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Autore: yami no tenshi    16/02/2013    1 recensioni
Lentamente apri quella cosa di cartone plastificato. Poi ti immobilizzi.
Un’orchidea. Una fottuta orchidea. Bianca. Non riesci a credere che se ne sia ricordato.
Ti ha regalato una dannata orchidea bianca.
I secondi – minuti? – continuano a scorrere. Distogli lo sguardo dal fiore. Lo guardi come se fosse completamente impazzito.
“E questo cosa cazzo dovrebbe significare?”

Avvertimento: linguaggio
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Aprilo.”

Lo guardi dubbiosa, poi guardi con sospetto il tubo nero di, umh, cartone plastificato che hai tra le mani da tipo cinque minuti. Abbondanti.
Lui invece fissa con quello che pare estremo interesse lo stipite della porta.

Distrattamente ti chiedi se la suo attenzione non sia stata davvero attratta dalle due profonde ferite incise nel legno, regalo di un qualche simpatico tizio psicopatico che ha sterminato i precedenti inquilini.
Fissi il tubo un po’ più intensamente, poi fissi lui. Poi di nuovo il tubo.
Senti che finalmente i suoi occhi si sono spostati su di te. Percepisci la sua, già di suo scarsa, pazienza che gocciola via, ma non dice altro.
Lentamente apri quella cosa di cartone plastificato. Poi ti immobilizzi.

Un’orchidea. Una fottuta orchidea. Bianca. Non riesci a credere che se ne sia ricordato.
Ti ha regalato una dannata orchidea bianca.

I secondi – minuti? – continuano a scorrere. Distogli lo sguardo dal fiore. Lo guardi come se fosse completamente impazzito.
“E questo cosa cazzo dovrebbe significare?”

Per niente femminile, né particolarmente gentile, te ne rendi conto. Ma, diavolo, andate a letto insieme, mica innamorati.
È sesso, solo sesso. Solo e soltanto sesso. O almeno dovrebbe esserlo.
No, aspetta, deve esserlo. Che cazzo c’entrano i fiori?

È per questo (e per quel corpo fantastico che si ritrova, ovviamente) che hai scelto lui. Perché è uno stronzo, perché non gliene frega un cazzo, perché crede che i sentimenti siano per gli sfigati.
Perché non avrebbe mai preteso qualcosa che non eri disposta a dare.
Niente romanticismo, complicazioni e stronzate varie.

“È un regalo.” Dice. Non fosse lui, aggiungeresti l’aggettivo candidamente.

“Grazie, - la tua voce che gronda sarcasmo – non credo sarei mai riuscita ad arrivarci da sola.” Lui ti guarda di sbieco, non sopporta essere preso in giro. Troppo orgoglioso, forse anche più di te. Vedi che vorrebbe ribattere, ma si contiene. Incredibile. Osservi le spalle contrarsi per un attimo, i suoi occhi saettare verso il basso. Poi rilassa i muscoli, a fatica. Una remota parte della tua mente ti comunica anche se sembra a disagio, mentre si concentra sull’intonaco scrostato delle pareti.

“Pensavo ti piacesse questa roba, i fiori intendo, nonostante il carattere di merda che ti ritrovi.” Sembra quasi imbarazzato ora, e devi sforzarti per sopprimere un’inaspettata ondata di tenerezza. Merda.
Il silenzio si dilata di nuovo. Senza accorgertene riabbassi di nuovo lo sguardo sui petali neri, forse per evitare il suo, di sguardo, o forse solo per assicurarti che non sia tutto un qualche perverso attacco allucinatorio. Con la coda dell’occhio lo vedi spostare il peso da un piede all’altro, nervoso. Una vocina cerca di ricordati un qualche dettaglio importante, di farti notare qualcosa, ma la ignori. Trattieni un sospiro.

“Bene, e adesso? Cosa ti aspetti che faccia?”

“Potresti ringraziare, sai, come fanno le persone normali.”  La fiera del sarcasmo.
“Grazie.”

