Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Ricorda la storia  |      
Autore: Charly_18    15/02/2013    2 recensioni
Come sarebbe trovarsi alle prese con un Jared affetto da attacco di panico pre-concerto?
Come potrebbe una persona qualsiasi aiutarlo?
E se questa persona fosse una Echelon?
****
è la prima volta che scrivo, su quello che è il mio gruppo preferito.
spero che non faccia così schifo.
Baci, Charly_18
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Live Your Dreams

 

Let's promise each other that we will be brave, that we will fight for what we belive in, and we will live our dreams.- Jared Leto


A Laura, che mi accompagnerà in questo viaggio verso la loro musica.

 

Dieci ore.

Mancavano solo dieci ore all’inizio del concerto, e sette per l’apertura dei cancelli.

Sette ore per girare in questa città, sconosciuta ai più, tranne che a loro.

Da Bossier City, Louisiana, avevano deciso di suonare in Italia. Avevano deciso di venire lì, per salutare la parte italiana della loro famiglia: gli Echelon.

L’arietta fresca, che le scostava i lunghi capelli, rendeva la giornata fresca nonostante il sole caldo di metà luglio.

Le viuzze del posto erano piccole e strette, con fiumi di gente che pensava ai propri affari.[1]

Se si rimaneva in silenzio, nel mezzo di una via, si sentivano stralci di conversazioni, ma nessuno se ne curò e lei continuò a girare senza meta con le compagne d’avventura.

Parlavano, parlavano e continuavano a parlare, mentre rispondeva loro con cenni del capo e monosillabi.

Non capivano pienamente quello che provava.

Loro, sì, erano eccitate e contente, ma … a loro mancava quel qualcosa, che non avrebbe saputo descrivere.

Mentre camminava, si osservava attorno.

Magari li avrebbe visti, da qualche parte.

Magari avrebbe notato le braccia muscolose di Shannon o i lunghissimi capelli di Tomo o, magari, i meravigliosi occhi di Jared.

Non notò nessuno di questi particolari tra la gente indaffarata che le passava affianco, ma d’un tratto, in una viuzza parallela, il brillare, a terra, di qualcosa di familiare attirò la sua attenzione.

Si chinò e lo raccolse.

Una triad.

“Là, guarda che …” si accorse in quel momento di essere rimasta indietro.

Voltò lo sguardo, prima, verso la via trafficata, che sembrava volesse inghiottirla, e poi, verso lo spiazzale aperto a cui portava il vicoletto.

Non ebbe un attimo di esitazione, prese la triad, la portò alla tasca, e s’incamminò verso la fontana:

Aveva una vasca bassa, poi si sviluppava in altezza mostrando le sembianze di un uomo dallo sguardo corrucciato, era bello, per essere una statua, i lineamenti dolci e il corpo di un dio, ma il suo sguardo era sofferente.

Tanto intenta a osservare la fontana non si accorse dell’uomo seduto sul basso muretto.

“Ehy, piccoletta, che fai tutta sola?” disse in uno stentato italiano, probabilmente era straniero.

Però quella voce …

“Parla inglese, lo capisco” gli disse, in quella che doveva essere la madre lingua dell’uomo.

“Ti stavo chiedendo come mai qui tutta sola, sai che potresti incontrare qualcuno di pericoloso?” quella voce trasudava sfrontatezza e malizia.

“Non ho paura di te, e poi mi sei familiare” si voltò verso l’uomo e lo osservò per bene.

I capelli erano abbastanza lunghi, e di un castano chiaro, parte della testa e della fronte erano coperti da un cappello, veramente esagerato per la stagione.

Il corpo era fasciato da una maglietta a maniche corte bianca con un cardigan sopra, come se volesse coprire le braccia, la parte inferiore era coperta da un paio di bermuda e delle Vans.

Puntò lo sguardo verso gli occhi, un paio di Ray-Ban le impedivano la vista di, quelli che sapeva essere, occhi meravigliosi.

“Jared” il suo fu un sussurro, ma lui, lo sentì.

Time to escape the clutches of a name,
È il tempo di evadere dalle grinfie di un nome,

 

“Piccoletta, non urlare!” il suo tono non era cambiato molto da prima, anzi, era peggiorato.

“Sono una fan della tua band, ma non un’indemoniata che appena ti vede perde il senno, e soprattutto non ho ormoni impazziti per te.”

Lui, cioè lui, era proprio davanti a lei, e si stava comportando da perfetto stronzo, con, sì e no, dieci minuti di conversazione stava rovinando l’immagine che si era fatta di lui.

“Come mai qui, Divah, dove hai lasciato Shanimal e quel santo di Tomo?”

“Ho perso la tua stima con dieci minuti di conversazione?”

“Fai parte della mia band preferita, io vivo ascoltando le tue canzoni. Anche se come persona fai schifo, continuo ad adorare il vostro impegno quando siete sul palco.”

“Posso farti una confidenza?” senza aspettare una risposta continuò “Ti posso raccontare tutto, sono certo che non andrai in giro a sbandierare quello che ti sto per dire, rovinando la tua band preferita”.

Ancora una volta non la lasciò parlare, e iniziò il racconto.

No, this is not a game.
No, questo non è un gioco.


“Sai cosa rappresenta?” accennò con il capo alla fontana dietro di loro. “L’ho appena chiesto a un uomo del posto”

 “No, cosa rappresenta?”

