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Autore: Mi piace il cioccolato    15/02/2013    2 recensioni
Ridley Anderson non era mai stata più sicura di qualcosa. La sua vita era un susseguirsi di incertezze e decisioni sbagliate, delle quali si era sempre pentita pochi istanti dopo averle prese. Una sera aveva iniziato a tenere la lista dei suoi rimpianti; aveva perso il conto fin dall'inizio. Da allora era stata un'ininterrotta discesa verso il basso, un continuo raschiare il fondo che, contrariamente a quanto si diceva, non aveva mai fine. Ed era impossibile risalire. Finché, dopo l'ennesima sbronza, la sua unica possibilità di salvezza le era apparsa all'improvviso, chiarissima, tentatrice. C'era soltanto un modo per liberarsi dalle catene che la soffocavano.
Ff scritta da Discolady e basata su una mia idea, che mi è stata ispirata dalla canzone "The A team" di Ed Sheeran :D
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It's too could outside for angels to die


Ridley Anderson non era mai stata più sicura di qualcosa. La sua vita era un susseguirsi di incertezze e decisioni sbagliate, delle quali si era sempre pentita pochi istanti dopo averle prese. Una sera aveva iniziato a tenere la lista dei suoi rimpianti; aveva perso il conto fin dall'inizio. Da allora era stata un'ininterrotta discesa verso il basso, un continuo raschiare il fondo che, contrariamente a quanto si diceva, non aveva mai fine. Ed era impossibile risalire. Finché, dopo l'ennesima sbronza, la sua unica possibilità di salvezza le era apparsa all'improvviso, chiarissima, tentatrice. C'era soltanto un modo per liberarsi dalle catene che la soffocavano.
Salì gli ultimi gradini della scaletta che portava alla terrazza del palazzo sgangherato in cui viveva. Era una delle solite notti fredde e umide di Londra, con la pioggia che inondava ogni cosa. Sembrava quasi una città acquatica, una nuova Atlantide sorta dal traffico inglese. La osservò con la vista annebbiata dall'effetto della droga e dall'acqua che ormai le inzuppava il viso. O forse erano lacrime. Non era abbastanza lucida per capirlo, ma lo era abbastanza per compiere il passo più importante che avesse mai commesso. L'unico giusto. L'unico che non avrebbe rimpianto. Esitò soltanto per qualche istante, ricordando il ragazzo che aveva incontrato un mese prima. Il musicista di strada, il chitarrista che suonava poesie per pochi spiccioli. Il ragazzo che forse, grazie a lei, sarebbe arrivato al successo. Sorrise al pensiero della sua unica buona azione e allargò le braccia come un angelo sospinto dal vento di Novembre. Poi si tuffò nel vuoto.
 
 22 Ottobre, ore 7.30
La sveglia non ha suonato, pensò Ridley balzando giù dal letto con una vaga sensazione di terrore, o magari sono io che non l'ho sentita, come è già successo decine di volte. Era l'addetta alle consegne in un piccolo negozio di bricolage dall'altra parte della città, molto lontano da Brixton, il quartiere in cui viveva, ed era costretta ad alzarsi alle sei ogni mattina per prendere la metropolitana. Purtroppo era ancora in un periodo di prova, e non guadagnava abbastanza soldi nemmeno per comprare una sveglia decente. Ma sarebbe morta piuttosto che confessare al suo principale che arrivava sempre in ritardo perché non aveva il becco di un quattrino, e non per insofferenza delle regole o strafottenza giovanile. Così si sorbiva ogni giorno le sue terribili ramanzine sul senso di responsabilità, l'importanza dell'avere un lavoro in una situazione di crisi e i sacrifici quotidiani necessari alla sopravvivenza. Ridley annuiva, abbassava lo sguardo e cercava di non rovesciargli addosso le sue frustrazioni, proprio come faceva quel vecchio signore con lei. Era un rituale che si ripeteva ogni giorno, così come ogni giorno correva disperatamente per raggiungere la metrò ( a piedi perché non aveva abbastanza soldi per comprarsi una macchina ), sempre