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Autore: Narcissistic Lover    17/02/2013    1 recensioni
'Syn è brillo, fissa le tette di Rae e io sono indeciso se prendermi la triste responsabilità di fargli presente che è abbastanza lesbica, da quel che ho capito.
Decido che sì, per il bene di tutti è meglio che glielo ricordi.
"Vuol dire che le farò cambiare idea" fa spallucce.
Scuoto la testa e mi attacco alla mia bottiglia di Desperados.
Rae mi da l'impressione di essere estremamente fragile, sotto quell'atteggiamento da figa menefreghista. Credo anche di averle visto delle cicatrici sulle cosce, quando si è seduta. Quel tipo di cicatrici. Quindi di sicuro non sarebbe un bene se Brian facesse una stronzata delle sue. Perché alla fine, lo so io, lo sa lui e lo sanno i ragazzi, che quando si mette qualcosa in testa la ottiene, ad ogni costo e senza farsi scrupoli.'
Fa un po' schifo, sorry
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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ciaaaaaao c:
allora, partiamo dal presupposto che è la mia prima fanfic, ho un casino di idee e quindi è abbastanza confusionaria, sorry <3
Uhm, per ora ho solo il primo capitolo (che poi è una specie di prologo, pià che altro), ma appena potrò scriverò e posterò il secondo e così via. Non ho ancora deciso come si svolgerà la storia, quindi boh, prendetela come viene, non insultatemi troppo e magari recensite, pure due paroline al volo, che mi invogliate a continuare :'
Uoh, chiedo perdono anche per l'infinita lunghezza del capitolo son tipo 2000 parole e passa.
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That's all that I wanted



0.Welcome to the family


Mi spalmo sulla faccia un’altra manata di fondotinta color cadavere e mi guardo allo specchio contemplando l’opera. Ehw.
Non avevo un’aria così malaticcia-giallognola-cessica prima di arrivare qui, o comunque non così tanto.
Da due mesetti a questa parte vivo negli Stati Uniti con Dean, Ian e Gas, compagni della mia pseudo band, che è il motivo principale per cui abbiamo attraversato l’oceano e impoverito i nostri genitori.
Oh, io sono Rachele. Ho diciotto anni, in teoria qui sono ancora minorenne quindi il mio hobby è passare le serate a scroccare alcool con Gas agli altri due, che hanno vent'anni, quindi riescono a far chiudere un occhio ai baristi.
Dicevo, ho questo aspetto del cazzo perché vivere con tre bestie sfianca.
Sti cazzi se sono anarchica e amo il casino, se tanto sono insonne quindi dormivo di giorno già da prima, se mangiavo solo porcate anche in Italia: ti rendono comunque la vita un casino, di quelli mastodontici.
In primis, ogni comportamento considerato convenzionale dalla società odierna, qui è l’anticristo. Se entri in casa nostra, devi fare l’esatto contrario di quello che faresti normalmente.  
Del tipo, ognuno mangia all’orario che gli pare e abbiamo il frigo pieno di budini, gelati e carne, fottuta carne –no ma tranquilli ragazzi, non mi fa schifo vedere quei cadaveri in frigo, fate pure, non dovete preoccuparvi della povera sfigata vegetariana!-  e birra e coca cola. Forse è rimasto anche un goccio di Jack, se non me lo sono scolato io prima. Non hanno idea di cosa significhi vivere in società, né hanno il senso della privacy, pudore e tante di quelle cosine che diamo tutti per scontate, prima di andare a vivere con tre uomini. E della peggior specie, aggiungerei.
Spendiamo un casino in bollette, scordano sempre le luci accese (per non parlare della volta che dimenticarono il gas aperto, per poco non crepavamo tutti, e della bolletta stratosferica che ci arrivò e ci fece rimpiangere il non essere passati a miglior vita), fanno la lavatrice ogni giorno… finiremo sotto a un ponte nel giro di due mesi, e con noi i nostri genitori, che dall’Italia ci pagano tutto.
Io sono l’unica che lavora di noi tre, ma giusto per le mie manie di indipendenza. Mio padre, quello di Gas e quello di Ian ci hanno permesso tutto questo perché da giovani avevano un gruppo pure loro, quindi ci capiscono. Le madri si sono semplicemente arrese, eravamo in maggioranza. Dean invece l’hanno lasciato per condurre una vita normale sotto il controllo dei suoi zii, che in realtà non si sono fatti vivi dopo averci lasciato le chiavi dell’appartamento.
