35) Una seconda
possibilità (e comportati bene, o mio fratello ti lincia!)
L’amore
era molto
sopravvalutato come sentimento.
Kari DeLonge era giunta a
questa pessimistica conclusione dopo che aveva scoperto che Scott
– quello che intimamente
chiamava il suo Scott – era un bastardo, che invece di
affrontare civilmente
Tom aveva preferito mettersi con una sgualdrina.
Era stata bella la parte
in cui avevano fatto insieme il percorso scuola-casa DeLonge, bello
conoscerlo
e scoprire un ragazzo piacevole e simpatico, bellissimo baciarlo.
Era lì che qualcosa si era
incrinato, dopo il bacio niente era stato più lo stesso e la
cosa peggiore era
stata non poterne parlare con nessuno, soprattutto con il suo
fratellone. Se ne
avesse parlato con lui sarebbe stato capace di andare a casa di Scott,
fargli
una sclerata da Guinnes e costringerlo a scusarsi con lei a suon di
calci in
culo dopo averlo buttato fuori dalla band.
Tom teneva troppo al
proprio sogno e non poteva certo essere lei a rovinarglielo, quindi
doveva
tenere la bocca cucita con lui, per quanta fatica le costasse.
Parlare con Ruby era stato
solo un sollievo temporaneo, anche se doveva ammettere che quella
ragazza non
era poi così male come aveva creduto all’inizio.
Il rumore della porta
spalancata la distolse dai suoi pensieri, un Tom incredibilmente serio
era
entrato in camera sua.
“Ciao, Kari.”
“Ciao, Tom.”
E perché hai quella faccia
da funerale, fratello?
“Kari, devi dirmi qualcosa
che riguarda Scott?”
“Io? No.”
Lui sospirò e si passò le
mani davanti alla faccia.
“Lo sapevo che non dovevo
fidarmi di lei!”
“L’ho costretta io, lei
non voleva dirmi nulla. lei e Mark mi hanno fatto giurare che non
butterò fuori
Scott dalla band e sai che mantengo le promesse.”
Lei sospirò.
“Va bene, non c’è molto da
dire, Tom. Da quando lui è nei blink è venuto a
casa da scuola con me. Diceva
che era più comodo, poi ha detto che gli faceva piacere
parlare con me, che ero
una ragazza carina e intelligente. Una tosta, insomma.
Poi mi ha baciato e da lì
tutto è andato a puttane, non è più
venuto a casa con me, non mi ha più parlato
e si è messo con Lynn.
Forse bacio talmente da
schifo che per disperazione si è messo con lei, che
è una vacca totale.”
Lui rise.
“Anche Erin e Ruby pensano
che sia una vacca!Non credo che tu faccia così schifo a
baciare, sei mia
sorella e io, non per vantarmi, bacio da dio.
Credo che si sia
spaventato e sia scappato a suo modo.”
Lei alzò un sopracciglio.
“Spaventato? Ma se è amico
della bruja del liceo di Poway! Lei si che fa paura e poi io non ho
certo
l’hobby di uccidere le persone!”
“Beh, nemmeno Ruby. Credo.
Non ne sono tanto sicuro
perché quando minaccia di morte è molto
convincente, ma non credo che sia poi
così cattiva, in fondo è mia amica.
Kari ha avuto paura del
fatto che sei mia sorella, io potevo non approvare la vostra relazione.
A
essere sinceri sto facendo una gran fatica a mantenere la promessa che
ho fatto
a Mark e Ruby, visto che l’unica cosa che vorrei fare
è correre a casa sua e
spaccargli la faccia perché ha osato farti soffrire. Ti
voglio bene, Kari.
Oppure se voi vi foste
lasciati avrei potuto tentare di infilarlo in qualche pilone
attirandolo con
l’inganno sotto una qualche colata di cemento.”
Tom prese fiato dopo la
lunga tirata.
“Il tutto per dire che forse
è quasi normale che si sia spaventato.”
“E spezzarmi il cuore è
preferibile all’affrontare la tua ira, che ragionamento del
cazzo!”
“Forse dovresti
parlargli.”
Lei scosse la testa.
“No, dopo il tuo
compleanno è lui che deve farsi vivo, non io.”
Tom rimase un attimo in
silenzio e poi l’abbracciò.
