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Autore: Shomlove    17/02/2013    0 recensioni
Chiara, una ragazza di 21 anni, scappa dalla sua famiglia e dall’Italia per vivere in America, a Los Angeles la città dei suoi sogni. Un episodio molto spiacevole le farà incontrare la sua band preferita i 30 Seconds To Mars, cosa succederà dopo?
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano le tre di notte, il mio turno al locale era finalmente finito. ‘Odio quel locale! Quella puzza di alcool, sudore e testosterone mi fa venire il mal di testa, devo trovarmi un nuovo lavoro, o finirò per impazzire.’ avevo pensato mentre cercavo il mio Ipod nella borsa, ma non riuscivo a trovarlo, quello era l’unico momento in tutta la giornata in cui stavo da sola e potevo rilassarmi ascoltando la musica e io l’avevo dimenticato a casa? ‘Sono una stupida’ Accelerai il passo, prima sarei tornata a casa prima mi sari fatta una doccia e prima mi sarei potuta abbandonare sul letto con la musica dei 30 Seconds To Mars che mi spaccava i timpani. Stavo camminando ormai da mezzora e devo farmi ancora 10 isolati, quando sentii un urlo provenire da un vicolo lì accanto. Mi fermai, e avrei voluto che quei tre ubriaconi che stavano sul ciglio della strada smettessero di urlare così avrei potuto sentire cosa stesse succedendo in quel vicolo. Mi girai verso di loro e li fulminai con lo sguardo, loro ricambiarono il mio sguardo con un sorriso, se avessi avuto qualcosa in mano gliel’avrei tirata in testa. Non si sentiva niente, così mi addentrai nel vicolo sperando con il tutto il cuore, che batteva così forte da farmi male, di aver immaginato tutto o che fossero stati quegli ubriaconi di prima ad urlare, ma la mia testa mi diceva di continuare ad andare avanti, che era impossibile che fossero stati quei tre perché era stata una donna ad urlare. Mi addentrai sempre di più finché non senti una donna singhiozzare, sentì una risata di un uomo, ormai ero annebbiata dalla paura e il cuore e il cervello si erano scambiati di posto, adesso il cuore mi diceva di andare avanti e il cervello mi diceva di tornare indietro il più veloce possibile. Non potevo rimanere ferma in quel vicolo e sentire quella donna piangere e non potevo neanche andare via e lasciarla lì da sola con quell’uomo, così accelerai il passo. Ormai stavo quasi correndo quando mi fermai di botto, il mio cuore smise di battere per un secondo, forse più di uno, la scena che mi si presentò davanti mi fece gelare il sangue nelle vene. A poco più di tre metri di distanza c’era una donna raggomitolata per terra che piangeva e supplicava l’uomo, che le stava davanti con aria minacciosa, di non farle del male, mentre lui se la rideva di gusto e si slacciava i pantaloni. Non riuscivo più a pensare, sapevo solo di dover far qualcosa, il cuore batteva troppo veloce, non riuscivo a scandire i battiti, avevo il sangue al cervello e avevo tanta di quella adrenalina, che sarei stata capace di fare a botte con un gorilla e uscirne vincitrice. Con tutto il fiato che avevo in corpo gli urlai -LASCIALA ANDARE IDIOTA!- mi pentì subito di aver usato quell’aggettivo, lui si girò verso di me e mi guardò con odio, era grosso molto grosso, era un ammasso di muscoli, non riuscivo a guardarlo bene in viso perché l’unica luce che c’era era dietro di lui e questo gli donava un aria ancora più inquietante, il viso della ragazza era l’immagine della paura, mi guardava con gli occhi spalancati e lucidi, con una lacrima che le scendeva sulla guancia, aveva qualcosa di famigliare ma non potei concentrarmi su di lei e capire perché mi ricordasse qualcuno, perché quell’uomo si era fiondato su di me. Mi parai il viso con la mano e subito dopo sentii un liquido caldo che mi scendeva dal palmo della mano fino a bagnarmi il polso e l’avambraccio, bruciava tantissimo. Lui si allontanò da me di scatto, lamentandosi, sembrava il verso di un orso ferito, lo guardai attentamente e vidi che teneva un coltello sporco di una sostanza rossa nella mano sinistra capì che era sangue, il mio sangue, mentre con l’altra mano si toccava il viso, anch’esso sporco di sangue. -BRUTTA PUTTANA MI HAI GRAFFIATO!- mi urlò -Me la pagherai molto cara, quello che avevo intenzione di fare a lei- e indicò la ragazza a terra, che aveva iniziato a dondolarsi avanti e indietro in preda ad una crisi di pianto, e poi a me -…ora lo farò a te, e non smetterò finché tu non mi supplicherai di ucciderti- gli si dipinse un ghigno sul viso e si scaglio di nuovo verso di me. Io, mentre lui faceva il suo monologo, ne avevo approfittato per guardarmi in giro e notai dietro di lui un tubo di ferro, così quando lui si lanciò verso di me, io lo raggirai e mi ritrovai davanti la ragazza, ci eravamo scambiati i posti. Finalmente lo vidi in viso, era brutto aveva gli occhi piccoli e neri, il naso schiacciato le sopracciglia troppo sottili per quel viso tozzo, e sulla guancia aveva quattro graffi profondi da cui usciva ancora sangue, mi guardava confuso e disorientato, così ancora sotto shock mi girai per prendere il tubo e mi scaraventai su di lui colpendolo al viso, alla pancia ad un braccio, e lui scappò via lasciando il coltello per terra e bestemmiando tutti i santi di questo mondo.