piena zeppa, non mangiava niente di più nutriente di un sandwich per cena e non riusciva mai a chiudere occhio senza che la mente le corresse a tutti gli sbagli commessi e alla sua claustrofobica solitudine. Quella mattina fu uguale alle altre: la metrò traboccava di gente ed era quasi impossibile salire sul treno, ma, a forza di spintoni, riuscì ad aggiudicarsi un posto in piedi schiacciata tra le ascelle puzzolenti di una signora sulla cinquantina e un ragazzo che cantava a squarciagola una canzone che non sopportava. All'uscita dal treno, mentre immaginava le possibili giustificazioni da consegnare a Mr Smith, il suo principale, sentì alcune note irriverenti e malinconiche diffuse nell'aria da una chitarra acustica. Si girò nella direzione da cui proveniva la melodia e vide un ragazzo con una zazzera disordinata di capelli rossi, una felpa sbrindellata e una maglietta di uno strano verde stinto che suonava una chitarra acustica da quattro soldi. Teneva un barattolo di latta accanto a sé, nel quale qualche passante aveva lasciato una monetina, e aveva tutta l'aria di non aver dormito per niente. Ma ciò che la colpì di più di lui non fu il suo aspetto stanco, distrutto, così simile al suo, con le occhiaie violacee sotto gli occhi chiari e le labbra screpolate dal freddo. A colpirla fu invece la sua fierezza. Era forse più povero di lei, probabilmente faticava a tirare avanti fino a sera, magari non aveva a disposizione neanche una vecchia mansarda dove passare la notte. Però il suo sguardo esprimeva un orgoglio che la sua situazione non riusciva a dissimulare, nel modo in cui guardava con aria di sfida i passanti, nella decisione con cui pizzicava le corde e nella fermezza della voce mentre cantava sommessamente la sua composizione. Sembrava che, a differenza sua, avesse l'impressione di potersi tirare su. Sembrava che non avesse perso la speranza.
Ridley indugiò qualche minuto di troppo per guardare quel ragazzo dallo sguardo fiero.
- Sono proprio curioso di sentire quale scusa ti sei inventata stavolta - la salutò Mr Smith, che l'aveva osservata a lungo attraverso la vetrina del negozio. Brutto segno: era più cupo e infastidito del solito, e la fissava con un cipiglio da genitore deluso. Ridley si sentì rimpicciolire all'ombra di quegli occhi inquisitori, e desiderò riavvolgere il nastro della sua vita e tornare a quando era una bambina innocente, incapace di concepire che al mondo potessero esistere problemi più grossi di un brutto voto a scuola. Poi i suoi genitori erano morti ed era rimasta sola con una sua prozia, che era troppo vecchia e malconcia per lavorare e incapace di mantenersi da sola. Era stata costretta a trovarsi un lavoro part-time come barista, illegale dato che aveva appena quattordici anni. Nessuno l'aveva mai scoperta perché, con il suo fisico già formato e il viso troppo maturo per la sua età, ne dimostrava di più. Dopodichè, quando anche sua zia era morta, aveva vagato alla ricerca di un posto di lavoro per un paio di settimane prima di essere accettata al negozio. Quel lavoro misero e malpagato era tutto ciò che le rimaneva.
- Mi dispiace, Mr Smith - balbettò.
- Ti dispiace? Sai cosa me ne faccio del tuo dispiacere? - sbottò il vecchio, diventando paonazzo. Era furioso come Ridley non l'aveva mai visto. La rabbia trasfigurava i tratti porcini del suo viso tondo, rendendoli bestiali.  - Mi ci pulisco il didietro! E' ora che ti cerchi qualche altro principale che possa sottostare ai tuoi comodi e sopportare i tuoi continui ritardi, la tua incompetenza e la tua assoluta mancanza di responsabilità, perché io ti licenzio!
Ridley indietreggiò istintivamente, colpita da quelle parole come da uno schiaffo. L'aria le mancò all'improvviso, la stanza iniziò a troneggiare intorno a lei e la vista ad oscurarsi. Si ritrovò a supplicare quell'uomo, perché, e Ridley lo sapeva benissimo, chi ha fame non indietreggia di fronte a nulla.
