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Autore: _Nica89_    16/02/2013    6 recensioni
Spoiler "il canto della rivolta". Un nuovo, piccolo, missing moment su come Katniss potrebbe aver annunciato la sua prima gravidanza a Peeta. Mi dispiace, ma non ho proprio il dono delle introduzioni, spero che la mia storia possa piacervi. Dal testo:
"Chiudo gli occhi, portandomi una mano al ventre, ancora piatto, ma che nasconde il dolce segreto di una nuova vita che sta iniziando, quasi potessi proteggerla da tutte le mie stesse paure."
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Effie Trinket è sul palco, davanti al Palazzo di Giustizia del distretto 12, con la sua parrucca rosa perfettamente abbinata all’assurdo abito che ha scelto per sorteggiare i due ragazzi che anche quest’anno non faranno più ritorno alle loro case. Assisto impotente alla visione di questa donna che, allegramente, si dirige verso la boccia contenente i nomi di noi ragazze e tuffa la sua mano in quel mare di striscioline tutte uguali, eccetto per il nome che portano nascosto al loro interno.           
Come me, tutte le ragazze nella piazza trattengono il fiato, con un’unica, muta richiesta nello sguardo carico di terrore: “Fa che non sia io”.   
Ma lei non vede il panico nei nostri occhi, come se non sapesse che sono più di vent’anni che il distretto 12 non ha un nuovo vincitore. È davvero convinta che tutti noi, non vediamo l’ora di essere estratti per essere buttati in un’arena; così, quando crede di aver ottenuto abbastanza trepidazione, Effie si decide a leggere il nome sul bigliettino:      
“Primrose Everdeen!” esclama, col suo accento affettato, tipico degli abitanti di Capitol City.       
Rimango immobile a osservare la scena, mentre mi rendo conto che al posto di mia sorella, ai piedi dalla nostra accompagnatrice, c’è una neonata, dagli occhi grigi e pochi capelli biondi, che gattona tranquilla sulle tavole scure del palco. Effie la guarda, quasi con tenerezza, mentre l’attenzione della bambina sembra essere attirata da un piccolo oggetto argenteo, caduto poco lontano da lei. Inorridisco, quando mi accorgo cosa nasconda veramente quel paracadute, ma tutto avviene talmente in fretta che non posso fare nulla per impedire quello che succede dopo. La piccola, con un gridolino raggiante, raggiunge ciò che l’aveva tanto affascinata ma, appena prima che possa afferrarlo, la bomba al suo interno esplode, avvolgendo il suo corpo in una prigione di fiamme.        
Sento le mie gambe iniziare a muoversi, come spinte da una forza invisibile. Senza quasi rendermene conto, inizio a correre verso il palco. La piazza sembra infinita ma mi costringo ad avanzare, facendomi largo tra la folla impietrita, sorretta solo dal desiderio di salvare quella piccola vita innocente.  
Con un ultimo sforzo, riesco a salire sul palco e a stringere tra le braccia quel corpicino urlante. Sento il fuoco che mi avvolge, e capisco che non riuscirò ad allontanarmi. Disperata, alzo lo sguardo verso la piazza, in cerca di aiuto, ma la trovo completamente deserta. Solo una figura mi fissa immobile, come i minatori dopo un’esplosione in miniera, quando non ci sono più speranze per chi vi è rimasto intrappolato al suo interno. L’espressione soddisfatta sul suo viso sembra svanire, mentre le sue labbra mormorano un “Catnip”.
Mi accascio al suolo, divorata dalle fiamme, mentre la bambina che tengo ancora stretta al mio petto smette di lamentarsi.      

Apro gli occhi di scatto, cercando di soffocare il grido che sento nascere in gola. Mi passo una mano sulla fronte madida di sudore e faccio per alzarmi, ma sento le braccia di mio marito che m’impediscono di muovermi. Lentamente, facendo attenzione a non svegliarlo, mi sciolgo dal suo abbraccio e scivolo giù dal letto. Cerco di ignorare il ricordo dell’incubo appena passato. Incubo che, ormai, viene a farmi visita ogni notte che precede il giorno che una volta era dedicato alla mietitura dei tributi per gli Hunger Games.
Ho bisogno d’aria, così vado verso la finestra e la apro. Fa caldo, ma la lieve brezza che porta con sé l’odore dei boschi riesce a sciogliere, almeno in parte, il senso d’angoscia che provo. 
Non riesco a impedire alla mia mente di ritornare sulle immagini che mi hanno strappata dal sonno e non posso fare a meno di pensare che, questa volta, il mio subconscio mi abbia giocato uno scherzo ancora più brutto del solito: fino all’anno scorso nel mio incubo era Prim a salire su quel maledetto palco, per poi morire sotto i miei occhi impotenti. Non avevo mai sognato che un bambino così piccolo venisse estratto.        
Un senso di malore mi coglie, e sono costretta ad appoggiarmi al davanzale della finestra, quando mi rendo conto che la bambina che ho visto prendere fuoco era mia figlia. Chiudo gli occhi, portandomi una mano al ventre, ancora piatto, ma che nasconde il dolce segreto di una nuova vita che sta iniziando, quasi potessi proteggerla da tutte le mie stesse paure. 