A quel punto le gambe mi cedettero e mi ritrovai in ginocchio col respiro corto e col cuore a mille. Scoppia a piangere, la ragazza si avvicinò a me, ci guardammo per alcuni secondi negli occhi, e la riconobbi. Era Vicky, Vicky Bosanko, la moglie di Tomo Milicevic, il chitarrista dei 30 Seconds To Mars, mi strinse forte a se e io ricambiai il suo abbraccio e iniziammo a piangere come due bambine. Dopo alcuni secondi, minuti, ore, non vi saprei dire quanto tempo passammo abbracciate, ci alzammo e con la mia giacca avvolsi il coltello che l’aggressore aveva lasciato e uscimmo da quel vicolo infernale. Non c’era anima viva, c’erano delle gocce di sangue sulla strada, che portavano in un altro vicolo, suppongo fossero dell’aggressore. Io e Vicky ci sedemmo su una panchina lì vicino e chiamai il 911. Dopo nemmeno uno squillo rispose una centralinista. -911 come posso esserle utile?- -Salve mi trovo su…su…su…oddio non mi ricordo la strada…quella dei viali…- -Boulevard Street signorina?- -Si quella! Mi servirebbe un ambulanza un uomo ha aggredito una ragazza in un vicolo qui accanto- -Sa se la ragazza è ferita?- -No, cioè si, cioè no…oddio!- feci un lungo respiro e ricomincia a parlare -Allora la ragazza sta bene, è solo sotto shock e ha qualche livido, ho fermato l’aggressore prima che potesse farle del male sul serio.- -Una pattuglia e un’ambulanza saranno lì tra poco, rimanga con la ragazza mentre arrivano i soccorsi- -Ok! Grazie…- non feci in tempo a rispondere che la centralinista aveva già messo giù il telefono.

Mi girai verso Vicky che finalmente aveva smesso di piangere, si stava guardando i piedi. Siccome non sapevo cosa fare, cosa dire, non mi ero mai trovata in una situazione del genere. -Belle scarpe!- le dissi indicandogliele, lei fece un mezzo sorriso e appoggiò la testa sulla mia spalla. -Grazie!- -E di che, sono proprio belle, dove le hai comprate?- scoppiò a ridere e alzò lo sguardo verso di me -Il mio grazie non era riferito al complimento che mi hai fatto sulle scarpe, ma su quello che hai fatto prima, se non ci fossi stata tu, io…io…- aveva di nuovo gli occhi lucidi e io la strinsi a me. -Lascia stare, non pensarci ok?- fece di si con la testa

-Vuoi chiamare qualcuno mentre aspettiamo l’ambulanza?- -No, si preoccuperebbero troppo! Tu invece? Non chiami nessuno?- -Io non ho nessuno, quindi nessuno da poter far preoccupare! Dovresti chiamare qualcuno, io la farei al tuo posto- la guardai intensamente e lei contraccambio il mio sguardo. Il mio verde con delle pagliuzze dorate e il suo color cioccolato al latte, questo mi fece girare la testa ancora di più, era dalle 6 di ieri pomeriggio che non toccavo cibo. Alla fine la lotta degli sguardi la vinsi io, lei mi dettò un numero e le passai il telefono. Mentre aspettava che rispondessero si presentò. -Comunque io mi chiamo Vicky- -Chiara piacere.- le strinsi la mano, con la mano buona, ovviamente e le sorrisi. Evitai di dirle che sapevo chi fosse, non mi sembrava il caso. Nel momento in cui le nostre mani si staccarono una persona rispose al telefono e allo stesso tempo arrivò la polizia e l’ambulanza e ci vennero subito incontro. Indicai ai paramedici Vicky e loro si fiondarono su di lei, aveva tutto il mio sangue sui vestiti, non pensarono fosse il mio e Vicky era talmente impegnata a parlare al telefono che non si era neanche accorta del loro arrivo e quindi non glielo disse. Io, evitando movimenti veloci, mi misi a parlare con un poliziotto. Gli spiegai tutta la situazione, da quando avevo sentito l’urlo fino a quando ebbi chiamato il 911, con qualche pausa di tanto in tanto perché se parlavo non mi arriva abbastanza ossigeno al cervello e di conseguenza mi girava la testa.

-Per fortuna che avevate dimenticato l’Ipod a casa signorina. Ufff- e con l’avambraccio fece finta di asciugarsi il sudore dalla fronte, mi fece l’occhiolino e poi posò il suo sguardo sulla mia mano, mi guardò attentamente, sembrava arrabbiato. -Signorina ma vi sentite bene? Avete un aspetto orribile!- -Grazie! Lei è prorpio bravo a fare i complimenti- mi fece un mezzo sorriso e si rivolse a uno dei paramedici che si stava occupando di Vicky, che continuava imperterrita a parlava al telefono e a ignorare i paramedici che le chiedevano di riattaccare così l’avrebbero potuta visitare.

-Ehi tu! Vieni un po’ a controllare questa qui. Sta molto peggio. Credo che tutto questo sangue sia suo non di quella lì- Mi girai così velocemente verso il paramedico, che persi l’equilibrio e caddi atterra. -Porca puttana, è svenuta! Cazzo cazzo cazzo- -Signorina mi sente?-

-O MIO DIO!! CHIAARAAA!- -Ha il battito debole, ha perso molto sangue dobbiamo portarla subito all’osp…- e poi il vuoto.

  
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