Successe quasi per caso.
La provvidenza, si sa, opera secondo vie misteriose alla comprensione umana,
perfino a quella di una mente eccelsa. Sherlock non credeva a certi
vaneggiamenti che rimandano in modo terribile al concetto ignorante e ottuso di
destino. Non andava d’accordo con il suo essere lungimirante e logico. Preferì
credere di essere arrivato davanti alla cesta dei panni sporchi destinati alla
lavanderia guidato unicamente dal suo inconscio, da quello che Freud a suo
tempo definì Es. Dunque, se in quel momento si trovava inginocchiato a terra
con indosso un pullover che non gli apparteneva in alcun modo, era colpa
unicamente del suo Super Io che se ne era andato a farsi un giro per i fatti propri.
Con il capo infilato nella
pila, Sherlock grufolò con le lunghe dita affusolate alla ricerca del tessuto
spesso e caldo proprio dei maglioni che, di tutte le persone che conosceva,
avrebbe portato soltanto John. Nel fare ciò, accostò il naso sulla propria
spalla, dove poteva avvertire la mescolanza del suo odore con quello del
proprietario dell’indumento a righe bianche e nere. Senza conoscerne con
esattezza il motivo, - non che lo volesse veramente sapere - amava la
sensazione che riusciva a fargli correre lungo tutto il corpo fino a scaldargli
il basso ventre. Contro tutti i suoi buoni propositi, nella mente andarono a
disegnarsi ben nitide immagini che non avrebbe mai ammesso di aver immaginato.
Immagini nelle quali John, il suo amico, non spargeva il suo inconfondibile
odore su alcun vestito. Non lo faceva per suo proposito, bensì perché non aveva
niente indosso sul quale farlo. Fu questa nuova condizione a lasciare alquanto
spiazzato il buon detective.
Ciò che lo sorprese ancora
di più e contribuì a creare confusione nella sua mente fu quello che in cuor
suo sapeva che avrebbe fatto davanti a una prospettiva del genere. Non avrebbe
impegnato più di pochi semplici processi mentali, prima di allungare una mano
per saggiare la consistenza reale della sua pelle. Solo allora, quando si
sarebbe accertato di non vivere in un sogno, avrebbe immerso il naso
nell’incavo del suo collo e goduto a pieni polmoni della sua essenza.
Il piacere nel quale trovava
diletto avrebbe portato ad altro, facendogli perdere l’uso di qualsiasi freno
inibitore che conosceva e da sempre usava per proteggersi dal mondo che lo
circondava e lo disprezzava. Forse concedersi a John non significa questo.
Rimuginò prima di vedersi abbandonare a questo pensiero e scendere lungo il
corpo dell’ex-soldato baciando e tastando ogni centimetro di pelle che toccava.
La sua meta, lo sapeva bene, sarebbe stata in mezzo alle sue gambe, contornata
dalla bionda peluria dove avrebbe adorato strusciare le proprie guance e
sentire un nuovo odore che non aveva mai avuto la possibilità di sentire prima
di allora. Sarebbe stato semplice, quasi automatico, avvolgere le labbra
attorno al suo membro e catalogare il suo sapore unico e indistinguibile. Fu
una vera tortura che i due Sherlock, quello che immaginava e quello - più
fortunato - che veniva immaginato vivessero in due mondi paralleli. In uno,
quello vero, il massimo che poteva avere era immaginarsi il sapore dolce e al
contempo amaro dell’amore e del piacere sessuale, mentre nell’altro il pianeta
girava nel giusto verso e Sherlock poteva vivere la sua passione.
Le immagini si
interruppero quando i polpastrelli incontrarono qualcosa di estremamente
morbido e confortante. Con un sorriso trionfante, Sherlock lo strattonò fuori e
lo osservò con interesse. Era il maglione color panna e intrecciato che John
indossava il giorno in cui si trasferì a Baker Street. Il detective vi affondò
il volto e lasciò che le narici si riempissero di quell’odore che lo stava
trascinando pian piano nel baratro, conscio che se non vi avesse opposto
resistenza non sarebbe più tornato indietro. Quello che gli stava accadendo non
aveva logica. Ciò che lo stava ammaliando non era altro che l’odore di un uomo,
non di una donna. Sebbene queste non avessero mai smosso il suo interesse, non
ricordava di aver mai provato attrazione fisica per un individuo del suo stesso
sesso. Era qualcosa che non riusciva a né a comprendere né a reprimere, fatto
ancora più grave e inaccettabile. Così preso dal proprio delirio dei sensi, non
si accorse nemmeno di non essere più solo.