- No, la prego, non lo faccia, io non posso sopravvivere senza un lavoro, se lei ora mi mette in strada non mi rimane più niente…
- Sì, sì, chissà perché dicono tutti di essere poveri! Come se non sapessi che stai solo cercando di impietosirmi. Ma non funzionerà. Vattene dal mio negozio. Adesso.
Ridley non poté fare altro che girare i tacchi e andarsene, mentre il mondo si incrinava davanti ai suoi occhi.
 
Rivide il chitarrista alla metropolitana. Si accorse subito di lui, seduto a gambe incrociate con la schiena appoggiata a una colonna. Aveva appoggiato la chitarra sul pavimento polveroso e addentava una mela con la voracità della gente abituata a non avere niente. Gente come lei. Si avvicinò, senza pensare, senza macerarsi il fegato per ciò che le era appena successo. Lo osservò in silenzio finché non alzò lo sguardo.
- Ciao - disse, un po' imbarazzato, nel vedere che aveva gli occhi lucidi e lo fissava come se avesse bisogno di qualcosa. - Mi chiamo Edward - aggiunse tendendole una mano.
Ridley non gli strinse la mano e non cambiò espressione. - Suonami una canzone - disse con un tono che non ammetteva repliche. Incerto se essere lusingato o terrorizzato, Edward diede l'ultimo morso alla mela, raccolse la chitarra e iniziò a suonare. Ridley, serissima, si sedette lentamente di fronte a lui ed ascoltò in silenzio fino alla fine.
- Ancora - fu l'unica parola che pronunciò.
Edward suonò per lei cinque, sei volte, senza ricevere nessun altro complimento o incoraggiamento oltre a quell' "ancora". Verso mezzogiorno, la ragazza si alzò e lasciò cadere sette sterline - più di quanto Edward avesse mai ricevuto - nel suo barattolo. Si allontanò senza dire nulla.
- Ehi, aspetta!
La ragazza si girò. Due grosse lacrime le rigavano le guance.
- Non mi hai neanche detto come ti chiami – mormorò Edward.
- Ridley. - La ragazza accennò un sorriso e salì sul suo treno, lasciandolo confuso e ammirato sul marciapiede. Non aveva mai visto nessuno come lei, la maggior parte dei passanti non si avvicinava nemmeno, oppure lo guardava con compassione e, dopo essersi alleggeriti la coscienza con qualche penny, se ne andavano senza ascoltare le sue canzoni. Ridley aveva qualcosa di diverso.
 
Mi chiamo Ridley, ho vent’anni e sono diplomata al Modern School “Charles Dickens” di Londra. Cerco lavoro, un lavoro qualsiasi, possibilmente non fuori città. Contattatemi al numero sottoscritto.
Ridley aveva impiegato tutta la notte a compilare decine di volantini con cui era decisa a tappezzare Londra. Aveva bisogno di un lavoro più di qualsiasi altra cosa e questa volta non si sarebbe fatta licenziare, a costo di alzarsi alle tre del mattino per prendere la metrò e lavorare come una schiava 24 ore su 24.
-  Ehi, ragazza dei volantini!
Ridley stava appendendo dei volantini nella metropolitana e il ragazzo del giorno prima era ancora lì.
-   Ehi, chitarrista.
-   Hai perso il cane?
-   Spiritoso. Ho perso il lavoro invece.
Edward fece una smorfia, imbarazzatissimo per la terribile gaffe. Perché non rifletteva mai prima di dare fiato alla bocca?
-  Scusami – borbottò. – Sono un cretino. – Si passò una mano dietro la nuca scompigliandosi i capelli rossi già spettinati
-  No, tranquillo, non è colpa tua se mi sono scavata la fossa con le mie mani – rispose Ridley voltandosi dall’altra parte per non fare vedere che aveva gli occhi lucidi.
-   Sai qual è lo sport preferito di un ragazzo di nome Luca? – disse all’improvviso Edward per spezzare la tensione.
-   Ehm … no. – Ridley strabuzzò gli occhi.
