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Autore: Lisa_Pan    14/02/2013    2 recensioni
Ma tu sai, tu sai perché eri lì. In quella casa che non è mai stata casa sua i corpi sono tre: il tuo, accasciato ad un angolo tra la macchia di umido di fianco alla scrivania e a quella che sbuca da dietro la libreria; il suo, collassato sul letto proprio dove prima c’era lei; e quello della donna, svanito nel nulla.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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note materiali

Note materiali

Una chitarra scura, non nera, scura, delle corde arrugginite e il suo corpo disteso sul letto. Non respira. E’ morto. Il delitto è avvenuto nel più assoluto silenzio di una notte senza luna, nel buio di una stanza dalle pareti umide e sporche di una casa che non è davvero casa sua. Alcuni affermano che l’assassino sia scappato dalla finestra, la finestra del terzo piano che si affaccia su una caduta di quindici metri, biglietto diretto per l’inferno, dicono fosse bianco ed indossasse una felpa nera, come la notte. Il ragazzo del quarto piano dice di averlo sentito gridare, in realtà era un sussurro ma lo ha sentito forte e chiaro.

Una chitarra scura, non nera, scura e un uomo con una passione che è la sua religione, la sua fede blasfema, il suo credo convinto verso qualcosa che non è volto, né voce, né materia. Un mi riecheggia nell’aria, la corda vibra ancora, stimolata dal polpastrello consumato. Ed è lui, tutto lì, in quel polpastrello consumato e la corda arrugginita di una chitarra scura, non nera, scura e in quel mi appena sussurrato.

E’ lui un sussurro, un flebile e minuto sussurro. Lo senti crescergli nel petto, aggrapparsi alle pareti dell’esofago, avvicinarsi all’ugola; il respiro gli si strozza in gola; gli occhi socchiusi, le labbra leggermente dischiuse pronte a vibrare sotto quella parola piccola, piccola. E poi, eccolo, lo guardi, davvero riesci a vederlo, sbuca tra le sue labbra e ti squarcia i timpani. E’ lui, tutto lì. Rinchiuso nel suo petto, sotto la vibrazione costante di un sussurro, con il respiro mozzato e gli occhi fissi sulla parte di letto accanto a lui.

E’ difficile descrivere la sua voce, è una di quelle poche cose in natura che nessuno può spiegare, ci vorrebbero giorni solo per riuscire a distinguere le parole, dividerle e assemblare frasi, è difficile anche solo separarle dalla musica, sono così, la sua voce e la sua musica, vibrazioni potenti e costanti che si mischiano, si uniscono, diventano un’unica enorme, infinita e disarmante voce. E’ la dolcezza di un bambino mischiata al sesso più sporco che uno possa immaginarsi, è capace di zittirti e metterti all’angoletto, l’unica cosa che puoi fare è smettere di respirare e lasciare sanguinare i timpani. Non senti dolore, potresti anche morire lì, con le chiappe sul pavimento freddo, nessuno dei due se ne accorgerebbe. Lo guardi, la schiena ricurva sulla chitarra, le mani che scivolano leggere sulle corde e i suoi occhi che si chiudono e si aprono, si chiudono e si aprono, come per accertarsi che lei sia ancora lì, di fianco a lui. Le permette di entrargli in testa, di sfondare quella bolla di cristallo che lo tiene lontano dal resto del mondo, quella bolla fatta di note disumane, note innaturali, note materiali.

Le permette di sfiorarlo, le permette di toccarlo, di baciarlo. Le permette di entrare nelle parole di una canzone appena sussurrata, lui apre gli occhi e la sfiora con lo sguardo. I suoi occhi sono affamati, le iridi chiare scompaiono e diventano solo pupilla, come pozzi neri colmi di desiderio. Continua a suonare e a cantare ma i sussurri si trasformano in strazianti gemiti. Occhi neri baciano le sue labbra rosse e gonfie. Occhi neri le sfiorano una guancia. Occhi neri desiderano il suo corpo e labbra dischiuse sussurrano parole sporche come il petrolio ma dolci come il sorriso di un bambino. Tu, all’angolino, spettatore di quello che sta accadendo senti il sangue fluire denso nelle vene e colorare le guance, è solo musica, è solo una voce, sono solo note appena accennate su una chitarra scura. Lo ripeti in continuazione cercando di convincere quella parte di te che tenta ancora di restare lucida e razionale ma il tuo corpo si ribella, ti vergogni dei pensieri che quei gemiti ti suggeriscono nella mente, senti il peso del suo desiderio sul petto come un cuscino di piombo che ti frantuma le costole e ti perfora i polmoni. Non respiri, avevi smesso da tempo e non senti dolore, non ne hai mai sentito, non ricordi nemmeno cosa sia, non ricordi il sapore amaro del sangue e non ricordi nemmeno il rumore del mondo oltre quella bolla di cristallo. Senti solo quelle dannate note rimbalzare sulla pelle. Sei ridotto a un corpo che vibra sotto l’influsso di una musica che non è musica, di questo sei consapevole, sei un inutile diapason all’angolo di una stanza spettatore di sensazioni che diventano materia. Sai che potresti alzare un dito, tenderlo verso le sue labbra e afferrare al volo una parola, stringerla nel palmo della mano e accarezzarla con un polpastrello. Non ti accorgi nemmeno che lo hai fatto. Il palmo torna improvvisamente sensibile, come se quel sussurro che stringe febbrilmente avesse la forza di far rinascere il tuo corpo, come pura energia, come motore principale dei tuoi stimoli nervosi. Senti il sangue pulsare nelle vene e i polpastrelli formicolare. E’ solo una dannata parola.