Ho passato una vita intera nel terrore che i miei figli potessero essere sorteggiati per partecipare agli Hunger Games che ancora oggi, a quindici anni dalla loro abolizione, fatico a credere che sia tutto finito. La mia angoscia era così grande da impedirmi di dare a Peeta ciò che più desiderava: un figlio. Solo un anno fa mi sono decisa ad assecondare quella sua richiesta, dopo aver visto i suoi occhi brillare nel tenere tra le braccia il figlio di una coppia di clienti abituali della nostra panetteria. Io ero alla finestra che lo osservavo lavorare, affascinata da tanta dedizione, quando da un passeggino, vicino all’ingresso, erano iniziati dei pianti. Peeta era uscito dal negozio e, dopo aver scambiato alcune parole con il padre del piccolo, aveva preso in braccio il bambino, che non doveva avere più di due anni d’età, e aveva iniziato a giocarci. Quando il piccolo si era calmato, Peeta gli aveva regalato una tortina e lo aveva riaffidato all’uomo. Una volta chiuso il negozio, Peeta era stato intrattenuto da Haymitch e i due si erano fermati dietro al nostro cortile a parlare. Inizialmente non avevo mostrato interesse per il loro discorso, ma le parole del mio vecchio mentore erano riuscite ad attirare la mia attenzione:  
“Mi sembra impossibile che tu e tua moglie non abbiate ancora messo su famiglia. Voglio dire, da quanti anni siete sposati ormai?”          
“Sai come la pensa Katniss su questo argomento” aveva risposto Peeta, rassegnato.          
“Ma i Giochi non torneranno!” era stata l’obbiezione del nostro mentore.   
“Lo so, ma non posso certo obbligarla a darmi un figlio” aveva ribattuto mio marito, allargando le braccia in segno di resa. Vederlo così disilluso mi aveva fatto talmente male, da non farmi neppure rendere conto di essere uscita in giardino. Quando Peeta si era accorto della mia presenza, aveva cercato di deviare la conversazione, ma gli era bastato uno sguardo per intuire che avevo sentito tutto, o almeno la parte più rilevante del discorso.         
“Katniss …” aveva tentato di scusarsi, ma io ero già corsa a rifugiarmi in cucina. Quando lui era entrato, io mi stavo asciugando alcune lacrime che non ero riuscita a trattenere. 
“Non dire nulla” gli avevo ordinato, sforzandomi di mantenere la voce ferma.       
Peeta mi si era avvicinato e, con dolcezza, mi aveva asciugato una lacrima che era rimasta intrappolata tra le mie ciglia. Quel semplice gesto mi aveva fatto sentire ancora più colpevole, così avevo nascosto il volto nel suo petto ampio, scoppiando in un pianto disperato.    
Peeta aveva lasciato che mi sfogassi, ma non aveva più voluto riprendere il discorso ‘figli’. Quella sera stessa, ero stata io a chiedergli di avere un bambino. 
“Katniss, - aveva iniziato lui, titubante – se è per la discussione di oggi con Haymitch … non voglio che ti senta obbligata” aveva concluso.    
Io lo avevo zittito, posando le mie labbra sulle sue, per poi fissarlo negli occhi e rassicurarlo:
“Peeta, voglio un figlio da te. Quello che è successo stamattina non c’entra nulla”.            
Avevo mentito, ma non ero stata capace di confessargli che lo avevo visto così felice, con quel piccolo tra le braccia.          
Nonostante la decisione presa, ogni mese ringraziavo per la ricomparsa del ciclo, segno inequivocabile che, almeno per un’altra volta, la mia paura di rimanere incinta non si era avverata. L’ansia che mi pervadeva a ogni minimo ritardo non passava inosservata a mio marito che, più volte, era stato sul punto di rinunciare al suo desiderio più grande, pur di non vedermi così combattuta tra il desiderio di renderlo padre e la paura di rimanere incinta.   