E, oltre tutta la robina sopra, non proviamo mai da quando siamo qui, vuoi che mentre una mangia l’altro sta al cesso e gli altri due improvvisano tornei clandestini di strip-scarabeo.
Ma andiamo ad analizzare le tre bestiacce.
Dean.
Dean è un fottuto gigante ricoperto di muscoli, con un sorriso al Mentadent, pelle abbronzata e capelli biondi. E’ californiano, è arrivato in Italia a dieci anni e ora si è lasciato ritrascinare qui. Bassista cazzuto, fa anche un buon screamo – ma sono meglio io –.
Ian, che non è il suo nome di battesimo ma un acronimo, ha dei nomi di merda, una cosa tipo Ilario Antonino ma non lo ricordo con esattezza, non l’ho mai chiamato in quel modo. E’ la checca del gruppo. Cioè, non è gay (o comunque non ce lo ha mai detto. Anche se è una possibilità abbastanza remota, viste tutte le gnocche che fa gironzolare per casa), è solo terribilmente sensibile. Suona la chitarra e inizialmente scriveva lui i testi, ma noi siamo cazzuti e vogliamo roba cazzuta, quindi lasciano fare a me, che non faccio altro che prendere i testi di Ilariuccio e infilarci qualche parolaccia ogni due sillabe.
Infine c’è Gas, la cosa del nome vale anche per lui. Guarniero Angelo o una roba così. Sta alla batteria, di noi è quello che suona da meno tempo ma non va per niente male, picchia duro essere un pivello, oltretutto è pure bassetto e mingherlino. E’ anche più piccolo di me, quindi mi sento autorizzata a schiavizzarlo – tanto schiavizzo anche gli altri –.
Io canto, più o meno. Stavo alla chitarra all’inizio, ma poi mi hanno fatto notare quanto facessi schifo –grazie amici – e hanno rimediato con un “però sei cazzutissima quando canti” che mi ha convinta.
Ian, che è il meno cazzone, in questi giorni ha stilato una lista di locali in cui lasciano esibire band del cazzo tipo la nostra, di quelle che secondo Wikipedia – se arrivano abbastanza in alto da avere una bio lì–  suonano una sessantina di generi diversi che manco esistono. Siamo una specie di fusione fra metal e punk, ma mi aspetto che se ne spuntino fuori con roba tipo “post metalcore” e simili, che ti chiedi se davvero esistano o si differenzino da generi che già esistono.
Ma tornando a noi – sì, sono abbastanza logorroica -, sto cercando di darmi un aspetto umano perché devo andare in due di questi locali della lista. Ian mi ha affibbiato due di quelli normali, lui va in quelli più “in” (dice che sono troppo sboccata e se mandasse me, non ci prenderebbero nemmeno in considerazione. Bah) e ha mandato gli altri due in qualche bettola.
Mi contorno gli occhi con tre centimetri di matita nera, tanto per sembrare ancora di più una disadattata, prendo il marsupio, infilo portafogli, cellulare, nomi e indirizzi dei locali e chiavi di casa ed esco accennando un saluto agli altri, che si stanno preparando anche loro.
A proposito di città, siamo ad Huntington Beach (LA, sogno di tutti e quattro, costava troppo, quindi ci accontentiamo di HB, anche se poi costa un casino in ogni caso, ma tanto ci sono gli zii di Dean). E’ quello che ci si aspetta dagli USA: mini ville a schiera, piscine, spiaggia, gente pompata, gnocche in bichini e il classico molo.
Mi perdo per qualche stradina ma alla fine arrivo al primo dei due pub ed entro.
Mi investe una nuvola di fumo e rischio una crisi isterica perché voglio una sigaretta ma le ho finite da due giorni e non le ho ancora ricomprate. La sala è abbastanza ampia, sulla stessa parete dell’entrata c’è il bancone, alla destra e alla sinistra divanetti e bagni e davanti il palco, sul quale si sta esibendo un gruppo.
Dire che sono cazzuti è riduttivo, ho l’autostima che cala come le merde. Il cantante ha una voce nasale che per i primi cinque minuti detesto, dopodiché amo. Per non parlare del suo screamo.
