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Autore: Amy_Mac    17/02/2013    1 recensioni
Sono trascorsi anni ormai da quando Amy e Rory hanno dovuto dire addio al Dottore.
Ma c'è solo una cosa che loro possono fare: ricordare e portarlo dentro di sé, sempre.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Amy Pond, Rory Williams
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dire che sono un  po’ nervosa è poco: questa è la prima fanfiction che pubblico e, soprattutto, la prima fanfiction che scrivo su Doctor Who.
L’idea per questa breve storia mi è venuta in mente durante una gita scolastica e spero di essere riuscita ad esprimere al meglio ciò che attraversava la mia mente mentre la scrivevo.
Beh, buona lettura a tutti coloro che decideranno di fermarsi in questa pagina e di leggere la storia!
-Amy

 

 
La sveglia suonava incessante. Rory mugugnò qualche parola, destandosi lentamente dal suo sonno.
Gli ci volle qualche minuto prima di riuscire ad aprire gli occhi.
Sul cuscino accanto al suo poteva ancora intravedere l’orma della testa di sua moglie e allungò una mano, lentamente, per sfiorarne la superficie.
La fece scivolare lungo il materasso, ancora caldo.
Si tirò su lentamente, spingendosi fino al comodino dall’altra parte del letto per spegnere la sveglia. Si stropicciò gli occhi con una mano per poi sbuffare e alzarsi dal letto.
Dalla cucina arrivava l’aroma del caffè appena preparato e il suono di passi che si muovevano leggeri, cauti, per non svegliarlo.
Si fermò per qualche istante davanti al calendario. Ancora intorpidito dal sonno, gli ci volle un po’ per comprendere il significato di una piccola x tracciata su quello stesso giorno.
Sorrise debolmente per poi entrare nella cucina.
Amy stava sistemando la sua maglia con una mano, mentre con l’altra versava il caffè in due grandi tazze.
Rory si avvicinò a lei, stampandole un dolce bacio sulla guancia.
“Buongiorno!” sussurrò lei, avvicinando al viso del marito la tazza fumante.
Rory si sedette, sorseggiando lentamente il suo caffè e poteva percepire, forte e insistente, lo sguardo della moglie su di lui.
Cercò di ignorarlo per qualche istante e poi alzò la testa per incrociare gli occhi di Amy.
Lei aveva un sopracciglio inarcato e teneva le braccia incrociate.
“Spero non ti ci voglia un’eternità per bere quel caffè” gli disse, incitandolo con quelle poche parole a fare in fretta.
A Rory sembrava che quella scena si ripetesse sempre uguale, ormai da anni.
Una volta all’anno sentiva il suono assordante della sveglia perforargli i timpani, percepiva il calore del letto sotto il tocco della sua mano, si alzava, salutava Amy già pronta, beveva il suo caffè in tutta fretta, si preparava e i due insieme salivano in macchina.
Era una routine alla quale ormai si era abituato. Ed era diventata piacevole.
Era così che festeggiavano il loro anniversario.
Anche se sembrava ad entrambi che quel giorno non fosse più dedicato alla loro unione, a quel momento speciale in cui avevano detto “Sì, lo voglio”, a quel giorno in cui Rory aveva baciato sua moglie, la ragazza che aveva sempre amato e per la quale aveva aspettato, duemila anni, semplicemente per tenerla al sicuro.
Perché quello era anche il giorno in cui lui era tornato. Il giorno in cui Amy aveva ricordato e quella scatola blu, malconcia, vecchia ma allo stesso tempo nuova, presa in prestito ma allo stesso tempo conquistata, si era materializzata davanti ai loro occhi. E la persona che aveva cambiato loro la vita, ne era sbucata fuori, col suo immancabile sorriso stampato in volto, con l’allegria e l’entusiasmo di un bambino, portando nuova gioia a quel giorno, eliminando dai loro cuori la sensazione che qualcosa mancasse.
Una sensazione che – avevano pensato – non avrebbero più provato.
E invece, eccola lì, di nuovo, per sempre.
Il dottore non li avrebbe più rivisti e loro non avrebbero più rivisto lui.
Rory si ricordava quanto fosse stato difficile nei primi tempi svegliarsi senza trovarlo nel loro salotto, non poter sentire più i suoi discorsi, che con il tempo avevano iniziato ad assumere un certo senso anche per lui.
Ma soprattutto, ricordava quanto fosse stato difficile per Amy.
Sua moglie aveva perso il suo uomo stropicciato e quello era un vuoto che, Rory lo sapeva bene, nessuno – nemmeno lui – sarebbe riuscito a colmare.
Ma lui ci provava ed era per questo motivo che, anche quel giorno, aveva guidato per ore, con sua moglie accanto a lui, assorta in un muto silenzio.
Molti anni prima si erano ritrovati davanti a quell’osservatorio, verso il quale si stavano avvicinando anche ora, senza rendersene conto.
Ricordava che, mentre lui le parlava, Amy aveva stretto con più forza la sua mano, bloccandosi improvvisamente e trascinandolo indietro insieme a sé.
Rory era rimasto a bocca aperta, lui e Amy si erano guardati dritti negli occhi e in quell’istante avevano compreso ciò che avrebbero dovuto fare.
Avevano comprato due biglietti e, immersi nell’ombra della notte, avevano osservato le stelle.
E avevano ricordato. Avevano riso.
Perché quello era ciò che dovevano fare: ricordare ed essere felici.
 