Alza un sopracciglio, come gli hai insegnato a fare dopo che ti ha rotto le palle per settimane. Una piccola parte del tuo cervello si ritrova a pensare che sei stata davvero un’ottima insegnante, mentre un’altra è appena scoppiata a ridere, non sai se di lui o di te stessa. Un po’ fuori luogo probabilmente. Ma in fondo ce n’è anche una che non disdegnerebbe di saltargli addosso, quindi…

“-lore.”

Ti accorgi improvvisamente che ha detto qualcosa, qualcosa di stupido probabilmente, ma visto e considerato che in quella specie di teatrino – chiamarla conversazione ti pare decisamente eccessivo – che state mettendo su le parole piovono come fiocchi di neve in agosto, supponi che sarebbe appropriato ascoltarle. E poi hai una fissa con la neve, anche se non c’entra nulla.

“Hai detto qualcosa?”

Per un attimo, un altro attimo, tra tutti quelli che si sono cristallizzati, vedi i suoi pugni stringersi, i muscoli delle braccia e delle spalle tendersi di nuovo. E lo trovi eccitante, cazzo.
Focalizzi di nuovo l’attenzione su di lui giusto in tempo per sentirgli ripetere ‘Quanto calore.’ Non puoi fare a meno di pensare che avevi ragione, era una cosa stupida.

“Apprezza lo sforzo.”

È il suo turno di guardarti come se fossi pazza, o scema. Poi si acciglia. “Detto da te, almeno adesso, è paradossale.”

La stessa piccola parte di cervello di prima si stupisce che conosca la parola paradossale, e che sia addirittura in grado di utilizzarla in una frase. Comunque se prima avevi il sospetto che la tua mente non volesse collaborare, adesso ne hai la certezza. Qualsiasi appiglio è buono per non concentrarsi su qualunque maledetta cosa stia accadendo.
Ti rimane ancora quella sensazione, però. Stai dimenticando qualcosa di fondamentale lo sai. O se non proprio fondamentale, quantomeno rilevante. Qualcosa che sembra collegato al suo disagio, forse.
Decidi che non te ne frega una mazza se è a disagio, tu lo sei molto più di lui in ogni caso. Fai l’unica cosa che ti riesce bene in queste situazioni, per recuperare il controllo. Ti incazzi.

Paradossale un paio di balle. Chi cazzo credi di essere per venire qui a portarmi fiori? Se sei qui per scopare dillo subito, punto primo, e toglietelo dalla testa, punto secondo. Comunque mettiti in testa che non ho nessuna intenzione di stare qui a farmi prendere per il culo, idiot-“

“Non ti sto prendendo per il culo.” Ti interrompe e non te lo aspetti. Fosse un film romantico probabilmente ti avrebbe interrotto con un bacio o qualcosa del genere. Ma non è stupido, sa che mordi. Lo sa perché ci ha già provato, anche se in quel caso, in quel bagno, quella volta, il romanticismo non c’entrava proprio un cazzo.
Sta a te alzare un sopracciglio. Continuate a copiarvi a vicenda, e questa è davvero una pessima cosa. Senti un brivido scorrerti dietro la schiena.

“Non lo so neanch’io.” Risponde alla domanda che non ti sei neppure disturbata di porre. E questo improvvisamente ti irrita più di tutto il resto. Più degli occhi che ha abbassato sulle tue mani che, non te n’eri accorta, hanno fatto cadere il tubo nero e stanno torturando quel povero fiore indifeso.  Più del fatto che davvero non sembra tutta una presa in giro. Più di quel suo dannato disagio. Cosa diavolo ha lui da essere a disagio?