Poi c’è il più alto dei due chitarristi che, con la faccia di uno che sta guardando il SuperBall alla tv, caccia un assolo di quelli che ti fanno rimanere lì mezz’ora a cercare di capire se cazzo, l’ha davvero fatto. Cerco di riprendermi, mentre analizzo tutti gli altri. Il batterista è una potenza assurda, sembra che non si muova ma picchia fortissimo e da dio. Poi c’è il bassista che mi ricorda un casino Gas, così piccoletto ma fottutamente energico, con una cresta tutta storta un po’ ridicola. Infine c’è il chitarrista ritmico, è morbido (quindi il mio contrario, che son tutta spigoli) e mancino, come me.
Mentre finiscono di fare casino, mi avvicino al bancone e prendo una birra, poi quando la folla di fangirls improvvisate si dirada, salgo sul palco e mi infilo dietro le quinte, dove stanno sistemando gli strumenti, e studio il posto.
Il cantante mi viene a sbattere contro – ahia – e si ferma davanti a me con un sorrisetto. Come se non mi avessi lussato una spalla, tranquillo. Senza rancore, eh?
“Ciao” mi fa un sorriso da orecchio a orecchio con tanto di fossette e mi prende la bottiglia dalle mani, poi fa un sorso.
“Ehi” faccio un cenno con la mano e mi riprendo la mia birra.
“Sei una groupie?” sorride come un coglione.
“Ehm… non esattamente- rispondo guardandomi intorno –comunque, sai dov’è il proprietario? Dovrei parlargli”
“Zacky! – chiama il chitarrista, che si ferma vicino a noi e posa in terra l’amplificatore che stava trasportando – Sai dov’è Simon?”
“Credo di averlo visto al bancone poco fa”
“’Kay, grazie” sorrido guardandolo negli occhi. Sono di un colore abbastanza strano, è la prima volta che ne vedo così.
Faccio per andarmene, ma il cantante mi ferma.
“Ma dai, te ne vai così? – no, ti mando un telegramma qualche minuto prima, così sei psicologicamente preparato e hai la scena drammatica pronta.
“Sì, devo andare anche in un altro locale”
“Quale?”
Cerco il foglio nel marsupio, evito la figura di merda nel pronunciarlo col mio accento alla Super Mario.
“Ci vai da sola?” domanda con un sopracciglio alzato.
“Sì..?” dico incerta.
“Cazzo, no. Non ti conviene per niente, fatti accompagnare. Se aspetti dieci minuti, posso portarti io”
Non sono esattamente il tipo violentabile, diciamo che sono provocante e femminile quanto un cavolino di Bruxelles, ma dalla faccia con cui mi ha appena parlato, mi fido di più a farmi accompagnare da uno sconosciuto, che ad andare da sola.
“Uhm, okay. Al bancone fra dieci minuti?”
“A-ha.  A dopo” e se ne va scompigliandomi i capelli (come se non lo fossero già abbastanza).
Ripercorro la strada all’inverso, sorridendo a Zacky che mi passa davanti, e individuo al bancone un uomo, sui cinquanta credo, capelli brizzolati e occhioni azzurri, qualche tatuaggio scolorito sulla mano che stringe un boccale di birra.
“Simon? – si volta verso di me e mi sorride – Sono Rachele”
“Oh, l’amica di Ian! Mi ha parlato di te, accomodati – dice indicandomi uno sgabello – allora, che suonate?” domanda, facendo poi segno al barista per un’altra birra.
“Uhm, prevalentemente metal e punk”
“Perfetto, vanno parecchio ultimamente. Allora, mercoledì prossimo ho mezz’ora da darvi, alle undici, va bene?”
“Benissimo!” rispondo con un po’ troppo entusiasmo e stupita di aver fatto tutto così in fretta.
“Due canzoni originali, se ne avete, e il resto cover – mi spiega – prima di voi ci sono i ragazzi che hanno suonato poco fa, magari venite un’oretta prima , vi fate spiegare come funziona e sistemate gli strumenti”
“Oh, sì” se suoniamo dopo quelli, come minimo ci trascinano giù dal palco e ci sbattono fuori.
“Com’è che vi chiamate?”
“Bloodshed” sì, esattamente. Spargimento di sangue. Secondo quei tre è virile e cazzuto, secondo me hanno aperto il vocabolario ad una pagina a caso e scelto una parola altrettanto random.