“Apollo, il dio della poesia e delle nove Muse, che ha perso la sua Musa” il suo tono di voce era spento, come se si fosse calato nel personaggio.

 “è difficile ritrovarla poi, la Musa. Ma una volta che ci riesci …” la bionda lasciò il discorso in sospeso, non riusciva a descrivere la sensazione che provava quando si metteva davanti ad un foglio e buttava giù pensieri, più o meno coerenti.

“Hai perso anche tu l’immaginazione?” il suo tono era speranzoso.

“Molte volte. Sai, ogni tanto scrivo”

“E come la ritrovi?”

“Jared Leto, hai davvero perso l’inventiva? Tu sei un compositore, vivi di fantasia.”

Il suo sguardo si adombrò, la luminosità di quegli occhi si spense.

Cos’era successo?

“Ti prego, dimmi, come recuperi la creatività?”

“Grazie a te. Ricordi cos’hai detto ad un’intervista?” stavolta fu lei a non aspettare una risposta e proseguì “Promettiamoci gli uni gli altri che saremo coraggiosi, che combatteremo per le cose in cui crediamo e che vivremo il nostro sogno. Jared, io credo ancora in quelle parole, tutte noi Echelon ci crediamo.”

It’s just a new beginning.
È solo un nuovo inizio.

Non riusciva più a trovare le parole ma qualcosa, nel profondo di se stessa, la spronò, finisci questo discorso.

“E noi ci crediamo perché lo hai detto tu, perché insieme a Shan e Tomo con la vostra musica ci fate emozionare, ci fate sentire vive. Ma se tu smetti di credere in quello che fai, se smetti di credere nella tua musica, tutte noi smetteremo di emozionarci e smetteremo di vivere.”

Un sospiro, e una boccata d’aria riempì i suoi polmoni.

“Perché se oggi siete famosi nel mondo è grazie ad un sogno che avete avuto anni fa e che noi, ascoltandovi, stiamo portando avanti insieme a voi stessi. Siamo Echelon e siamo parte della stessa grande famiglia di Marziani”.

“Tu … io. Grazie”

I loro occhi si persero nel osservare il sole del pomeriggio che colorava di arancio tutto il paesaggio.

“Ne avevo bisogno.” Il tono di voce era basso, completamente diverso da quello utilizzato prima, era grato a quella ragazzina italiana.

I will never forget,
I will never regret,
I will live my life.
Non dimenticherò,
Non rimpiangerò mai,
Vivrò la mia vita.


“Sai cosa mi ha spinto a venire qua?” gli chiese dopo un po’ di silenzio.

“No, cosa?”

“Questa” dalla tasca estrasse fuori una collanina.

“è la mia” il cantante fissò il ciondolo che pendeva dalla mano della giovane alternando lo sguardo a quello che la ragazza portava al collo.

L’unica differenza era la catena.

Una, semplice caucciù, l’altra, raso rosso.

“Come mai raso rosso, Piccoletta?” s’accorse in quel momento di non sapere il suo nome.

“La chiave di Hurricane, raso rosso” [2]

“Una Echelon convinta! Come ti chiami?”

“Lùthien, perché?”[3]

“Piacere, io sono Jared Leto” le porse la mano.

Altri minuti n completo silenzio passarono prima che il telefono di lei interrompesse il momento.

“Le mie amiche mi cercano, è quasi un’ora che siamo qui, devo andare. Ma prima devi fare una cosa per me”

L’uomo la guardò con uno strano sorriso, aveva qualche idea su cosa avrebbe dovuto fare.

Un paio di flash più tardi si salutarono, come vecchi amici.

****


“Arrivederci Italia!” il saluto di Shan fece levare in aria le urla delle fan, spaccavano i timpani anche a distanza, sul palco.

“Grazie Echelon!” disse Tomo, scatenando un’altra ondata di giubilo.

“Grazie e Arrivederci. Ricordate: Vivete i vostri sogni.”

Se ne andò verso i camerini, prima di tornare indietro.

“Ah. E, grazie tante Lùthien” lanciò alla folla un occhiolino, che provocò la fine dei loro poveri e indifesi ormoni.









Note di Charly

[1] A Piazzola Sul Brenta non ci sono stata, ANCORA, perciò non so dirvi com’è, l’ho immaginato un po’ come la mia città, con una parte più nuova e commerciale e una più antica. (la prima parte della storia è in quella moderna, mentre l’incontro tra Jared e Lùthien in quella più antica)
[2]
 Per chi non lo sapesse le chiavi che trovano i nostri tre ragazzoni nel video di Hurricane hanno una cordicella di raso rosso, ho trovato, carina l’idea di inserire questa piccola nota di colore.
[3] Lùthien è il mio nome (Annalisa) in Elfico, e da grande appassionata de “Il Signore Degli Anelli” quale sono non potevo non mettercelo.
[4] Le canzoni citate nella storia sono Escape e Closer To The Edge, e la citazione che fa la protagonista è veramente di Jared.
Le note “serie” sono finite, spero che la lettura vi sia piaciuta, come è piaciuta a me scriverla.
Spero anche in un piccolo commentino, anche negativo, serve per crescere.
Baci alla prossima.
Ps: se non si fosse capito Lùthien sono io.
Charly_18
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: Charly_18