Rory uscì dalla macchina, seguito subito da sua moglie. Si tirò su il colletto della giacca, rabbrividendo per il freddo gelido che sembrava schiacciargli le ossa.
Prese la mano di Amy e, come tanti anni prima, entrarono nell’osservatorio.
 
“La stella Mizar, una delle più importanti e più luminose stelle dell’emisfero boreale, nonché una delle stelle più famose del cielo, appartiene alla costellazione dell’Orsa Maggiore. Ma per osservarla e comprenderla meglio, avviciniamoci di più a questa grande costellazione…”.
La voce meccanica del video proiettato sopra le loro teste cessò di gracchiare in modo irritante, lasciando spazio ad una melodia lenta e malinconica ma al contempo energica e intrigante.
Le stelle scorrevano veloci davanti ai loro occhi, superandoli e allontanandosi da loro, fino a sparire nel buio dell’Universo.
Non c’era bisogno di parole, entrambi sapevano che cosa stava attraversando le loro menti.
Se solo le persone intorno a loro avessero saputo. Se solo avessero potuto vivere quel momento, quell’illusione, nel modo in cui loro lo stavano vivendo.
Riuscivano a percepire i respiri mozzati degli altri presenti, l’entusiasmo elettrizzante che fuoriusciva dai loro corpi e riempiva l’intera stanza, gridando: “Se solo potessimo viaggiare tra le stelle! Se solo fosse vero…”.
Ma per Amy e Rory era vero. Anche se ogni tanto sembrava solo più un ricordo.
Volavano tra quelle stelle e in qualche modo si sentivano a casa.
Mancava solo una cosa. La sua voce, la promessa di una nuova avventura.
Rory si voltò verso Amy, cercando di osservare i lineamenti del suo volto illuminato fievolmente dalla luce proiettata da quelle stesse stelle finte.
La prima volta che si erano recati in quel luogo, Rory aveva visto una lacrima solcare il volto della moglie, seguito da un sorriso incerto che sapeva quasi di rassegnazione.
Adesso, voltandosi, nessuna lacrima modificava la bellezza di quel volto.
Osservava le stelle con uno sguardo fermo e un sorriso che non sapeva più di triste rassegnazione, ma di accettazione.
Invece, potè giurare di vedere le labbra di Amy muoversi, mentre i suoi occhi vagavano nel cielo luminoso sopra le loro teste.
E potè giurare che quelle labbra incerte stessero chiedendo qualcosa, mentre i suoi occhi brillavano di una luce che da tempo ormai non aveva più visto.
Si muovevano lente, scandendo ogni parola in silenzio, come se stesse parlando tra sé o con qualche forza dentro di lei; un ricordo, forse.
 
Dove sei, Dottore?
  
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