Stai per urlare, lo senti. Stai per dirgli che è un coglione, di non farsi più vedere, stai per mandare tutto a puttane per l’ennesima volta, quando si apre la porta dall’altro lato del pianerottolo, facendovi sussultare entrambi, e ne esce la cordiale vecchietta dell’appartamento di fronte, quella che sta cercando di convincerti che dormire tre ore per notte non è salutare, come neanche mangiare solo cibi precotti, fumare e ingollare alcool come fosse acqua sorgiva.
Vi saluta, ed entrambi, te e quel tizio che hai davanti alla porta, come in trans sollevate una mano per restituire il saluto. Poi lui si volta di nuovo verso di te – chissà quand’è che s’era girato, non c’hai fatto caso – , mentre te continui a guardare la vecchietta, di cui dovresti ricordare il dannato nome, visto che è tua vicina da almeno tre anni. La osservi innaffiare i due bonsai che tiene ai lati della porta, poi vedi qualcosa di vagamente rosato che ti sventola davanti alla faccia. Non sopporta neanche essere ignorato. E proprio nell’istante in cui lei sta per rientrare in casa e tu per smettere di osservarla come una psicopatica, la vecchietta ti lancia un’occhiata, rivolge uno sguardo al fiore, sorride e ammicca.
E tu arrossisci furiosamente, cercando di nascondere il rossore dietro la frangia – che non  hai più da quando avevi nove anni – abbassando la testa.
Qualcosa ti sfiora la pelle, delle dita sulla tua guancia, e non capisci perché non le scansi o non le scacci.

Poi ti ritrovi a guardarlo, a guardarlo davvero per la prima volta quella sera, o per la prima volta dall’inizio di quella pseudo relazione che avete, a guardarlo negli occhi finalmente e l’irritazione, la rabbia di prima improvvisamente svaniscono, sostituite da qualcosa di… caldo.
Rifletti un attimo sull’idea di avvolgergli le braccia intorno al collo e baciarlo, appena prima di darti una sberla immaginaria. Non sei ancora caduta così in basso, anche se forse prima o poi inizierai a lavorarci.
Lui invece sembra sul punto di metterti una mano sulla fronte per vedere se hai la febbre o se sei solo rincoglionita di botto, prima di far cadere la mano e distogliere di nuovo lo sguardo, a disagio. Senti sussurrare di nuovo la vocina. Cosa stai dimenticando?

Oh, al diavolo. Tutta quella situazione sta diventando ridicola. E allora ti avvicini, gli molli un calcio sullo stinco a tradimento, e approfitti del momento in cui si piega per il dolore – perché deve essere tanto più alto di te? – per mordergli il collo. Forte, fino a farlo sanguinare.
E lui emette un suono che assomiglia stranamente ad un gemito. Solo allora ti stacchi abbassi lo sguardo e prendi consapevolezza di un paio di dettagli che ti erano sfuggiti. Come ad esempio la tensione del cavallo dei suoi pantaloni, o come il fatto che tu i pantaloni non li indossi proprio.
Due secondi di immobilità. Poi rialza il braccio, ti infila una mano tra i capelli e ti bacia, fregandosene del pericolo di ritrovarsi con un labbro spaccato. Quando vi staccate gli mormori di entrare, ma apparentemente è ancora troppo stordito per capire. Senti un ‘cosa?’ piuttosto strozzato scappargli dalle labbra e ti viene da ridere.

“Ho detto ‘entra’, bastardo.”

Ti fissa con degli occhi spalancati, come quelli dei conigli storditi dalle luci ed investiti dai tir in autostrada. Evitare di scoppiargli a ridere in faccia diventa di colpo incredibilmente difficile. Poi sembra immergersi in qualche profonda riflessione, lì a due centimetri dalle tue labbra.

“Non mi ricorderò anniversari, compleanni di familiari vari, e nessun’altra stronzata di questo genere.”

“Neanche io. Muoviti adesso. Forse non te ne sei accorto ma sono in mutande e mi sono appena resa conto di morire di freddo.”

“Me ne sono accorto.” Dice con quel suo cazzo di ghigno malizioso. Per un secondo ti torna la voglia di spaccargli la faccia.

“Beh, io no.”



inutili note dell'autrice

Dopo una cosa come - va a controllare - più di nove mesi di latitanza eccomi di nuovo qui a pubblicare una cazzata storia.
Dovrei riguardarla ma adesso non ho proprio volglia e devo studiare fisica.
Vabbè. Spero non sia troppo terribile.

Forse a presto, forse no.
  
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