiata accanto “Ti ho portato dei pasticcini, ne vuoi un po’?” chiese porgendole un dolcetto.

Sospirò rumorosamente appoggiandosi allo schienale del letto, mentre una mano si posò stancamente sulla sua fronte “No” rispose in un sussurro.

La madre ripose il pasticcino e guardò la figlia, senza smettere di sorridere, “Sei proprio come tuo padre. È impossibile staccarti dal tuo lavoro” le fece presente giungendo le mani all’altezza del grembiule.

Bulma sopirò nuovamente “Non è questo” confessò enigmatica senza guardarla.

La bionda addolcì lo sguardo in un sorriso materno “Allora cosa ti preoccupa?” chiese accomodandosi accanto alla figlia.

“E’ tutto così…difficile mamma” mormorò togliendo la mano dal volto ed alzando lo sguardo al soffitto.

La sig.ra Brief non disse nulla restando ad ascoltare, conscia che la figlia avrebbe presto svuotato il sacco.

“La gravidanza, il lavoro, e poi…e poi ci sono anche i cyborg, e…” “Tesoro, tutte queste sono solo scuse” la interruppe la madre lasciandola per un attimo perplessa.

“Tu hai solo paura” spiegò senza smettere un secondo di sorridere, mentre Bulma abbassò tristemente lo sguardo, “Credimi, è normale che tu ne abbia. È così per tutte, ma ricordati che non sei la prima a diventare madre, e non sarai certo l’ultima” la rassicurò pacatamente.

L’azzurra deglutì restando in silenzio per qualche istante “Non ho paura, è solo che…” mentì parzialmente lasciando cadere a metà la frase “So cosa ti preoccupa…tornerà vedrai” tornò a farle coraggio appoggiandosi le mani sulle ginocchia.

L’espressione di Bulma parlò per lei…

“N…Non ho bisogno di quello zuccone! Per quel che mi riguarda può starsene dove sta! Cosa vuoi che m’importi!” sbottò cominciando a sbraitare.

Tuttavia la madre la guardò con tutta calma “Ciò che dici e ciò che speri sono due cose molto diverse tra loro” le fece presente pacatamente.

Il gesticolare di Bulma s’interruppe improvvisamente, sospirò tornado ad abbassare lo sguardo.

Il silenzio regnò per un attimo nella stanza.

“Mamma…” riprese infine la più giovane delle due donne “Dimmi tesoro” la esortò a parlare l’altra.

Bulma deglutì rumorosamente aggrottando le sopracciglia “Farà male?” chiese poi giocherellando con l’orlo del suo lenzuolo.

Con il suo permanente sorriso sul volto, la sig.ra Brief squadrò la figlia, mentre sembrava pensarci.

Con delicatezza le adagiò una mano sul grembo, ormai visibilmente gravido, cercando lo sguardo della figlia.

“Terribilmente male tesoro” rispose infine decidendo di non mentirle “Però ti posso assicurare una cosa…il dolore che proverai sarà comunque inferiore alla gioia che avrai in seguito” la incoraggiò infine.

Appena sembrò che la figlia si fosse tranquillizzata si alzò dal letto.

Si diede una sistemata al grembiule decidendosi a lasciarla nuovamente sola.

Una volta giunta davanti alla porta, però, fu nuovamente bloccata dall’altra donna.

Bulma osservò la schiena di sua madre “Mamma, perché sembra che questi mesi non passino mai?” domandò nuovamente.

La sig.ra Brief si voltò leggermente, sempre sorridente, alzò l’indice di una mano “Tesoro, non avere fretta. Dopo non ti sembrerà mai abbastanza grande” spiegò facendole un occhiolino ed uscendo dalla stanza, lasciando la figlia abbastanza sorpresa.

*

Bulma era seduta su una piccola panchina nel suo giardino ad osservare il prato verde di fronte a lei.

Allontanatasi da una festa ufficiale nella sua casa terribilmente noiosa.

Infondo si stufava sempre se a farle compagnia non erano i suoi amici, ma vecchi dirigenti d’aziende o appiccicosi giornalisti.

D'altronde che poteva farci lei, così andavano le cose dopo tutto.

Sospirò alzando lo sguardo “Mi sembra incredibile che il mio bambino sia arrivato fin qui” parlò apparentemente al vento.

Una figura fece un paio di passi nella sua direzione accomodandosi accanto alla donna.

Un altro fuggitivo.

“Sai sembra ieri che lo tenevo in braccio, e guardalo ora” mormorò ancora senza ottenere risposta.

Si strinse nelle spalle restando con lo sguardo fisso al soffitto.

Un pasticcino si materializzò davanti a lei.

Lo guardò per alcuni secondi, infine decise di afferrarlo.

La persona accanto a lei mandò giù il suo dolce, che gli era finito avidamente in bocca, “Tsk, non dire idiozie. Il moccioso ha già vent’otto anni, è ora che si prenda un po’ di responsabilità” brontolò l’uomo.

Bulma osservò il compagno, sorrise, tornò ad osservare il soffitto, e socchiuse gli occhi “Hai proprio ragione…”sospirò pensando al suo piccolo presidente “Ormai è un uomo” concluse.

*

FINE

*

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