-    Il golf, perché Luca la manda in buca! – ammiccò e drizzò il petto con fare orgoglioso. Ridley scoppiò a ridere e scosse la testa.
-    Perdonami, Edward, ma passi le tue giornate a sparare battute squallide?
-    No, certo che no – Edward si finse scandalizzato. – Ho cose molto più importanti da fare.
-    Cioè? Mi dispiace molto, milord, di averla offesa.
-  Vado a spasso per la nostra bella metropoli con la chitarra appesa dietro la schiena. Se vuole seguirmi, milady …? – si inchinò elegantemente e le porse il braccio. Ridley rise di nuovo e fece spallucce.
-   Ma sì, tanto ora ho la giornata libera – acconsentì.
-    Questo è lo spirito giusto – approvò Edward. – Puoi chiamarmi Ed, se vuoi.
 
I giorni che seguirono furono gli unici giorni felici della vita di Ridley. Passava il tempo con Edward, cantava con lui e dividevano le mance ricevute dai passanti. Lui le fece notare più volte che aveva una bella voce, ma Ridley si scherniva sempre ridendo e ribattendo scherzosamente: “se fossi davvero brava, a quest’ora non sarei qui a fare la barbona con un chitarrista”. Ma continuava a non mangiare niente di più nutriente di hot dog troppo salati, a dormire in una topaia e a bighellonare per le strade senza lavoro. “Non mi lamento, finché ho un tetto sopra la testa” diceva a Ed per rassicurarlo, ma il ragazzo non faticava ad accorgersi che stava sprofondando nella depressione più totale. “Un giorno diventerò famoso e disgustosamente ricco come quelli dei quartieri alti con la puzza sotto il naso. Allora ti assumerò nella mia band come seconda cantante e partiremo per un tour on the road in tutti i continenti”, ribatteva impassibile tutte le volte. “Tu forse potrai anche riuscirci, ma, vedrai, ti dimenticherai di me. Lo hanno fatto tutti i miei amici, non appena sono finita nella miseria: si sono volontariamente dimenticati di me e sono scomparsi, puff, come per magia”. “Sai benissimo che non lo farei mai” rispondeva Edward fissandola con uno sguardo più intenso del solito.
-  Cazzo, Ed, mi è venuta un’idea! – scattò Ridley in un pomeriggio di Sole tiepido. – Posso farti un video e pubblicarlo su Youtube. Sai quanta gente ha fatto i soldi grazie a Internet? Dopotutto, il web è la migliore pubblicità.
-   Beh … sì, okay … ma io …
-   Non fare il timido! Tu suona tranquillamente come sempre ed io ti riprendo, poi vado in un Internet point e pubblico il video. E se mi gira invio anche una mail a qualche casa discografica.
La inviò quella sera stessa, dopo aver riflettuto a lungo sul modo migliore di esprimersi per promuovere il talento di Ed senza annoiare i destinatari. Tornò a casa cantando la canzone che il ragazzo aveva scritto di recente, una ballata che, secondo Ridley, era proprio degna di successo. Sì, le cose sarebbero cambiate. Ne era sicura.
-  Ridley Anderson? E’ lei, vero?
Un uomo sulla cinquantina, con gli occhi azzurri come il ghiaccio e un paio di eleganti baffetti grigi, avvolto in un completo gessato, la guardava con curiosità appoggiato alla porta d’ingresso del suo appartamento.
-   Sì, sono io. Cosa posso fare per lei? – rispose Ridley con il suo sorriso migliore. Quello strano tipo sembrava un vero gentleman inglese e quello, malgrado il brusco calo delle sue già magre finanze, era un giorno memorabile.
-   Sono il proprietario di questo palazzo, Mr O’Jens. Sono spiacente d’informarla che c’è una quantità di bollette da pagare, signorina Anderson, oltre a tre mesi di arretrati nel pagamento dell’affitto – la informò quello con aria annoiata e voce atona. – Se non pagherà entro tre giorni mi vedrò costretto a sfrattarla.
Mr O’Jens aspettò pazientemente che parlasse, ma Ridley non era sicura di essere ancora capace di proferire parole. Non era in grado di sentire niente. Faticava anche a ricordarsi di respirare.