Respiro a pieni polmoni l’aria della notte, elencando mentalmente tutte le mie certezze. Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho trentadue anni. Sono nata nel distretto 12. Sono stata la Ghiandaia Imitatrice. Ho rovesciato Capitol City. Gli Hunger Games non esistono più …[1]
Neppure il mio vecchio gioco sembra riuscire a placare le mie ansie, così mi limito a osservare i raggi della luna che illuminano debolmente gli alberi del nostro giardino e continuo ad accarezzare il mio piccolo segreto.

Un mezzo sorriso mi si dipinge sulle labbra al pensiero di Peeta che dorme, ignaro che il suo sogno più grande presto diventerà realtà. Dopo aver visto sul suo volto la delusione, ogni volta che gli comunicavo di non essere rimasta incinta, ho preferito aspettare prima di comunicargli la lieta notizia.
“Katniss” la sua voce mi distoglie dai miei pensieri. Con un sussulto tolgo la mano dal ventre e mi volto verso di lui.           
“Mi sono svegliato, non ti ho trovata a letto e mi sono preoccupato” ammette, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.      
“Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria fresca, anche se questa non sembra la serata più adatta” rispondo, decidendo di confessare solo mezza verità: anche se so già che Peeta non potrebbe che reagire positivamente alla notizia, non sono ancora pronta per rivelargliela, come se ammettere il mio stato ad alta voce lo potesse rendere più reale.     
“Il solito incubo?” s’informa premuroso, mentre mi stringe nel suo abbraccio e mi fa sentire protetta, appoggiando le sue labbra sulla mia tempia. Non rispondo subito, e lo sento irrigidirsi. Probabilmente, la sua mente starà ipotizzando scenari ancora peggiori degli incubi dei quali entrambi siamo vittime.        
“Avevo solo bisogno di riflettere” continuo, nella speranza di tranquillizzarlo, ma ottengo solo l’effetto contrario.
“Katniss, cosa mi stai nascondendo?” mi domanda ancora, costringendomi delicatamente a voltarmi verso di lui. Sento le sue mani rinsaldare la presa sulle mie spalle, quasi avesse paura che io possa abbandonarlo da un momento all’altro.           
Avrei voluto aspettare che passasse almeno il giorno della mietitura, ma mi rendo conto che non posso più continuare a nascondergli la mia gravidanza. Così, prendo un profondo respiro e facendo pressione sul suo petto mi allontano da lui, che non oppone resistenza, timoroso di avermi fatto del male. Lo fisso negli occhi. Peeta è in piedi di fronte a me e sta ancora aspettando una mia risposta, che tarda ad arrivare:   
“Sono incinta” confesso, finalmente, con un filo di voce, tentando di reprimere l’impulso di inchiodare il mio sguardo sul pavimento e fissando i suoi occhi azzurri, alla ricerca di una sua reazione.        
Peeta rimane immobile, continua a fissarmi, cercando di elaborare la notizia ricevuta.       
“Sei incinta?” domanda, dopo un tempo che mi pare infinito. Non riesco a decifrare i sentimenti che si nascondono dietro il suo tono di voce. Faccio cenno di sì con la testa, ma lui non mi lascia il tempo di aggiungere altro, che mi abbraccia forte.          
“Aspetti un bambino, nostro figlio! Oh Katniss …” esclama, afferrandomi per la vita e facendomi roteare, prima di nascondere il volto tra i miei capelli. Non posso vederlo, ma sento le sue labbra stendersi in un sorriso sul mio collo, mentre lacrime di gioia gli rigano il volto. Peeta, folle di gioia, inizia a baciarmi prima il viso, poi le labbra, alternando baci a singhiozzi ed esclamazioni di gioia. Io mi limito ad assecondare i suoi gesti e a rispondere debolmente ai suoi baci, come una bambola. Vederlo così felice non mi ha dato quel senso di soddisfazione che mi aspettavo, al contrario, adesso mi sento smarrita, come svuotata. Le labbra di Peeta continuano il loro percorso, portandolo a inginocchiarsi davanti a me, posare le mani sui miei fianchi e sfiorare la mia pancia, ancora piatta. Una nuova sensazione si fa strada dentro me, la stessa sicurezza che ho provato all’inizio del Tour della Vittoria, quando siamo caduti nella neve e ci siamo scambiati il nostro primo bacio dopo settimane passate a evitarci. Lui non mi abbandonerà e, forse, insieme a lui sarò in grado di affrontare tutto ciò che questa gravidanza comporterà.       
Rimango a osservare mio marito che mi alza la maglia del pigiama, per lasciare un nuovo bacio dove il nostro bambino sta crescendo e lo sento sussurrare, in direzione del mio ombelico: 
“Ehi, piccolino, lo sai che la mamma e il papà non vedono l’ora di conoscerti? – domanda, per poi continuare, sempre rivolto a nostro figlio – Ma prima devi crescere, e mi raccomando … vedi di fare il bravo e di non far venire voglie strane alla tua mamma!”    
    