“Come vuoi, piccola peste.
Ricordati che di qualsiasi cosa tu abbia bisogno io ci sono. Se vuoi
parlare
ancora chiamami pure!”
Lei lo strinse di più, Tom
era o non era il fratello migliore del mondo?
“Grazie, Tom. Ti voglio un
mondo di bene.
Sei il fratello perfetto.”
Lui sorrise, le scompigliò
i capelli e lasciò la stanza. Il casino era ben lungi
dall’essere risolto, ma
almeno Kari stava un po’ meglio: era una magia che solo Tom
era in grado di
operare.
Nei
giorni successivi
doveva essere successo qualcosa di grave.
Dal giorno dopo il ballo
della scuola Tom era diventato scorbutico e musone e aveva litigato con
la loro
madre, Kari ne ignorava il perché e Tom non era propenso a
dirglielo.
La ragazzina aveva provato
un paio di volte a chiedergli cosa fosse successo, ma tutto quello che
aveva
ottenuto era stato un frettoloso “niente” e una
porta sbattuta.
Non era mai successo che
Tom reagisse così, cosa diavolo gli era accaduto?
A peggiorare le cose si
aggiungeva il fatto che Scott non si faceva vivo – non doveva
aver preso molto
sul serio la sua sfuriata dato il colpevole silenzio dietro cui si
celava – e
che Lynn sembrava averla presa di mira.
Voci di quartiere dicevano
che al ballo della scuola la bionda non si fosse presentata con Scott,
ma con
David Kennedy – un amico di Tom – e che lui
l’avesse abbandonata a metà serata.
Se ciò fosse stato vero
probabilmente l’essere eccessivamente vacca di Lynn doveva
aver fatto scappare
David di corsa a un certo punto, visto che lui non era tipo da ragazze
del
genere.
David era un tipo timido
ed educato, uno che amava più trafficare tra i motori e le
tavole da surf, che
stare tra le persone: non era il tipo giusto per una vacca come quella.
Altre voci dicevano anche
che Lynn si fosse inimicata le gemelle Ferreira e che avevano litigato
al
grande ballo. Il che poteva essere vero, prima che Tom si chiudesse nel
suo
mutismo le aveva accennato che né Ruby né Erin
erano fan della tizia in
questione.
In ogni caso Lynn si
ingegnava a renderle la vita impossibile, se usciva a fare skate la
Marshall le
nascondeva le tavole, lo zaino o la schizzava – apposta con
la macchina –
facendola arrivare a casa coperta di fango da capo a piedi.
Quello era il minimo, la
pazza si divertiva anche a diffondere voci su di lei, già un
paio di compagne
di classe le avevano telefonato per chiedere se fosse vero che lei era
una
cleptomane e se al SOMA si prostituisse per comprarsi la droga.
Adorabile Lynn!
E in tutto questo casino
Scott taceva e Tom era nel suo mondo: la vita era un discreto schifo.
Il 28 dicembre – la sera
in cui lui stava preparando le valige per il suo capodanno messicano
– si fece
coraggio ed entrò nella camera del fratello. La stanza era
un caos, poca roba
era entrata nella valigia che la madre gli aveva consegnata e molta era
sparsa
per terra.
“Tom.”
Lui non rispose e lei si
sedette sul letto, prima o poi avrebbe detto qualcosa.
“Mi dici cosa sta
succedendo? Sono molto preoccupata. Non mangi, non parli, non fai le
tue solite
battute, cosa è successo?”
“Niente.”
“Non è vero e lo sai.”
Lui rimase ancora in
silenzio per lunghi ed interminabili minuti, guardando fisso davanti a
sé.
Quando era così Kari dubitava persino che lui la vedesse
tanto era nel suo
mondo, dov’era finito il suo fratellone?
Forse Erin lo aveva
lasciato?
No, non era per quello. La
sua ragazza aveva chiamato più volte e lui non aveva voluto
parlarle o le aveva
risposto a monosillabici apatici, come faceva con lei.
Forse LUI aveva lasciato
Erin?
Non quadrava nemmeno
quello, in tal caso non starebbe così male, si disse.
“è andato a san
Francisco.”
“Chi?”
“Mark. I suoi hanno
divorziato e la madre è stata costretta a trasferirsi al
nord con loro.”