-  Buonasera, signorina Anderson. – O’Jens le strinse la mano senza un sorriso e se ne andò. Ridley rimase a guardarlo finchè non scomparve all’orizzonte, irretita e troppo sbigottita per reagire in qualsiasi modo. Dopodiché, come un automa, entrò in casa e si lasciò cadere sul divano mezzo sfondato del salotto. Non c’era modo di pagare quelle bollette, né l’affitto dell’appartamento; guadagnava al massimo venti sterline al giorno, e i suoi risparmi ammontavano in totale a circa quaranta sterline. Avrebbe dovuto sborsarne 900 d’affitto e, di bollette, 150. Le tre bottiglie di birra, che aveva acquistato con la parte “superflua” delle mance, attirarono la sua attenzione. Tanto valeva cercare di godersela, finché avrebbe potuto. Fra pochi giorni sarebbe diventata una senzatetto come Edward, e avrebbe perso anche quel poco che le era rimasto. Probabilmente, quando la casa discografica avrebbe ricevuto la sua lettera, Ed sarebbe stato ingaggiato per qualche ruolo importante e presto anche lui si sarebbe sbarazzato di lei. Sarebbe rimasta sola, infreddolita, affamata, in mezzo alla strada. Magari sarebbe riuscita a guadagnare qualcosa diventando una prostituta, pronta a offrirsi a chiunque pagasse. Già immaginava se stessa, vestita con una maglietta attillata e una minigonna succinta, a mezzanotte in una strada poco illuminata. Non c’erano vie d’uscita.
 
Ed non vedeva Ridley da tre giorni. Non capiva perché non si fosse fatta viva, del resto non sapeva nemmeno dove abitava. La metrò era tornata gelida e inospitale senza la sua amica, e ad ogni angolo di Londra aveva l’impressione di rivederla, sorridente e malinconica, allegra e taciturna, chiassosa e silenziosa.
-   Ehi! Mi scusi! Dico a lei! Salve!
Ed si spaventò non poco quando vide una giovane donna, scarmigliata e ansimante per la corsa, venirgli incontro con entusiasmo.
-   Sono Michelle Chelin – disse sorridendogli con calore. – Molto lieta di conoscerla, signor Edward Sheeran.
Ed la guardò attentamente. Doveva avere più o meno venticinque anni, era alta, snella e indossava un trench beige di Zara. Aveva grandi occhi neri contornati da un pesante tocco di mascara e i capelli castani raccolti in uno chignon che accentuava il suo collo da cigno. Nel complesso, nonostante il make – up troppo accentuato e le guance innaturalmente rosse sulla pelle di porcellana, era molto carina. Una ragazza molto carina che conosceva il suo nome e che sembrava interessata a lui. Edward cercò di sorridere in modo seducente, ma riuscì soltanto ad accennare una smorfia.
-  Ehm ... piacere mio. Ci conosciamo?
-   In un certo senso … ho visto il suo video su Youtube, e, devo dire, sono rimasta molto impressionata. Lei ha un notevole talento – gli strizzò l’occhio. – E anche charme.
-    Beh, grazie tante. – Edward non credeva ai propri occhi.
-    Ma non sono venuta qui solo per farle i complimenti – continuò Michelle. E per provarci con me, pensò Edward. – Deve sapere che mio padre è un illustre produttore e che saremmo felici di offrirle un contratto discografico. Mi scusi … ehm … ha la bocca spalancata. La richiuda, per favore, o sporcherà di bava la sua bella chitarra.
-   Io non posso crederci …
-    La capisco benissimo, signor Sheeran. Le va di suonarmi qualcosa? Ha altre canzoni inedite nel suo repertorio?
Ed sfoggiò il più radioso dei suoi sorrisi. – Certo!
 
Avrà certamente scritto il suo indirizzo, in quei benedetti volantini, riflettè Ed leggendo i volantini, deve assolutamente sapere. E voglio dirglielo di persona, che ho un contratto discografico e che ho convinto Michelle a farla partecipare a un provino come cantante. Subito.