Per la prima volta, da molto tempo, sento un sorriso sincero allargarsi sulle mie labbra, mentre accarezzo i capelli di Peeta. Lui solleva lo sguardo, pieno d’amore nei miei confronti, e mi sorride di rimando, si rialza e mi bacia ancora. Un bacio dolce, pieno di tenerezza e di gratitudine per quel miracolo che sta crescendo in me. Poi, mi riaccompagna a letto; rimaniamo abbracciati, con le mani intrecciate sul mio ventre. Sento il respiro di Peeta che mi solletica il volto, in una lieve e continua carezza. So che anche lui fatica a riprendere sonno, troppo felice dell’idea di diventare finalmente padre. Lo capisco dai profondi sospiri che, di tanto in tanto, spezzano il ritmo regolare che mi culla. Non riesco ad addormentarmi, la paura di sognare nuovamente l’estrazione del mio bambino si mescola alle nuove paure sull’incapacità di essere una buona madre per il figlio di Peeta.       
Rimango immobile, fingendo di dormire, ma non sono mai stata una grande attrice o, forse, Peeta mi conosce talmente bene da non aver bisogno di vedere i miei occhi aperti, per capire che sono ancora sveglia.          
“Andrà tutto bene, sarai una mamma fantastica” mi rassicura, come se fosse in grado di leggermi nel pensiero.   
È ormai l’alba, quando finalmente chiudo gli occhi. Tra non molto Peeta si alzerà per preparare la prima sfornata. Mi rannicchio più vicina a lui, gustandomi questo momento di serenità; so che non sarà una gravidanza facile, che i miei fantasmi non mi abbandoneranno così facilmente, ma questo non è il momento di pensare alla paura, è il momento della gioia e della speranza. E, finalmente, anche io riesco a prendere sonno.

 

[1] La citazione è tratta dal terzo libro della saga Hunger Games “Il canto della rivolta” ed è stata opportunamente modificata per motivi temporali

Note dell’autrice: caspita, questa storia è stata un parto (ok, visto l’argomento la battuta non è il massimo, perdonate)! Inizialmente questa storia era nata per partecipare ad un contest, ma ancora adesso non credo che sarebbe stata la scelta migliore, così è rimasta sul pc per diverso tempo, subendo diverse revisioni e modifiche. Spero che questa versione vi piaccia. Un paio di precisazioni: durante l’incubo viene estratta la sorella di Katniss, ma lei vede sul palco la figlia che sta aspettando (che non si chiamerà Primrose, la piccola avrà un altro nome e il tutto sarà spiegato a tempo debito nella one shot che è già in lavorazione). L’altra cosa è il fatto che Katniss usi raramente l’aggettivo possessivo “mia” (o “nostra”) durante tutta la storia è una scelta, quasi a sottolineare il fatto che lei questa bambina non l’aveva desiderata (come si capisce anche nell’epilogo del terzo libro, dove lei afferma che “Peeta li voleva tanto”) è vero, durante quella sorta di flashback Katniss dice a Peeta di volere un figlio da lui, nella mia testa lei sa, che se avesse detto a Peeta che voleva dargli un figlio, lui si sarebbe sentito in colpa. Per quanto riguarda l’arco temporale ho cercato di attenermi sempre all’epilogo del libro, dove Katniss afferma che le sono voluti circa quindici anni prima di accettare di avere un figlio da Peeta (o sarebbe meglio dire dare un figlio a Peeta). Termino qui, altrimenti le note diventano più lunghe della one-shot stessa. Grazie per la pazienza a chi è arrivato a leggere fino a qui. Alla prossima, spero. _Nica89_

  
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