Ecco, era quello il
problema. Mark Hoppus era una figura di riferimento per Tom, era come
un
fratello per lui. Dal giorno in cui Anne li aveva presentati e Mark si
era
rotto le anche per impressionare un Tom scorbutico per il recente
divorzio dei
loro genitori e per essere stato buttato fuori da scuola quei due erano
stati
inseparabili.
“Mi dispiace, Tom. Io,
scu…”
Non aveva finito la frase
perché il fratello l’aveva stritolata in un
silenzioso abbraccio mortale, come
se da lei non cercasse parole, solo
calore, vicinanza e comprensione.
Kari, a disagio e con il
fiato corto – Tom pesava molto più di lei
– lo strinse a sua volta più forte
che poté. Lui c’era sempre stato quando lei aveva
avuto bisogno, ora era
arrivato il suo turno di ricambiare.
Non aveva mai visto Tom
così giù di corda, piangeva persino lacrime
silenziose che si infrangevano e
morivano sulla sua felpa.
Cosa poteva dirgli?
Kari non ne aveva idea, se
le avessero tolto il fratello sarebbe probabilmente impazzita.
“Tornerà.”
Sussurrò piano.
“ A San Francisco sua
madre non troverà lavoro o Mark chiederà
l’affidamento al padre. Lui qui ha
tutto, tu, la scuola, la band, Ruby, gli amici.”
Tom non disse nulla e si
lasciò abbracciare e consolare.
A volte la vita era buffa,
crudelmente ironica. Lei era andata per farsi consolare e si era
ritrovata a
consolare Tom, senza sapere bene cosa dire.
L’unica cosa che poteva
fare era fargli coraggio e sperare che le sue parole si trasformassero
presto
in realtà.
Il
giorno dopo Kari si
alzò a un quarto alle cinque, nonostante avesse ancora sonno
visto che la sera
prima aveva aiutato Tom fino a tardi con le valige.
La casa era silenziosa,
sia la madre che suo fratello stavano ancora dormendo, e fredda. La
neve caduta
il 26 dicembre si era sciolta in una fanghiglia marrone –
piuttosto triste e
fastidiosa – per lasciare il posto a un clima prima
più caldo e soleggiato, poi
solo soleggiato.
San Diego non era abituate
a gelate del genere e nemmeno lei.
Rabbrividendo, scese in
cucina e cominciò a trafficare: suo fratello amava fare
colazione con cereali e
acqua di solito, ma non disdegnava nemmeno i suoi pancake.
Kari, di solito, glieli
faceva per delle occasioni speciali o quando lui era particolarmente
giù e quel
giorno era entrambi.
In cinque minuti l’impasto
era pronto, fischiettando una canzone composta da Tom lo
versò in un pentolino
e lo lasciò cuocere.
Quando i pancake furono
pronti li cosparse di sciroppo d’acero – come
piaceva a lui – e li depose su un
piatto. Ora doveva solo aspettare che suo fratello si svegliasse .
Alle cinque sentì dei
rumori al piano superiore – segno che il moro si era alzato
dal letto – e
neanche due minuti dopo lui fece la sua
comparsa assonnato e in pigiama.
“Ben svegliato, fratello.”
“ ‘giorno, Kari.”
Si sedette su una sedia e
notò il piatto di pancake.
“Dio, Kari, sei un tesoro!
Grazie mille!”
“Prego. Mangiali finché
sono ancora caldi.
Preferisci del caffè o del
latte?”
“Latte, anche se lo
vomiterò con i tuoi pancake sta da dio.”
“Grazie.”
La ragazzina si rimise a
trafficare.
“Sei la sorella migliore
del mondo, quasi come se fossi la mia ragazza.”
“Tu ce l’hai una ragazza,
Tom. Si chiama Erin e vorrebbe starti accanto, ma tu non glielo
permetti.”
Lui sbuffò e lei non
aggiunse altro, non voleva litigare con il fratello né
aggiungersi alle sue
ragioni di malumore.
“Grazie della colazione,
sorellina. Ora vado a vestirmi.”
Il fratello sparì al piano
superiore, Kari lo guardò e pensò che non lo
aveva mai visto così giù di
morale: Mark doveva tornare.
Un quarto d’ora dopo scese
di nuovo – vestito – trascinandosi dietro la
valigia e con lo zaino in spalla.