Dopo un altro po’ di convenevoli, Simon se ne va e vengo raggiunta da Zacky e il batterista, credo.
“Ciao” sorrido.
“Ciao. Io sono Zack, lui è Jimmy”
Jimmy è ancora più alto di Dean, è impressionante.
“Rachele”
***
“In pratica, siete venuti fin qui dall’Italia per cercare di farvi notare ?” Zack riassume tutto il mio racconto.
“Una cosa del genere. Abbiamo fatto qualche concerto lì, ma a parte che c’era pochissima gente, poi non ci hanno mai chiamati una seconda volta”
I due si fermano di colpo davanti ad un vicolo buio, c’è un’insegna al neon luminosa e abbastanza sgangherata in fondo.
“Eccoci” Zacky allarga le braccia.
“Uno strip club?” sollevo un sopracciglio.
“Già” ridacchia Jimmy.
“Cioè, fanno suonare qui?” chiedo ancora più perplessa.
“Sì. E’ anche abbastanza gettonato dalle band. Una volta siamo riusciti ad avere il palco per mezz’ora, ma appena abbiamo iniziato a suonare due tizi hanno preso a scazzottarsi e ci hanno interrotti, mi pare che uno dei due alla fine aveva una commozione cerebrale o qualcosa così” il tono cristallino con cui Zacky mi racconta tutto ciò, mi lascia sconvolta per qualche secondo, dopodiché ripenso al “è abbastanza gettonato” e inizio a camminare verso l’entrata. Se suoniamo qui, è fatta.
“Rachel, sei proprio sicura?” Jimmy in qualche passo mi raggiunge, Zacky ci sta poco dietro.
“Rachele- lo correggo -E sì, credo. Tanto ci siete voi, non può succedere nulla, no?” l’importante è convincersene.
Mi guardano un po’ scettici, ma poi mi seguono dentro.
Una nube di fumo un po’ più densa di quella dell’altro locale, mi investe e tossicchio un po’. Okay che fumo come un turco, ma qui manca l’ossigeno. E credo che ci sia dell’erba nell’aria, anche.
“Il proprietario è quello lì” Jimmy mi indica un uomo alto due centimetri più di me, a esagerare, magrissimo e unticcio, vestito con un completo bianco e una croce d’oro al collo. Che classe.
Una cameriera decisamente gnocca e con pochi vestiti addosso, ci passa accanto chiedendoci se abbiamo bisogno di qualcosa, con un tono che se ce l’avessi, me lo farebbe venire di metallo. Sono fine.
Io e Jimmy rimaniamo incantati a fissarla, mentre Zack sbuffa e le chiede se possiamo parlare col proprietario.
Annuisce e va dal tipo, sculettando tranquilla, la seguiamo con lo sguardo finché quest’ultimo non entra nel nostro campo visivo e ci riprendiamo, guardandoci inorriditi fra di noi.
“Desiderate?” chiede una volta vicino, masticando una gomma e con uno sguardo di sufficienza.
“Ho una band, vorremmo suonare qui” dico decisa.
“E chi vi dice che ve lo lascerò fare?” mi si avvicina ma non indietreggio, tanto finirei contro uno dei ragazzi, ma alzo il mento. Per quanto possa sembrare un gesto di sicurezza, è l’esatto contrario, solo un tentativo di stare lontana da quel… coso.
“Ho usato il condizionale, infatti”
Una cosa che ho sempre adorato di me, è che sì, sono terribilmente insicura, ma agli occhi degli altri non sembra. Quelli che per me sono gesti dettati dalla timidezza, gli altri li interpretano come figaggine o arroganza, e spesso la cosa è a mio favore.
“Abbassa la cresta, piccola- dovrebbe essere uno sguardo sexy, quello? -Potrei lasciar suonare te e i tuoi amichetti, ma voglio qualcosa in cambio” Ehw.
“Uh, cosa, un calcio nelle palle? Non sono una puttana, se non ti dispiace avrei da fare adesso” detto ciò, gli sputo sulle scarpe di pelle –doppio ehw- e faccio per voltarmi, ma quello mi prende per il polso.
“Non sai con chi hai a che fare,  lesbica del cazzo!” Jimmy sta per intervenire, Zacky sembra congelato o qualcosa del genere, ma fermo il batterista con un cenno della mano libera.