E lui continua a far l’amore con quella donna dai capelli corvini mentre tu tieni le sue parole strette nella mano, avido di sensazioni, avido di emozioni e arido di sentimenti così fottutamente distruttivi.

Un mi suonato a vuoto nell’aria consumata di quella casa che non è casa. Ci vuole più tempo del previsto per capire che la mano che accarezzava la chitarra sta ardentemente accarezzando la guancia della donna dagli occhi blu e liquidi. Senti il petto esplodere, un dolore lancinante, te lo stringi tra le mani senza riuscire a staccare gli occhi dalle sue che si avvicinano al viso di lei. I polmoni chiedono ossigeno, provi ad aprire le labbra e ad addentare un centimetro cubo di aria ma ti ritrovi solamente ad annaspare e con l’alito che sa di umido.

Intanto il movimento impercettibile delle sue labbra si affievolisce sempre di più e, come quel mi, un ultimo sussurro vibra nell’aria ad un centimetro dalle labbra rosse della donna dai capelli corvini. Un centimetro a dividerlo da lei, un solo dannato centimetro e un ultimo sospiro. Nel momento esatto in cui le labbra si uniscono e l’ultima lettera di una qualsiasi parola risuona nell’aria, lei svanisce e tu ti accasci a terra senza più ossigeno nei polmoni e con il petto fracassato.

Dicono che il corpo sia solo uno. Dicono che il cuore non ha retto, parlano di arresto cardiaco.

Ma tu sai, tu sai perché eri lì. In quella casa che non è mai stata casa sua i corpi sono tre: il tuo, accasciato ad un angolo tra la macchia di umido di fianco alla scrivania e a quella che sbuca da dietro la libreria; il suo, collassato sul letto proprio dove prima c’era lei; e quello della donna, svanito nel nulla.

Parlano di un ragazzo, uscito in tutta fretta dalla finestra, chiusa, che non si è reso conto di essere al terzo piano di un palazzo senza balconi e che si è gettato senza indugi, il corpo non si è ritrovato, dicono che sia stato rubato, alcuni accusano il portinaio altri il macellaio sotto casa.

Ma tu sai, tu sai perché eri lì. Hai visto la ragazza sparire davanti ai tuoi occhi, l’hai vista sparire insieme alla musica, insieme ai sussurri, insieme al tuo ultimo respiro. Sei morto nell’esatto istante in cui il rumore si è riappropriato del tuo corpo, sei morto nell’esatto instante in cui l’uomo davanti a te ha scelto il silenzio. Lo hai visto accasciarsi sul letto, aprire e chiudere gli occhi un’ultima volta sommerso dai frammenti di quella bolla di cristallo di cui si era circondato.

Ucciso dalle proprie emozioni, ucciso dalla perdita della propria religione. Una fede fatta di note, di sussurri e di vibrazioni profonde. Un uomo che ha vissuto un‘ intera vita innamorandosi di una donna fantasma creata dalle note di una canzone sussurrata o dai sussurri delle note di una chitarra scura, non nera, scura, troppo materiale per crederla irreale ma anche troppo perfetta da poterla pensare reale. Perfetta come lo può essere una canzone o una voce che è nota e una nota che è voce.

E così è morto. E’ morta la sua musica portandosi dietro i suoi occhi blu e le sue labbra rosse e i suoi capelli corvini. E sei morto tu; ti avevano insegnato a vivere respirando e lo avevi dimenticato ascoltando il primo mi uscire fuori dalle sue labbra. E sei morto; ti avevano insegnato a vivere respirando ma lo avevi dimenticato imparando a nutrirti di note ma te le hanno tolte, strappate, e ti hanno sfondato il petto cedendo l’ultimo respiro a delle labbra fantasma.

E tu ne sei certo, quel sussurro, l’ultimo, sei riuscito a distinguerlo.

Love. Love me do.

***

Questa roba l'ho scritta quest'estate o poco dopo, di partenza mi avevano chiesto d'ispirarmi al titolo di quella precisa canzone dei Beatles, ovviamente per la ricorrenza. Non avevo idea di cosa dire, sapevo solo che la frase la volevo alla fine e che sarebbe stata un sussurro, volevo qualcosa di intimo, sfiorato, un qualcosa in cui sentirmi il terzo incomodo. Insomma dovevano scriversi da soli. E mi ricordo che la sera on tornata a casa tardi e ho trovato mio padre davanti al computer che ascoltava Just Breathe dei Peearl Jam, l'avevo lasciata lì perchè l'ascoltasse e mi ha ispirata. Effettivamente lui è un pò Eddie, la forza e la fragilità appartengono a lui e io le ho solo trasmesse al mio personaggio, mentre lei credo sia San Vincent, avevo il suo viso davanti agli occhi e non mi si schiodava di dosso. So che non è proprio da collocare nel fandom dei Beatles ma è per loro se è nata e parla in ogni caso di una generazione fatta da poche persone ma che apprezzano con anima e corpo la loro musica. La frase è loro, il motivo per cui è stata scritta era il compleanno di Love me do e in ogni caso era per loro.

Ho sparlato troppo e non mi sorprenderebbe se qualcuno di voi fosse fuggito a gambe levate da questa cosa qui.

Wishing well people.

Lis

   
 
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