“Beh, buona vacanza. Cerca
di divertirti.
Vuoi che ti chiami mamma?”
Lui scosse la testa.
“No, lasciala dormire. Lo
sai che da quando lei e papà hanno divorziato lavora come
una matta.”
Lei annuì.
“D’accordo, allora buon
viaggio!”
Lo abbracciò e lo osservò
uscire dalla porta di casa, seguendolo fino al portico.
Erin lo aspettava fuori
dalla macchina, sembrava triste anche lei, ma un piccolo sorriso
apparve sul
suo volto quando vide Tom. Sorriso che durò fino a quando
lui la salutò solo
con un cenno e poi aprì la portiera posteriore.
La ragazza scosse la testa
e rientrò in macchina, sedendosi sul sedile passeggeri.
Tom se la stava giocando
ed era un comportamento quantomeno stupido – per quanto
volesse bene al
fratello non riusciva a pensarla in modo diverso – lei avrebbe fatto carte
false perché Scott si
comportasse così con lei.
Scott era però fatto di
un’altra pasta e lo provava il silenzio colpevole di quei
giorni; la sua
scenata era stata inutile.
Inutile esporsi.
Inutile mettersi contro
Lynn.
Inutile non mollare mai
come una vera DeLonge.
Inutile tutto.
Inutile anche rimanere
sveglia, tanto valeva ritornare a letto, in fondo era in vacanza e non
c’era
ragione di passare tutta la mattinata sveglia.
Con il passo pesante –
sospirando – la ragazzina tornò in camera e si
buttò a letto.
Il sonno la avvolse
immediatamente come una coperta nera e dormì fino alle
dieci. Le dieci erano
già un orario più decente per iniziare la
giornata, così scese dabbasso e
salutò la madre.
“Tom è partito, vero?”
Kari annuì.
“Perché non mi avete svegliato?”
“Lui ha detto di lasciarti
dormire, che ti meriti un po’ di riposo.”
La donna sorrise.
“Oh Tommy! Spero riesca a
tirarsi un po’ su di morale durante questa vacanza, la
partenza di Mark l’ha
lasciato a terra. E spero che la smetta di ignorare la sua
ragazza.”
“Lo spero anche io, è
avanzato del caffè?”
“Kari, sei troppo piccola
per il caffè, lo sai. Fatti del latte.”
Lei sbuffò.
“Va bene, mamma. Quando
sarò grande abbastanza per il caffè?”
“L’anno prossimo.”
La ragazzina non rispose e
fece scaldare un pentolino di latte, pensando che l’anno
scorso le aveva detto
esattamente la stessa cosa e che probabilmente il famoso
“anno prossimo” non
sarebbe mai arrivato.
Fatta colazione, salì in
camera sua, si cambiò velocemente e prese la sua tavola da
skate, sperando che
la troia fosse in vacanza.
“Ciao, mamma! Io vado!”
Urlò prima di uscire di
casa e saettare con il suo fedele skate verso il parco. La giornata era
soleggiata, ma fredda: una di quelle giornate in cui geli senza un
cappotto
pesante e dei guanti e lei non aveva né uno né
l’altro.
Arrivata al parco, provò
qualche numero – senza ottenete particolari risultati, giusto
per ammazzare il
freddo – ma dopo un po’ fu costretta a scendere i
patti con la realtà.
Faceva un freddo boia, per
scaldarsi aveva bisogno di un caffè o di qualcosa di caldo,
nessun salto al
mondo sarebbe bastato.
Sospettosa e a malincuore,
lasciò la tavola vicino a una panchina e si diresse verso il
chioschetto del
parco. Pagò un dollaro al proprietario messicano e si
allontanò con in mano un
bicchiere di caffè fumante.
La ragazzina aveva un
brutto presentimento: il suo skate era sparito.
Il presentimento si rivelò
esatto, non era dove lo aveva lasciato e non era nemmeno nascosto
lì intorno,
questa volta la vacca aveva deciso che la tavola non doveva essere
ritrovata.
“Lynn Marshall sei una
troia allucinante. Sei così troia che dal fruttivendolo
compri solo banane!”
Arrabbiata, di pessimo
umore e semi congelata Kari si sedette su una panchina a bere il suo
caffè e a
guardare i piccioni zampettare
avanti e
indietro alla ricerca di cibo.