“Ci hai preso, amico. Ora, se non ti dispiace…- ripeto ma il coglione non molla la presa. Mi sto appellando a tutti gli dei aztechi perché mi trattengano dal mollargli un destro e prenderlo a parolacce, quanto mi maciullano i coglioni gli uomini così -Jimmy, fai pure” dico dopo qualche altro secondo di sguardi di fuoco col nano.
Il moro gli si avvicina, prende il polso del braccio da cui mi tiene e glielo rigira, mentre quello impreca e finalmente mi molla.
E Ian voleva mandarmi qui da sola. Sia lodato il cantante-di-cui-non-ho-chiesto-il-nome.
Quando torno a casa mi sente.
Il casino del locale smette un attimo e stiamo tutti in silenzio, tranne il tipo che sta mugolando e Jimmy che ridacchia.
“Tornate pure alle vostre attività, togliamo il disturbo” dice poi, dandomi una spintarella alla schiena e trascinando Zacky che è ancora in stato comatoso.
Facciamo la nostra uscita trionfale e torniamo sulla strada principale.
“Non ti hanno mai detto che non si deve rispondere?” dice sorridendo e scompigliandomi i capelli.
“Sì, ma l’ho catalogato come una cosa inutile. E poi mi ha dato della troia” sorrido come se niente fosse.
“Tsk. Sei forte, Rachel” ridacchia.
“Rachele!” lo correggo per l’ennesima volta “Comunque grazie. Come torno sul lungomare da qui?”
“Devi tornare a casa?” chiede Zacky, che ha ripreso colore nel frattempo.
“Sì, penso che mi convenga. Voglio spaccare la faccia al mio chitarrista”
Ridacchia “Dove abiti esattamente?”
“Uhm, hai presente quei tre palazzoni alla fine del lungomare?”
Jimmy annuisce “Sì, anche Matt abita lì, è lontanuccio, possiamo darti un passaggio noi”
“Grazie” sorrido. Sono i primi aborigeni con cui interagisco, e non sono per niente male.
Ci troviamo davanti al pub di prima, gli altri tre sono lì a caricare le ultime cose sul pick-up.
“Shadows!” il cantante si gira, chiamato da Zacky.
“Vengeance, già di ritorno?”
“Sì, non era aria- mi lancia un’occhiata -Comunque, Rachel abita nel tuo condominio, le dai uno strappo?”
“Rachele” correggo il chitarrista.
“Certo. Sono Matt, scusa se prima non mi sono presentato” si avvicina e mi sorride.
“Tranquillo”
“Ciao, io sono Johnny- il ragazzo con la cresta si sporge dal finestrino e mi saluta, credo sia il bassista -Lui è Brian” indica il ragazzo al posto di guida, che lo corregge sbuffando un “Synyster!”, poi mi fa un mezzo sorriso.
“Siamo gli Avenged Sevenfold” dice Matt allargando le braccia.



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Rieccomi. Cose che ho scordato di dire prima:
il titolo è momentaneo, non avevo idee migliori, se ne avete voi segnalatemele mlml
Per motivi di comodità, ho cambiato molte cose. Tipo Syn e Christ, che sono arrivati dopo, o il fatto che nel 2001 i Sevenfold fossero già alle prese col primo album (se la memoria non mi inganna D:) e robe simili, insomma. E' che scrivo per me stessa e non per dare una versione veritiera dei fatti, quindi è tutto un po' alla merda, prendere o lasciare lol
Perdonatemi eventuali errori, ho letto e riletto ma ho la testa da un'altra parte, qualcosa sfugge sempre. Fatemeli notare, però.
E poi niente, grazie se siete arrivate fin qui asdfghjkl
Dal prossimo capitolo presenterò meglio Rachele e gli altri Bloodshed, preparatevi. Oh, i capitoli non saranno tutti dal punto di vista del mio cavolino di Bruxelles preferito, il prossimo tipo sarà di uno dei Sevenfold, devo scegliere chi ma ho già un'idea.
E okay, mi levo dalle palle che credo di aver finito. Ah, ultima cosa. Se mi gira (boh, spero di sì) farò dei disegni di Rachele, Dean (che per il mio cervellino bacato è una specie di Zack degli All Time Low), Ian e Gas, così magari li inquadrate meglio.
Bien, alla prossima [e recensite, donne pigre che non siete altro (in quanto lettrice, so quanto siamo pigre :')]
-Frankie Venom 

  
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