Infatti l’indirizzo era segnato in minuscolo in fondo ad ogni pagina. Ed si precipitò a casa sua, fischiettando allegramente come un bambino, con la chitarra al collo e i capelli al vento. Aveva piovuto tutta la notte, ma la tempesta era passata con la fretta in cui era arrivata, ed era diventata una splendida giornata di fine Ottobre, straordinaria a Londra e in quella stagione. Finalmente la dea bendata si era messa dalla loro parte, finalmente avrebbe avuto una bella casa e avrebbe mangiato come un pascià, finalmente avrebbe regalato a Ridley una dozzina di vestiti chic e l’avrebbe portata a vedere Rio de Janeiro e Los Angeles, città che aveva vagheggiato molto a lungo nelle fredde giornate autunnali inglesi. L’avrebbe trattata come una regina.
Ma c’era qualcosa di totalmente sbagliato in quell’idilliaca giornata soleggiata, come la folla che affollava il quartiere e si accalcava davanti al palazzo scalcinato di Ridley. Quella non era Times Square, bensì una zona malfamata e certo non molto celebre.
-    Allontanatevi! Non puoi entrare, signore. E’ vietato l’accesso! – strillò un poliziotto che si dava un gran daffare per tenere a bada la gente.
-   Cos’è successo? – chiese qualcuno.
-         Un suicidio – rispose una donna bionda, portandosi una mano davanti alle labbra. – Terribile, vero? Una ragazza. Pare che sia stata sommersa dai debiti e abbia deciso di farla finita.
Ed si ritrovò a farsi spazio a gomitate tra la folla, correndo furiosamente senza badare alle imprecazioni e alle frecciatine dei curiosi. Non può essere lei. Non l’avrebbe mai fatto.
Impiegò parecchio tempo ad arrivare a destinazione, ma non gli sarebbe bastata una vita a dimenticare ciò che vide.
Il corpo di Ridley giaceva scompostamente sull’asfalto, prono, con le braccia spalancate come se la ragazza avesse tentato di volare. Il viso era nascosto dall’asfalto imbrattato di sangue, e i lunghi capelli scuri lasciavano scoperto il collo innaturalmente storto. Ed capì. Ridley era un angelo, un angelo che non era riuscito a raggiungere la luce, un angelo le cui ali erano state spezzate da una forza più potente della sua. Un angelo che non aveva aspettato abbastanza, che non aveva mai saputo che avrebbe potuto passare dall’inferno al paradiso in un istante, se solo non si fosse lasciato schiacciare dal dolore. Ma ciò che faceva più male a Edward non era il suo suicidio, il suo aver rinunciato alla vita senza provare a combattere ancora. Ridley non gli aveva nemmeno parlato, l’aveva escluso dalla sua esistenza. Non aveva pensato alle conseguenze del suo gesto. Non aveva pensato che, con la sua morte, anche una parte di Ed sarebbe morta per sempre. Insieme avrebbero potuto uscire dal tunnel. Ora invece non c’era più un tunnel da attraversare, né un destino da condividere e un futuro su cui sognare. Erano rimasti soltanto un angelo caduto, un cuore spezzato e una giornata disgustosamente azzurra e beffarda.
 
-  Hai dedicato a qualcuno in particolare questa canzone, Ed? Sembra così sentita che deve obbligatoriamente essere vera.
-  Sì.
 


 Grazie per essere arrivati alla fine lol Questa os è stata scritta da una delle mie migliori amiche discolady c: ha pubblicato altre storie sul suo profilo,vi consiglio di guardarlo c': Io,non essendo capace a scrivere uu,le ho solo fornito l'idea di base,che ho sognato di notte lol Quando dicolady scriveva io canticchiavo canzoni a caso ewe
Come si può capire l'ispirazione per questa os mi è venuta ascoltando "The A team" di Ed Sheeran,che considera un dei cantanti migliori delle ultime generazioni ** cooooooomunque differenzia un po' dal testo e dal significato originale della canzone c: spero di non aver scritto cavolate,che vi piaccia e di ricevere qualche recensione,grazie
Mi piace il cioccolato


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