«Sherlock, che diamine stai
facendo? » La voce di John ruppe il silenzio così improvvisamente che il
consulente investigativo sussultò e si riscosse all’istante dal suo torpore,
ormai colto sul fatto.
«Un esperimento, John. »
Nel rispondere, Sherlock sperò di suonare convincente. Certo non sapeva che le
sue pupille esageratamente dilatate lo stessero tradendo in modo subdolo e
evidente.
«Ah, sì? E sentiamo, in
che cosa consiste questo tuo esperimento? » Ribatté l’altro incrociando le
braccia al petto con cipiglio scettico.
«Naturalmente, » iniziò
il moro con voce arrochita. «Ogni
persona possiede un proprio odore caratteristico che, all’interno delle masse,
la differenzia dagli altri. A una prima analisi questo può sembrare
irrilevante, invece è essenziale quanto la distinzione e il riconoscimento dei
diversi tipi di ceneri. Cosa ha fatto la vittima prima di morire? Anche il solo
odore di sudore restringe il campo: potrebbe aver corso, potrebbe essere stato
recluso in un luogo caldo e privo di finestre, e così via. Ancora, l’uso di un
dato profumo suggerisce la sua situazione economica e l’importanza che veniva
data all’igiene personale. Sono dettagli che non mi stupisco che gli altri
trascurino. » Per sua fortuna, divagare aveva reso il suo tono più calmo e
deciso.
«Sherlock, hai indosso un
mio maglione e tra le mani un altro. » Puntualizzò John. Durante la spiegazione
del detective, aveva attraversato l’intera stanza fino a piazzarsi decisamente
troppo vicino alla pila del bucato.
«Sì, te ne ho appena
spiegato il motivo. »
«No, non mi fai fesso. »
La sicurezza con la quale John rivelò la sua menzogna causò in Sherlock uno
sgomento tale da lasciarlo senza parole con le quali difendersi. In effetti, la
sua mente era troppo impegnata a elaborare il desiderio crescente di non
accontentarsi del solo e semplice odore degli indumenti del dottore. Deglutì
decisamente troppo rumorosamente. John era troppo dannatamente vicino, lo
avrebbe sentito anche solo respirare più profondamente del normale.
«Cosa stavi facendo,
Sherlock? » Domandò di nuovo l’amico.
Sherlock si lasciò scivolare
la stoffa giù dalle dita per sentirla ricadere in mezzo al mucchio dove l’aveva
trovata. «John... » Pronunciò senza più riuscire a mascherare la propria
difficoltà. Avrebbe voluto svelare tutto ciò a cui aveva pensato fino a un
attimo prima e liberarsi del macigno che gli gravava alla bocca dello stomaco,
ma il raziocinio era riuscito a salvarlo in tempo. Si chiuse in un silenzio
colpevole.
John si chinò sui talloni
e attese. Nelle orecchie, Sherlock poté sentire il suo cuore rimbombare e
correre frenetico. Era tempo che non sperimentava cosa volesse dire il provare panico.
«Che succede se ora... mi
avvicinassi di più? » Chiese ancora John.
Quelle domande sembravano
studiate appositamente per metterlo in difficoltà. Non farlo! Urlò
Sherlock nella sua mente, la fonazione completamente fuori uso. Crebbe in lui
il desiderio di allontanarsi e scappare a gambe levate con una scusa qualsiasi,
ma era stato tradito anche dai suoi stessi muscoli, rigidi e inamovibili.
Evidentemente John prese la
sua reazione singolare come incoraggiamento; infatti nel giro di una frazione
di secondo Sherlock trovò le proprie labbra a contatto con quelle del biondo.
Avvampò come se fosse stata scoppiata una scintilla e, con uno slancio di
coraggio, afferrò l’ex-soldato per le spalle, sbilanciandolo pericolosamente.
Come avrebbe dovuto immaginarsi, John cadde su di lui con un tonfo che gli fece
sbattere la schiena sul pavimento.
«Scusami, ho perso
l’equilibrio. » Si giustificò il biondo, le guance arrossate e un evidente
rammarico dipinto negli occhi blu.
«Non scusarti. » Rispose
l’altro, tutt’altro che dispiaciuto.
Come per dimostrare il suo
apprezzamento, approfittò dell’occasione, affondò il naso nel primo lembo di
pelle libero che vide e inspirò. Non era mai stato più beato.