Il parco era deserto, la
tavola era persa – sua madre non gliene avrebbe comprata una
nuova – tanto
valeva andare ad ammazzare qualcuno nei videogiochi del fratello e
sfogarsi un
po’.
Il caffè fu presto finito,
si alzò rabbrividendo e smadonnando e buttò il
bicchiere nel primo cestino che
incontrò.
Che meravigliosa giornata
di merda!
Il fratello non c’era, lo
tavola nemmeno!
Era appena uscita dal
parco quando si sentì chiamare a gran voce. Che diavolo
stava succedendo
ancora?
La ragazzina si voltò e
vide Scott correre verso di lei con una tavola da skate sottomano.
“Questa è tua, vero Kari?”
Lei annuì.
“L’ho presa a Lynn, si
stava vantando di averti dato una lezione.”
Lei sbuffò.
“Quella gran vacca! Quando
la smetterà di lasciarmi in pace?”
Il ragazzo aggrottò le
sopracciglia.
“Cosa vuoi dire?”
“Che la tua amichetta,
Raynor, si diverte a farmi sparire le cose e a spargere voci su di
me.”
“Non lo sapevo. Beh, le
parlerò.”
“Scopatela, così sarete
tutti più felici.
Grazie per la tavola.
Ciao.”
Detto questo, la piccola
DeLonge fece per allontanarsi a grandi passi, ma una mano si chiuse
attorno al
suo polso, trattenendola.
“Beh?”
“Dobbiamo parlare!”
“Di cosa? Ti ho già
ringraziato, no?”
“Kari.”
Il tono di Scott era
insolitamente serio e la fece rimanere sorpresa.
“Dimmi.”
“Ho lasciato Lynn.”
“Lo so.”
“E l’ho lasciata per un
motivo.”
“Quale?”
Mormorò piano. Il cuore
aveva iniziato a batterle forte contro le costole, minacciava di
uscirle dal
petto da un momento all’altro.
“Lei non mi piace, Kari.”
“E ALLORA PERCHE’ CI SEI
STATO?”
Urlò, facendo voltare una
vecchia che trascinava una borsa. E facendole scuotere la testa in
segno di
biasimo.
“Beh, perché avevo paura
di stare con te, ma lei non mi piace nemmeno un
po’.”
“Di cosa avevi paura? Che
te lo tagliassi nel sonno?”
Lui si grattò la testa.
“Più che me lo tagliassi
tu, che me lo tagliasse Tom.”
Lei lo guardò a occhi
sgranati.
“E per paura di mio
fratello hai pensato di spezzarmi il cuore. Dannazione, come ho fatto a
non
arrivarci? È un ragionamento così
logico!”
“Senti, lo so che è un
ragionamento del cazzo. La ragazza di Hoppus me l’ha detto
chiaro e tondo, ma
io davvero ho pensato che fosse la soluzione migliore.
Solo che non lo è, ho
combinato un gran casino e sono qui a chiederti scusa e una seconda
possibilità.”
E così Ruby aveva parlato
a Scott – esagerando – ma grazie a lei lui si era
fatto un esame di coscienza e
ora era lì, davanti a lei con la faccia contrita del bambino
che sa di averla
fatta grossa, a chiederle perdono.
Perdono.
Facile da chiedere, ma
difficile da dare. Poteva fidarsi ancora di lui dopo tutto quel casino?
Poteva dargli
tranquillamente una seconda possibilità, passando sopra il
fatto che lui
l’aveva ferita così tanto?
La sua mente – furiosa e
risentita – diceva di no, il cuore diceva di sì.
Diceva che tutti sbagliano, ma
che si meritano anche una seconda possibilità.
Diceva che se si tiene
veramente a una persona, l’orgoglio viene messo in secondo
piano e si rischia
di nuovo il cuore.
Lei sospirò e guardo Scott
dritto negli occhi. Erano dispiaciuti e ansiosi, ma soprattutto sinceri.
“Solo se mi porti fuori a
cena uno di questi giorni.”
Lui sorrise sollevato.
“Grazie Kari.”
“Prego e non farmene
pentire.”
“Non succederà.”
Mormorò prima di attirarla
a sé e baciarla.
La seconda possibilità
stava iniziando bene.